Alfabeta - anno VI - n. 66 - novembre 1984

Per esempio: la competenza degli spettatori empirici, il sistema di avvertenze esterne al programma sul fatto che vi sarà diretta, il processo psicologico di singoli individui nei confronti della diretta, e così via. L'indagine semiotica di partenza pare così giungere alle strette, e necessitare verifiche ulteriori di carattere sperimentale non sui testi, ma sugli spettatori, in quanto se la diretta è costituita da «effetti di presenza» e da «effetti di realtà» agli eventi, è anche vero Giuseppe Ciribini Tecnologia e progetto. Argomenti di cultura tecnologica della progettazione Torino, Celid, 1984 pp. 155, lire 12.000 Gilbert Hottois Le signe et la technique Paris, Aubier Montaigne, 1984 pp. 222, ff 78 Philippe Roqueplo Penser la technique Paris, Seuil, 1983 pp. 249, ff 79 Claus Offe «Attaccarsi al freno d'emergenza» in Die Zeit, 20 agosto 1982 L, introduzione nell'ordinamento delle facoltà di Architettura di una nuova materia denominata Cultura tecnologica della progettazione potrebbe aprire uno spazio nuovo per il dibattito e l'approfondimento di questo tema. Ma per trattare il rapporto tra progetto e tecnica all'interno di una disciplina universitaria, si rende necessaria una sorta di fondazione disciplinare. In questa direzione, mi pare, va il libro di Ciribini Tecnologia e progetto. Argomenti di cultura tecnologica della progettazione. Il solo fatto, dunque, di porsi come primo «libro di testo» di questa nuova materia lo rende già un testo interessante, da considerare con attenzione. Tecnologia e progetto è un libro didattico, ma che mira alto. Que-. sto è un primo merito perché la cosa non era affatto scontata: la relativa indeterminazione dei contenuti disciplinari della nuova materia avrebbe potuto anche portare a affrontare temi di minor respiro, inerenti gli aspetti tecnici più correnti del const~ire. Il _secondo merito è quello di aver mirato giusto. Scorrendone i capitoli, infatti, si trova lo sforzo di rapportare l'idea di progetto a un quadro di riferimenti in cui, sullo sfondo del «mutamento che segna la crisi del determinismo» (Ciribini, p. 152), viene tratteggiata una mappa aggiornata dei luoghi in cui la «questione della tecnica» si presenta come più aperta. Il prevalere delle tecnologie «soffici» dell'organizzazione e del linguaggio su quelle dure del macchinismo, le trasformazioni dell'am- ,biente e del territorio portate dalla telematica, la de-standardizzazione del progetto industriale e la comparsa dell'«oggetto immateriale» non sono giustamente sfuggite all'investigazione. Espressa questa considerazione positiva e di fondo, è possibile entare nel merito di quelli che invece, a mio parere, si presentano come i limiti. Essi, in definitiva, posche i programmi possono venire falsificati con «effetti di diretta». Quel che conta, in sostanza, è osservare nella sostanza empirica cosa sia l'«effetto di diretta», e non in quali effetti consista la diretta stessa. Un nuovo orizzonte teorico pare dunque dischiudersi dall'analisi: l'individuazione di precisi limiti all'analisi monodisciplinare, e la formulazione di territori provvisti di confini a seconda del punto di vista e dell'obiettivo della ricerca. L'analisi tuttavia resta ancorata all'esplicitazione, in una prima fase, dei tratti testuali della diretta, e le prime conclusioni del gruppo di lavoro sono che tre elementi confluiscono a caratterizzarla: la rilevanza dell'evento (il che fa entrare in gioco l'atteggiamento dell'emittente nei confronti dei diversi eventi), il genere di trasmissione (il che fa entrare in gioco anche la tradizione della singola televisione nei confronti degli specifici programmi), e il segnale della diretta. A tutto ciò si aggiungono però strategie di «cosmesi» televisiva di indubbio interesse. Ad esempio, la diretta manifesta due tendenze opposte nell'organizzazione della situazione: nella prima si enfatizza la «naturalezza», e il risultato è l'imperfezione programmata della trasmissione; nella seconda si enfatizza la pulizia, e pertanto succede che l'evento esterno sia reso «cosmetico» per la sua ripresa. Altre due strategie si hanno invece nelle segnalazioni dell'essere Tecnologiseoffici sono essere ridotti a uno: l'atmosfera di eccessiva serenità con cui le tematiche sono affrontate. «Sarà, dunque, la società post-moderna una società della differenza e dell'eterogenità che, traendo la propria legittimazione dal non sterile dissenso