Alfabeta - anno VI - n. 59 - aprile 1984

Comune di Milano Ripartizione Cultura e Spettacolo E.T.I. Ente Teatrale Italiano OUTOFF Associazione Culturale SUSSURRI O GRIDA Movimenti nel nuovo teatro italiano al Teatro dell'Elfo dal 10al 15 aprile La GaiaScienza m Cuori strappati dal 17 al 20 aprile TeatroStudio di Caserta m Studio per la gioia di vivere dal 26 al 29 aprile TeatrodellaValdoca m Lo spazio I della quiete dal 3 al 6 maggio J, Krypton m • Eneide Ingresso L. 8000 abbonamento 7 spettacoli L. 35.000 Sul numero di maggio di «Alfabeta» elencheremo i titoli degli spettacoli e le altre manifestazioni in programma. al Cinema Teatro Anteo dal 11 al 20 aprile Teatroe/o_ Video Rassegna di video collegati allo spettacolo teatrale Ingresso gratuito Per informazioni tel. 02-6598449n16791 SUSSURRI O GRIDA è un progetto OUT OFF Associazione Culturale Milano terpreti e probabilmente per l'impaccio di Leo nel dirigere degli attori oggettivamente estranei alla sua cultura teatrale, e sfuocati dal privilegio di attenzione che si accorda alla sua presenza. Purtuttavia, c'è un piano di leggibilità di questa operazione teatrale e esso, se non aiuta forse a superare l'impatto col pubblico, fornisce delle ipotesi di un certo interesse per chi le voglia assumere. Ci si riferisce non tanto al disegno, dichiarato dal programma, di rifondazione del «mito del grande attore» (protagonista teatrale dell'epoca di Verdi) quanto al disegno registico e. soprattutto alla strutturazione della prova d'attore di De Berardinis. L'intenzione «politica» che orienta lo spettacolo è chiara: si tenta un assemblaggio di elementi (un grande classico, un protagonista «assoluto» che aderisce al personaggio così come mostra di conoscere e riproporre una leggibile - e godibile - tradizione teatrale) che dovrebbe consentire un massimo di successo e un massimo di dignità culturale; insomma, un buon punto di fuga per una cooperativa teatrale che, come la maggior parte delle sue consorelle, non ha fino a oggi saputo mantenere le promesse della nascita. E anche un'operazione di qualificata concorrenzialità con il divismo e il culturalismo proposti dal teatro più commerciale (dai Gassman ai Lavia). In questo senso la sfida è persa, se non altro perché il riscontro 'di pubblico è la smentita oggettiva di tale presupposto. È persa perché De Berardinis non aderisce completamente all'operazione: non può, e lo dimostra nell'incapacità di formare una nuova compagnia numerosa, omogenea e di buon livello; non vuole (ma qui siamo a un'impressione molto personale) perché la su·aperformance suggerisce altri obiettivi culturali. Tralasciando la lettura del piano di regia (la lucida follia di Amleto, la sua debolezza umana, la sua vigilia d'illuminazione che si trasforma in tragedia) che prevede la realizzazione del copione come un giallo (e s'intuisce che potrebbe funzionare come già in altre regie celebri), e tralasciando l'impianto scenografico e illuminotecnico, in sé interessanti e innovativi nella varianza di suggerimenti che davano e nella capacità di moltiplicare le possibilità di montaggio delle immagini - tralasciando tutti questi aspetti, resta il nodo centrale dell'interpretazione di Leo De Berardinis. Ha scelto una strada sorprendente: la sua recitazione è costituita, sul piano vocale, di «citazidni» di grande attore. Non uno in particolare ma tanti, o meglio le convenzioni tonali che colano dalla memoria del grande attore tragico all'italiana e che ancora si sentono riverberare in alcuni, pochissimi interpreti (Salvo Randone, per esempio). Leo giustappone questa citazione continua, che si fa musica, a scivolate e intermezzi su toni di quotidianità, di quel parlato «atonale» che gli era più proprio negli anni precedenti; ma anche questo risulta quasi citato per via dei confini entro cui viene messo. Niente più microfoni, ma piuttosto uso di un'ampia gamma diaframmale e della maschera fonetica facciale. E una gestualità per niente enfatica, come si immaginerebbe quella corrispondente del grande attore ottocentesco, ma semplicemente funzionale all'emissione, con fermate e pose quasi pittoriche, come a segnare la via crucis del personaggio. Spettacolo noioso, s'è detto. In attesa d'uno studio e di una definizione soddisfacenti della noia a teatro, studio ormai improrogabile e a cui ci proponiamo di contribuire, cerchiamo di capire la noia di questo Amleto. È uno spettacolo noioso, come testimonia la diserzione del pubblico e l'opinione dei pochi che vi hanno assistito? L'aggettivo può essere inteso con due significati almeno: la mancanza di comunicazione e la monotonia (la prevedibilità) dell'esecuzione. I più sembrano attribuire all'Amleto il primo tipo di noia, per non essere stati investiti da una comunicazione ricca di livelli e di sorprese. In effetti, questo