Alfabeta - anno VI - n. 66 - novembre 1984

Mensile di informazione culturale Novembre1984 Numero 66 / Anno 6 Lire 4.000 66 Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo 111/70• Printed in ltaly Agenzie per la comunicazione pubblicitaria in Milano e Modena AgostiP,.ontiggiaL,eoneHiE, spositoF,ormentiil Masini,MontuoroV, alesio$, yberbergM, ascite i, CalalireseMasi,DalCo Il sensodellaletteratura Palermo,Hitel dellePalme8,9,10novembre1984 .. S. Agosti: Dla.ogo fra Mallanne e un NHla.. ure cliAffalleta • G. Pontlggla: lntenoganl F. Leo.-..111,P...alnl. e la sinistra oggi. R. lsposlto:·Moclemo e lncllvlclua•ltà (I). A. Cantafora C. Foa11ae11tMleoclemo e lncllvlclua•ltà (Il) * M.A. Grlgnanl: Indagini cli Segre * F. Dal Co: Architetture• parole R. Monluoro: Lo sguardo dell'arte • Da Mosca • A. Panlcall: Luzl e II llnguagglo poetlm ' F. R■-azzol~: Due tipi cli Ironia. A. DI Sparti: Soclollngulstfca. P. va•eslo: Lo scntto c1e• pa.tato Testo: Wagner wonclo Syllelllerg (a cura cli P. llertetto) • E. Masi: La Cina .... viandante G. Giurati: L'lncerteaa su•la 1110rte* E. Masc1te•11:Etica scientifica* F. Y•rcellone: •• slmbo•o per Creuzer R. De Benedetti: Letture cli SIIIIOneWell. F. La s.•a: Llvelll cli realtà. F. Maslnl: A... o.eno figure C. Slnl: lanprealonl * Cfr. ana•ltlco: Critica d'arte* O. ea•a1t ..... : Questioni cli picco•• schenno * U. Sllva: Una ghlg•loNlna E. Mamdnl: Tecnologie soffici * G. Giovannetti: Fotografia clopo •a mllltanza * Glomal• clel Glomall: La questione mora•• lnclice della comunicazione: La 1110nela••• .. ••••lca * lwglnl: L'anlana cli un papero

BORINGHIERI LOU ANDREAS SALOMÉ IL MIO RINGRAZIAMENTO A FREUD "Il movimento psicoanalitico", 153 pp., L. 19 000 STEFANO MISTURA ATIRAVERSO LO ZUIDERZEE: FREUD TRA CLINICA E FILOSOFIA "Ricerche italiane", 177 pp., L. 20 000 ENZO SPALTRO SENTIMENTO DEL POTERE "Saggi scientifici", 144 pp., L. 18 000 HARllY McGURK (a cura di) LO SVILUPPO SOCIALE DEL BAMBINO "Programma di Psicologia, Psichiatria, Psicoterapia", 343 pp., L. 35 000 SAUL KRIPKE WITIGENSTEIN SU REGOLE E LINGUAGGIO PRIVATO "Lectio", 156 pp., L. 27 000 Le immagindiiquestonumero Tutti sanno che anche il Paperino di Walt Disney - s-iaquello americano sia quello, fortunatissimo, dei fascicoli mondadoriani di Topolino - era disegnato da molte mani (eprobabilmente mai o quasi mai da Disney in pe'rsona). Tuttavia, la ·pleiade dei fumettisti di Paperino perseguiva un modello, di tipo formale e spirituale, sempre riconoscibileper quanto modificato nel corso degli anni (ma molto meno di Topolino - a differenza di quest'ultimo, Paperino, come tutti gli altri paperi di Paperopoli, non si è mai messo i calzoni, non ha mai spinto sino in fondo il processo di umanizzazione). Ora, quel tipo-ideale di Paperino possiede un'anima che con il tempo si è contrapposta a Topolino in modo sempre più dichiarato. Anche questa è una vicenda nota: Paperino gode di consensi molto maggiori di quanto non accada a Topolino. Se il topo è moralista, perfezionista, e molto abile (uno Sherlock Homes senza violino e cocaina il cui Watson sarebbe Pippo), e realizza perciò il paradosso di un roditore proposto come ideale per l'Umanità intera, il papero è quasi un eroe negativo: pigro, povero, goffo, addirittura libertino, e L'anima di un papero , '"' " ' /· ·-~--,,. ~~~w;,'l,<(> • ~" Ugo Nespolo per di più disoccupato (qualità che da parte di que~'Umanità messa in per debiti; Topolino è l'Idéal, Paimmagini di questo numero. I disegnatori non appartengono alla Disney Factory, ma sono fumettisti come Pazienza, o Liberatore ecc.;, e spesso non sono neppure fumettisti, ma pittori (Baruchello, .. .), registi (Fellini), poeti (Evtusenko ). Perciò quanto si conserva non è il papero reale, codificato dalla tradizione disneyana, ma precisamente il papero ideale, attraverso una interpretazione espressionistica, astrattao anagogica. non mancano di suscitare una soggezione dalla bravura di Topo- perino lo Spleen. ANTHONY KENNY maggiore simpatia, e che rendono lino). Topolino aiuta la polizia, Ed è proprio l'anima di quel paOgni immagine sceglie e accentua uno o più tratti presenti nella gamma degli attributi morali di Paperino: il papero dal volto umano Papertino (la testa di Pertini e il corpo di Paperino come critica del machiavellismo politico, nella vignetta di Forattini); il libertino (indirettamente, nei disegni di Comes, e direttamente nel Paperino in cuoio e catene di Liberatore o nel papero bon vivant senza fortuna di Angese); il brav'uomo impacciato (per esempio, nelle immagini di Staino). E che questa sia la tendenza prevalente delle 'letture di Paperino' qui raccolte, è testimoniato in modo del tutto esplicito dalle parole di Cocco Bill nel fumetto di Jacovitti («Molto più di Topolino a me piace Paperino»), o nella didascalia vagamente flaubertiana dell'immagine di Cecilia Capuano: «Paperino siamo noi». Maurizio Ferraris WITIGENSTEIN molto più facile l'identificazione Paperino è minacciato dalla galera pero che viene rappresentata nelle "Universale scientifica Boringhieri", 1-------------------,-----------------...----------------------------------1 256 pp., L. 15 000 ERMANNO BENCIVENGA IL PRIMO LIBRO DI LOGICA "Logica matematica", 232 p_p., L. 23 000 WERNER HEISENBERG FISICA E OLTRE "Saggi scientifici", 261 pp., L. 25 000 MARIE-LOUISE VON FRANZ ALCHIMIA "Saggi", 236 pp., L. 23 000 MIRCEA ELIADE TECNICHE DELLO YOGA "Universale scientifica Boringhieri", 240 pp., L. 15 000 KEITH HOPKINS CONQUISTATORI E SCHIAVI Sociologia dell'impero romano "Società antiche", 306 pp., L. 40 000 JESPERSVENBRO LA PAROLA E IL MARMO Alle origini della poetica greca "Società antiche", 236 pp., L. 30 000 JEAN STAROBINSKI RITRATTO DELL'ARTISTA DA SALTIMBANCO "Saggi", 168 pp., L. 20 000 BORINGHIERI Sommario Stefano Agosti Dialogo tra Mallarmé e un redattore di Alfabeta («Il senso della letteratura» 14) pagina 3 Giuseppe Pontiggia Interrogarsi («Il senso della letteratura» 15) pagina 4 Francesco Leonetti Pasolini e la sinistra oggi pagina 5 Maria Antonietta Grignani Indagini di Segre (Teatro e romanzo, di C. Segre) pagina 7 Roberto Esposito Moderno e individualità (I) (Homo aequalis I, di L. Dumont) pagina 8 Carlo Formenti Moderno e individualità (Il) (Homo aequalis, di L. Dumont; Potere e secolarizzazione, di G. Marramao) pagina 9 Arduino Cantafora Architetture pagina 10 Francesco Dal Co Architetture e parole (Architetture - Stanza di città - Mi spoglierò del mio vestito abituale, di A. Canta/ora) pagina 11 Rodolfo Montuoro Lo sguardo dell'arte (Aby Warburg, di E.H. Gombrich; La rinascita del paganesimo antico, di A. War/Jµrg;aut-aut n. 199-200) pagina 12 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; b) tutti gli articoli. devono essere .corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti;' nel caso dei libri occorre indicare: auDa Mosca a cura di Michela Zernitz e di Maurizio Ferraris pagina 13 Anna Panicati Luzi e il linguaggio poetico . (Il silenzio, la voce, di M. Luzi; Ciò che resta del fuoco, di J. Derrida; Il libro della sovversione non sospetta, di E. Jabès; Biffurer, di M. Leiris) pagina 15 Flavia Ravazzoli Due tipi di ironia (L'ironia, di M. Mizzau; Istruzioni per rendersi infelici, di P. Watzlawick; L'incertezza dei sogni, di R. Caillois; Il giardino delle Esperidi, di G. Pontiggia) pagina 16 Antonino Di Sparti Sociolinguistica (Language in Use, a c. di Baugh e Sherzer) pagina 17 Paolo Valesio Lo scritto del parlato (L'italiano negli Stati Uniti - New York, 19-22 giugno 1984; Zettel, di