Alfabeta - anno VII - n. 70 - marzo 1985

più importa, attraverso continui aggiornamenti: si tratta, infatti, di un'autobiografia ( ... ). Nell'estate del 1974 ho deciso di smettere. Con gli aggiornamenti, ma non con i rifacimenti (per cui l'opera è rimasta ancora per più di un anno inedita: chiudendosi così il decennio 1965-1975). Nell'estate del 1974 ho scritto praticamente la lunga appendice. Che il lettore, se vuole, può però non leggere. L'opera finisce con le parole 'ebbro d'erba e di tenebre'.» E il decennio verrà chiuso anche dalla sua morte. Va notato che anche in questo caso Pasolini commette, mi pare, lo stesso errore di date dell'intervista a Gardair, che Roncaglia ha corretto: il '65, l'anno dell'ulcera, era invece il '66 (e si tratta dunque di un vero decennio). Ma preme di più rilevare questa sorta di ritrosia verso il monologo finale (che pure lesse personalmente al Liceo Palmieri di Lecce il 21 ottobre 1975); ritrosia e pudore provocati, a mio modo di vedere, dalla rimozione del nome di Pound, che pure a Lecce fece apertamente, così definendo il monologo: «una poesia Eugenio Montale Tutte le poesie a cura di Giorgio Zampa Milano, Mondadori, 1984 pp. LXXIX-1245, lire 35.000 Quaderno genovese a cura di Laura Barile Milano, Mondadori, 1983 pp. 221, lire 18.000 Romano Luperini Montale o l'identità negata Napoli, Liguori, 1984 ·pp. 235, lire 16.500 Giorgio Oreili Accertamenti montaliani Bologna, Il Mulino, 1984 pp. 139, lire 12.000 Q uattro anni fa, per cura di Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini, usciva presso Einaudi il volume definitivo dell'Opera in versi di Montale. Ora l'intera produzione poetica, da Ossi di seppia agli Altri versi, alle Poesie disperse, viene riproposta, con alcune preziose plaquettes, nell'impaginato fitto e sottile dei «Meridiani». È capitato anche a me, con il libro completo tra le mani, di leggere senza interruzione, con un interesse nuovo, raccolte ben note. Effetto, anche, dei nostri anni, dell'attenzione alla tenuta narrativa della parola, alla ricategorizzazione del tempo, al confronto post-moderno tra citazione, tradizione e identità: ma certo la linea poesia-romanzo, su cui si è soffermata già da tempo la più avvertita critica montaliana (in prima linea proprio il Contini degli anni Trenta, analista severo di fasi «descrittive» e «assertive»), trova ora la verifica di una diversa, rinnovata udienza. C'è intanto, consegnato soltanto da poco alla lettura, il profilo dell'adolescente genovese, incerto e sensibile, sarcastico autodidatta dalle letture voraci, a colloquio serrato con la propria impotenza «prO'digiosa»:la scrittura elegante ~ e nitida di Laura Barile ricostruii:: sce, in note attentissime, la bizzar- ~ ra educazione sentimentale del ~ ..e:, $ c::s «fanciullo antico», già intimamen- . te predisposto alle «scerpate», che cita e, in un certo senso, rifà e mima i Cantos di Pound». Ricordo, tra l'altro che Pasolini intervistò Pound a Venezia, per la tv italiana (e sarebbe importante ritrovare questa intervista, per molti versi emblematica, negli archivi della Rai). Ritrosia e pudore, dicevo, credo non arbitrariamente, nei confronti del nome di Pound, perché la sua svolta stilistica era pure il frutto di un'attenta rilettura dei Cantos. Unà disperata vitalità è già una poesia poundiana, nel senso che vi vengono sfruttate tutte le risorse di quel sincretismo stilistico che Pound aveva posto al centro della ricerca contemporanea. Quando leggiamo, in quella-poesia capitale, «Versi, versi, scrivo! versi! / (maledetta cretina, / versi che lei non capisce priva com'è/ di cognizioni metriche! Versi!)