piuttosto che dal consenso epidermico facilmente manipolabile, potrà presentarsi come portatrice ed esaltatrice delle migliori capacità creative ed intellettive dell'uomo» (p. 151). Di problemi, ben inteso, ne vengono posti, ma la soluzione, per complessa che sia, viene subito presentata. Chiara e a portata di mano. Gli «argomenti di cultura tecnologica della progettazione» proposti da Ciribini non sembrano particolarmente inquietanti. Invece, a mio parere, lo sono. E molto. F ocolaio centrale d'infezione p~r quest'inquietudine è la natura stessa della tecnica e la progettabilità del suo sviluppo. Su quest'argomento, da tempi immemorabili, la risposta è stata la proposizione di un modello secondo cui la tecnica sta all'umanità come l'utensile sta al singolo. Quest'interpretazione non ha affatto limitato la gamma di giudizi di valore che su di essa potevano essere espressi: dal disprezzo, come attività volgare, all'enfatizza- .zione, come motore del progresso, alla critica, come strumento piegato a degli interessi di parte. In ogni caso però sembrava possibile rispondere alla domanda: chi ne decide (e, quindi, chi ne progetta) gli avanzamenti? Oggi a questa domanda è difficile dare risposta. O almeno, è difficile dare risposte così elementari. Alla domanda: chi decide e determina l'avanzamento nel campo dell'informatica, dell'ingegneria genetica o delle tecnologie belliche, si può certamente rispondere: le multinazionali o le grandi potenze. Ma, a ben guardare, è una risposta insoddisfacente: considerando da vicino la meccanica delle decisioni, infatti, si ha l'impressione che più che di decisioni si tratti di automatismi di un sistema più vasto. A questo punto i pareri si dividono. Ci può essere chi, come Hottois, è convinto del carattere intrinsecamente autonomo dello sviluppo tecnico: «L'evoluzione della tecnica può essere vista come il frutto di una proliferazione combinatona che va in tutti i sensi» (Hottois, Le signe et la technique, p. 121). La sua evoluzione ha pertanto un carattere altrettanto cieco di quello dell'evoluzione naturale; per entrambe l'unica regola ammissibile è: tutto ciò che può essere fatto prima o poi sarà sperimentato. Nessuna scelta, quindi nessuna eticità: la tecnica, come la natura, Ezio Manzini è a-etica. Non ci sono interventi culturali che possano davvero influenzarla perché essa è per sua natura l'«altro» rispetto a ogni possibile cultura. Tutta la progettazione è inglobata nell'apparato della tecnica-scienza, strumento inconsapevole della sua autonoma crescita. L'immagine complessiva che ne emerge è quella del cyborg. Chi non accetta il ruolo può cambiar mestiere o al massimo, se riesce, può cercare di frenare tramite «l'esercizio attivo della prudenza, nella lucidità della nostra insormontabile ignoranza» (p. 202). D'altro lato, c'è ovviamente chi critica queste posizioni, proponendo un'interpretazione della realtà tecnica differente e delle linee su cui superare questa rassegnata passività. «Ciò che rimprovero a questo tipo di idee - dice per esempio Roqueplo - è di arrivare a presentare una contraddizione, ,MPerlino tr.s I 4hia"i del• l'Antartide, ng1.1endo il 11Flie9ende Hollander 11• gresso delle tecniche è un processo cumulativo e irreversibile, ne deriva che la sua dinamica futura è in larga misura condizionata da ciò che già è avvenuto. Se adottando questo modello d'interpretazione si può forse ancora dire che la tecnica è uno strumento, bisogna però aggiungere che è uno strumento con una sua grande propria inerzia. E che è uno strumento assai difficile da usare. Pertanto, nel momento in cui ci si rendesse conto che la direzione verso cui sta evolvendo a gran velocità è pericolosa, l'unica immagine che può venire in mente è quella proposta da Offe in un suo scritto: se in un treno lanciato a tutta velocità ci si rende conto di andar verso un precipizio, la sola cosa da fare è attaccarsi al freno di emergenza (Offe, Attaccarsi al freno d'emergenza, 1982). La qualità dell'intervento progettuale (e anzi, la sua stessa posNon s.o c.ome f.a"ia. In quals.iasi posto ·,ovada, l1.1i ,•e' gi~ pas.- sato. ln~eressan-i.----""" te! Cos Si ice che sempre a 1.