Alfabeta - anno VI - n. 64 - settembre 1984

t-:·:::)/~lntervista a HaroldBlaom Aldo Tagliaferri ·conseguente dal fatto che era bel- nerale, vi.sia una specie di neo-or- Questo testo costituisce • circa il 50 .per cento di una intervistaregistrata a Brunnenburg (Tirolo), in casa di - ga - doveva µiolto alla scuola,,di : . tpdossia, eh~.è una dotttjna forma• . • rMary de Rac~wiltz, figli:adi Ezra Pound. ' ... D Nel febbraio 1983, il .Ti- ' mes Literary Supplement ., e pubblicò una lettera di . Parigi, e Hart~an ora è inconc~pi..,· .Jç consegue_~tedaH'idea secondo la_ _bile,credo, senza Derrida. . ,quale il -logos è fondamentalmente stabilito dalla storia della te<;>lqgia, . Origini e formazione .: e questa ,stotja delimita rigorosaD.. E cosa mi di,cidelle tue stess.e mente l'area entro la quale la critiorigini? Bloom. Assolutamente nessun -rapporto con la cultura e il pensie-. Cleanth Brooks nella quale si, difendeva la validità del lavoro com-. . piuto dai critici raccolti sotto, l' etichetta del New Criticism (R. Penn Warren, J. Crowe Ransom, Allen Tate, Donald Davidson . e W. K. Wimsatt) e si sottolineava energicamente la differenza tra questi critici . ro..francesi, La mia alle<1;n~caon alcun.iamid .diYale va intesa stret-. ca, e in un.certo senso la narrativa e la poesia, possono operare. E tutti loro credevano appassionatamente che si dovesse mantenere netta questa distinzione, tra critica e teologia, mentre io credo che tale distinzione non sia mai stata netta, e neppure possa esserlo. e i rappresentanti· di «una. nuova generazione di critici, come Paul de Man, .Geoffrey Hartman, Harold Bloom e Stanley. F,is.h».Sei d'accordo con Brooks nell'evidenziare questo salto generazionale? Harold Bloom. Penso, in tutta onestà, e anche se altri considerassero.questa una enormità, che sussista· .una cont,ihui~à.assoluta tra Brooks;War.ren, Wi~satt, Tate e .. Ransom da una parte, e la genera~ zione di q~elli che io, quale che sia l'immagine che propongono di se stessi, chiaiherei New Critics di Yale: mi riferisco a Hartman, Miller, Jacques Derrida e anche a Paul de Man, da poco sçomparso. Sono tutti ironisti. Non vedo alcu- . tamente in termini di politica accademica. Avevamo gli stessi nemici . tra i docenti più anziani ma, tutto sommato, vi erano tra noi grandi differenze spirituali e intellettuali. _Pensodi aver fatto un grave errore quando mi venne l'idea di fare un libro che doveva intitolarsi Deconstruction and Criticism. Il titolo aveva un'implicazione scherzosa, ma non venne preso come uno scherzo. A volte temo di aver inventato il termine «decostruzione», perché ricordo una conversazione •con • Jacques· Derrida, circa dodici o tredici anni fa, quando ci incontrammo la prima volta e gli dissi: Quello che lei sta facendo è un forte fraintendimento, o una forte dislettura, di Heidegger; alla sua distruzione lei ha sostituito quella. che possiamo definire una decostruzione. Così mi trovo nella na differenza tra queste due gene- ironica situazione di aver datò razioni e vorrei aggiungere che . un nome a qualcosa che io stesnon ho nulla da spartire con entrambe, e che non è corretto, mister Brooks, classificarmi come appartenente all'uno o all'altro gruppo. La mia posizione non è conciliabile né con quella del primo né con quella del secondo. In effetti - come de Man disse - per entrambi l'ironia non è un tropo, bensì la condizione stessa del discorso letterario e critico. D. Tuttavia ricordo che già i critici della generazione di Brooks trovavano generica l'etichetta del New Criticism e si poteva capire la loro insofferenza, visto che per certi versi erano persone molto diverse... Bloom. Beh, se parli di loro in quanto persone, anch'io vedo differenze, ma non le vedo se consideriamo la questione nei termini di un discorso critico. Ransom forse era un po' più liberale degli altri, non solo in termini politici, ma anche per quanto concerne quello che potremmo chiamare il discorso della poesia e della critica. Quanto a me, non credo di avere qualcosa in comune con de Man, o Derrida, o Hartman, o Miller, per non parlare di Fish. D. Però era notevole la diff erenza tra la posizione tomista di Wimsatt, per