morte del congiunto, verificatasi improvvisamente per cause traumatiche, al timore e al rifiuto della menomazione del corpo. Accanto a questi motivi, che hanno radici profonde e non facilmente superabili, rimane radicata la vecchia convinzione che «cor primum vivens, ultimum moriens», la quale sopravvive anche per la mancanza di informazione su questa realtà di recente acquisizione e di non facile comprensione che è la morte cerebrale. A questo proposito, in considerazione dei numerosi e diffusiequivoci terminologici tuttora presenti, specie a livellodei massmedia (peres., brain death non è sinonimo di cerebral death), è da sottolineare che la morte cerebrale è un'entità clinicaben definita, che risponde ai requisiti e criteri prima enunciati, e deve essere tenuta rigorosamente distinta da tutti gli altri stati di coFrancesco Barone Immagini mosofiche della scienza Bari, Laterza, 1983 pp. 266, lire 22.000 N egli anni cinquanta prese a circolare tra gli studiosi di cancerologia un nuovo nome: Toxohormone. Coniato dai giapponesi Nakahara e Fukuoka intendeva designare una sostanza - o un insieme di sostanze - presente nei tumori malignima non in altri tessuti patologici né in tessuti normali anche se, come quelli embrionali, attivamente proliferanti. In concreto, si trattava di questo: iniettando in animali da esperimento un materiale estratto con opportuni procedimenti dai tumori maligni, si riproducevano alcune caratteristiche prop/rie degli animali portatori di tumori; in particolare, appariva fortemente ridotta l'attività di un enzima del fegato, la catalasi, la cui azione specifica consiste nella d~composizione dei perossidi cioè, nel caso dell'acqua ossigenata o perossido di idrogeno, nello scinderne la molecola in molecole di ossigeno e di comune acqua. L'importanza attribuita al Toxohormone derivava da considerazioni diverse e ovviamente connesse tra loro; una delle più immediate era che questa fosse la via per identificare la o le sostanze responsabili dei cosiddetti effetti sistemici del tumore, vale a dire dei mutamenti funzionali e biochimici indotti dallo sviluppo del tessuto neoplastico in un organismo fino al limite estremo della morte. A partire da qui -:-sembrava lecito sperare - si sa'rebbe gettata nuova luce sulle mbdalità corr le quali un tumore di piccole dimensioni che non interessa direttamente organi vitali riesce a consumare un organismo per il resto apparentemente sano; 'il nome stesso di Toxohormone evocava al nega- ~ tivo la caratteristic& azione a dii:s stanza di quei potenti regolatori 5 ~ degli organismi umani che sono ~ appunto gli ormoni. ~ Altra e non secondaria conside- .... razione era quella legata al fatto ~ che non si trattava di un problema ] soltanto medico, anche se di gran6 de importanza, ma di un problema i:: biologicoessenziale, delineato da ~ due constatazioni: la presenza del '1 cancro in tutta la scala degli esseri ~ viventia eccezione degli organismi ! monocellulari, e la crescita illimi- ~ tata di un ceppo atipico di cellule i ma prolungato e irreversibile, che non comportano necessariamente l'evoluzione verso l'arresto cardiaco nel giro di pochi giorni. In altre parole, termini quali «stato vegetativo persistente» e «coma apallico» si riferiscono a situazioni croniche provocate da un danno sia traumatico che anossico, che possono, se assistite adeguatamente, sopravvivere per anni pur senza mai recuperare, o recuperando solo parzialmente, le funzioni cerebrali superiori. Descrivono cioè situazioni in cui il danno cerebrale è sì irreversibile e sufficientemente grave da non permettere al soggetto di mantenere l\<omeostasi esterna» - non dà segno alcuno di coscienza di sé e non è in grado di rapportarsi e comunicare con l'ambiente che lo circonda - ma è mantenuta l'omeostasi interna o vegetativa. Questi pazienti presentano un'attività respiratoria e cardiocircolatoria soddisfacente, aprono spontaneamente gli occhi e li muovono anche se in modo non orientato, deglutiscono, sbadigliano, presentano dei movimenti degli arti, anche se incoordinati e afinalistici, ecc. Potremmo esemplificare dicendo che questi pazienti sono passati da uno stato tipo di sonno profondo del coma, a uno stato in cui sono «sveglima non coscienti». Considerazioni finali Da quanto fin qui esposto risulta evidente come i timori dell'«apparenza di morte», o di scambiare la morte per la vita, seppure tuttora presenti rappresentano più che altro residui di vecchie credenze, mentre oggi il vero problema è quello del generale prolungamento