/ Versi non più in terzine! / Capisce? I Questo è quello che importa: non più in terzine! / Sono tornato tout court al magma! / Il Neo-capitalismo ha vinto, sono / sul marciapiede/ come poeta, ah (singhiozzo) / e come cittadino (altro singhiozzo)», ebbene, credo non vi possano essere dubbi sui modi di una svolta precisa, qui sottolineata con ironia. Un altro nome può sorprendere qui in Pasolini, quello di Lacan, che compare in uno dei 'cori' di Bestia da stile: «Parlare I la parola / (Lacan) è ormai la nostra prima nuova qualità». Posso supporre che Lacan sia arrivato a Pasolini tramite Andrea Zanzotto, ma è ora importante rilevare l'uso che ne fa, quale lezione positiva nella pronuncia della parola, fino a quell'eccesso di discorso che Stefano Agosti ha sottolineato di recente. Lacan lo troviamo pure in questi versi: «Un'idea di stile: uno stilo! / Piantata nel cuore I fin dove vibrano le corde più segrete ... », e ci fa tornare, seguendo la. traccia dell'eccesso del discorso, a quella definizione di stile come meta raggiungibile per accumulo, di cui si è detto all'inizio, parlando della tor- .ma della città di Orte. Ecco l'importanza dei continui aggiornamenti e rifacimenti in Bestia da stile: la somma, e soprattutto l'interazione delle stratificazioni di un decennio, avevano come scopo il raggiungimento di quell'assoluto formale (come la splendida concrezione della città di Orte) cui da sempre tendeva, anche tentando, a volte senza riuscirci a volte riuscendoci, di uscire dalla semplice letteratura («che ha reso appunto i miei sentimenti piccoli e meschini», come è scritto nel Frammento li: Parigi, p. 289 di Bestia da stile). Stratificazioni, accumuli: da questo punto di vista è stato giustamente osservato che tutta l'opera di Pasolini va considerata come un unicum, come una sola, interminabile opera. Dopo avere sovrapposto al linguaggio poetico quello cinematografico, doveva riscoprire l'importanza del teatro di poesia, per sovrapporlo al linguaggio del corpo. Il procedimento è sempre più necessario: non vi è linguaggio che possa bastargli o che possa portarlo, da solo, fino alle proprie, estreme conseguenze stilistiche. Di qui quel senso di perdita che si ha in certe parti delle sue opere, come di voragini che si aprono incolmabili. Pensava di riempire quel vuoto che si lasciava alle spalle con un'opera successiva o con un altro linguaggio. libri perLo,~ontale «monche» esistenze. Un protomontale che mentre attraversa, 'sbirciando' e 'risbirciando', simbolismo francese e avanguardie, vocianesimo e tradizione ligure (Sbarbaro, Ceccardi, Novari e l'amatissimo Boine), e prende fiato tra melodramma e pochade, arrischia la somma delle personali «probabilità», e le avverte in urto con il presente. Si può assegnare un nome alla disarmonia, risolverla nella consueta, di per sé inespressiva, formula letteratura-vita: ma è poi, subito, contrasto profondo di «vite vere o vite morte», «esistibile» e «inesistenza». Se un termine del binomio attende la risemantizzazione non è insomma, per Montale, la letteratura, già saldamente posseduta con opzione ferma (I' obscurisme, l'avversione e un'arte chiara) quanto la vita, lungamente e ostinatamente perseguita con strumenti straniati, sintattici e ritmici, alla ricerca di un ristagno che renda possibile, al di là del «balbo parlare», l'ascolto («manca ancora il silenzio nella mia vita», secondo l'ammissione, mai confutata, di Mediterraneo). Un ritratto dell'artista da giovane. Accanto al Quaderno genovese le lettere inedite prodotte da Zampa sino dalla Cronologia confermano la fedeltà a quell'immagine, alla trama di una vicenda esistenziale scandita su deliri d'immobilità e d'inappartenenza («Non è stato saggio - conclude, amarissima, una riflessione-bilancio del '35 - puntar