L. Wittgenstein) pagina 18 Testo: Hans Jiirgen Syberberg Wagner secondo Syberberg a cura di Paolo Bertetto pagine 20-21 Edoarda Masi La Cina del viandante (Entrata in Cina de' Padri della Compagnia di Gesù, di M. Ricci e N. Trigault) pagina 22 Gabriella Giurati L'incertezza sulla morte (ABC of Brain Steam Death, di Ch. Pallis; Brain Death, a c. di Korein; La Morte oggi - Milano, 24-26 maggio 1984) pagina 23 Ernesto Mascitelli Etica scientifica (Immagini filosofiche della scienza, di F. Barone) pagina 25 tore, titolo, editore (con città e data), numero di pa_gine ~ prezzo; c) gli articoli devono essere inviati in triplice copia; il domicilio e .il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma la rivista si compone prevalentemente di Federico Vercellone Il simbolo per Creuzer (Dal simbolo al mito, a c. di Moretti) pagina 26 Riccardo De Benedetti Letture di Simone Weil (L'infinito intrattenimento, di M. Blanchot; Simone Weil e Emmanuel Lévinas, di J. Rolland; L'etica della debolezza, di A. Dal Lago; L'agonia di una civiltà - L'ispirazione occitanica, di S. Weil) pagina 27 Federico La Sala; Livelli di realtà (Livelli di realtà; di Autori vari) pagina 29 Ferruccio Masini Attraverso figure (Metamorfosi, di F. Rella) pagina 29 Carlo Sini Impressioni («Debole/forte» 8) pagina 31 Cfr. Bibliografia analitica Critica d'arte a cura di Roberto Benatti, Omar Calabrese, Lucia Corrain pagine 32-33 Omar Calabrese Questioni di piccolo schermo (La conversazione audiovisiva, di G. Bettetini; Un'altra volta ancora, di F. Casetti; La ripresa diretta, di Pratt, Rizza, Viola, Wolf) pagina 34 Umberto Silva Una ghigliottina (Della ghigliottina considerata una macchina celibe, di A. Boatto) pagina 35 Ezio Manzini Tecnologie soffici (Tecnologia e progetto, di G. Ciribini; Le signe et la technique, di G. Hottois; Penser la technique, di Ph. Roqueplo; Attaccarsi al freno d'emergenza, di C. Offe) pagina 37 Giovanni Giovannetti Fotografia dopo la militanza pagina 37 collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto clie il criterio indispensabile del lavoro intel-. lettuale· per Alfabeta è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di liv~llo universitario iniziale, di preparazi6ne culturale media e non specialista., Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Il Comitato direttivo Giornale dei Giornali La questione morale pagina 38 Indice della comunicazione La moneta elettronica pagina 38 Le immagini L'anima di un papero a cura di Maurizio Ferraris alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Comitato di direzione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gioo Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leooetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Redazione: Carlo Formeoti, Maurizio Ferraris, Marco Leva, Bruno Trombetti Art director Gianni Sassi Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione: via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Giuseppe Terrone Coordinamento marketing: Sergio Albergoni Pubbliche relazioni:· Monica Palla . Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139 Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici Abbonamento annuo Lire 40.000 estero Lire 55.000 (posta ordinaria) Lire 70.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 6.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile Leo Paolazzi Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati

Il senso della letteratura / 14 DialogotraMallarmé e unredattorediAlfabeta A lfabeta. Buongiorno Maestro. La disturbo? Sono qui per quell'intervista. Mallarmé. L'intervista sul cappello a cilindro? sul cosiddetto «haut de forme»? A. No no, Maestro! Sul senso della letteratura! M. Peccato. Quell'affare scuro, assolutamente soprannaturale che l'uomo ha cominciato a mettersi in testa ... Quante cose da dire! Richiederebbe un'opera intera, compatta, numerosa, astrusa, in parecchi volumi... Ci medito da tanto ... A. Sul cappello, Maestro? M. Pensi che ha spazzato via i diademi, le piume, le capigliature persino. E non si fermerà. A. Maestro ... , se permette vorrei ricordarle.. . M. Il mondo finirà, ma non certo lui. Forse, chissà!, è esistito da sempre allo stato invisibile. Del resto, chi mai lo vede oggigiorno? Tutti ci passano vicino, ma è chiaro che nessuno lo vede. A. È proprio così. Nessuno lo vede. Soprattutto oggi che, a differenza dalla sua epoca, nessuno o quasi porta più il cappello. È quindi giustissimo quello che lei dice. Se permette, vorrei però passare all'altro argomento, quello più serio. M. Guardi che per me l'argomento cappello è serissimo. Vuole una cosa da tenere tutta per sé? Ebbene, il cappello è il motivo centrale, benché nobilitato, sollevato di tono (di forma), di una mia poesia. Ma nessuno - tranne, forse, adesso, qualcuno - nessuno l'ha visto. A. Nessuno ha visto il cappello? M. Diciamo che nessuno ha vi-. sto il cappello quale è stato da me introdotto, nella sua forma alta, «haut de forme», in una delle mie poesie. A. Interessante. Ma qui siamo già forse nel cuore del nostro argomento. Se nessuno l'ha visto, vuol dire, non è vero?','che c'era una, certa oscurità... Intendo, non per la strada ma nella sua poesia... La sua celeberrima oscurità, Maestro ... M. Già. A. Quella per cui alcuni si disperano, altri si irritano e tanti ridono ... Non è forse n, in quell'oscùrità, che lei ripone il senso della letteratura? Della sua, per lo meno, che gli esperti reputano la più profonda di tutte ... M. Senta. Quando lei scrive è sicuro di scrivere proprio quello che ha in mente? A. Beh, in un certo senso sl, anche se so che è difficile esprimere compiutamente il proprio pensiero. M. Quindi una parte - piccola o grande che sia - di quello che lei vorrebbe dire rimane inespressa. ~ A. Penso di sl, penso proprio di .s ~ sì. ~ M. Allora lei ammette che ci sia '<:!- ~ """4 ~ 1 ~ ~ ~ una parte del suo pensiero che si sottrae - per sua natura propria - alle parole, una parte naturalmente non significabile. A. Eh sl, devo proprio ammetterlo. M. Bene. Allora ascolti. La i.: poesia, il verso e, in genere, tutta ~ la grande letteratura, anche in ;g_ prosa - giacché vi è sempre verso 1:1 là dove vi è tensione di stile -, il verso dunque mira a produrre, e cioè a presentare, proprio quella parte n, la parte non significabile, segreta - significante chiuso e sigillato -, che abita il fondo di ognuno. E lo fa mantenendone intatta la natura: vale a dire, la sua non significabilità in ·termini di discorso. Per cui l'oscurità, quellà che alcuni - del resto in base a certe mie affermazioni - hanno chiamato oscurità, non corrisponde altro che a un uso diverso del linguaggio, impegnato a presentare non la parte chiara - il discorso vi basta - ma quella parte che il discorso è impossibilitato a dire. Non si tratta, naturalmente, di portare alla luce, e cioè di mettere in chiaro, significati oscuri, bensl di riuscire ad articolare all'interno I I ' j .J I I ( f del discorso, ma senza ridurvelo, quanto, per sua stessa natura, è fuori del discorso, dato che non ha significato né può mai accedere al significato. Rispetto reciproco, da una parte e dall'altra. A. • È straordinario. È proprio tutto if contrario non solo di quanto si proponevano i romantici ma addirittura di quanto si prefiggeva un~.certa scuola degli inizi di questo secolo: i surrealisti, si chiamavano. M. Infatti - almeno per i romantici. Quanto agli altri, quelli che lei ha chiamato i «surrealisti» (che orribile appellazione!), non so proprio. A. Sì