esempio, e quella di Brooks. Bloom. Bill [Wimsatt] era cattolico, Brooks appartiene alla High Church. Bill era un dogmatico assoluto, mentre Brooks è un dogmatico relativo, ammesso che si possa parlare di un dogmatismo relativo ... D. Forse Brooks tocca il nocciolo della questione quando, dopo averti situato tra i critici della nuova generazione, aggiunge che la nuova scuola di Yale è «progenie di alcuni signori francesi». [Bloom scoppia a ridere.] Che ne dici di questa genealogia, per quanto ti riguarda? Bloom. Questo è vero degli altri. Cioè, Miller viene prima da Poulet e poi da Derrida; Paul de Man - nonostante la differenza so non posso sopportare. D. Puoi dire qualcos'altro circa la tua formazione? Bloom. In realtà ho cominciato come revivalista romantico. Brooks, Warren e Wimsatt e tutti gli altri erano seguacidi Eliot, prendevano parte alla polemica culturale eliotiana e come Eliot, alquanto influenzato da Pound, deploravano la letteratura ottocentesca inglese e americana. Per loro Tennyson aveva scarsa importanza, Whitman aveva scarsa importanza. E naturalmente erano tutti ostili a Wordsworth e a Shelley. Un critico come Hazlitt, che personalmente giudico il critico inglese più forte dopo Samuel Johnson, per loro non aveva alcun peso. Molti anni fa ebbi con Bill Wimsatt una conversazione nel corso della quale cercai di spiegargli che Hazlitt era una figura fondamentale: Hazlitt aveva capito che poesia e potere si trovano in un rapporto molto intimo. Bill mi investì aspramente dicendomi che i teologi l'avevaqo già detto molto tempo fa. Ecco, penso che, in quella prima generazione della critica di Yale, o del cosiddetto New Criticism in ge- . Il famoso detto di Arnold, che tutti loro in un modo o nell'altro sottoscriverebbero, secondo il quale «la poesia è_religionetraboccata», a me sernbra assolutamente sbagliato. Quando si sostiene che la teologia comprende uno spazio etico così ampio, con altrettanta Grande bastione moderno fondatezza si potrebbe dire (contro Arnold, contro Eliot, ma non necessariamente contro Pound) che la teologia in un senso profondo è sempre poesia traboccata. Per quanto ne so io (ma accetterei di essere contraddetto su questo punto ).Pound non era un cristiano. Ho torto? Eliot era un cristiano, e cristiani erano i seguaci di Eliot. Invece non credo che Pound fosse un cristiano, come poeta, come teorico o come essere umano: era un classicista, un seguace della tradizione poetica e culturale del Mid-West, ma non credeva nell'incarnazione, no? La nuova generazione, invece, è fondamentalmente neo-heideggeriana, e io con tutto ciò non ho nulla da spartire. La tradizione poetica D. Proponi una diversa prospettiva della tradizione poetica? Bloom. Vi sono numerose tradizioni occidentali che non sono quella di Eliot. (Non sono sicuro che ciò valga anche per Pound, ma non mi sembra che abbia molto senso attribuire a Eliot e Pound lo stesso atteggiamento verso la tra: dizione). L'approccio molto selet-· tivo alla tradizione proposto da questione della dizione poetica, ~liot - approccio che costituì il che è una questione di enunciato·e , pun~o di partenza della prima ge- . di tradizione dell'enunciato. La nerazione del New Criticism ....mi teoria moderna francese;, per .par~ costituisca un modello critico quanto ne so, nella maggior parte estremamente rigoroso nel delimi- . dei casi si basa su quella che ·consitare lo spazio della critica lettera- dero una lettura debole del moviria: crede che la tradizione filosofi- mento. del pensiero• tedesco- del- - ca sia interamente costituita da l'Ottocento e deL Novecento, e una mescolanza di platonismo cri- . • trovo molto ironico il fatto che una stiano e di aristotelismo cristiano, e dimentica la tradizione stoica e epicurea, forse altrettanto profondamente presente, con la sua inclinazione materialistica, nella storia , della letteratura occidentale (quest'ultima riappare in poeti così di- -versi come Shelley, Whitman .o Stevens, che sono materialisti epicurei o lucreziani). È una versione molto selettiva dell;i tradizione, che lascia fuori , gran parte degli elementi propri della tradizione -protestante inglese. E, dopo tutto, la sequenza più importante della poesia inglese· non è cattolica.