Alfabeta - anno VI - n. 59 - aprile 1984

Mensile di informazione culturale Aprile 1984 Numero 59 - Anno 6 Lire 3.500 GarinsuBucharin Amleto Adelchi (Attisani) Dama (Gualietini) Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo IIInO • Printed in ltaly Agenzie per la comunicazione pubblicitaria in Milano e Modena Inediti:Barthes, Boeziodi Dada, lalman F Celati Dadamaino Giuliani D. Velasquez. Ritrauo di un nano di palazzo in un disegno di Jurij Lotman Il senso dellaleHe1r11l"r (Gramigna/Guglielmi M. Cometa: Usare il mito * G. Franck: Rosenzweig * G. Gramigna: Le parole che mancano A. Guglielmi: Una democrazia clelle fonne * G. Celati: Paloma,, la prosa clel monclo * G. Ficara: L'astronomia cliCalvino Prove d'artista: Daclamaino/A. Giuliani: Anima Asola Malsana * R. Barthes: Cronache (a cura cliI. Peuini) * Da Parigi P.. ■onora: Lastazione cliBologna * F. Sossi: Lévinas su Proust* M. Fermris: DecostruNori americani E.Raneli: Come mutare il passato * Testi: Boezio cliDacia: De summo bono (a cura cliG. Fioravanh1 J. Lol1111Ge nN. Nlkolaenko: Dialogo clegll emisferi cerebrali (a cura cli5. Saheslioni) * E.Garin: li libro c1· llucharin 5. Sacchi: Boris Souvarine * V. Tomeo: Il sistema e la norma* C.Maubon: AraJJon contro Breton * Cfr. Ch. DeblelN: Bousquet e la ferita * D. Frigessi Castelnuovo: La clistlnzlone * A. Attisani: Amleto, Aclelchi, Otello M. Gwall•rinl: Solo ciance* M.M. Memola: I salti clivoce * Centro cliclocumentazlone sulla legislazione d'emergenza (4) G. Moglla: Il caso ce11troamericano * D. Natoli: La televisione sprecata* Giomale clei Giornali: Le elezioni primarie in Usa ' Indice della comunicazione: Informatica e stampa * Lettere* Le immagini: Storiestrisce

~ANCHIDA EDITORI angel amigo PONCHO la fuga da segovia introduzioni di vincente serrano izco luigi bruni jack london LA BOXE due racconti a cura di vincenzo ruggiero victor serge DUE RACCONTI il vicolo san barnaba l'ospedalé di leningrado a cura di ermanno gallo vincenzo ruggiero ida travi UN MATERASSO CHE VA A VAPORE esperienze sulla comunicazione grafica nella scuola materna con una nota di elvio fachinelli roberto vaccani .. E LA TESTA RITROVO' LE MANI proposte concrete di lavoro in classe gallo-ruggiero-silvi GLI OSTELLI DELLO SCIAMANO alle radici della tossicomania coll.111.1 l l'.I"" ,·1,t1 luigi bruni E.T.A. storia politica dell'esercito di liberazione dei paesi baschi introduzione di eva forest matériaux IL RIFIUTO DEL LAVORO gli operai contro lo stato TI:.\\l'llllJ.\ I ll!Hll:l e,> r ") ci ," n S , :2 '.J : -J i 1 , il . : : u kl. (I~) (j~•-~l.:J le immagindiiquestonumero· C'è stata un'evoluzione importante nel fumetto italiano degli ultimi quattro anni: a far data dall'uscita del primo numero di Frigidaire nel 1980 e dalla costituzione della cooperativa Storiestrisce, gruppo di autori che gestiscono in proprio i frutti del loro lavoro. Da allora, in termini di mercato, si è sviluppato uno scambio assai ricco di materiali su svariate riviste italiane (Alter, Frigidaire, Linus) che sta ormai assumendo connotazioni internazionali e sempre meno marginali su un asse culturale che passa da New York (la rivista Raw, di Art Spiegelman, i cui materiali vengono in Italia pubblicati da Maus di Linus, e da Frigidaire le storie di Charles Burns), Parigi (Metal Hurlant, L'Echo des Savanes e la nascitura testata a fumetti di Actuel), ma soprattutto da Milano, Bologna e Roma. Nel 1982, coraggiosamente, FrancescaAlinovi esponeva i lavori di alcuni fumettisti italiani all'interno della Galleria d'Arte Moderna di Bologna. Era, evidentemente, un discorso rivolto più all'entourage de~'arte che a quello del fumetto (due mondi che si sono spesso sbirciati ma che non hanno mai comunicato realmente, almeno in Italia), ma era comunque la testimonianza di una ricerca competitiva nei confronti di un'arte sempre più rarefatta, decorativa e consolatoria. Gli autori sono