sl! è così. Il grumo emot1Stefano Agosti vo dei romantici o l'inconscio dei surrealisti si manifestavano in quanto discorso, venivano insomma fatti rientrare nell'universo dei significati. Le loro operazioni - identiche nel fondo - comportavano, in teoria oltre che nel fatto, il passaggio dall'informe alla forma, dall'oscurità alla chiarezza. Dire che un uomo passeggia con la propria testa in mano, è un discorso chiaro, non è vero? Invece lei, mi par di capire, lei mantiene oscura l'espressione stessa, la forma del discorso. Tutto il suo discorso sarebbe (è) invaso da quell'oscurità che secondo lei costituisce il fondo autentico di ciascuno di noi. È cosi? M. Più o meno. Interessante comunque quello che lei dice sui ro- ·--- Cade/o mantici e gli esponenti di quell'altra scuola. Vedo con soddisfazione che la scienza del letterario - giacché solo la scienza ne può assicurare un approccio pertinente, non divagatorio - ha fatto un considerevole progresso. Ai miei tempi, la speculazione sulla letteratura era solitamente del tipo intuitivo, anche per la mancanza d'un armamentario adeguato. Quando ho praticato questo genere sono stato costretto, per non incorrere nello stesso errore, a crearmi tutta una strumentazione personale, relativa a quella che ho voluto chiamare la scienza dei segni. Ma per non inaridire il tutto, ho appoggiato il genere a una sorta di lirismo teso, ellittico, a forte evidenza sintattica, che mi sembrava potesse corrispondere a un genere nuovo, che di fatto non credo sia ancora nato: il «poema critico». Ho pensato anche, un istante, a un lavoro di linguistica pura. Ne avevo abbozzato l'impianto in quanto «metodo»: proprio nel senso in cui Descartes adopera questo termine. Per tornare comunque alle sue osservazioni, vorrei precisare che l'oscurità di cui lei parla non è qualcosa di informe, di compatto, zoccolo monolitico e inintaccabile sotteso ai processi discorsivi, o polla d'acqua buia cui attingere per irrorare di una qualche tenebra il vano strato di intelligibilità del discorso ordinario (ammetto che l'immagine del calamaio da ( I \ I ( cui prelevare la goccia della Notte abbia creato più confusione che al- •tro) ... A. Mi scusi, ma credo che proprio in questo equivoco sia caduta una scuola italiana di poesia che si richiama incessantemente a lei: ermetici, venivano detti... M. Ah ... Sono desolato... Comunque, nòn si tratta di questo. Si tratta invece della struttura d'un rapporto sottratto al discorso comunicativo ma presente alla coscienza quasi con la precisione di una formula algebrica. A. Credo di capire. Ma non potrebbe farmi qualche esempio? M. Volentieri. Supponga che la sua coscienza registri, in una data situazione, una dualità come unità, oppure la compresenza di due oggetti diversi in quanto potenzialmente costitutivi di un terzo oggetto, oppure l'istanza, latente, di un determinato stato (mentale o fisico) all'interno di un altro stato o di una serie di stati, e cosl via. In tutti questi casi, quello che abbiamo chiamato il discorso, e che corrisponde a una certa struttura logica (convenzionale) organizzativa del mondo, il discorso - ripeto - si trova letteralmente impotente. Ma non il verso (la letteratura) -:- che si potrebbe anche definire, a questo punto, nei termini d'un'interrogazione radicale incessantemente posta al linguaggio. Come vede, distinguo fra linguaggioe discorso, nel senso che quest'ultimo sfrutta solo una parte delle possibilità insite nel primo. Immagini allora, ad esempio, che io costruisca una frase ove un determinato indice pronominale sia suscettibile di applicarsi a due diversi elementi della proposizione; oppure che una circostanziale oscilli, indecidibilmente, fra un completivo di nome e un completivo di verbo; o ancora che io designi - senza nominarlo mai - un oggetto tramite una serie di definizioni inclusivedi denominazioni di altri oggetti fra loro relazionati, ecc. ecc.; ebbene, in tutti questi casi, e cioè attraverso tutte queste operazioni, avrò prodotto situazioni di senso del tutto coerenti rispetto a quei dati iniziali della coscienza cui accennavo prima, ma del tutto estranee rispetto ai contenuti normalmente veicolati dal discorso e che si definiscono come «signifi<;ati».Pensi anche alla possibilità di fabbricare proposizioni che, sotto l'involucro d'un significato usuale o addirittura indifferente (c'è tutto da guadagnare a sviare il pigro, soddisfatto che niente, lì, lo riguardi direttamente, a prima vista), sviluppino, grazie ali'uso di speciali parole-cerniera, più percorsi di senso, non virtuali ma realmente attuati dentro la grammatica e il lessico... A. Ah ... le poliisotopie... Anche Rimbaud ... M. ... oppure, sempre per fare esempi un poco più complessi, che l'oggetto soggiacente a una trasposizione figuri, nello stesso componimento, in quanto lettera di una seconda trasposizione il cui oggetto rinvia alla prima, e che tutto il componimento non sia perciò altro che la mensurazione-neutralizzazione della distanza che intercorre fra oggetti reciprocamente lontanissimi e, per ciò stesso, fra classi... A. Maestro, quello che lei dice, quello che lei fa, è prodigioso. Ma se ho capito bene, il senso prodotto da tutte queste straordinarie operazioni sul linguaggio, e a cui il discorso fa da supporto senza contenerlo ... M. Supporto indispensabile, è una garanzia ... A. Appunto. Quel senso lì, dunque, non le pare più un prodotto della sua poesia che non della poesia in gene~e? M. Guardi: ogni epoca; o, se preferisce, ogni autore di una certa levatura, ha mirato più o meno a questo che le sto dicendo. Pensi solo agli istituti tradizionali del verso: alla rima, che l'alessandrino1 in mani esperte, tende a pro-

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Diciamo allora, se vuole, che,. per quel che mi riguarda, vi è stata estensione radicale e totalizzante di questi procedimenti: sino a farne il criterio stesso della composizione. L'interrogazione posta al linguaggio, al di sotto delle sue falde discorsive, si può in definitiva ridurre a una riflessione sugli istituti della poesia: a una riflessione esclusiva di tutto. • A. È chiarissimo. Però, ora mi si affaccia una seconda perplessità. Che tutto questo sia prerogativa solo della poesia - o di quella prosa ad alta tensione formale, da lei poco fa assimilata al verso-, mi sembra non ci siano dubbi per lei. Ma allora, come facciamo col romanzo, con la storia (compresa quella con la maiuscola), in una parola, con tutta quell'altra letteratura che, bene o male, riflette, per così dire, il nostro mondo? M. In effetti, non ci sono dubbi. La prerogativa del senso del mondo è devoluta unicamente alla poesia, al Libro, espansione totale della lettera, ecc., con tutto il seguito del nostro discorso. La storia (compresa quella con la maiuscola), il racconto, e quanto afferisce al genere, riposano sulla pia illusione del fatto, o sulla nozione di oggetto, la quale in pratica sfugge né è dato possedere. Evitare il racconto, la storia: ques.tione di moralità. La pantera nera e l'orso bianco non convergono forse nell'elefante, che partecipa di entrambi? A. Oh Maestro! Adesso tutto è chiaro davvero come la luce del sole! Mi sembra di ascoltare LéviStrauss: la sua idea dei termini «dédoublés» presenti nelle articolazioni del mito ... Le strutture versus la storia ... O le recenti teorie del pensiero simmetrico ... M. Ora sono io che non capisco, e che trovo oscuro quello che lei dice. Ad ogni modo, tenga presente che il grande costruttore di storie