no I circonda, sconfinando dalla terra I il cui tepore è magico silenzio... ». Si propone il sogno di un sogno, che è nel senso più stretto una figura, un eidolon. Basta richiamare un momento alla memoria questo affresco per accorgersi che esso si costruisce esattamente come un fantasma. La scansione dello spazio, isolando nell'angolo alto a sinistra, in diagonale rispetto al dormiente Costantino, ciò che chiamerei il contenuto latente del sogno cioè il protoplasma ambiguo d'angelo croce uccello, traccia idealmente, con la doppia cuspide della tenda e del panneggio, quella losanga, quel poinçon che connette/separa il soggetto dall'oggetto di desiderio nel ben noto algoritmo del fantasma. Se il testo pasoliniano ripercorre tutta questa organizzazione, un senso ci sarà. L a descrittiva degli ultimi versi evidentemente è rivolta a ben altro che riprodurre con un oggetto verbale un oggetto oculare, magari secondo la vecchia categoria dell'ut pictura poesis. «Ma qui, sul latteo tendaggio sollevato, / la cuspide, l'interno disadorno, / non c'è che il colore ottenebrato I del sonno: nella sua cuccetta dorme, I come una bianca gobba di collina, / l'imperatore dalla cui quieta forma / di sognante atterrisce la quiete divina... » «Quiete» s'arà il ponte verbale di passaggio al blocco successivo, dove appare un altro oggetto a, un tipico oggetto di desiderio pasoliniano: «la pia sera provinciale», «il cuore / campestre dell'Italia» (con lecito rimando al poemetto appunto detto L'Italia nell'Usignolo ... ). Lungo tale ponte lascarica del trauma (cancellato) viene deviata su un bersaglio contornabile: la costruzione ideologica di un mondo «originario», preistorico, pregrammaticale, che regredisce ben più lontano di Casarsa, naturalmente; «l'inconfessabile sogno di risolversi in natura», come dice Edoardo Sanguineti. 3. Però la quiete non è la verità di quel sonno/sogno rispecchiato nell'affresco, sulla cui natura la dicono lunga invece il «rantolo degli insetti», il «colore ottenebrato» e soprattutto l'allarme di «atterrisce». Si tocca il punto in cui il rammendo del trauma si dirada tanto da lasciare quasi trasparire lo strappo - per un'organizzazione che direi metaverbale. Che tale punto dolente non sia immediatamente collegabile alla storia concreta di Pasolini, semmai ne rafforza la verità. Mentre il resto del poemetto parla chiaro sulle ferite narcissiche (ma anche sociali) dell'autore a quell'epoca, perfino con un'enfasi che suonerà un po' pascoliana: «il desiderio di potere contare/ sul pane almeno, e un po' di povera lietezza... »; e via, con l'ossessione «di comunicare, amare, guadagnare»; con l'invocazione: «a un po' d'ordine, a un po' di dolcezza», al tavolinetto antico, alla camera da letto («un semplice lettuccio ... »); fino ai pianti (non di gioia) nel rimorso della Resistenza ... A questo punto vediamo un po' in che modo lavora !'«organizzar». Di fronte allo strappo, la poesia di Pasolini ricorre a una trascrizione, che è nello stesso tempo una compensazione, fondata sul pieno. Si ~ tratta, insomma, di otturare ogni ~ minima falla con un accumulo· di .i e:.. ~ °' ........ ~ ~ elementi, con un eccesso. In tale senso risulta rivelatrice la stessa struttura metrica, che tende a far massa con le sue strofe irregolari ma in qualche modo ossessive. L'ipermetria o l'ipometria degli endecasillabi cospira all'effetto di bloccaggio: andando oltre il carico ~ necessario nell'un caso, tagliando .!::) il fiato nell'altro. ~ ~ Dopo un'apertura quasi discorsiva, La ricchezza potenzia la sua concrezione di aggettivi, sempre più risentiti nella pasta espressiva, volentieri divergenti: si produce così un effetto di ·iperdeterminazione che concorre alla finalità generale di incistamento o di cryptisation - per mutuare un termine di Derrida - della traccia del trauma. 4. La ricchezza s'inscrive, pour cause, sotto Il sogno di Costantino. Sogni ricorrono con tale frequenza in Pasolini, che sarà impossibile non giudicarla significativa. Cito, almeno per contiguità, Calderon, dove si dà addirittura la proiezione dei personaggi dentro il dipinto, anche questo famosissimo, delle Meninas. Un sogno è l'introduzione e la chiave di Affabulazione. Nella opposta e complementare nudità del sogno contenuto in Uno dei tanti epiloghi, di cui l'autointerpretante dichiara «era il viaggio della vita», si arriverà a leggere l'avviso freudiano secondo cui i sogni che si verificano nelle nevrosi traumatiche obbediscono alla coazione a ripetere. E difatti: «quel sogno / di cui abbiamo parlato tante volte ... ». Lascio un momento questo filo del sogno per riprendere le modalità dell '«organizzar» pasoliniano, stavolta prelevando da Trasumanar e organizzar e da Poesia informa di rosa due altri esempi: La città santa e Una disperata vitalità: date, non prive di r~lievo;dei due volumi: 1971 e 1964. La città santa, che è una suite di quattro composizioni, dichiara teoreticamente la natura del trauma: «un luogo che non ho mai esplorato, UN VUOTO / NEL COSMO ... Chi c'è in quel VUOTO DEL COSMO?