e della suddivisione del processo del morire. Si tratta di modificazioni intervenute negli ultimi decenni, con profonde implicazioni, impensabili fino a pochi anni fa. Ciò si è realizzato certo a causa del progresso tecnico scientifico, ma anche per i mutati atteggiamenti nei confronti della malattia e della morte: il disagio e la ripugnanza fisica (apparsi già alla fine dell'Ottocento, e diffusisinel nostro secolo) che ha provocato la malattia, così come il bisogno di nasconderla a sé e agli altri, hanno comportato il rifiuto dell'una e l'esclusione dell'altra, relegando e delegando, la malattia e la morte, nell'ospedale e alla medicina. Così, a fronte dei progressi della medicina, l'intuizione shakespeariana di correlazione tra morte del cervello e morte dell'individuo («When the brain were out, the man would die», Macbeth, A. III, se. IV) può oggi essere riscritta con maggior precisione, affermando che quando il cervello è morto l'in- ·Eticsacientifica cui elementi trasportati per varie vie sono in grado di produrre quelle colonie disseminate in distretti lontani, chiamate metastasi. Perdita dunque della specificità morfologica e funzionale della cellula e della capacità da parte dell'organismo di controllarne la proliferazione e l'ubicazione; ovvero - come dicevano i vecchi maestri con espressioni forse permeate di un certo ingenuo 'antropomorfismo ma certamente efficaci - lo sviluppo del tumore è «afinalistico, aggressivo, destruente». La sua autonomia dalla totalità organismica e le modalità in cui si compie costituiscono p~ ciò un grandioso blocco di problemi biologici le cui radici si intrecciano e si confondono col problema stesso del fenomeno vita; non a caso l'effetto più evidente e più cdstante del Toxohormone si coglieva sulla catalasi, enzima presente in tutte le Ernesto Mascitelli to e ignoto dove le congetture non appaiono mai soddisfacenti - come nelle pubblicazioni di quel tempo non mancammo di mettere in rilievo. Riuscimmo comunque a vedere che il Toxohormone poteva riprodurre transitoriamente alcune variazioni dell'equilibrio ormonale, cioè alcune condizioni endocrine, favorevoli allo sviluppo autonomo e incontrollato del tumore, ma insieme che le modalità d'azione della sostanza somigliavano molto di più a quelle delle interazioni tra anticorpi e antigeni, proprie dell'immunologia, piuttosto che a quelle dell'endocrinologia - riconducendoci a un campo di ricerche tuttora in pieno sviluppo. H o ricordato in breve questa serie di indagini di natura biologica perché furono occasione di una lunga sequela di diGianfranco Baruchel/o specie animali e vesetali, con la sola esclusione di taluni microorganismi la cui vita è possibile solo in assenza d'aria. Tra i vari gruppi di ricercatori sparsi nel mondo chè si imbarcarono volonterosamente in questo genere di studi; uno organizzato da Francesco Di Re e dallo scrivente cercò di trovare il bandolo della matassa indagando sulle differenti attività del Toxohormone in confronto con quelle di sostanze estratte da tossine batteriche, tumori benigni, tessuti patologici, ecc. Le difficoltà non erano poche e andavano dalle procedure analitiche, lunghe e complicate, all'interpretazione dei dati, che portavano spesso a quel margine tra noscussioni per così dire 'della domenica', a ruota libera, senza pretese di riscontri puntuali, su questioni che si sarebbero potute annettere alla filosofia della scienza. Uso il condizionale perché se da un lato si toccavano temi emergenti dal nostro specifico lavoro come quelli della spiegazione scientifica, dell'importanza delle teorie nel progetto degli esperimenti e nell'interpretazione dei risultati, della genesi dei concetti scientifici e altri ancora, dall'altro la filosofia della scienza dominante a quel tempo li affrontava certamente ma da prospettive così lontane e secondo schemi tanto estranei al sapere biologico da apparire per noi perduti in spazi lontani. Della situazione ·sipuò avere un quadro d'insieme dall'ultimo libro di Francesco Barone: le «immagini filosofiche della scienza» che egli espone sono immagini della fisica e, in parte, della matematica; non saranno le poche righe su Darwin a mutare il giudizio. Ovviamente non si tratta di una lacuna imputabile all'autore, bensì della fedele considerazione di un modo egemone di pensare quel che si doveva intendere per scienza e il cui nocciolo può essere riassunto nella convinzione che le teorie scientifiche erano, o dovevano essere, calcoli assiomatici interpretati almeno parzialmente in