non crede nei fatti, né nei personaggi, ma nelle strutture e nelle relazioni, che include, latenti, all'interno del racconto, in base a calcoli potenti e minuziosi, ma invisibili: segreto anche lì. Del resto, per quanto riguarda il racconto e la sua finalità di rappresentazione del mondo, può sempre consultare utilmente l'opera di George Cox sulla mitologia, da me tradotta e riadattata per le scuole, ove le storie riferibili ai vari miti ed eroi favolosi dell'antichità si riducono a esprimere sempre e soltanto la grande Tragedia della Natura, quale si manifesta nella lotta quotidiana della tenebra e della luce. Ancora, insomma, struttura e trasposizione, come nella poesia, unica origine, sola sorgente ... A . ... ragnatela di rapporti, che fissa fili da punti lontanissimi, in uno scintillìo soggiacente e tuttavia inseparabile dalla superficie concessa alla rétina ... M. ... profondità e superficie, il caso (il caos) e il numero stellare, l'uno e l'altro alfabeto ... (Ormai è sera inoltrata. Alla finestra del piccolo salotto della rue de Rome, come entro il perimetro di un tempio tracciato dagli àuguri, appare la luna. Il Maestro, gli occhi velati, solleva la testa e si porta le due mani alla gola. Il giornalista si alza e si allontana in silenzio). Il dibattito sul «senso della letteratura», cominciato su Alfabeta -n. 57, ha accolto finora interventi di F. Leonetti e Antonio Porta (n. 57), G. Raboni (n. 58), G. Gramigna (n. 59), R. Luperini e R. Cari/i (n. 60), M. Forti (n. 61), A. Prete e N. Tedesco (n. 62163), G. Finzi e F. Muzzioli (n. 64), A. Boatto (n. 65), e, nella serie «Riferimenti», contributi di G. C. Ferretti, F. Muzzioli, A. Guglie/mi, G. Patrizi, F. Masini, A. Gargani, M. Ferraris. Con l'intervento di F. Menna (n. 62/63), il dibattito si è esteso anche epiù direttamentealla ricerca artistica. lnterrohu•/lllrsi Giuseppe Pontiggia g sazione di allarmante disagio che si capisce come sia più agevole fuggire che restare. Eppure, se la letteratura ha un senso, lo ha solo se si confronta con le cose essenziali che ci riguardano. Tutto il resto è letteratura. Nella sua accezione debole, il senso della letteratura è modesto. Si può non disprezzare l'Arcadia e riconoscere la sua funzione, anche civile e morale, nella società del Seicento: ma far parte di un gregge di pastori non merita probabilmente tutte le energie e le pene che la letteratura esige. Questi imbarazzanti rituali si ripetono anche oggi in forme diverse e giustificano sia le adesioni sia le assenze. Nella sua accezione forte, il senso della letteratura si articola in una duplice direzione, individuale e collettiva. Nella vita di un uomo può essere degna di polarizzare una ricerca: interrogazione sull'esistere, viaggio dentro la verità e le falsificazioni del linguaggio, scoperta, accompagnata da intensificazione vitale, di quello che non sapevamo di sapere. La frase che in letteratura tutto è già stato detto implica nella sua falsità - così rassicurante, così deludente - anche una verità: che la letteratura è sempre una sorpresa-conferma. Non ricalca il noto (altrimenti non avremmo la sorpresa), ma al tempo stesso svela che l'ignoto non ci è estraneo. Perché la verità è anzitutto una distanza giusta: tra l'autore e quello che dice, tra lo scrittore e il linguaggio. Ed è improbabile che tale rapporto si ripresenti una seconda volta in modi uguali: quando ciò avviene in apparenza è perché nella sostanza non avviene più. Il senso collettivo della letteratura presuppone questo senso individuale e passa attraverso di esso: purché si eviti il formulario tetro sÙllafedeltà dello scrittore a se stesso, sulla autenticità, sulla coerenza. Certo il percorso di uno scrittore non può eludere questi punti, ma l'essenziale· non è che riguardino lui, ma che riguardino Ho pensato per anni che dire noi. Altrimenti si indulge a quel due volte la stessa verità fosse già moralismo edificante che, per didire il falso, ma non capivo per- fendere un significato essenziale, I nterrogarsi sul senso di quello che si sta facendo è una operazione da evitare con cura. Pedagoghi e moralisti naturalmente lo consigliano, ma, quanto a loro, se ne guardano bene: almeno a giudicare dalle conseguenze. I letterati, se interrogati sul senso di quello che fanno, cioè sulla letteratura, offrono di solito spiegazioni tra l'inesplicabile e l'altruistico: o parlano di una vocazione oscura quanto irresistibile, di una necessità fatale che li costringe a scrivere e che spesso appare tale anche al lettore; oppure parlano di una risposta ai bisogni della società, di un appello cui riesce difficile negarsi. Finiscono per assomigliare a quel santo descritto da Dosto- • evskij che, quanto più ama gli uomini, tanto meno è disposto a condividere con loro lo spazio della sua camera. Il sogno di simili letterati è una Turris con visite guidate a orari fissi e una apparizione fugace del castellano dietro le tende, come faceva D'Annunzio con i visitatori del Vittoriale: solo che qui la divisa sarebbe un'altra. ché. Ora forse mi è più chiaro. quello della eticità dell'arte, lo r:·=· --=·=- =· ·==========================r====,1 svuota al tempo stesso di significaLa prova più scoraggiante di chi insegna non è di fare capire i sensi della letteratura - ne conosciamo qualche decina - ma di fare capire che la letteratura abbia un senso. Disgraziatamente (o fortunatamente, secondo i casi) gli insegnanti non se lo pongono come fine e gli studenti permangono nella loro quieta convinzione che la letteratura sia insensata. Chi invece tenta di spiegarlo constata con smarrimento di non riuscirci e questo per almeno una buona ragione: che non lo sa. Lo sguardo, tra stupito e sgomento, del suo interlocutore sarà la spia silenziosa del suo fallimento. Scoprire, infatti, e comunicare il senso della letteratura comporta ogni volta una operazione cui comprensibilmente riluttiamo: cioè interrogare il senso della nostra vita, che generalmente ne ha poco, e di quella degli altri, che di solito non ne ha di più; e poi il senso della vita di quanti ci hanno preceduto, cioè di quella storia che mol- 1 ti si illudono di conoscere, e di quanti ci seguiranno, cui i letterati idealmente si rivolgono, nel silenzio della loro camera. Tutto questo si accompagna a una tale sen- Cecilia Capuana to. La trasparenza con se stesso implica necessariamente una coscienza critica, una consapevolezza storica, una gerarchia di valori. Un narratore che si avventura in un racconto non tende tanto a portare alla luce se stesso (attività che risulta stranamente gratificante per troppe persone), ma cerca in una terra incognita il punto di incontro con se stesso e con gli altri. Questo viaggio comporta la traversata del mare del linguaggio, il ritrovamento della sua potenza originaria, della forza «immaginale» della parola. La malattia del linguaggio, giusto presupposto della sua negazione ad opera delle avanguardie, lo è anche della sua riscoperta. E la malattia dei linguaggi verbali, provocata dagli abusi e dalle distorsioni della comunicazione, rafforza contemporaneamente la funzione del linguaggio letterario: l'unico che "'tconservi alle parole la loro priÌnor- ~ .s diale e inesauribile energia. ~ La legge di Gresham ci dice che ~ la moneta cattiva scaccia la buona: ~ ma insieme, paradossalmente, la "4 rivaluta. L'inflazione fa sparire le l monete d'oro, ma il loro valore si ~ centuplica. E anche se al momen- 6 to il piombo sembra prevalere, il i:: . futuro si fonderà sulle riserve :g invisibili.