tutto su un po' di letteratura e rinunziare alla vita, che dopo tutto è l'unica cosa che abbiamo. E non è stato neppure coraggioso. Ma ormai è inutile recriminare»). Si delinea, in ogni caso, la continuità di un discorso che storicizza tempestivamente il vissuto, sino a prevenirlo, e traduce continuamente il privato in _pubblico: romanzo, certo, secondo una connotazione che Montale stesso autorizza e pare sollecitare («In tutti e tre i miei libri c'è un filo autobiografico certamente romanzesco, anche nella disposizione della materia», dichiara nel '66; e nel '77: «Ho scritto un solo libro, di cui prima ho dato il recto, ora dò il verso». E tuttavia occorre, mi sembra, non premere più del consentito il tasto della «monotonia» montaliana. Se è vero che, ormai prossimi alla fine del secolo, si può assegnare a Montale - lo sostiene Zampa nelle primissime righe del1' Introduzione - il ruolo di «poeta centrale», superiore a tutti per «durata e profondità», è tanto più necessario storicizzarne il messaggio contro ogni rischio di appiattimento, e interrogarsi, insieme, sul senso e la portata delle nostre ultime 'letture' generazionali, vitalmente tendenziose e ugualmente concordi nell'eleggere l'«uomo di Seaweed 4, 1947 cenere» a interlocutore· privilegiato di fertili tendenze di ricerca. E dunque, interpretazioni a confronto. Intanto la storicità di una scrittura felicemente estranea a illuminazioni rapinose, misurata, pure se con diversa intensità, su un eroismo e una viltà quotidiani: la 'testimonianza' di Zampa, inseparabile dal suo impegno critico, insiste, non a caso, sull'oscuro tirocinio, sulla ricezione delle prime raccolte e sulle fasi di ristampa, su quegli Ossi «Libro delle interrogazioni» che si staccano, perentori e decisi, dal contesto culturale che li avvolge, rompendo, ma dall'interno, con la tradizione. Inizia così il leitmotiv delle anomalie, dall'adozione torinese, gobettiana, del poeta ligure alla rivelazione delle Occasioni presso i giovani «forzati dell'ottimismo» degli anni Trenta e Quaranta. O anche dalla troppo facile sentenza su una Bufera involutiva e stanca, di cui le Note scandagliano invece il costituirsi a blocchi compatti su immagini-chiave (esemplare, al riguardo, la plaquette di Finisterre), alla vitalità di Satura, alla sua radicale svolta semantica verso la «decantazione verbale», tutt'altro che disorganica nel suo puntiforme disseminarsi. A nomalie, certo, come anomala è sempre l'autenticità espressiva: e altre se ne potrebbero aggiungere, sottraendosi opportunamente alla formula d'obbligo del borghese in contrasto con la propria classe e con l'infelicità dei tempi, combattuto tra resistenza passiva, condanne impotenti, approdi rinunciatari all'indifferenza. Sono le anomalie intime, interne.,appunto alla struttura, il romanzo che. il testo racconta di sé, i conti che non tornano tra movimento immobile e fissità vagante («e immobili e vaganti ci ritiene/una fissità gelida»), l'ossimoro che permane tra scelta del probabile e sua ineluttabilità. Il frammento si fa viéenda, e trasferisce la propria carica emozionale (le atmosfere di «luminosità traslucida» cui fa riferimento Zampa) su segmenti accostati in contiguità: disposizione metonimica, si è più volte rilevato, che dà senso ai percorsi ripetitivi, alle prove di registro costruite attorno a segnali definiti di cui si sperimenta, tra variazioni minime, la durata. L' «esistibile» è dapprima interrogato tra un nominare fittissimo, poi tra oggetti polarmente carichi di valenze (il fuoco, il gelo, i richiami di «sensi e soprasensi», le «formule incantatorie» cui allude il critico per le Occasioni): anche se occorre cautela, per il Montale dai tempi fermi, mai