MichelangeloCoviello. Poetie critici M i sembra che l'altezza dei nostri poeti non equivalga alt'altezza dei nostri critici. Ovvero vorrei riprendere un tema caro a Majorino, dicendo che bisogna recensire le recensioni. L'apparato categoricodella critica è inqdeguatoallapoesia di cui pàrla. E da vent'anni, da quando sono bambino, che leggole stessecose dr critica,ma non di poesia. Quindi secondome il discorso di Luperini e di vari critici è inessenziale alla letteratura,mentre non è inessenziale il discorso dei poeti. Ancora, in brevissimo, sul concetto di avanguardia: mi sembra che storicamente abbia avuto un merito, quello di anteporre il concetto di catarsi a quello di mimesi, ovvero per la prima volta e non solo l'avanguardia italiana ha cercato di uscire dalle catene della rappresentazione,per entrare nella catenadell'evento, dellapoesia come catarsi. RomanoLuperini. Alcunirilievi in fine V orrei anzitutto esprimere la mia soddisfazione. Una divergenza di posizioni èfinalmente emersa, il confronto è cominciato. Quello che anche Angelo Guglie/mi ha definito un «soliloquio ininterrotto»è stato interrotto. Evidentemente il mio intervento, volutamente un po' brutale e schematico, non è stato vano. Non intendo rispondere alle obiezioni mossemi da Ferrettie da • Sanguine/i per ragioni di tempo e perché nascono da contraddizioni che mi sembrano di natura secondaria, mentre qualche parola è necessario spenderla per Agosti. Ho troppa stima per lui perché io possapensare che lui stessoprenda sul serio la sua distinzione fra il punto di vista espresso da Mallarmé (un Mallarmé costruito e «montato» da Agosti) e il suo (di Agosti, voglio dire) punto di vista. Ci sarebbe semmai da chiedersiperché Agosti, invece di difendere direttamente le proprie posizioni (d'altronde da lui espresse anche altrove con gli stessi argomenti che appaiono ora in bocca di Mallarmé, ma con la firma di Agosti, sull'ultimo numero di Alfabeta), ricorra a simili giochetti; ma lasciamo perdere. Veniamo invece alla sostanza. Per sostenere che il momento «lirico» è quello più significativo, anzi più «forte» e «sollecitante»,e nel confermare quindi quella tendenziale riduzione della letteraturaalla § poesia e della poesia alla lirica di ~ cui io.avevo detto, Agosti non tro7 ~ o::, va di meglio che citare - lui dice - .s un' «auctoritas», vale a dire Conti- ~ ni. Ora devo dire che già il metodo I:).. mi lascia perplesso. Rifarsi a un ~ «ipse dixit» non mi sembra mai ...... una buona risposta. Ma ovviamen- .9 te conta ancor più il merito. Lal:= ..(:) sciamo perdere che si potrebbe ~ chiedere ad Agosti: e Gadda? e lo- °' yce? Che sono tutto, fuori che pre- 'O valentemente lirici. (Per non dire, r:: come è ovvio: e Dante? e Shake- ! speare? ecc.) È proprio l'«auctori- ..c tas» citata che conferma in pieno il ~ mio assunto. lo avevo in effetti ,:ic cordato i nomi di De Robertis e di - 5 Bo; avrei dovuto aggiungere quello 5 di Contini. Dietro il privilegiameri- ~ to del momento lirico c'è, in Conti- §- ni, una precisa ideologia che ri- ~ manda da un lato alla filosofia idealistica di Benedetto Croce e a un'idea dell'arte come intuizione, appunto, lirica (come dovrebbero sapere ormai anche gli studenti di liceo) e dal!'altro alla « religione delle lettere» e al misticismo estetico degli anni Trenta e del!'ermetismo in particolare. Siamo appunto nell'ambito di quell'ideologia del primato della poesia, e del primato dtlla lirica in particolare, di cui io polemicamente discorrevo e che infatti oggi ritorna anche attraverso un recupero di posizioni tipiche degli anni Trenta. Per quanto riguarda il tandem De Angelis-Conte. -1.,asciamostare l'accusa di «bancari del!'anima»; mi interessa di più que~'altra per cui io sarei un critico «.privodi fremiti». Ho chiesto conferma ad altri: sì, ho capito bene. Viene fatta una distinzione fra il critico col fremito e il critico senza fremito, e io - ahimè - rientrerei nella seconda categoria. A tutto questo ho una sola cosa da rispondere. Il suddetto tandem ha protestato con me (ma la protesta avrebbe dovuto piuttosto esser rivolta contro Bettini che aveva usato - solo lui - l'espressione «neoromanticismo»), dicendo che è idiota la definizione e il comportamento di «neoromantici»: non