spettacolo presuppone uno spettatorelettore, piuttosto che un pubblico incantato, dunque una scelta a priori di cimentarsi in un'elaborazione dei segni predisposti (ecco, di nuovo siamo lontani dalle supposte intenzioni «seduttive»); ma la noia che discendesse solo da ciò sarebbe difendibile, servirebbe tutt'al più a precisare il pubblico cui lo spettacolo si rivolge. Purtroppo, invece, abbiamo sperimentato una noia di altro tipo, dovuta all'assuefazione a un disegno registico che non viveva e non cresceva per mancanza di un complesso di interpreti, mancanza cui il protagonista non poteva supplire, in un'edizione integrale poi, e che nemmeno poteva essere ignorata nella contemplazione degli elementi figurativi del disegno (per esempio l'affascinante e cangiante costruzione che è quella scenografia, originale nel risultato ma pure antologia di eleganti citazioni, dal teatro giapponese all'informale, da un geometrismo fantastico alla Kandinsky ai figurini di Luigi Perego e ai piazzati luce di Maurizio Viani; tutte preziosità discrete quanto funzionali). D'altra parte non pochi trovano sommamente noiosi, tanto pef fare nomi, alcuni recenti spettacoli strehleriani che emozionano invece coloro che vi leggono senza fatica la realizzazione dei propri ideali teatrali; dal che possiamo dedurre provvisoriamente che la noia è fatto tutt'altro che oggettivo e che nello scoprire le sue motivazioni contingenti vengono alla luce le domande sostanziali che come spettatori facciamo al teatro. Infine, questo spettacolo e il lavoro di Leo costituiscono un aspetto non secondario della ricerca di un tragico contemporaneo, che risulterebbe «noioso» anche se realizzato senza impacci. Dovremmo allora avere il coraggio di ammettere la solidariet~ con questo sfondo culturale e la disponibilità a difendere i suoi esiti intermedi, dissociandoci da chi identifica il successo con la risposta di botte- •ghino. V erdi è anche sullo sfondo dell'operazione di Carmelo Bene, non solo perché d'ispirazione verdiana sono le musiche di Gaetano Giani Luporini e perché Verdi dichiarava un'ammirazione per Manzoni che potrebbe fare supporre un'influenza o una consonanza drammaturgica, ma soprattutto perché Bene assume l'Adelchi in forma di concerto, riservando a sé la lettura di tutti i ruoli previsti dalla riduzione, eccetto Ermengarda. La concentrazione del testo nella phonè, con aggiunta di sobrio ma non essenziale impianto visivo, non assimila, come potrebbe sembrare, l'Adelchi alle precedenti prove dell'attore ma resta quello che è: una lettura e non uno spettacolo teatrale. Ora, se diamo per buoni tutti i suggerimenti della campagna d'informazione che hanno contornato lo spettacolo, ovvero sulla grandiosità - anche propriamente teatrale - del copione manzoniano e su Adelchi come eroe tragico simbolo del «rifiuto del politico», daremmo buone giu-. stificazioni a questa interpretazione di Bene. Non condividendo invece il parere sul testo e in più accusandone l'appartenenza a una lingua non già «lontana» come quella di Dante, ma ancora vecchia, e trovando questa volta distante l'elaborazione teorica di contorno dalla proposta teatrale vera e propria, abbiamo il senso di una prestazione di rappresentanza. La conoscenza del testo è data per acquisita e la lettura ne fornisce un'interpretazione che, nonostante le acquisite e mirabili doti di Bene nel di~e i versi e nel prodursi nelle voci dei vari personaggi, non disegna la vicenda. La declamazione non arriva ai livelli del teatro .. Resta un saggio di cultura • celebrativa e municipale, sia pure ali' alto livello. L'intima debolezza dell'operazione risulta anche dall'intreccio tra voce e musica. Bene dispone di un impianto di amplificazione e la sua dizione s'intreccia con una base registrata e con le percussioni di Mario Striano. Il riferimento musicale del compositore è soprattutto il Verdi dell'Otello, ma i debiti sono vari. È veramente musica di terza mano, segnata com'è dall'assenza di personalità nei riferimenti e nella banale intenzionalità enfatica da cui è segnata: una caduta di stile che quasi tutti hanno notato, dissociandone in genere il significato da quello complessivo dello spettacolo. cerche più rigorpse e radicali come quelle di un Robert Ashley (almeno la composizione per questo spettacolo). Il «testo» è quello di Boito, non certo Shakespeare. Gordon non poteva quindi che rifarsi esplicitamente all'Otello verdiano, trattandone i motivi e le romanze così come un musicista del suo tipo compone per un testo. Il risultato è troppo invàdente per essere apprezzabile, i momenti di lettura e sintesi personale sono spersi in un mare di note che servono da tappeto alle immagini. Le quali immagini appartengono agli attori, alle proiezioni di diapositive e alla vita della scenografia traversata da un