termini di osservazione di esperimento mediante opportune regole di corrispondenza. Il modello ideale al quale guardare era dunque la fisica matematica, e sulla sua base si è costruito l'edificio - ora in avanzata fase di demolizione - che a lungo è st~to indicato come l'unica dimora della filosofia della scienza. A dei ricercatori impegnati su un problema scientifico concreto, e però aperti agli interrogativi di carattere generale sulle •scienze della natura, tali approcci filosofici apparivano idealistici per almeno tre motivi: un livello di astrazione raggiunto con sublime indifferenza per le tappe intermedie; l'assenza di considerazioni per il farsi della scienza, frutto dello scetticismo verso quanto non poteva essere tradotto in formule governate da un sistema deduttivo; la negligenza del fatto piuttosto ovvio che certi procedimenti validissitfii quando non irrinunciabili, in certi ambiti disc_iplinari,non riguardavano la sostanza di altri discorsi.- Per esempio, ci si era accorti subito che lo stretto legame tra l'idea di argomento deduttivo valido e quello di tautologia, riassumibile nell'asserzione che tutte le tautologie sono verità formali e perciò verità logiche, veniva troppo spesso dilatato ben oltre la sua specifica misura assumendo quasi i tratti di uno schema ideale cui tendere in ogni caso. Ciò ricordava la famosa descrizione del coccodrillo che Antonio propina a Lepido: «Ha una forma, amico, simile a quella di sé stesso, ed è largo per tutto intero la sua larghezza. Misura tal quale l'altezza che raggiunge e si muove con i suoi propri organi...» Ma quando Ottaviano gli chiede: «Credi che questa dedividuo è morto. Quest'ultima situazione, che riguarda appunto la diagnosi di morte cerebrale, non può tuttavia essere messa in relazione e confusa con altre situazioni e/o patologie pur connesse al progredire delle conoscenze mediche. La questione 'morte cerebrale' si pone ben «al di là» di tutti gli interrogativi riguardo il diritto a morire, l'accanimento terapeutico, l'uso sempre più esteso delle tecniche di rianimazione, il significato della differenza tra uso di mezzi ordinari e straordinari di terapia, ecc. In ultima analisi si pone ben «al di là» della filosofia del «mantenere la vita a qualsiasi costo», problema sottolineato da più relatori nel convegno milanese su La Morte oggi. · scnz1one lo soddisfi?», Antonio non ha dubbi: «Sì, in mezzo ai brindisi che offre Pompeo, ché altrimenti è persona di gusti difficili». Accanto a, e in evidente rapporto con, il nesso tra logica formale e matematica si poteva sentire - Nietzsche avrebbe detto «con le froge» - la presenza di una fede salda nella computabilità del reale, di un'immagine del sapere matematico come calcolabilità estensibile a tutto; l'idea, insomma, che science is measurement, neppure sfiorata dal dubbio che forse essa è, come voleva Adorno, un dogma filosofico e non una constatazione delle scienze. L'uso della parola «osservazione» da parte di questi filosofi era un'altra fonte di perplessità per il nostro gruppo di ricerca; veniva usata alla vecchia e corrente maniera per indicare quel che si poteva percepire direttamente attraverso i sensi o era un puro modo di dire, una metafora che rinviava a un imprecisato altro? Consultati febbrilmente i testi scoprimmo che due tra i maggiori esponenti della filosofia della scienza, Carnap e Hempel, intendevano per osservazione in senso stretto proprio l'osservazione diretta, lasciando il resto nel vago. Il termine «teoria», a sua volta, godeva di un uso mutevole che andava dalla designazione di un campo onnicomprensivo (la teoria fisica, la teoria biologica, ecc.) a settori di questo definibili implicitamente con criteri molto diversi e perciò di arduo confronto - come appare chiaro quando si parla di teoria cellulare e di teoria sintetica dell'evoluzione - per non dire di usi ancor più ristretti indicanti congetture su fenomeni circoscritti. Il risultato fu quello di un declino dell'interesse per questo genere di studi e, suppongo; non solo nel nostro gruppo di ricercatori; ciascuno navigò verso altre isole ritenute più felici e ci fu persino chi insinuò, con maligna esagerazione, che forse Croce non aveva tutti i torti quando definiva il neopositivismo una filosofia da commessi viaggiatori. N aturalmente, questi limiti sono stati col tempo riconosciuti e la nuova filosofia della scienza ha cercato e cerca tuttora di andare oltre; Ja allora, quando ne accennai molto c::mta.-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==