Alfabeta - anno VI - n. 64 - settembre 1984

Herclerl,inguaggioe natura Johann Gottfried Herder Giornale di viaggio 1769· a c. di M. Guzzi presentazione di C. Sini Milano, Spirali Ed., 1984 pp. 168, lire 12.000 Sprachphilosophische Schriften a c. di E. Heintel Hamburg, Felix Meiner, 19752 pp. LXVIII-248 Karl Grob Ursprung und Utopie. Aporien des Textes. Versuche zu Herder und Novalis Bonn,. :Bouvier, 1976 pp. 140 Il Questo è l'errore dell'e- '' poca in c~i vivi~m~:_molto tempo pnma d1 001 e stata inventata una lingua, migliaia di generazioni prima di noi l'hanno arricchita di raffinati concetti, noi apprendiamo la loro lingua, percorriamo in due minuti mediante vocaboli ciò che essi hanno ideato e imparato a comprendere in secoli, e così non impariamo nulla, ci invecchiamo tra grammatiche, dizionari e discorsi che non intendiamo» (Herder, Giornale, p. 150). La modernità è malata: una catena di cattive traduzioni- ,.a tradizioni ha disperso le linee di forza che innervavano il testo oscuro e profondo della sua infanzia. L'accelerazione perversa del «secolo delle esperienze» e la disponibilità assoluta delle culture umane offerte all'occhio enciclopedicohanno destituito ogni reale dimensione spazio-temporale, non consentono più vera esperienza. È un mondo estenuato per troppa luce: su tutti i sensi domina in-· contrastato l'occhio, organo della superficie. «La prima parola era Vita, e anche la prima legge, la lingua ( ... ) non deve essere studiata per gli occhi e tramite gli occhi, ma parlata per le orecchie e tramite le orecchie» (p. 82). La civiltà evita il disagio. solo se le sue parole continuano a risuonare come «buona» traduzione della vita. Sull'opera di Herder non si è scritto molto da noi negli ultimi anni, e gran parte di essa è ancora inaccessibile al lettore italiano. Questo autore è noto in genere come protagonista dello Sturm und Drang o come «precursore» dello storicismo. La bibliografia in lingua tedesca mostra invece, a partire dagli anni cinquanta, un interesse crescente per Herder (assieme a Hamann e Humboldt) nell'ambito della filosofia del linguaggio e dell'ermeneutica contemporanea. L'antologia curata da Erich Heintel raccoglie le pagine più significative della riflessione herderiana sul linguaggio1 • Il Saggiosu~'origine del linguaggio (1770) rimanda già nel titolo a un dibattito settecentesco che costituisce un vero e proprio genere letterario. Tuttavia, attraverso la lezione di Hamann, Herder dispone di una tradizione in parte estranea ai suoi interlocutori illuministi: la mistica tedesca del logos e le sue rielaborazioni pietistiche (sino a Lavater). Per Hamann la natura e la storia sono una Rivelazione continuata, un «discorso alla creatura attraverso la creatura»: il parlare umano è già un rispondere, un compito infinito di traduzione del mondo. Herder interroga per tutta la vita il mistero del linguaggio (definito come un Proteo inafferrabile), con una scrittura allusiva, enfatica, densa di metafore. Le strategie testuali di avvicinamento moltiplicano le aporie e le linee di fuga teoriche divergenti, quasi consapevoli di non aver a che fare con un «oggetto» tematizzabile, né con un rapporto di denotazione. Semplificando molto, si può dire che Herder parli del linguaggio soprattutto come di un'apertura di senso, più che come di uno strumento comunicativo-referenziale. «Sì, ma che non dimentichi mai la domanda: in Francia, anche i bambini parlano francese?» (Giornale, p. 118). Ogni lingua nazionale, con la sua «povertà e sovrabbondanza», è l'accesso a un mondo. Il «magazzino di pensieri di un popolo» è «assimilato avidamente dall'orecchio di chi ascolta la propria lingua materna» (Sprachphil., p. 96). Nei progetti educativi del Giornale di viaggio, la lingua materna ha lo status ontologico di ingresso nel mondo. Anche qui, all'aurora del senso, bisogna prevenire gli effetti patogeni di una cattiva traduzione. Con un esorcismo pedagogico che ricorda l'Orbis pictus di Comenius e le raccomandazioni dell' Émile, Herder vuole insegnare vocaboli «insegnando al contempo le cose stesse», allontanando altri metodi che diventino «veleno per la vita intera» (p. 77). L a metafora