fluttuanti, di fronte a termini fortemente indiziati quali <<evocazione»e «magia». Si tratta piuttosto, già qui, di individuare l'«aderenza biologica» del ritmo agli emblemi che consentono, malgrado tutto, la continuità dell'esperienza, con un risentimento creaturale, materico, di segno, sostiene a ragione Luperini, più sabiano che ungarettiano, tra dialettica e élan vita/: il «romanzo d'idee» si sviluppa, insomma, in contatto con il pulsare della vita, realizzata o negata, crepitanBestia da stile è invece l'opera che riassume tutte le sue possibilità, un passaggio obbligato, come Una disperata vitalità, e definitivo. Prendere o lasciare, non c'è scampo. In Bestia da stile, Jan, il doppio di Pasolini, così recita: «Voglio essere poeta e non distinguo questa decisione / dagli odo.ridella cucina I nell'ora d'inverno che precede la cena / (e fa tanto male - un male per sempre inspiegabile - / al cuore di bambini) / ( ... ) Non lo distinguo dal silenzio del granaio / delle camere sospese nelle notti in cui i figli / restano soli con tutto il cielo davanti» (p. 205). Accettare la sfida del silenzio, ciò vale per tutti i poeti. Trovare una soluzione stilistica nell'eccesso, questa è la scommessa di Pasolini. E nel cumulo dell'eccesso, nel linguaggio stratificato della poesia, ci stanno la buona e la cattiva letteratura, il manierismo e il rifiuto della letteratura, l'iperletteratura, ci stanno le immagini del suo cinema, il corpo teatrale e il corpo nel teatro della vita, quando finzione e verità vengono a ultima coincidenza, in una morte più volte annunciata. te o arsa, secondo un rito sacrificale che coinvolge, a sfida, l'inesistente. Il capitolo centrale del 'roman~ zo' pare davvero coincidere allora con quelle Silvae che, con i Madrigali privati, chiudono La bufera. Lo spazio compreso tra Iride e L'anguilla consente a Luperini una ricognizione meticolosa attraverso il «realismo essenziale e persino esistenziale» del poeta scisso tra smarrimento empirico e proiezione trascendentale. Più di cento pagine (la metà del volume) per raccontare, prove alla mano, il «filo autobiografico» di un'esperienza poetica che, connettendo inestricabilmente psicologia e storia, si muove «nel mondo ctonio dei 'perduti'» senza smarrire mai il senso del tempo (e già I' Anceschi dell'introduzione a Lirica del Novecento, coniugando «senso storico» e «tempo psicologico», riconosceva in Montale «la più nuda, essenziale, e fin cruda identità con se stesso e con la situazione»). Numerosi gli indizi allineat~~-da quelli espliciti (la scelta, nel '49, del titolo Romanzo pèi-La bufera, o i racconti del decennio 1943-53, segnalati per la prima volta in forma sistematica), a quelli riscontrati all'interno della disposizione ed elaborazione del materiale poetico, a partire dal taglio «decisamente narrativo» di Mediterraneo, oggetto di un articolato e approfondito esame. E basterebbe, del resto, confrontare la plaquette Satura (Verona, Officina Bodoni, 1962), riprodotta nell'edizione dei «Meridiani», per avvertire nelle liriche che la compongono (tre degli anni Venti, due del 1961) le fasi emblematicamente accelerate di una parabola narrativa nell'occasione scorciata ad effetto: dal tempo sospeso, accentuatamente cardarelliano, di A galla (confluita poi tra le Disperse) e di Minstrels, coi «chiari mattini» e le «vetrate d'afa dell'estate» (ma si pensa anche ai poeti della «Riviera Ligure»), alla Botta e risposta che esclude intenzionalmente l' epoché e si rifiuta a una vita di memorie. Non importa se le liriche, inserite nelle rispettive raccolte ( Ossi di seppia, Satura), comportano una pronuncia diversa, meno pro-

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