è colpa mia se, dopo ciò, usano un linguaggio e un comportamento da neoromantici. Un'ultima cosa, più seria. Abbiamo assistito, poco fa, a una sorta di ricatto corporativo dei poeti contro i critici. «Lasciateci lavorare, voi non capite nulla», ci hanno detto in sostanza. Ora io capisco che questa posizione sia sostenuta dai teorici dell'inattingibilità e dell'inverificabilità del linguaggio poetico; ma mi stupisce che sia stata fatta propria anche da chi non può condividere del tutto siffatte ideologie. Credo in realtàche si sia trattato solo di un momentaneo cedimento emotivo. Una frattura fra critici e poeti, infatti, a chi giova? Può giovare solo a chi sostiene oggi_l'ipotesi del carattere ineffabile del!'atto poetico. Per il resto, nuoce a tutti. Nuoce ai critici, che senza confronto con i produttori di poesia rischiano d'isterilire il loro lavoro ne~'accademia; ma nuoce anche ai poeti: lapoesia infatti non può nascere nel vuoto, ha bisogno di confronto, di una dialettica comunque aperta. La poesia, e in particolare la poesia del nostro secolo, nasce sempre da un processo di saturazione culturale, presuppone il conflitto di teorie, nasconde essastessa un nocciolo teorico. Rifiutare il dogmatismo di una critica normativa è giusto, anzi sacrosanto; ma respingere la criticain quanto tale è non solo assurdo e ridicolo: è molto pericoloso per lapoesia e per la stessa identità culturale di una società o di un popolo. GiancarloFerretti. Una replicae una postilla L a replica. Intervenendo sul problema del contesto, Sanguineti ha voluto darmi una bacchettata (ideologica) sulle dita: dicendo che ho ridotto tutto a uno scontro di linguaggi, e rimproverando alla mia impostazione l'assenza di ciò che mi viene solitamente rimproverato come eccessiva presenza. Potrei dire, con un po' di autoironia, «giustapunizione». Pi~ probabilmente sono stato poco esplicito, ho dato per impliciti certi passaggi. Parlare dell'universo multimediale come sede di conflitti rimanda abbastanza 'Chiaramente (mi pare) all'esistenza oggettiva di forze e interessi contrastanti. Certo, è necessariaun'attenzione critica ai processi materiali, alla pròduzione, al lavoro: ma il lavoro intellettuale, come Sangui- ~eti ben sa, è (marxianamente) un lavoro complesso, che tra l'altro produce linguaggio. E dentro que- ,' staproduzione specifica si possono ritrovare proprio quei conflitti. La postilla. Si è parlato qui per due giorni di «senso della letteratura» come se la narrativa non esistesse. Già questa constatazione meriterebbe da sola un altro convegno. Ma voglio soltanto rilevare la deformazione «poetica» e segnatamente «lirica» del dibattito, che si ricollega in parte al disinteresseper il contesto, di cui dicevo. Angelo Guglie/mi ha parlato della letteratura degli anni Settanta come «letteratura di epigoni», e nel suo intervento in Alfabeta Raboni ha parlato di un «vuoto di senso» in quegli anni. E tuttavia, proprio l'interessante nozione di «senso della letteratura»da Raboni proposta (come eminentemente collettiva, contestuale, coinvolgente scrittori e lettori, intesa a interrogarsisu che cosapuò dare, a che cosa serve la letteratura eccetera) appare assai produc_entee utile per questi stessi anni. E, per dirla in breve, il ritorno alla narratività, al vasto romanzo, all'intreccio (cui fu dedicato anche un nutrito Almanacco Bompiani), all'autore individuale tradizionale, alla personalizzazione del rapporto autore-opera, e così via. Il fenomeno e la sua fortuna di critica e di pubblico si riscontrano ai più diversi livelli e arrivano fino ai primi anni Ottanta. Per fare qualche nome, come è stato auspicato qui: dalla Morante a Volponi a Consolo, da Fruttero-Lucentini al romanzo italiano medio 'di qualità' al best-seller americano 'ben fatto', via viafino al romanzo rosa e alla serialità televisiva. Anche i casi di Pontiggia, Eco, Calvino e altri vi rientrano, per quelle stesse ragioni che Raboni adduce appunto, estendendole allapoesia, per gli anni Ottanta: /'«incontro fra un'attesa di chiarezza comunicativa e una sperimentazione» che viene dagli anni Sessanta. Del resto, sempre negli anni Settanta e Ottanta, l'esteso dibattito su letteratura e paraletteratura; la fortuna di contributi sociologici e critici