dell'aurora è ricorrente negli scritti herderiani, rispondendo simmetricamente a metafore di perdita e di morte. Dagli scritti e dall'amabile socialità dei moderni è fuggita l'ultima eco di tempi in cui «parlare e cantare erano la stessa cosa». Si continuano allora a interrogare i momenti aurorali delle culture e delle biografie, attraverso la ripetuta immagine del silenzioso e sotterraneo schiudersi del seme, per assistere all'incarnazione della vita nella parola e capire come poi la linfa si disperda. Le metafore di «incarnazione» implicano un corpo della parola che la consegna alla temporalità e alla finitezza. Herder, nella Metacritica alla çritica della ragione pura (1799), pur fraintendendo l'a priori trascendentale, replica a Kant che «quando si parla di un Stefano Marzocchi concetto, ·non dobbiamo vergognarci del suo araldo e rappresen- .tante, della parola che lo designa ( ... ). Una filosofia del linguaggio umano è la vera critica della ragione pura, così come della fantasia; solo essa ha in sé tutti i criteri dei sensi e dell'intelletto» (Sprachphil., pp. 183-84). Herder critica ripetutamente l'ideale filosofico della trasparenza assoluta, come perdita di quella vita-forza che solo il tessuto verbale può trattenere, ma anche come un illusorio libero arbitrio che dimentica di essere già sempre portato da una corrente di significati non controllabili esaustivamente. «Noi siamo uomini prima di diventare filosofi: possediamo dunque già pensiero e linguaggio, prima ancora di avvicinarci alla filosofia, ed entrambi devono fungere da fondamento( ... ). La lingua materna! Una montagna, rispetto alla quale il piccolo numero di astrazioni filoSalmone freddo alla parisienne sofiche è un monticello di talpa» (pp. 136-37). Il corpo opaco delle parole è il tessuto vivente della tradizione, ma implica anche l'originarietà della metafora rispetto a ogni utopico «senso proprio». Herder riprende probabilmente da Locke il progetto di una semiotica generale e parla di una «filosofia negativa», fondata sull'assunto che «il linguaggio fornisce limiti e contorni all'intera conoscenza umana» (p. 99). Questa pratica del sospetto non è una terapia esaustiva del linguaggio della metafisica, che possa eliminare la retoricità costitutiva del parlare umano. Ma, allora. la volontà di buona tradizione-traduzione che attraversa molti testi herderiani, spesso lateralmente, nelle loro costellazioni metaforiche, risulta in essi insituabile tematicamente. Non soltanto il discorso umano e le voci della natura sono tra loro incommensurabili, ma questo stesso «rapporto» non è enunciabile, a meno di postulare uno sguardo trasparente che possa entrare e uscire dall'orizzonte del linguaggio. N el Saggio del 1770, Herder confuta la tesi convenzionalista di Condillac, la connessione ripetuta tra le stesse parole e le stesse cose, riconducendola a un circolo vizioso: «insomma, nascevano parole, perché c'erano parole prima che ci fossero» (Saggio, p. 20). Analogamente, replicando a Stissmilch e alla sua tesi dell'origine divina, parla di una «trottola dal moto perpetuo» che Herder crede di poter fermare cogliendo la vera scena primaria. «Basta sbagliare il punto della precisa genesi della lingua, perché il campo dell'errore si allarghi immensamente ( ... ). Il fine della verità non è che un punto, ma collocatici lì sopra, vediamo da ogni parte» (p. 47). Karl Grob, nella prima parte del suo libro, opera una decostruzione di questo saggio herderiano, facendo dialogare il che cosa tematico con il come della sua testualità (cfr. l'Introduzione), l'utopia dell'origine con le aporie del testo. Herder, dopo aver aperto diversi sentieri, interrotti dall'impossibilità di parlare dell'origine della parola, aggira di colpo ogni interdetto con una strategia enunciativa che chiama in causa il lettore, collocandolo nel punto di osservazione della verità. La scena dell'origine è visibile solo a un occhio fuori-testo. «La posizione di chi si rappresenta la scena è quella di un'autocoscienza divina, che non ha bisogno di alcun linguaggio» (Grob, p. 19). All'occhio della trascendenza «spetta un sapere che risale al di qua del1o' rigine del linguaggio