latte, che sarebbe stata buonissima se gli uggiolii e il puzzo della cagna , malata e il trepestare di usci e finestre nella tempesta non avessero rattristato la serata. Si era quindi chiuso in una stanzetta molto rassettata con buon letto e fuoco nel camino, ma per quanto stanco fosse, a volte si destava inquieto per la· voce della vedova che oltre la parete, nella sua stanza, intratteneva la cagna con buone parole e pianti. - E poi? Fu verso l'alba che la cagna morì. Il fuoco era spento, ma c'era ancpra qualche barlume di tizzone o forse già qualche luce trapelava dagli spacchi degli scuri. Comunque era proprio per i tizzoni che lei diceva di essere venuta, e raccontava piangendo come la cagna che lei aveva tirato in letto con sé per consolazione, avesse in punto di morte pisciato e cacato per tutto il letto e anche vomitato nel rendere l'anima. Con qualche tizzone si •poteva asciugare. «Oh no» aveva detto lui. «Prendetevi il letto, signora». - E poi? che storia era mai questa, con la morte spregevole di una miserabile cagna, bestia immonda quant'altra mai? - Era una storia di morte e risurrezione - aveva spiegato lui inferocito - risurrezione della carne -. Ma subito, pentito, aveva aggiunto che non sapeva che storia fosse e che parlando, o per confessione o per giustificarsi, sempre era incerto se la storia che raccontava fosse sua o di altri. In un certo senso il raccontare per giustificarsi è sempre raccontare di un altro o un'altra storia e così anche lo stesso ricordare, perché la memoria sempre tende a giustificare. Inoltre, a volte la bocca da sola aggiungeva cose che la mente non intendeva, come il suo menzionare la risurrezione: In resurrectione autem neque·nubent neque nubentur, sed erunt sicut angeli. Certo anche questo è giusto. Ma chi era lui Cuclato, che non riusciva a dir niente di sé a partire da se stesso? Homo ferrei oris et plumI viaggi di Casanova I Non c'è felicità nel moto, pensò Casanova, né dolore. Andava intanto la carrozza, da Archangel a Kewrol. II Ma Bettina gli ha dato la chiave e Casanova con grazia cammina sotto la luna. III A Omsk fece un sogno: d'essersi svegliato col suo tricorno sul capo e poi riaddormenta~o. Quando si svegliò trovò che fa cosa continuava dentro di sé: continuamente si svegliava e poi si addormentava. bei cordis, ormai non cercava più neppure di ricordare che ogni ricordo era solo un veder con gli occhi della mente questo spazio o mondo o teatro, quasi sempre di femmine. Non gli restava quindi che la solitudine, per tentare, a partire da quella, se ci fosse qualcosa da dire che fosse anche un dire di sé, come certamente ognuno sarà richiesto di dire al giudizio divino. Dire di sé non come storia, dunque, ma per aggettivi e giudizi e, forse, più insulti che lodi. Benché la solitudine sia fatta tanto di congratulazioni quanto di condoglianze, forse è più prudente dolersi e Cosimo Ortesta lamentarsi che ridere ed essere allegro, almeno se uno vuole attenersi alle poche cose che sa con certezza. F orse, a ben pensarci, solitudine e sapere sono molto vicini, intendendo per sapere quelle nozioni che perseguitano fino nel sonno. Dormendo, infatti, lui non cessava mai di sapere del peccato e delle femmine e, sebbene queste cose le vedesse quasi dinanzi agli occhi, minacciose o promettenti, da penitenza o da allegria e più spesso insieme in entrambi i modi, tuttavia in qualche sonno e persino nel dormiveglia, il suo vederle era vicino al non vederle, il suo fuggire o inseguire vicino alla immobilità o indifferenza, il suo temere e amare a volte era quasi non timore e non amore. Si può sapere delle tenebre pur senza vederle o addirittura - gli pareva di ricordare - si può sapere delle tenebre non sapendone: e in quest'ultimo caso forse il santo intendeva che personalmente non abbiamo niente a che fare con la certezza delle nozioni. Sapere non è vivere, ma al contrario una passiva accettazione di ciò che, non potendosi cambiare, può fare a meno della nostra presenza. Sapere insomma è per un soggetto in absentia, e tuttavia la solitudine comincia dalla sapienza o forse comincia alla cieca e per così dire nel buio della mente, dove tuttavia la sapienza ripete ciò che già si sa, cioè che Cristo è l'eterno figlio di Dio incarnato da Vergine e tutte le altre cose che la Santa Chiesa instancabilmente ci insegna, dibattendosi ne.I frattempo l'io fra lo stupore e la noia. - Ripeti! - dice la Chiesa. E l'anima col rosario in mano ripete, finché il fruscio delle parole cognite la abbrutisce, gettandola nella confusione. - Figlio dell'eterno Dio ... - Eresia! eresia! - grida la Chiesa. - Eterno figlio di Dio - balbetta l'anima correggendosi. Ma ormai con l'eresia e la dannazione è sopravvenuta la solitudine, nella quale pur si comincia a vedere. Del resto, che cosa possiamo dire di figliolanza e generazioni, a parte ciò che racconta la Chiesa? E tuttavia, nella solitudine con farneticare eretico, il racconto per insegnamento pare racconto per sé, come si fosse a teatro, avendo quasi dinanzi agli occhi la