Alfabeta - anno VI - n. 65 - ottobre 1984

A ugusto Ancillotti ha voluto assumersi il compito, delicatissimo, di scrivere il capitolo finale, dedicato alla linguistica italiana, del recente Schools of Linguistics di Geoffrey Sampson, di cui ha anche curato la traduzione italiana. Dico delicatissimo perché - come con ragione e in più luoghi l'Ancillotti sottolinea - nel più vasto contesto della linguistica contemporanea la realtàdi una «scuola italiana» è, generalmente, o trascurata o, per le ragioni storiche che pure l'autore ci ricorda, identificata con la «neolinguistica» di BartoliBertoni. Non si tratta certo di una discriminazione contro la linguistica italiana, ma piuttosto, come è evidente, di una conseguenza dell'isolamento culturale (e dunque della relativa provincializzazione) in cui il nostro paese si trovò nel ventennio fascista. In altreparole, per fare un esempio, nel momento in cui più attivi si palesavano, fuori d'Italia, i germi della cosiddetta linguistica sincronica (strutturalismo, fonologia praghese, behaviorismo americano), da noi si continuava, in posizione di netto predominio, immutata e austera, quella linguisticastorica che, comunque venga giudiéata, ricalcavaper oggetto di indagine e qualche volta per il metodo la coeva scuola germanica - imbevuta come si sa di classicismo, estrema espressione winckelmanniana a distanza di almeno mezzo secolo dai primi segni di tale tendenza, e pertanto allo stesso modo dedita obiettivamente alla «immutabile bellezza del classico». do things with words, 1962) di azione linguistica con la sua tripartizione in atto locutivo, illocutivo, e perlocutivo, in cui Searle tiene distinti però i due concetti di uso e di significato. Searle, come già aveva fatto Austin, distingue tra il significato letterale di un enunciato e la sua funzione, cioè tra il contenuto proposizionale ( o la locuzione) e la forza illocutiva. Laddove il contenuto proposizionale può rimanere costante la forza illocutiva può invece cambiare, come avviene in enunciazioni come 'Parti oggi?', 'Parti oggi!?', 'Parti oggi!': esse corrispondono rispettivamente a una domanda, un'espressione di sorpresa, un ordine. Così, la dottrina delle differenti funzioni del linguaggio, che in Wittgenstein si .configurava come la dottrina dei Scuole~lJjgguistica Non tutto ciò che caratterizza una linea di pensiero, un milieu cultur_-ale umano, trova esplicita espressione nei relativi prodotti scientifici. Pur tuttavia, almeno l'insieme della tematicaposta da L. Canfora nel suo Ideologie del classicismo (Torino, Einaudi, I980) mi pare possa applicarsi a ciò che chiamiamo «scuola italiana», almeno fino a tutti gli anni cinquanta e un poco oltre. Non a caso da tempo sussistono nel nostro paese due distinte Società linguistiche, l'una più attenta ai valori della linguistica storica ma non per questo chiusa agli apporti di metodo per così dire esterni (come si vede dalla serie degli Atti dei congressi, in catalogo presso l'editore Giardini di Pisa); l'altra dalla fisionomia più nettamente sociologica e, in parte, formalistica, che indaga di preferenza aspetti e metodi delle lingue viventi e i cui materiali sono editi per solito dal Bulzoni di Roma. Tale presunto dissidio si va, a quanto pare, progressivamente colmando, come con ragione osserva anche l'Ancillotti in molti brani del suo denso capitolo. Viene da definire osmotico taleprocesso di avvicinamento, in quanto - per una sorta di insensibile trapasso, non scevro certo di difficoltà umane e politiche - problemi e metodi di un indirizzo si vanno fondendo o assimilando con prospettive e soluzioni dell'altro. In ciò ricreandosi quel naturale eclettismo italiano che lucidamente l'Ancillotti ci presenta nel suo contributo. Ancora, mi pare di qualche inte- 'giochi linguistici', in Austin e in Searle diventa la dottrina delle forze illocutive e quindi degli atti linguistici. • Nonostante quanto ci si aspetterebbe dalla domanda iniziale circa il modo in cui le parole si rapportano al mondo (con essa si apre Speech Ac~), Searle non si sofferma sulla nozione di significato dal punto di vista del suo rapporto con il 'referent', cioè del rapporto tra gli elementi linguistici e la realtà non-linguistica; si concentra piuttosto sull'analisi semantica dei rapporti intercorrenti all'interno delle enunciazioni: i 'sense relationships'. In Expression and Meaning, invece, assume particolare importanza il ruolo che il contesto svolge nell'interazione comunicativa per la determinazione del signifiresse rilevare il fatto per cui non pochi degli elementi richiamati a suo tempo dal Bonfante, come altrettanti capisaldi della metodologia neolinguistica, appaiono oggi di rinnovata attualità nei confronti dell'apporto che alla scienza linguistica è venuto da sue branche ulteriori, come la sociolinguistica. Essa ha mostrato di quale tenore sia l'influsso sulla lingua del fattoremoda in quanto espressione di ideologie di comportamento, in sostanza, di casta. E il divenire linguistico, osservato da tale angolatura privilegiata, appare come un continuo tentativo di adeguamento da parte degli utenti della lingua a canoni di volta in volta espressione di ceti (e culture) emergenti. Si pensi ali'ovvia e ormai travolgente • americanizzazione degli aspetti anche più spiccioli della nostra cultura (e lingua): le categorie sociali attualmente 'traenti' si ispirano alla cultura americana con estrema coerenza, al punto che un'attenta considerazione della dinamica dei fatti di gusto (nella scia di Roland Barthes e, da noi, di Gilio Dorfles e Umberto Eco) può con vantaggio - oggi più che mai - integrare la considerazione di quelli più strettamente linguistici, trattandosi ovviamente, anche nel caso del gusto, di un codice più o meno esplicitamente posto. E anche di ciò l'Ancillotti ci offre un quadro realistico (pp. 231 sgg.). Di particolare rilievo appare tra l'altro - per quanto, come la sociolinguistica, si situi al di fuori della linguistica storica in senso proprio, ma piena di suggestioni al fine di cato: emerge così, in confronto con la teoria del null context, il carattere essenziale, in sede di analisi del significato, di categorie come il background knowledge, le presupposizioni e le implicature. In Intentionality, infine, si analizzano i rapporti tra elementi linguistici e la realtà non-linguistica e interiore, e cioè lo stato intenzionale antecedente all'intenzione-inazione. Secondo questa analisi, è già al livello dell'intenzione antecedente al linguaggio e al significato che vengono a crearsi quegli .stati psicologici come il desiderio e la credenza attraverso i quali gli oggetti, gli organismi, gli stati e gli eventi sono messi in rapporto al mondo. Quest'ultimo libro, dunque, che cosa aggiunge all'analisi del significato degli atti linguistici? Searle Piccolo incidente un arricchimento metodologico ed euristico di questa - la cosiddetta linguistica testuale, sorretta dal fecondo concetto di macro-struttura. In tale filone rientra, innestando suoi precedenti studi in Inghilterra nel solco della scuola pavese di semiotica e critica letteraria, Maria Elisabeth Conte (cfr. nel volume da lei curato, La Linguistica testuale, Milano, Feltrinelli, 198]2, l'Introduzione, pp. 9 sgg.). Il punto su vari aspetti logicoepistemologici della linguistica contemporanea da parte di Noam Chomsky è comparso in un'intervista al linguista americano da parte di L. Vitacolonna (in Alfabeta n. 20, gennaio 1981, pp. 9-10). L'amico Glauco Sanga mi segnala il volume IX,3 (1982) di Historiographia Linguistica, nel quale sono raccolti importanti contributi 'storici' sulla linguistica italiana contemporanea e 'pre-scientifica' (dovuti a Mirko Tavoni, Teresa Poggi Sa/ani, Rudolf Engler, Giovanni Nencioni, Herbert Izzo, Franco Lo Piparo, Domenico Santamaria, Robert A. Hall jr, Luigi Rosiello, Cesare Segre, Yacov Malkiel, Paolo Ramat, Hans H. Christmann). Di tale ampio e approfondito panorana (nell'ambito del quale chi scrive ha letto con particolare trepidazione la parte dedicata a Benvenuto Terracini) il contemporaneo contributo dell'Ancillotti costituisce il brillante, naturale complemento. Concludo rilevando ancora che, a dirimere la (attardata) dicotomia linguistica diacronica vs linguistica sincronica basterebbero, oggi, le serene considerazioni di Maria dice che rimangono in piedi le cinque categorie secondo cui aveva precedentemente classificato gli atti linguistici distinguendoli in: assertivi, mediante i quali si afferma come stanno le cose; direttivi, che tentano di influire sul comportamento degli altri; commissivi, con i .quali il parlante s'impegna a fare una data cosa; espressivi, che esprimono i sentimenti e gli atteggiamenti del parlante; e infine dichiarativi, che mirano a determinare cambiamenti nel mondo. In questo suo ultimo lavoro, però, Searle aggiunge che, per poter dare una spiegazione adeguata di tali categorie manifeste e appartenenti alla struttura semantico-sintattica dell'espressione verbale, bisogna pur sempre risalire allo stato mentale, alla intenzionalità primitiva da cui partono tali categorie. Corti, che così scriveva su Alfabeta n. 50-51 (luglio-agosto 1983, p. 4): «Già negli anni venti Sklovskij aveva con la consueta arguzia aff ermato che, se in ogni epoca coesistono diversi punti di vista e indirizzi, nell'arte come nella critica, vi è tuttavia sempre nella fase della esistenza simultanea una scuola o un indirizzo che si impone, assumendo un ruolo dominante sino a raggiungere una sorta di canonizzazione. Nel frattempo gli indirizzi minori, che sussistono in funzione di cadetti, avviano un rapporto dialettico, quando non di scontro, con l'indirizzo dominante e, dal momento in cui quest'ultimo viene a trovarsi canonizzato, essi cominciano a produrre squilibri, granelli di anarchia che mantengono, a suo dispetto, la società in stato di grazia finché una delle linee cadette prenderà a sua volta il posto di quella dominante. In altreparole, non esistono nell'universo letterario prolungati diritti di maggiorascato. In questa prospettiva molte polemiche del passato hanno esercitato un importante ruolo di rinnovamento». Augusto Ancillotti La neolinguistica e la scuola italiana di linguistica storica in Geoffrey Sampson Scuole di linguistica a cura di A. Ancillotti Milano, Mondadori, 1983 pp. 312, lire 12.000 La capacità degli atti linguistici di rappresentare oggetti, stati e avvenimenti deriva dunque dalla capacità della mente di rapportare tali entità al mondo tramite atti quali la credenza e il desiderio. In altri termini, per una descrizione più completa degli atti linguistici, Searle ritiene necessario rendere conto di come la mente mette gli organismi in rapporto alla realtà. Perciò possiamo dire che la teoria del significato degli atti linguistici, elaborata nel primo libro della trilogia, con quest'ultimo libro, Intentionality, . viene situata nel contesto più ampio di una teoria generale della mente e dell'intenzionalità. Wittgenstein aveva detto che i limiti del mondo sono i limiti del linguaggio; Searle precisa che i limitLdel linguaggio sono i limiti dell'intenzionalità .

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