S ernbra che Pasolini sia un duro critico del Sessantotto ... Polemizza subito con le nuove assemblee di studenti, che raccolgono le idee di Berkeley e delle prime coniuni e dello studio degli operaisti lungo gli anni sessanta ... Egli connette tutto ciò, in una sua interpretazione che si deve dire immotivata, con le nuove correnti artistiche e letterarie che da vari anni si ripresentavano come «avanguardie»: delle quali è stato critico nettissimo, con un suo gusto longhiano. In tensione polerni- ,ca anche con me, amico e interlocutore, che allora condividevo le scelte del movimento artistico di Milano e quelle di Vittorini, e tendevo a dirmi espressionistico'. Ma non c'è dubbio che Pasolini è un protagonista della grande •tensione del Sessantotto, con modi suoi. Ciascuno di noi intellettuali che ha preso parte in quel moto, e prendendo parte ha frequentato altri strati sociali, sia del proletariato di fabbrica che di quello marginale e disgregato, ha portato in sé ragioni abbastanza articolate, discutibili, complesse, in parte contraddittorie fra loro. Così Pasolini mentre manteneva un'adesione forte al Pci. Che è stato quasi subitò ostile, come è noto, con un intervento di Amendola che parlava di «fascismo rosso», mentre il partito in tutto il periodo .ha svolto la linea di «compromesso storico» con la Democrazia cristiana2 • È complicata e difficile la posizione di Pasolini saggista dell'ultimo periodo. Ma rileggendolo in questi mesi mi pare che dentro la sua tensione egli si muova come un anticipatore strano e straordinario di ciò che viene poi, di ciò che viene ora ... Dico che si legge in lui un terzomondismo, per definirlo in breve, che è ecologista e complessivamente storico-ambientale, invecè che formulato in· senso teorico stretto. (Come sono stati quello maoista, e cubano, e non allineato, al quale ultimo Pa- ..s.o.linèi in parte più vicino). E questo il suo campo semantico ulteriore di poeta, e il punto più maturo della sua scelta di intellettuale comunista, talora oscillante verso un polo difensivo e conservatore di origine «rustica». 1. Le lucciole A partire ora dal famoso articolo sulla scomparsa delle lucciole, va ricordato anzitutto che ha la data del 1° febbraio 1975, quando c'era molta tensione di base sindacale e di lotta operaia: l'inverno del '75! nel centro di Milano io ricordo cortei che non si volevano disperdere! Né certo ancora avevano prevalso, sul movimento autentico di base, gli atti assurdi dei militaristi ... Pasolini scriveva den- •tro questo ambiente. "'l L'articolo è fra gli Scritti corsari !::, usciti già nel '75, mentre apparve -5 col titolo «Il vuoto del potere in ~ c:i., Italia» sullo straordinario Corriere ~ della sera di quegli anni. E Pasoli- ~ ni appunto col suo prestigio, e con ~ una certa volontà di rischio, svol- .,C) E geva dunque su un grande gioma- ~ - •le borghese lettissirno un'operae i:: zione di agitatore: propria della ~ nuova sinistra. C'è pure un riferis:: mento iniziale esplicito, per quan- ~ to in disaccordo, a un teorico della .,C) nu9va sinistra che è qw Franco ~ Fortini. linie lasinistra - oggi L'articolo contiene una formidabile idea, come è noto. Ma non ne sono state tratte a mio parere le conseguenze. Non si è valutato fino in fondo che peso di novità quell'articolo presenta nel nostro dibattito continuo della sinistra. E forse Pier Paolo sbaglia a ritenere che la scomparsa delle lucciole provenga in senso stretto dall'inquinamento. Le lucciole sono collegate a un certo humus, dove sussiste in campagna il letame, e dunque sono parte di quel paesaggio rurale in via di sparizione, che negli anni scorsi è stato argomento di studio dei nuovi geografi particolarmente francesi,. George, Isnard e altri. Inoltre io lascio qui cadere la parte che (in contrasto anche col partito) è diretta polemica politica di Pasolini verso la Democrazia cristiana al governo in Italia. Ciò non per evitare la tematica politica; sarebbe strano da parte mia. Ma preciso che la polemica politica e talora quella teorica di Pasolini a mio parere hanno un movimento di superficie e anche uno sviluppo argomentativo che è assai discutibile. In effetti qui mancano i fattori di analisi del potere, del ciclo capitalistico, e del sociale, che sono presenti con maggiore o minore precisione nelle riviste militanti del 60 e del 70. Qui si parla dei «valori» e del «conformismo di Francesco Leonetti Stato» e del «potere dei consumi», per esempio, che sono nozioni più del discorso intellettuale. Ma c'è una individuazfone acuta e fondamentale, di cui l'articolo è portatore. Viene data subito, e la ricordiamo: «Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono c9minciaLiberatore te a scomparire le lucciole». Com' è straordinario oggi, soprattutto, quell'inquinamento dell'aria! oggi se ne discute con tante tesi per disorientare l'opinione crescente che si tratta di un disastro ecologico e che risale alla gestione capitalistica. Il terna corre in tutto lo scritto, pullulante, legato aggressivamente alla denuncia politicista. Si tratta di un articolo da tanti celebrato, per l'immagine delle lucciole, che è certo un luogo di grande scrittore. Ma le lucciole stanno per il tutto; e non solo col folgorante valore metonimico; presentano il grande tema dell'inquinamento. Sul quale oggi leggiamo Isnard I)ei suoi studi dei pieni anni settanta intorno allo «spazio geografico». 2. Il palazzo La stessa probleµiatica pasoliniana relativa al Centro o al Palazzo del potere può venire bene intesa, e magari svolta oggi, se viene scorporata dai motivi immediati e apparentemente più' incisivi del1' avversione alle forme di potere occulto e clientelare. Certo abbia- . mo condiviso tutti questa avversione che è ancora attuale (i responsabili delle stragi in Italia non sono stati identificati ancora). E certo il Palazzo secondo Pasolini è il potere economico-politico della destra e della conservazione, anche con una eccezionale sua punta ben nota di tipo antivaticanesco. Ma a non fermarsi qui, si può fare un salto di senso. Leggo dunque, fra i tanti possibili, lo scritto «Limitatezza della storia e immensità del mondo contadino» (8 luglio 1974, in Paese sera) e lascio cadere anche qui l'occasione, che è una polemica con Calvino, e i modi giornalistici inevitabili. Ma cito alcuni nuclei: «il cosiddetto Sviluppo» (con maiuscola ironica), «l'acculturazione del Centro consumistico ha distrutto le varie culture del Terzo Mondo»; e «parlo di omologazione di tutti i giovani»... Emergono così frasi di enorme passionalità critica. Che certo sono risposte all'«universo orrendo» secondo Pasolini, come è definito da Gian Carlo Ferretti già nell'aprile del '76. E rispondono alla perdita di quella «epica contadina, istintivamente cristiana, e. creaturalità naturale, con elogio della solidarietà comunitaria» che nel · racconto di Enzo Siciliano è propria del ventenne Pasolini.nei primi anni quaranta. Pasolini non solo pone la questione contadina e del Terzo mondo; ma l'assume nei suoi scritti e nella pratica dei suoi viaggi africani in un suo modo successivo di regressione assoluta. Oggi accade di fare alcuni rilievi forse nuovi. Questa passione preindustriale è intempestiva e semincornprensibile quando viene posta da lui, in pieno movimento moderno e du-. rante una lotta terzomondista mondiale e condivisa dai giovani. Nella fase di oggi è attuale. Pasolini, che non attacca il movimento moderno, salvo in alcune forme, e conosce via via in Africa e altrove i teorici e gli intellettuali terzomondisti (che hanno formazione anzitutto sartriana e poi ·antimperialista), presenta piuttosto una lacerazione con se stesso e vive il Terzo mondo come matrice incorrotta, materna, in quanto connette ancora la sua passione terzomondista, originariamente etica e rurale, alla sua profondità e alla sua diversità. Scatena così più forte e fatale un ciclo di tensione che era riuscito a comporre dopo la prima gioventù. Le stesse crescite dell'antichistica e dell'antropologia, che oggi hanno piena evidenza, sono posteriori a tutto ciò. E Pasolini non poteva fame uso colto per argomentare la sua grande mossa contraddittoria e autocontraddittoria nell'odio dello Sviluppo. A completare la nozione di Palazzo, si può dire ora che in Pasolini esso è l'insieme della centralità mondiale, contro la periferia e la base; è ciò che ha costituito il dominio: è la nuova forma di produzione dopo il Medioevo, è l'accelerazione del tempo di lavoro, è la scomposizione dei ruoli, è la perdita di dimensione dei soggetti. Non vi è però la semplificazione teoricistica di Marcuse. Ciò che Pasolini scopre e dichiara come «livellamento» e anche come «omologazione» è un pro- . cesso più profondo e articolato nell'ambiente e nei comportamenti. Oggi per esempio mi riporta al maestro francese della paleobotanica, Barrau, che illustra quante varietà di diversi frutti sono state perdute, da quelle descritte nel Settecento ... Le scoperte di Pasolini hanno un simile senso acuto dell'insieme e dell'antica dignità. Certo si rimane perplessi quando Pasolini parla di «omologazione di tutti i giovani»... Chi di noi ha frequentato, invece che le borgate romane e i conoscitori del1'ambiente come i Citti, la zona operaia intorno a Mirafiori nel '70, sa che ci sono modificazioni ovunque di certi caratteri di massa, che sono date da molti motivi, teorie, mode, scelte... Ma certo Pasolini ha sue fobie, come per, esempio il Sessantotto le ha avute (e anch'io) diversamente contro l'automobile ... Tutt'insierne, quando Pasolini scrive «coi miei sensi ho visto» dichiara un'attenzione importantissima ai movimenti di massa, ai fenomeni anche sottili di modificazione nel quotidiano. A me pare che si tratti dell'attenzione su quella che Deieuze chiama «linea.