sul rapporto lettore-romanzo (Pubblico e altro); la rivalutazione de~'atteggiamento del lettore di massa come spurio ma ricco, e di una letteraturadi messaggi e significati e 'storie'; e tutto il lavoro di Linea d'ombra e del suo gruppo: sono elementi significativi del quadro. Da posizioni diverse, anche la tesi di Angelo Guglie/mi sulla «democratizzazione» della ricerca e della comunicazione, con gli esempi della Morante e Fruttero-Lucentini, Pontiggia ed Eco, finisce per convergere con questo discorso. Un fenomeno e un «senso»·complesso e contraddittorio dunque, che (qualunque giudizio se ne voglia poi dare) meritava quanto meno di essere ricordato. GiancarloMajorino. Il metterein comune S i è parlato qui di «comunicare». E un termine importantissimo, che può esserepreso alla lettera, significando «mettere in comune». Però, cosa e come si vuole mettere in comune? Vi è un ignoto-del-noto o ignoto consentito e un ignoto davvero tale. lo penso che la letteraturaposs~ farsi carico, ritrovando in questo uno slancio profondo, dell'ignoto davvero tale. Che è l'ignoto della compresenza in noi dell'individualità è della socialità, della solitudine e della comunanza. Questo il punto nuovo, spostato rispetto alla tradizione e alle istruzioni della corporazione letteraria. Intensamente esprimere, formalizzare, mettere in comune questo ignoto non consentito, ecco il compito grande di una letteratura contemporanea. La discussione generale si è chiusa qui (alle ore 19,30 del venerdì 9 novembre) mentre premeva per la serata un allestimento utile al gruppo di Michele Perriera, che ha poi presentato testi teatrali di Luigi Malerba, Giuliano Scabia, Gaetano Testa, Antonio Porta (quest'ultimo pubbl~catonel n. 67 di Alfabeta). Nella «Tabella di lavoro» dell' Hotel delle Palme era inoltre prevista la mattinata di sabato 10, destinata alle domande del pubblico e ad alcune comunicazioni finali degli organizzatori. Durante questa parte del lavoro c'è stato un intervento di Antonio Porta, che qui di seguito pubblichiamo, particolarmente riferito ai contributi scritti di alcune riviste o gruppi (indicati nella stessa testata dell'intervento). E c'è stato poi un intervento critico sul convegno di Aldo Gargani (che il giorno prima aveva letto un suo scritto, apparso già in Alfabeta n. 68). Diamo in fine alla discussione, perché riferito ad essa, questo intervento successivo di Gargani nella pagina 24 del «Supplemento». AntonioPorta. Uno sviluppodella discussione Con riferimento ai contributi inviati al convegno (e non ancora pubblicati) da parte di Beppe Sebaste (Aelia Laelia), Paolo Del Colle (Braci), Remo Pagnanelli (Verso), Gianni D'Elia (Lengua), Giordano Genghini (// Bagordo), Silvano Tartarini (Nativa), Ettore Bonessio di Terzet (// Coboltf), SilvanoMartini (Anterem). D o notizia degli scritti di riviste che hanno aderito al convegno. Non posso naturalmente leggere integralmente tutto il materiale arrivatoperché altrimenti riaprirei il convegno, ma cercherò di riassumere il senso di questi scritti. Abbiamo avuto parecchie adesioni. Sono anche molte le riviste che in Italia oggi hanno un significato, L'oca parlante di Roma ha uno strano titolo, evidentemente, e pubblica testi notevoli. Ci ha mandato una letterina, che si può riassumere nella constatazione che non ci sono lineeportanti dominanti nel fare poesia in Italia, e dunque occorre proporsi come una tribuna polittica, con due t, o polifonica, aperta a tutti i modi a tutti gli stili poetici. Un simile tentativo non certo privo, dicono loro, di errori e deficienze, è comunque importante perché evita per quanto possibile il marchio di genere, imposta abituale de~'editoria poetica. Cosa vogliono dire? Che danno ospitalità a tutte le voci al di là di quelle codifiche che sono spesso inevitabili in una società letteraria, contro le omologazioni. Poi ci ha scritto Silvano Martini a nome della direzione di Anterem. Anterem è una rivista di ricerca letterariache opera da anni a Verona. E una lunga relazione in vari punti, ne leggerò due rapidamente. Scrive Silvano Martini: «Si teme che la parola si allontani eccessivamente dal piano terrestre. Sr teme che debba consumarsi in un incontrollabile ictus formale. Si te- 'me lo spettro dell'illeggibilità. O