/ C'è il Padre, sì, lui! / Tu credi che io lo conosca? Oh, comè ti sbagli... ». Del Padre - qui insignito debitamente della maiuscola - lo scrittore non ha «alcuna informazione»: «l'ho frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo ... »; «Nel vuoto dell'Altro I per me c'è un vuoto nel cosmo... »; «per me quel vuoto nel cosmo c1 sarà sempre ... ». Una ripetizione (coatta?) riconduce di nuovo ad A/fabulazione, alla battuta del Padre «Tutto ora comincia con questo sogno / sogno che io, però, non ricordo ... », che già implica uno scambio fra le posizioni del Padre e del Figlio. Si possono attivare i due testi l'uno con l'altro, credo senza commettere arbitrio; almeno fino al punto critico del quinto episodio, con il rovesciéimento chiasmatico che è la sostanza di quella pièce: «così davanti alla tua giovinezza... / il padre sei tu. / E io sono il bambino». E alla confessione, più oltre, che il Padre fa di se stesso come padre castrato, morto: «I padri, sappilo, sono tutti impotenti». Aggiungerò, di passaggio, che c'è un'indubbia intelligenza del discorso freudiano nel legare la ripetizione al fallo «Devi sapere, che tutto ciò ritorna e si ripete. I Ogni nuova erezione lo pretende», recitano due versi di Orgia). ( on La città santa, il male si trova enunciato a tutte lettere, troppe: è quel buco - meglio si direbbe forclusione - che oblitera il nome del padre. Tutto l'andamento della suite sta fra un discorso volentieri sconnesso e un dichiarativo stridulo. Il fatto è che la questione investita è la questione del sapere: «Ogni vuoto del mio sapere è un vuoto del cosmo / ed è là che risiede lui, non invisibile, no, ma mai visto». S'intende che liquidare quel Boston 19, 1974 «vuoto di sapere» mediante pura eloquenza o scarica confessoria è pia illusione. I versi lunghi, non dirò informi, di questa suite, attorcigliandosi, frantumandosi con cesure fraudolente, sballando con sapiente disprezzo gli appoggi fonici, simulano un potere liberatorio del riconoscimento del male che in ~ffetti non si dà. Ma sono osservazioni ancora generali. È possibile invece rilevare procedure linguistiche e retoriche specifiche, che vengono impiegate per 'attuare' il trauma originario, non semplicemente per nominarlo. Sul piano retorico saranno, ad esempio, le forme dello 'sproloquio'; dell"arringa', violentemente adibite, come testimonia anche il resto del libro; o la figura della 'voce', del canto quale sperpero libidico irraggiungibile (la poesia di Pasolini, malgrado tutto, è comandata da una repugnanza del godimento ... ): figura connessa con il personaggio di Maria, «grande fanciulla» legata alla cultura del Padre. A livello del linguaggio sarà l'emergere della funzione fàtica. Qui la faticità agisce, se così posso dire, come un pieno perfettamente vuoto, sfruttando costellazioni di termini deprivati di vero senso: «c'è il padre, sì, lui... », «eh, sì. ..», «te lo giuro». A questo punto, fàtico, tecnicamente, diventa anche il gioco di parole fra «porcospino» e «biancospino». Ho detto «agisce» non a caso, perché quest'uso, non meno della messa in scena del Padre e della Donna Adulta, produce una specie di acting out, in cui credo si possa intravedere l'altro procedimento, simmetrico a quello descritto per La ricchezza, con cui viene attuata la.difesa dagli effetti del trauma. Consiste in un diradare piuttosto che in un accumulare, scardinando invece di restringere gli spazi del discorso, anche a livello sintattico e prosodico. Si tratta di un «organizzar» in assenza della legge del Padre: il quale, peraltro, a credere a Lacan, «è colui che non sa niente della verità». Se la mettiamo su questo binario, la lettura della Città santa si delucida a ricordare che ciò che viene chiuso fuori dal processò di simbolizzazione riemerge nel reale come allucinazione. La suite pasoliniana adempie a questo tragitto con irresistibilità quasi involontaria. Se le prime tre composizioni figurano un chiudere fuori tanto netto quanto è