di fuga», anche schizoide: che è l'improvvisa apertura o il contrasto con la repressione, nel servo della gleba, nei peflegrino, nell'eretico, ecc. ecc., e oggi nella base .-di massa. Inoltre in Pasolini preme profondamente e violentemente l'irrisolta sutura, da parte qi tutta la tradizione teorica della sinistra, fra .mondo contadino e mondo operaio. Il problema relativo investe in certi periodi la sinistra in termini decisivi. E per esempio la «cultura popolare» che troviamo anche presso Bachtin, e che è separata e propria del «basso», con autonomia, è quella contadina del Medioevo e Rinascimento; quella operaia è connessa invece, anche se con scopi alternativi, alla intellettuale e cittadina postilluministica. Ciò si sente in Pasolini come fondo. Ciò ha ripreso evidenza massima dopo il dibattito mondiale recente nell'occasione del centenario di Marx: la connessione del Terzo mondo col materialismo marxista è stata posta come l'attualità del marxismo, indicando anomalie e imprecisioni in proposito. 3. Re- e tras-gredire Oggi che la sinistra abbisogna di una strategia complessiva nuova, dopo le recenti lacerazioni e sconfitte, a me pare che certi sbocchi della ricerca intellettuale (insieme e tutt'una che poetica) quale si è . svolta in Pasolini (e in altri) della generazione nata negli anni venti, possano essere ripigliati. Occorre allora un atto o un momento di regressione lucida sui motivi fondamentali. Devo dire che io non amo gli equivoci sul termine e concetto di industria: esso è positivo nei clas- •• sici e vuol dire lavoro in gruppo,_ pon livellamento. C'è però nella FondoP.P. Pasolini scelta tutta produttivistica della stessa sinistra tradizionale, dopo il '45, un errore; si deve cogliere con l'analisi accuratissima il punto o la produzione comporta eventi disastrosi.. . Ed è . necessaria una strategia cognitiva e di grandi scelte che ci possa rimmergere nei filoni dei fondamenti: l'evoluzionismo, le culture del Terzo mondo, la lotta sull'ambiente, ecc. ecc. Né certo il nuovo interesse (francese) per Pasolini deve leggere semplicemente come passatista, e cioè di tipo «anacronistico» attuale, un suo proprio atteggiamento. Ora la trasgressione a più livelli, e la critica complessiva e la cultura del cambiamento, possono ripartire solo mantenendo un'attenzione polemica nei riguardi di ogni tentativo di livellamento (che oggi si è unificato, con la massima evidenza, nell'ambito che definiamo «mediale»). Infine vorrei citare un grande teorico e storico terzomondista in Usa, Wallerstein, che ho ascoltato lo scorso inverno leggere a Roma in un buon italiano il suo formidabile intervento al Convegno dell'Istituto Gramsci su Marx, da lui scritto controllando la traduzione italiana dei testi (con la collaborazione di Nicoletta Stame). Si sa che Wallerstein pone nei primi secoli dopo il Mille l'inizio del capitalismo, o piuttosto di quella «economia-mondo» che egli articola nella contraddizione generale fra centro e periferia. Leggo anzitutto: «il capitalismo ha rappresentato un regresso morale e per la vasta maggioranza della popolazione mondiale un regresso materiale, perfino quando ha assicurato agli strati superiori del mondo (ora estesi da un 1 per cento a circa un 20 per cento della popolazione mondiale) un benessere economico e uno stile di vita • che superano di gran lunga perfino le possibilità dei potentati orientali del passato» (pp. 38-39del dattiloscritto). E sulla strategia Wallerstein osserva: «Una transizione che è controllata, che è organizzata, deve necessariamente contenere qualche forma di continuità dello sfruttamento. Dobbiamo abbandonare la paura di una transizione che prenda la forma di uno spezzettamento, di una disintegrazione. La disintegrazione è confusione, può essere in qualche modo anarchica, Note (1) Pasolini, Longhi e le avanguardie. Come osserva G. Contini nella voce «Espressionismo» della Enciclopedia del Novecento (1977), Longhi utilizza la sua lettura giovanile di Worringer, che fu- tra i primi a usarè u· teniiìiiè attorno al '10, per estenderlo a suo modo inaspettatamente ad alcuni pittori bolognesi del Trecento. Io ritengo che Pasolini abbia sviluppato quest'uso inizialmente eccezionale di Longhi, scaricando fuori dalle ricerche che si è usato definire «avanguardie» l'espressionismo stesso (nel quale egli si iscrive, pur con realismo di effetto manieristico, e io pure oggi mi iscrivoe lo ribadisco in senso rigoroso nuovo). Per alGibba ma non è necessariamente un disastro ... Le organizzazioni possono essere essenziali all'inizio, per rompere la crosta». È così •sconcertante la visione che proviene non dal centro ma dal mondo, e cioè da quello stesso che si è usato dire «sottosviluppo» ... E bisogna riprendere - anche nel proprio della ricerca letteraria - i motivi fondamentali che, in ·un'attenzione posta come assoluta sul linguaggio oppure sul valore della storicità, sono diventati sotterranei. Con il patrocinio di Ministero dello Spettacolo Ministero degli Esteri Ministero dei Beni Culturali Ministero della Cultura di Francia presentano tro gli atteggiamenti teorici sulle avanguardie del Novecento sono articolati in più modi: a) spiegazione teorica nuova (l'allegoria di Benjamin, che per Lukacs è forse accostabile al «simbolico» proprio dei primitivi in Hegel); b) periodo innovativo estremo (o postromantico) come è nel concetto di «tradizione del nuovo» nella formulazione di Rosenberg per l'arte; c) collegamento, talora riduttivo talora rivelativo, con altri momenti storici, limitando la validità ad alcuni autori (Carrà e De Chirico come appare ancora oggi nella «storia» diretta da Zeri, o con svuotamento del concetto stesso di «avanguardia» a cui si è assistito in quest'ultimo periodo presso vari autori). • • <<... con le armi dellapoesia... >> Parigi 1 ottobre1984 - 6 gennaio 1985 PEUGEOT TALBOT ITALIA Sponsor culturale (2) Pasolini e il '68. Un altro chiarimento minimo. Pasolini ha avuto alcuni rapporti interni al movimento: per esempio con Adriano Sofri fin dal Potere operaio di Pisa. Accanto a lui Moravia leggeva e commentava a voce accuratamente i nuovi opuscoli... Devo dire che mi fu offerto di inserire nella rivista Nuovi argomenti, come in un canguro, la nuova rivista col titolo Che fare a cui lavoravo con Pomodoro e con Di Marco più giovane; non accet- •tai, ma la spregiudicatezza fu chiara pubblicandomi un breve saggiodi critica teorica interna alla storia del Pci... Certo in Pasolini il livello teorico non era solido fuori della letteratura; ed egli si fidava piuttosto delle persone ... In più, per studiare i suoi vari atteggiamenti e rovesciamenti, si deve badare che certo c'è una sua «drammatizzazione» della propria ambiguità fra militanza e religione; ma c'è in più un trauma straordinariamente continuo della morte del fratello minore ucciso da compagni nella resistenza, che lo spingeva a deprecare sempre ogni forma politica di «libidine dell'azione»... Si deve infine tenere conto del supporto nella linea del Pci secondo cui si è voluto dopo il '45 connettere «partito» e «fronte» escludendo l'impegno sul materialismo teorico e avviando quel nesso comunista-cattolico, di cui Pasolini è rappresentante, e di cui il '68 è stato contraddittore. La relazione fra i grandi intellettuali e il '68 è tuttavia non semplice ma stratificata, dalla partecipazione teorica intellettuale di Fortini, al rigetto di stretta osservanza tradizionalista di Sanguineti, all'attività elaborativa di altri o alla tensione autentica di Althusser per ricollegare vecchia e. nuova sinistra. Si può dire che Pasolini, critico del '68, si è comportato a tratti con interessi terzomondisti e ribelli assai simili, vissuti come alternati- -va sentimentale e come dissenso assoluto. Chiaramente ciò non ha un valo- •re neoclassico o «anacronistico». Testo ampliato dell'intervento al • seminario «Strategiedella trasgressione» al Centre Pompidou a Parigi il 5-6 ottobre iniziando la seriedi manifestazioni per Pasolini. (Gli .interventi sono stati di E. Golino, M.A. Macciocchi, D. Noguez, M. Pleynet, G. Raboni, A. Romanò, G. Barbiellini Amidei, R. Dadoun, F. Fortini, F. Leonetti, G. Scarpetta, G. de Van). Arei/media

Cesare Segre Teatro e romanzo Torino, Einaudi, 1984 (coli. «Paperbacks») pp. 181, lire 16.000 e ome ogni titolo, questo Teatro e romanzo immediatamente denotativo la dice lunga sulla natura del libro; che si propone' compiti difficili con una chiarezza e una decisione inusuali nella proliferante bibliografia semiotica sui vari generi letterarL Segre adotta modelli essenziali per distinguere la comunicazione teatrale da quella del romanzo. Nella prima, mancando la diegesi evidentemente in favore di una resa mimetica dell'azione, c'è un rapporto di base 10-ru (personaggi, enunciatori e ricettori di discorsi), un occultamento dell'autore e una subordinazione del diegetico all'interno del mimetico; inoltre una dominanza dell'enunciazione, ossia di quella «successione assoluta di 'presenti'» sottolineata come specifico teatrale da Szondi e ancor prima da Lukacs. Per questo lo spettatore deve collaborare attivamente, inferire motivazioni e integrare il passato, solo alluso nel presente dell'azione drammatica, mentre la comunicazione tra l'autore e il fruitore attraversa verticalmente il circuito comunicativo, orizzontale, tra i vari personaggi. Gli a parte teatrali - «fuga di notizie» in cui un personaggio anticipa allo spettatore informazioni essenziali - sono per l'appunto un compenso all'assenza istituzionale di rapporto diretto autore-spettatore. È al livello dell'intreccio che la teatralità agisce con suoi condizionamenti e caratteristiche specifici, legati innanzi tutto allo spazio scenico, reale e simbolico -alcontempo; l'azione, il gesto, la parola sono dotati di una tensione pragmatica più alta che nella narrativa; poiché il tempo degli eventi rappresentati in scena coincide con quello della rappresentazione, ne conseguono l'opportunità di schierare intrecci minori paralleli a quello primario e una generalè concentrazione topo-cronologica. Nel romanzo, invece, la presenza di un narratore comporta un prevalere di diegesi, quindi un EGLI sovraordinato ai tratti mimetici (dialoghi IO-Tu tra i personaggi), la dominanza dei tempi storici, una serie di mediazioni orizzontali tra autore e lettore, attraverso cui passa il fatto comunicativo, per modo che motivazioni e esposizione di antefatti vengono elaborate esplicitamente dal narratore. Naturalmente la pratica applicativa è condotta a aggiungere complicazioni necessarie al modello di base. Come esempio può valere il teatro nel teatro di Shakespeare, che accentua la finzione del genere mediante l'incassamento, o c::s «mise en abime», di una scena2 .s ~ dentro la rappresentazione princi- ~ pale (scena1). Il rapporto della ~ scena2 con la scena1 attiva la fun- ,.,. zione pragmatica della scena ins ~ cassata (si pensi a Hamlet), mentre altre caratteristiche di tale scena2 (incompletezza, rapporto intermittente e esplicitato tra attore e personaggio, temporalità desultoria) e poi i giochi di rimbalzo tra le due scene con i vari indici meta- ;g_ comunicativi mettono le due azio- ~ ni teatrali in un rapporto speculare complesso. Con parole di Segre: «Abbiamo due specchi di fronte, e le immagini rimbalzano dall'uno all'altro, all'infinito, così da sovrapporre fantasmagoricamente realtà e finzione». Si apre così una finestra sul teatro moderno, che enfatizza le condizioni di artificio dello spatio teatrale in quanto mondo possibile e sfrutta quindi la fenomenologia della scena en abfme liberandola, per così dire, dall'incastonatura. 11 primo capitolo dedicato al solo romanzo stuzzica le nostre attese, promettendo (e mantenendo) spiegazioni su «Quello che Bachtin non ha detto» intorno alle origini medioevali del romanzo. Il grande teorico della pluridiscorsività sociale rappresentata nel romanzo, in effetti, ha trascu-, rato alquanto la narrativa medioe- • vale d'invenzione, oppure - quando l'ha presa in considerazione - ha piegato la storia alle proprie esigenze teoriche, puntando sui testi parodistici o «carnevalizzati»; Segre, invece, si sofferma proprio sulle origini medioevali per estrarre dal corpus storico, fondatore della parola roman e del genere, un'altra linea che si prolunga fino a oggi ed è ricca di spunti in sede teorica e di metodo. demetaforizzare il più possibile il ·concetto di punto di vista, che nel cinema è misurabile almeno dai movimenti dell'occhio meccanico, ma nella narrativa rischia di diventare troppo vasto e fluttuante essendo spesso privo di marche grammaticali. Un riferimento costante al taglio bachtiniano, cioè alla polifonica orchestrazione linguistica - i cui elementi sono già marcati ideologicamente e perciò sono depositari di quelle opinioni sul mondo che regolano la dialettica . autore-personaggio e autore-lettore -, consente a Segre di formulare con ragionevole ottimismo l'obiettivo di un'analisi narratologica che integri le due prospettive tenute in parallelo nella carrellata bibliografica, prestando attenzione ai meccanismi di produzione Il romanzo cortese, con Auerbach «autorappresentazione della cavalleria feudale nelle sue forme di'vita e nei suoi ideali», per sua natura non può interessarsi al sociale variegato o conflittuale per ' proporne la trasposizione polifonica cara a Bachtin; in compenso è già smaliziato quanto alla prospettiva della visione: il rapporto autore-personaggi, autore-lettore, e persino quello più sottile, e apparentemente tutto· moderno, che svela il carattere fittizio di ogni narrazione mediante riflessioni dell'autore sul suo procedimento testuale, sono ampiamente testimoniati nel romanzo medioevale. una catabasi verso i processi sottesi al carattere bifronte, linguisticosemiotico, dell'opera narrativa. Nella proposta di Segre è chiaro il programma di raccordare finalmente rigore di analisi formale a sondaggi verso il sociale e l'antropologico. Che questo sforzo di sintesi sia tutt'altro che eclettico lo prova la scrematura energica compiuta sul concetto di intertestualità, ultimamente dilatato fino a diventare inservibile. Nella