quello della trasparenza simili al niente. Si preferisce espellere dalla comunicazione le interruzioni troppo frequenti. Non si vuol rinunciare alla consistenza di un continente per fàr posto alla disseminàzione di un arcipelago. Quando dalla calma di troppe darsene si dovrebbe invece prendere commiato. Ma come affrontare le difficoltà della pagina ionosferica?». A me pare che Martini si ponga, pur non rinunciando alla ricerca, il fondamentale problema della comunicazione, cui anch'io ieri ho rapidamente accennato. Continua Anterem: «Per questo noi abbiamo sempre preferito far progredire la 'ricerca' intesa come tensione mai deposta. Verso la realizzazione di uno status del!'animo circondato e corroso dal flutto dell'incertezza e della fragilità». Abbiamo ricevuto tre cartelline da Silvano Tartarini, redattore della rivista Nativa, di cui è uscito il numero zero e sta per uscire il numero uno, in Versilia. Si pone l'accento soprattutto sulla difficoltà dell'ascolto e come intendono superare la distanza tra centro e periferia; ecco, una cinghia di trasmissione sarà appunto la rivista Nativa. La redazione è a Camaiore. È arrivato un lungo intervento di Lengua, che si definisce con chiarezza «associazione culturale per la ricerca poetico-letteraria delle lingue». Già il titolo, Lengua, lo suggerisce. Il loro lavoro difatti si accentra soprattutto nell'identificare dentro il parlato quei valori che possono essere ridefiniti come poetici. Scrivono: «Ecco identificato approssimativamente il luogo di vacanza, l'interstizio di una possibile funzione e nuova qualità del- /' opera letteraria: è il vuoto di lingua di questi anni, il 'tra' che ogni autore che non voglia scrivere per l'accademia o per i fotoromanzi dovrebbe affrof!,taree risolvere:far tornare a parlare la lingua, e la letteratura col suo parlante-lettore». Sottolineo anche qui l'esigenza di trovare un rapporto con un lettore, con un pubblico. Mi pare che ci sia un comune denominatore in queste dichiarazioni. Ricerca di una cinghia di trasmissione tra l'operare poetico e il lettore, considerato un coautore. Nessuno si rifugia nello sperimentalismo puro, nella ricercafine a se stessa, nell'incomprensibilità, nessuno si rinchiude nel!'antica torre d'avorio dell'avanguardia. Il discorso del Bagordo è più difficilmente riassumibile. Il Bagordo, anche questo è un titolo curioso, è una rivista ·che si stampa a Monza. Monza è vicinissima a Milano, ma potrebbe essere lontanissima, rischia di essere periferia. Scrive Giordano Genghini: «Non si dovrebbe contrapporre il disimpegno del letteratoad un datato impegno politico, generico o finalizzato a questa o a quella causa agitata nella società, quanto invece incidere a fondo sulla consapevolezza dello scrittore, del critico, del lettore, intorno ai meccanismi propri di quella particolare attività lavorativa, sia essaproduzione in serie, artigianatodellaparola, lavoro part-time o addirittura precariato semigratuito o gratuito - che è rappresentata dalla scrittura letteraria, ed operare conseguentemente per una democratizzazione del mestiere». Mi viene in mente Pasolini quando diceva che lo stile lo si conquista con un lungo lavoro. Democratizzare lo stile penso voglia dire questo: lavorare con consapevolezza. In un'intervista~recente ho detto che mi sembra sia il momento di assumersi tutte leproprie responsabilità stilistiche ed averne una consapevolezza piena. Responsabilità vuol dire anche confrontarsi col nuovo pubblico, quel pubblico che ha affollato questa sala e continua ad affollarla. Un'altra comunicazione interessante viene da Paolo Del Colle, un giovane poeta, un po' il portavoce di un gruppo di giovani che stampano a loro spese, in ciclostile naturalmente, ma adesso sono riusciti ad arrivare alla tipografia, dopo cinque numeri, una rivistina tascabile, Braci. Il titolo è: Senso e tradizione della letteratura. Comincia così: «In un brevissimo racconto, Kafka s'interessa a Prometeo incatenato alla roccia, espiante il suo peccato; enumera seccamente quattro diverse leggende, che vanno dal/'evidenza dellapena inflitta sino ali'oblio che cancella il destino e le gesta compiute da Prometeo. A questo punto Kafka camb!a
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