quasi tutti sotto i trent'anni e, novità notevole, esiste tra di essi un alto livello di comunicazione e di interscambio; in altri termini, si è venuta formando una Storiestrisce sorta di tendenza, di «scuola», che generalmente si muove su linee culturali aggreganti: il Nuovo Fumetto Italiano. È il superamento degli scherrzie degli stereotipi classici del fumetto d'avventura, e la riappropriazione di riferimenti sia grafici che narrativi assaipiù ricchi e complessi. Mi pare che l'elemento unificante della ricerca portata avanti dai nuovi autori italiani (quelli di Storiestrisce che pubblicano abitualmente su Alter e Frigidaire e alcuni altri) sia la progressiva disaffezione nei confronti dell'elemento decorativo fine a se stesso e, d'altro canto, l'arricchimento di un segno che si fa sempre più elemento portante della narrazione: un'espansione dellepossibilità di sintesi evocativa contenute nelle sequenze d'immagini disegnate. Paradossalmente, alla maggiore precisione e ricchezza di ogni singola immagine corrisponde un'aumentata importanza dello «spazio bianco» lasciato tra le vignette - spazio che rappresenta lo specifico fumettistico ovvero, al di là dei rapporti tra segno e parola scritta, il margine di libertà d'interpretazione tra due immagini definite, che è poi lo spazio d'autonomia del lettore: a testimonianza del fatto che comunque il fumetto vive essenzialmente del rapporto con la massa del pubblico. In particolare, i lavori che compaiono su questo numero di Alfabeta sono concepiti come visualizzazione di questo aspetto «narrativo» del segno: ad ogni sequenza rappresentata è giustapposta una ricerca segnica «pura», che dà la misura della qualità del lavoro. D'altra parte, il Nuovo Fumetto Italiano - attraverso questo suo arricchimento in termini grafico-narrativi - diventa contenuto-contenitore di rimandi nei confronti di altri mezzi di massa e forme d'arte, ed è proprio da questi presupposti e in vista dellapossibilità di gestire in proprio i momenti d'interconnessione con altri settori che nasce Storiestrisce. Così Massimo Iosa Chini sviluppa attraverso il suo fumetto i rapporti con gli ambienti architettonici e il disegn; Giorgio Carpinteri arricchisce le sue vignette di riferimenti e giochi che rielaborano la lezione delle avanguardie artistiche del Novecento (con citazioni da Balla, Depero, Léger e dal costruttivismo russo), con un'impostazione della vignetta che .è carica, sovrabbondante, sotto questo aspetto assai simile all'immagine video del clip musicale. Su strade simili, ma con ritmi narrativi più lenti e tranquilli, pare diretto il lavoro di Daniele Scandola. Lorenzo Mattotti e François Berthoud propongono invece un uso più materico del colore, a grana grossa, grandi campiture che paiono sgretolarsi come muri graffitati, un colore che racconta, l'uno giocando con commistioni di riferimenti (si va dai romanzi di Buzzati e Queneau ai video musicali di Peter Gabriel e Laurie Anderson), l'altro con suggestioni legate al teatro lirico. Diversamente il lavoro fumettistico di Marcello lori, Roberto Da Pozzo recentemente e, per aspetti diversi, quello di Elfo rielaborano temi legati all'iconografia e a generi letterari popolari (il fotoromanzo, il romanzo rosa e il giallo hard-boiled, rispettivamente), mentre Giacon accumula immagini badando soprattutto ai rapporti interni di ogni singola pagina in un tutt'uno assieme gelido e ribollente, assai ricco di elementi e riferimenti che interagiscono come in un caotico videogame. Igor!, infine, ama inserire elementi di modernità e di moda in un contesto antichissimo e primordiale, usando strutture narrative e sequenziali più lente, che si rifanno alla narrativa orientale e mitteleuropea dei grandi romanzi di Kawabata, Mishima, Doblin, ecc. In altri termini, questi autori di Storiestrisce paiono condurre una ricerca che va nella direzione di un arricchimento di segnali