violento l'enunciato, nell'ultima, La baia di Kingstown si può sorprendere ciò che ricompare fatalmente con forma allucinatoria: il grumo corporeo della Cosa, «i lombi immondi di donna, di carne d'uomo I non fatta a somiglianza di Dio, preda del serpente». Un cerchio si chiude, a meno non si voglia riconoscere che un altro subito se ne apre. 5. Trasumanar e organizzar, questo libro innovativo (per Pasolini) e plurimo, di là da certi quasi insopportabili spiegamenti di umor pedantesco, è il contenitore perfettamente adeguato alla Città santa e al senso che ho creduto di individuarle. In Trasumanar e organizzar si «sentono voci» - non altrimenti di quanto accade al presidente Schreber. Non mi riferisco solo al fatto che vi pullulano i passi in cui l'atto di enunciazione è messo direttamente o indirettamente a carico di una figura, di una «maschera», poco importa se storica: da Pio XII a san Paolo, a Giovanni in Patmos, ali' «orfano di von Spreti», a Nixon ecc: prosopopee o ipotiposi, magari, secondo retorica, ma qui segni di un processo di decentramento insieme subìto e progettato. In effetti, l'intera struttura del libro e il suo linguaggio rispondono a una necessità paranoide. Che complessivamente esso abbia retto (abbia diretto?) tali sfaldamenti, dislocazioni vocali e acustiche con rigore tanto più ostinato quanto più s'alleava, a tratti, con qualche manierismo dell'informe, può lasciare ancora il lettore ammirato. Le voci attraversano indifferentemente il Fas e il Nefas, del resto chiamati in causa in una poesia (Riassunto per un «Digest» del «Poema politico»).· Il poeta Pasolini si ribattezza, con perfetta pertinenza, «poeta dilettante», se il dilettante è colui che non finisce mai di far coincidere l'istituzione (magari l'istituzione poetica) e il godimento. 6. Trasumanar e organizzar fo-. calizza dunque non dico un punto d'arrivo ma un punto bloccato del discorso del soggetto nella poesia di Pasolini. Esso si può sintetizzare così: l'Altro (sarà un caso se Dio compare di quando in quando in forma denegativa- «Non si tratta di Dio!» nelle ricorrenti note a questi poemi?) lo ha lasciato en panne. La storia - o traccia - occultata-ravvivata come si è visto dagli eccessi di una compensazione, è diventata una storia morta. Il Fase il Nefas, ciò che si può e ciò che non si può dire, hanno relazione con la verità? Pasolini realizza che l'Indicibile si può tentare di dirlo fingendo di dirlo, mentre se ne riconosce apertamente, quasi istituzionalmente, la finzione. L'esempio tipico lo trovo nella poesia Una disperata vitalità, che peraltro fa parte del volume antecedente, Poesia informa di rosa, e che conferisce qualche supplemento alla dimostrazione del «traumatizzar». Quale comunicazione si può immaginare più «dicibile», in presa diretta e falsa, dell'intervista? Una disperata vitalità è per l'appunto un'intervista immaginaria, che mescola frammenti di koiné giornalistica, didascalie, lembi di romanzo familiare, digests storico-culturali, mitografie e aulicità metriche in figura di momentanee regressioni. Ciò che non «poteva dire (o sapere)/ ma c'era», eccolo sventrato e attivo nell'istante, nel farsi. Legata a nient'altro che una spasmodica corrente narcissica, questa poesia si presenta contemporaneamente come un massimo di sincerità e di falsificazione. Segnalo almeno un aspetto, ancorché laterale ma godibile, dell'acting out, intinto di ciò che chiamerei, con modificazione minima, la belle bouffonnerie des hysteriques: la danza delle marche grammaticali di genere nel sintagma che designa l'intervistatrice: da «il cobra con la biro» a «il cobro con il bi- .-ro», a «la cobra con la biro», ecc. Vi si potrebbe leggere una specie di degradazione beffarda del meccanismo di scambio delle identificazioni parentali (ma anche sessuali) «padre/figlio», cui si è accennato a proposito di Affabulazione; che richiama a quel meccanismo 'logico' di inversione del verbo, dell'agente, dell'oggetto, che mette in moto la paranoia - come del resto dimostra •Freud trattando del caso Schreber. 7. Può arrestarsi qui un primo tracciato che riconosca certe relazioni fra economia delle forme letterarie e vicissitudini delle energie psichiche. Questo tracciato fa avanzare, anche di poco, la comprensione di Pasolini poeta? In ogni caso, scavalcando comode equazioni fra vissuto (supposto) e sua espressione, suggerisceun qualche funzionamento essenziale della scrittura in quanto realtà globale del soggetto.
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