· È una tradizione che comincia da Spenser, passa· per Milton e continua con i mag- • giori poeti romantici e vittoriani e poi con i poeti americani dell'Ottocento e del Novecento: è protestante, radicalmente protestante. D. Vuoi precisare il senso e la portata della differenza tra la tua posizione teorica e quella della nuova generazione dei critici di 1 Yale? Bloom. Dissento da loro totalmente. Loro attribuiscono priorità alla figurazione sul significato (e io non l'attribuisco), credono nell'epistemologia del tropo (nella quale io assolutamente non credo), pensano che la filosofia e la critica siano sempre quasi alleate (mentre io penso che siano in guerra l'una contro l'altra). Loro non credono in quello che Emerson chiama «il grande, imponente Sé americano», mentre io ci credo fermissimamente. Non so che farmene di questo curioso vangelo francese che sostiene che il soggetto in qualche modo è stato fatto esplodere. Non ho niente a che fare con. costoro. Ma c'è qualcosa di più essenziale: a me non interessa un linguaggio della critìca che sia lontano dal linguaggio dei poeti. Credo di essere vicino alla «poetic diction», che non è affatto la concezione francese del linguaggio, che considero semplice tropo, una specie di macchina demiurgica. La questione che interessa è perché i poeti usano una parola, o un'espressione, invece di un'altra, e questo ripropone, naturalmente, la vecchia .sorta di .riduzione linguistica francese del pensiero tedesco dell'Ottocento· e del Novecento v,engaora trapiantata nella diversissima tradizione della poesia angloamericana, e che in qualche modo si -supponga. che la poesia si adegui a quella tradizione. Freud e Lacan D. Quando· scrivevi L'angoscia dell'influenza l'opera di Freud ti sembrava «non abbastanza sublime», ma nel 1982 ritenevi che fosse individuabile una linea di continuità ·tra l'anonimo autore della storia di Giacobbe (Genesi 32, ,23-32) e Freud, ,e che proprio il «'sublime agonistico» li accomunasse. Mi sbaglio o Freud nel frattempo è di- . ventato per te più importante? Lo hai riscoperto? Blooin. Vero, vero, ma non è . una riscoperta. Leggo assiduamente Freud dal 1965, così come leggo Emerson, ma, ovviamente, mentre Emerson non mi causa alcuna angoscia, Freud mi turba molto. Sono sette anni che cerco di finire un libro su Freud, ed è la mia Waterloo... non ci riesco. Penso che, alla fine degli anni sessanta e poi nei settanta, quando stavo scrivendo su Freud, mi illudevo. Invecchiando, occupandomi sempre di queste questioni, lo trovo orribilmente inevitabile: dovunque tu vada, lui ci è gi~ stato. D. E Lacan? Come giudichi La rilettura di Freud proposta da Lacan? Bloom. Ci sono due Lacan. Il Lacan del famoso discorso di Roma è un tipo molto bizzarro, una specie di gnostico naturale, che ha avuto qualcosa come una illuminazione, una visione sulla strada per Damasco, nella quale improvvisamente vede che tutto il discorso umano e quello freudiano si compenetrano, e quello è molto simpatico, e l'ho letto con un certo •senso di divertito piacere. L'altro Lacan, che diventa una specie di mostro semiotico, lo trovo insopportabile e non ha alcun rapporto con Freud. Cercherò di esprimere questo in qualche modo dicendo che non è vero che l'inconscio, per quanto ne so, sia strutturato come un linguaggio: è strutturato come il linguaggio di Freud, per il semplice motivo che è il linguaggio di Freud. Questo sarebbe il mio modo, in quanto pragmatista, di starmene lontano da Lacan. In effetti Lacan, come Jacques Derrida (che è una persona molto più simpatica di quanto lo fosse, a mio parere, Lacan), è un esempio di quell'abitudine francese di leggere le cose tedesche l'una attraverso l'altra, per così dire, così da produrre una incredibile mescolanza di Heidegger e Freud, che, penso, è semplicemente assurda. Freud riconosceva la priorità del fatto. E credo che lì stia la vera differenza. Credo che se sei un hegeliano - e Lacan infine è hegeliano, tutti i francesi sono hegeliani tardivi -, se dunque sei un hegeliano tardivo, allora sei intellettualmen-

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