siparietto. Gli attori non.parlano ma, ridotti al triangolo •di protagonisti e qualche comparsa, sono esecutori di movimenti coreografici che, oltre a mostrare la mancanza di una solida preparazione specifica, connotano positivamente qualcosa di nuovo, una specie di forza leggera; gli attori-coreografati rappresentano gli incontri e gli stati d'animo di Otello, Jago e Desdemona (rispettivamente Andrea Renzi, Tomàs Arana, Cristiana Liguori), o meglio una serie lineare di situazioni: dialoghi e monologhi sono mimati e sintetizzati a tempo ~i musica, mentre scene, costumi e proiezioni accennano a un sincretismo di immaginari (cinema anni quaranta, teatro di cartapesta, fumetto, modem dance e coreografia tv... ). La giustapposizione di questi elementi può sembrare semplicistica e banale, ma il successo deriva (è un'ipotesi) dal suo permettere l'identificazione di un pubblico ch'è ormai una categoria sociale connotata da una voglia di spettacolo e da una non conoscenza dei modelli forti rappresentativi, da un investimento libidico diffuso e ___ ---d/. soddisfatto piuttosto dalla decoraL--- ..;.·;;.-,·- .-.~.. .. '-~voi------+----~ zione, da una sentimentalità- epiLorenzo Maltolti La voce di Bene s'intreccia a mi::- gliaia di volt con quei suoni e tende a creare una struttura complessiva da opera lirica di tono epico • realistico. A partire da un simile disaccordo con alcuni elementi fondanti dell'operazione, si può giungere a una visione grottesca dello spettacolo, a un Bene che sembra la caricatura di se stesso e a un Adelchi collocato in un'atmosfera teatrale molto simile a quelle che lo stesso Bene ha sempre combattuto. La stessa amplificazione ci appare qui come una protesi agitata a intimidazione del pubblico. Adelchi è richiamato in questa sede solo per indicarlo come altro modo di rifarsi a Verdi, molto diverso dal primo non solo per i mezzi prescelti ma soprattutto per la sua esteriorità: la teatralità verdiana è ripresa come «lettera della filosofia», per riprodurne gli -effetti, quindi con logica subalterna, storicamente datata. L'intensità e il virtuosismo che comunque Bene investe nell'operazione trascendono il carattere accattivante e «civico» che pure segna lo spettacolo, pregio per alcuni, limite per altri. O te/lo di Falso Movimento era nato due anni fa come spettacolo d'occasione: venticinque minuti di sintesi dell'opera verdiana giocati in una nicchia di Castel Sant'Elmo a Napoli. Uno spettacolo folgorante, stando alla memoria dei pochi spettatori di allora. Poi il gruppo ha riprodotto su palco un pezzo di castello, Peter Gordon ha composto una colonna sonora originale e Otello s'è dilatato a spettacolo «normale» di un'ora e mezzo, conoscendo un grande successo come campione della «nuova sensibilità» teatrale. Uno spettacolo dove tutti hanno il sopravvento. La musica, la love . music di Gordon, ha un carattere intermedio tra la disco music e ridermica, forse «fredda» per il suo essere segno di un'integrazione nel mondo che non si voleva accettare e al tempo stesso sottrazione allo statuto di soggetto sociale attraverso l'autodisseminazione in mille situazioni spettacolari: una sorta di protagonismo consumistico a mezzo di maschere. Anche la rappresentazione di questa nuova sentimentalità trova un riferimento non secondario in Verdi, nello spirito più che nella lettera della musica e della teatralità verdiana. (Ma potrebbe trovarlo anche in Puccini: la lettura attualizzante e quasi brechtiana della Butterfly messa in scena da Ken Russell è solo uno dei prmù segni del prospero futuro rappresentativo che l'autore di Torre del Lago potrebbe conoscere a opera della «generazione postmoderna»). Per ora Falso Movimento è a Verdi, perché un fondo napoletano e sanguigno, latente ma pure esistente, rimane il segno discreto del legame non ancora spezzato tra il gruppo e un'altra personale nozione di tragico contemporaneo - che rimane allo stato latente, che non trova dei propri rigorosi riferimenti culturali. Le apparenze dicono dunque cose diverse e in futuro solo alcune di esse potranno prevalere, ma per ora questo passaggio verdiano resta come il manifesto di uno smarrimento e nello stesso tempo di un futuro teatrale non prevedibile. Falso movimento ha ancora molte ..,,. scelte da fare. Anche il giudiziodi- l"r) c:s pende dalla prospettiva che si sce- .s glie: se. si -accetta l'ipotesi dell'ac- t quisizione al teatro di un pubblico ..,,. nuovo, di discoteca, oppure se si ~ scommette su una disseminazione ...., ~ (utile? necessaria? opportuna?) a.. del teatro su un altro terreno (fer- §- °' tile <,> sterile?). "'l È probabile che il fantasma di t: Giuseppe Verdi frequenti anche i ~ prossimi spettacoli di questi artisti, ;g, e che di nuovo ci aiuti a leggerli. ~

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