<nsol· pp1.1rec.'e' ilua c.he aaa una lia molto a. una. ue PilA riee d' AmeGiardino senza darsi gli strumenti intellettuali per dominarla» (Roqueplo, Penser la technique, p. 120). Ma anche in questo caso la soluzione non è semplice. Quando questo stesso autore dice: «se consideriamo il movimento attuale delle tecniche nei paesi cosiddetti sviluppati, individuiamo senza ombra di dubbio la molla che spinge inesorabilmente a questa perpetua 'forzatura del possibile': si tratta della concorrenza economica e militare» (p. 130), il problema, in realtà, non pare ancora del tutto risolto. Il legame tra concorrenza economico-militare e sviluppo delle tecniche, infatti, non è certamente univoco: quanto nelle caratteristiche e nell'esistenza stessa di tale concorrenza non dipende a sua volta dallo sviluppo della tecnica? E ancora: affermando che il prosibilità) non può quindi prescindere dalla valutazione del punto all'orizzonte verso cui il sistema tecnico per propria inerzia sta evolvendo, e dalla velocità di questa evoluzione. Accettando questo carattere relativo della nozione di progettabilità del mutamento, risulta evidente l'importanza di analizzarlo e prevederne gli sviluppi. Per questo mi pare apprezzabile, nel suo spirito, la definizione di Cultura tecnologica della progettazione data da Ciribini: «La Cultura tecnologica della progettazione è un insieme di conoscenze che concernono l'analisi e la previsione circa l'impatto che la tecnologia, vista come espressione globale di una cultura spirituale e materiale, ha oggi sulla vita dell'uomo (individuo e società) in relazione all'ambiente fisico e biologico in cui egli è posto» (Ciribini, p. 12). in diretta: nella prima si sottolinea la contemporaneità con l'evento narrato, e pertanto essa chiede atteggiamenti partecipativi allo spettatore; nella seconda invece si punta alla segnalazione della continuità, e allora si predilige l'unitàdel-testo-in-diretta, la sua coerenza e la sua professionalità. Ma, ancora una volta, il momento decisivo è il trattamento del simulacro dello spettatore. Questione ormai divenuta decisiva nell'analisi della comunicazione audiovisuale. A questo punto, però, con riferimento alle questioni sopra accennate, e ricordando che si era partiti dalla definizione della materia di un corso da tenere alle facoltà di Architettura, si potrebbe osservare che in definitiva l'eventuale intervento su quelle dinamiche, buone o cattive che siano, «non è una cosa da architetti». In termini stretti è vero: informatica, ingegneria genetica e tecnologie militari sono campo d'applicazione di altre discipline. Ma carattere specifico dell'attuale tecnica è l'integrazione e la pervasività. Per questo lo sforzo per cercare di governare il cambiamento non si può concentrare in alcuni luoghi. Ne risulta la necessità di una progettualità diffusa, che per agire non abbia necessità della (e non pretenda la) summa complessivae irraggiungibile delle conoscenze, ma usi «un sapere locale», capace di entrare in comunicazione con i saperi utilizzati «localmente (...) nel proprio vicinato» (p. 216). Ma, arrivati a questo punto, la questione da cui si era partiti è ancora ben lontana dall'essere risolta. Infatti, 1. Cosa può dare a questo ipotetico amalgama dispersodi soggetti debolmente progettanti quel componente comune nel vettore delle proprie azioni, il cui risultante rappresenti una forza capace d'incidere sull'«evoluzione quasi autonoma» dell'apparato tecnico-scientifico? 2. Cosa è il «progettabile» nel momento in cui gli «oggetti»su cui si è tradizionalmente riferiti diventano sempre più evanescenti, perdono la loro-fisicità tendendo a diventare linguaggio (e con ciò mettendo in discussione non solo loro stessi ma anche il loro polo complementare, cioè il soggetto)? 3. Cosa significherà progettare nel momento in cui le relazioniuomo/uomo, uomo/macchina, macchina/macchina tenderanno a essere tutte riportate allo stesso linguaggio formalizzato e referenziale dell'informatica? Per non lasciare il vuoto dopo questi interrogativi si può concludere proponendo, per ciascuna delle tre domande, una «parola chiave» che ne indichi un possibile terreno di risposta. Esse sono, rispettivamente: 1. l'istinto di con- ~ servazione (conservazione delle ~ qualità «specifiche»dell'uomo co- ·i me animale culturale ed etico); 2. 2, le interfacce (cioè quegli «oggetti i non oggetti», dove osservatore e ..., osservato, utilizzatore e utilizzato, ~ si trovano accoppiati e confusi in ] qualcosa che non è solo linguaggio 6 ma neppure solo materia); 3. il i:: contrasto (cioè lo scontro radicale :g tra i linguaggi e la razionalità della i: tecnica e le procedure della creati- ! vità e dell'arte). ! l

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