fatticità generativa, la pena e la fatica e tutto il tangibile della carne femminile. Certo, anche in una commédia di amori oscenissimi niente accade che sia vera esperienza e tuttavia lo spettatore, ridotto dal silenzio e dal buio della platea alla sua solitudine, sente convincimenti e passioni; sente e crede cioè alla immanenza del possibile, sebbene sappia che tutto il possibile è solo finzione a scopo educativò: una favola perì didascalias kàrin. Ecco: il sapere può fare a meno dell'io e parimenti di tutte le facoltà o possibilità soggettive, di tutte le frottole o storie, di tutte le finzioni di immanenza dell'anima nel mondo. L'ignobile possibilità, la lurida materia delle forme e delle immagini, la delizia dei pensieri soavi, gli indugi nelle speranze di fortuna sono per il sapere tutti errori o eresie o, se proprio si vuole, sono per la coscienza soggettiva, giudizi e biasimi circa sé, così che di se Raffaello Baldini stessi si possa parlare, pur senza dover raccontare alcuna frottola o storia, dicendo in. vece semplicemente Miserere mei, o altre .simili proposizioni. Certo, anche in absentia si può sempre parlare d'altro per svago o distrazione o per sentito dire, come si fa oggidì circa malessere di popolo, ruberie di potenti, simonie et alia. E di recente a questo proposito aveva sentito fare molti discorsi sciocchi, il peggiore dei quali era circa bande armate che, essendo sfuggite al controllo delle autorità, ora erano sul punto di impadronirsi del Santo Padre per impalarlo. GiorgioFicara IV VII X L'imperatrice Al tramonto Cavaliere, fatevi sorrise: - Cavaliere, arrivò sul mare di Kem. vedere, - sospirò il vostro nome vi precede. - Saltavano su la contessa - fatemi Si inchinò Casanova. i pesci e gli dicevano: vedere un po' E ora dove - Casanova, non quella cosa. sarà mai, - pensava - ti fermare! - Sia pure - disse maestà? Casanova, a cui VIII la richiesta V Un giorno non era nuova. Una notte, nella capanna si trovò nel tribunale di Marja, la cosacca, di Dio (il bosco XI si pentì dei suoi viaggi. di betulle di Ore/). Sulla riva Aveva bevuto cichìr Fino a terra s'inchinò, della Nevà, Lisaveta e mangiato kasa fumante ma solo il vento e vendeva lucci e e come un eroe il picchio gli rispondeva. témoli. Marja lo aveva S'inchinò ancora: A Casanova quella merce amato. sarà - pensava - che non conosce piaceva il cerimoniale. e se ne accorse Lisaveta. VI Marja come al tombolo IX XII dall'arpa trae CavaUere, siete Ma stasera non esce note. molto bello... di casa e neppure A una a una le tende - la contessa susurrò - Malwyda nell'azzurro, e molto mi piacete. Sorrise la gatta soriana. all'incantato Casanova e con pazienza Sdraiati sul divano Casanova cantando si tolse si guardano la stessa.canzone. il mantello. per ore senza un gesto d'amore. M a, sciocchezze a parte, cioè senza indulgere in desideri o speranze, volendo parlar per svago, cosa avrebbe potuto dire ritornando a Milano? - Passeggiavo lungo un fiume, allorché vidi sull'altra riva una donna immobile all'ombra di un albero. - Che faceva? - avrebbero chiesto. - Niente faceva: era immobile-. Per dirne di più, lui avrebbe dovuto vederne di più o, sia pure vagamente, immaginarsene di più co-. me si immagina di una storia ancora non letta o di una commedia ancora non vista, per via del titolo o altri indizi. Anche questa storia della donna incontrata o appena intravista per caso non richiedeva esperienza: era una storia d'altro, come se ne raccontano appunto per svago. Di tutte le cose viste può raccontarsi per svago una storia che non ci tocchi in alcun modo: cose innocenti come: - Ho visto un verme. - Che schifo - insinua l'interlocutore. - Lo schiacciasti? - Io no - si difende il narratore. - Altri lo fece-. Così, senza dolore né danno, la storia del verme è completa e similmente dunque si potrebbe dire di aver visto una donna. - Che bella! - interviene il solito interlocutore indiscreto. - La scopasti? - Io no, altri lo fece - si può rispondere o, per salvare la dignità maschile, si può dire che la donna non era scopabile o perché vecchia, laida o perché santa. -E se fosse proprio una santa?- si chiese il monaco, aguzzando gli occhi verso la foschia. In fondo la santità poteva essere titolo o indizio come di storia non detta e commedia non vista, oppure insegna, emblema, proponimento morale e insieme progetto per una storia tutta da narrarsi, non più questa volta per giustificazione e confessione a titolo personale, ma in senso generalissimo per didascalia o solo per edificazione e purgazione dei più. XIII Il duello Morirà il postò/i, - pensava - o io... E anche il postò/i pensava: - io morirò, o lui. Quando partirono i colpi a ognuno l'altro apparì: - così, diceva, neanche questa è la morte. XIV Chissà che non si spenga l'apparenza, domani, e ce ne andiamo per mano sulla riva di un fiume senza riva e senza fiume. ...... ~ c::s s: ·~ ~ ~ ":t- ~ ....... e - ~ bo c::s --- .9 - ~ - <'r') ~ ~ I:! ~ ~ ~ ~ - c::s e - s: ~ ] ~ §, ..,
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