e consente di osservare l'invenzione del linguaggio» (p. 20). Questo sguardo silenzioso contempla anche il peccato d'origine: la prima parola umana nasce come figura retorica. Un segno distintivo diviene rappresentante unilaterale della cosa, isolandone più o meno arbitrariamente una qualità: è una sineddoche dell'oggetto, traduzione infedele che ha già subito altre traduzioni metaforiche, come «metastasi» (la parola è di Herder) da un senso umano all'altro, ove l'udito è la mediazione tra il tatto e la vista. Come per tutto l'empirismo, il discorso sulla genesi della lingua è anche una gnoseologia: le prime parole sono errori epistemologici. Ogni problema filosofico della verità è fuori gioco, dopo questa genealogia. Ma proprio l'errare della lingua, per Herder; è la nascita della mitologia. «Siccome l'uomo riferiva tutto a sé; siccome pareva che tutto parlasse con lui (... ), tutti questi elementi umani si sono impressi anche nei primi nomi. Anch'essi parlavano d'amore e di odio ( ... ). Tutta la loro mitologia giace in queste miniere e il più antico dizionario divenne un pantheon sonoro» (Saggio, p. 54). La bonifica filosofica di questi errori fecondi è appunto la malattia senile della modernità, quindi la stessa volontà herderiana di buona traduzionetradizione non può spingersi sino a strappare l'ultimo velo retorico all'alba del senso. «Il testo sta di nuovo di fronte alla favola, a quella volpe che si comporta mille volte così come la descrive Esopo, ma mai nel senso di Esopo. Solo nella favola essa agisce nel senso di Esopo e l'unica cosa da fare, per salvare la verità della favola, sarebbe di non interrogarla. La storia della ragione è però la storia di questo interrogare la favola. Come decostruzione della lingua poetica, essa riconosce la favola come figura e il proprio compito come quello della defigurazione della lingua. ( ..) Allo stesso tempo, però, Herder dice che questa distruzione di una figura è la costruzione di una nuova figura ( ... ). La radicale distruzione dell'analogia. non è realizzabile linguisticamente. Il potere della mitologia, già data con la lingua stessa, non è aggirabile» (Grob, p. 58). Nel Giornale del 1769, il viaggio è sempre mancato. Bisogna mantenere una distanza onirica, per abitare una grammatica dell'immaginario. Una traduzione letterale del mondo, più volte invocata, è continuamente allontanata come il maggiore pericolo. «Ci si immagina che sui mari, mentre si passa lungo terre e paesi, si pensi molto a loro; ma in realtà questi paesi e queste terre non si vedono neppure. Sono soltanto una nebbia lontana» (p. 46). Il prezzo è l'imposs-i,bilitàdi colmare la mancanza, che segna· la· propria epoca e la propria vita ..Vi sono anime destinate a chiudere.la vita «senza aver goduto niente e avendo sempre afferrato ogni cosa come nella fretta di un atterrito viandante sul punto di partire» (p. 30). «Cosa mi ha più avvinto, cosa mi ha più sconvolto della distanza?( ... ). Da ciò la mia propensione verso le ombre dell'antichità ( ... ) i sogni della mia gioventù intorno a un mondo delle acque» (p. 134). Lo sguardo che vuole trascendere l'orizzonte delle parole appare nel Giornale come un sogno marino di traduzione «analogica», desiderata e temuta. «I pesci che vengono in superficie sono solo uccelli ( ... ). Chi vorrà determinare in base a essi tutto ciò che si trova nel mare? ( ... ) Se un passero si sollevasse fino alla Luna, potrebbe forse far da modello della intera natura della Terra?» (p. 33). L'infanzia, «nel lungo e profondo sogno della sua aurora», svanisce al sole violento del meriggio. oO ...... ~ .5 ~ ~ Nota •~ °' (1) Alcuni dei testi antologizzati sono ...... già stati tradotti in italiano. Il Saggio ~ sull'origine del linguaggio è' tradotto da E G. Necco, Mazara-Roma, S.E.S., ~ 1954. Parti dei Frammenti sulla recente ~ letteratura tedesca sono tradotte in ; Herder-Monboddo, Linguaggio e so- 'O cietà, a c. e trad. di N. Merker e L. i:: Formigari, Bari, Laterza, 1973. Parti S delle Idee per la filosofia della storia ~ de/l'umanità sono tradotte da V. Ver- ~ ra, Bologna, Zanichelli, 1971. 1i

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