sfera letteraria esso viene ricondotto entro i confini di ciò che è dimostrabile ed è così illuminata la fenomenologia della fonte, segmento comune a due testi diversi caratterizzato da coincidenze tematiche e formali, mentre per i «rapporti che ogni testo, orale o scritto, intrattiene con tutti gli Per questa via Segre compie un duplice riscatto. Da una parte, riaggancia gli anelli di una catena ininterrotta che dai secoli XII e XIII trasmette alla nostra contemporaneità caratteristiche fondatrici del romanzo, per esempio la quete che definisce il Bildungsroman, da intendersi come ricerca dell'eroe ma anche dell'autore, entrambi in rapporto dinamico col mondo, l'uno nell'azione, l'altro mediante la presa di coscienza della scrittura; dall'altra, sutura il pensiero bachtiniano (orientato verso i registri stilistici, i dialetti sociali e insomma la parola come ideologema) con attrezzature ermeneutiche in dotazione al mondo occidentale, francese e anglosassone, attento piuttosto ai rapporti prospettici che regolano la messa a fuoco della narrazione, alle mediazioni di cui si arricchisce la comunicazione letteraria (punto di vista, distanza, i vari tipi di narratore, le varie figure di autore, ecc.)".· Bruno D'Alfonso A ll'insegna di questo intento di classificare e fare ordine nelle teoriche sulla narrativa, ma anche all'insegna di una forte progettualità, è organizzato il capitolo Punto di vista e polifonia nell'analisi narratologica. La panoramica mette in contatto Henry James, Lubbock, Stanze!, Friedman, Booth con Bachtin, e poi con Genette e Uspenskij per del testo e, più in particolare, al momento in cui l'intreccio si trasforma in discorso narrativo: «Realizzando l'intreccio in discorso, vanno prima sistemati i canali attraverso i quali si vuole che la storia venga comunicata al lettore (voci); poi, in un più minuzioso censimento dei contenuti narrativi, viene scelto, punto per punto (e più o meno nettamente), l'orizzonte percettivo entro il quale saranno situati (modi); è infine consustanziale all'elaborazione linguistica la varietà di posizioni ideologiche assunte dallo scrittore. (... ) le posizioni ideologiche, che hanno un modo dichiarato di ufficializzarsi tramite le voci (si pensi alla stilizzazione e alla parodia segnalate da Bachtin), si rivelano però in ogni parte del testo, attraverso le sfasature anche minime tra la posizione dell'io e quella degli al-· tri cui l'io ha dato vita; sfasature linguistiche che non traspaiono soltanto nei discorsi riferiti, ma anche nel modo stesso di rappresentare narrativamente gli orizzonti percettivi dei personaggi». Da questo modello o successione ideale di momenti nella produzione testuale trarrà profitto l'analisi critica, che necessariamente parte dalla superficie linguistica (il discorso), ma da qui è indotta a enunciati (o discorsi) registrati nella corrispondente cultura e ordinati ideologicamente» Segre propone il termine di interdiscorsività, coniato sulla scia della terminologia di Bachtin, onde circoscrivere una componente essenziale del dialogismo connaturato al testo letterario, che entra in accezioni e proporzioni diverse nel romanzo e in poesia. S i direbbe che non sia facile divertirsi alle prese con nozioni teoriche da storicizzare, arginare, precisare, integrare. In- . vece, quando il bisturi affonda nel corpo ammaliatore di un testo di sicuro valore artistico, l'esercizio della razionalità coopta un sottile godimento dell'intelligenza, la sagacia classificatrice si riversa euforicamente sul gusto della lettura . Mi limito a un paio di esempi, il primo dal teatro rinascimentale, il secondo dalla narrativa contemporanea, avvertendo che in entrambi i casi la complessità dell'oggetto è un bel banco di prova per il modello interpretativo. Nel Maistre Pathelin il diabolico beffatore eponimo manipola i terni di discorso, cioè i topici, e induce una vera tragedia epistemica (inversione vero/falso) nel mercante di tessuti da cui ha avuto una quantità di drappo che non intende pagare-. A lui più che lo scopo importano i mezzi della beffa, l'autoapoteosi di demiurgo di un mondo alternativo in cui celebrare il trionfo della propria intelligenza. La segmentazione e l'analisi di Segre, appellandosi anche alla pragmatica del discorso, mostrano l'impeccabile concatenazione della strategia di straniamento e snidano le parti metateatrali, forse le più sbalorditive per un lettore moderno, per il gioco di convertibilità. tra reale e illusorio che il teatro, quando è grande, sa intrecciare nel suo caleidoscopio: «Mostrare entro una pièce teatrale a che grado di 'teatralità' si possa giungere nella vita è stata la geniale trovata dell'anonimo autore». È vero, alla fine l'ingannatore resta ingannato da uno stratagemma di sua propria invenzione (il guardiano di pecore non gli pagherà l'onorario sfruttando quanto ha appreso dal maestro: l'irridente «bee» che oppone a ogni richiesta lo sottrae letteralmente al discorso!); ma il primato dell'intelligenza - postilla Segre - è assicurato comunque, a specchio di un rivolgimento ideologico enorme: la sostituzione rinascimentale della prospettiva teocentrica con quella antropocentrica, ove dominio intellettuale e crisi del vecchio potere vanno di pari passo. Il romanzo di Italo Calvino, Se una notte d'inverno un viaggiatore, sveglia una sorta di emulazione nel critico. Una scaltra tecnica combinatoria e borgesiane scorn- • posizioni o moltiplicazioni di specchi aiutano Calvino, notoriamente ferrato nella narratologia, a manomettere i tradizionali ruoli romanzeschi: il tu del lettore è convocato entro il testo come protagonista, il romanzo ingloba dieci romanzi e quindi altrettanti narratori, l'atto narrativo è continuamente glossato, la macchina romanzesca messa a nudo. Ebbene, una competitiva scaltrezza ermeneutica assiste Segre nel portare in superficie il ventaglio di tecniche esperite e soprattutto ciò che apparentemente si nega: la funzione demiurgica dell'autore - sicché quello che pare un romanzo del Lettore è veramente il romanzo dello Scrittore, che gioiosamente scombina e ricombina i pezzi della scacchiera. Il ludus al fondo è poi serio, se questo «romanzo della teoria del romanzo» è una metafora continuata della letteratura, vero aleph in cui molteplicità e unità non si contraddicono, ma co,nvivononel susseguirsi degli io, costruttori di storie al contempo diverse e riconducibili all'uno . Al momento di concludere,\ il critico - di solito poco propenso alle irruzioni di tipo soggettivistico - si concede finalmente uno spazio: «In questo modo immagino che si sia divertito Calvino componendo questo libro. Che i lettori (reali) si siano divertiti, lo dice senza bisogno di dimostrazioni il suo successo. I lettori di questo capitolo infine avvertiranno facilmente quanto si sia divertito chi l'ha scritto». La sintonia tra Segre e i suoi oggetti di studio alona di auspici favorevoli la comunicazione tra il critico e il suo lettore, un poco timoroso sulla soglia di un libro impegnativo.

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