esterni ed è pronta per esplodere coinvolgendo l' «esterno», a sua volta, in un'ipotesi d'interscambio che è caratteristicadel Nuovo Fumetto Italiano. Fumetto che se ha padri nel suo settore sono padri antichi, da Outcalt (Yellow Kid) a Winsor McCay (Little Nemo), a Lyonel Feininger, a Chester Gould (Dick Tracy) e, per rimanere in Italia, a Rubino e Sto. È probabilmente a partire dal lavoro di questi nuovi autori che il 1 fumetto italiano comincia ad assumere connotazioni internazionali, pur non dovendo rinunciare a un'immagine precisa e forte. Franco Serra Roland Barthes Catherine Maubon Cronache Aragon contro Breton a cura di Isabella Pezzini (Il paesano di Parigi - le n'ai jamais M. Bersani - M. Braschi. Sommario VIAGGIO- • Centro di documentazione sulla legislazione d'emergenza (4) pagina 36 NEL '900 Come leggere i testi della letteratura contemporanea A CURA DI MARIA CORTI VIAGGIO NEL '900 è uno strumento nuovo e affascinante per una lettura critica della letteratura contemporanea, di cui individua i diversi percorsi di lettura tenendo conto anche delle novità metodologiche più significative degli anni Ottanta. 1104pagine - L. 22.500 VIAGGIO NEL '900 I ! 'I rom<~,.. i tt'Wi Jdl.olem•rau.. COOlttO(!<>..,... ~ Michele Cometa Usare il mito (Mythos und Moderne, di Autori vari; Der kommende Gott, di Manfred Frank) pagina 3 Giorgio Franck Rosenzweig (Il nuovo pensiero, di F. Rosenzweig) pagina 4 Giuliano Gramigna Le parole che mancano («li senso della letteratura» 4) pagina 5 Angelo Guglielmi Una democrazia delle forme (« Il senso della letteratura/Riferimenti») pagina 6 Gianni Celati Palomar, la prosa del mondo (Paloma,, di I. Calvino; Espèces d'espaces, di G. Perec; Gioco del mondo senza giocatori, di L. Gabellane) pagina 7 Giorgio Ficara L'astronomia di Calvino (Paloma,, di I. Calvino) pagina 8 Prove d'artista: Dadamaino pagina 9 Alfredo Giuliani . da Anima Asola Malsana pagina 10 pagine 11-12 appris à écrire ou /es «incipit», di L. Da Parigi Aragon) a cura di Nanni Balestrini pagina 26 e di Maurizio Ferraris Sergio Sacchi pagina 13 Boris Souvarine Paola Bonora (Stalin, di B. Souvarine) La stazione di Bologna pagina 27 (Concorso di idee per la ristrutturazio- Charles Debierre ne del nodo ferroviario e per la costru- Bousquet e la ferita zione di una nuova stazione centraledi (Note d' lnconoscenza - Traduit du siBologna) lence - La marguerite de l'eau courante pagina 15 - Joumal dirigé, di J. Bousquet) Federica Sossi pagina 28 Lévinas su Proust Delia Frigessi Castelnuovo (Nomi propri - Le temps et l'autre, di La distinzione E. Lévinas; Esperienza limite, di G. (La distinzione, di P. Bourdieu) Franck) pagina 29 pagina 16 Cfr. Maurizio Ferraris pagina 30 Decostruttori americani Marinella Guatterini conversazione con Paolo Spedicato Solo dance Dario Natoli La televisione sprecata pagina 37 Lettere pagina 37 Giornale dei Giornali Le elezioni primarie in Usa pagina 38 Indice della comunicazione Informatica e stampa pagina 38 Le immagini Storiestrisce a cura di Franco Se"a alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta pagina 17 ( Discorso su~evoluzione storica del Comitato di direzione: Eugenio Randi balletto in Italia, di A.M. Milloss; L'e- Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Come mutare il passato voluzione della danza teatralenel Seco- Maria Corti, Gino Di Maggio, (Borges, di E. Rodrfguez Monegiil; lo ventesimo, di A. Testa; La mia vita, Umberto Eco, Francesco Leonetti, L'Aleph, di J.L. Borges; Opere narra- di I. Duncan; Solo mit sofa - Bretter - Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, tive voi. I, di H. G. Wells) Stein, di R. Hoffmann; Banana Lumiè- Gianni Sassi, Mario Spinella, pagina 17 re, di V. Magli; Solotanz-Abend, di I. Paolo Volponi Testi: Doubek; Stato di grazia, di E. Cosimi) Redazione: Boeziodi Dacia pagina 31 Carlo Formenti, Maurizio Ferraris, De summo bono Massimo Marino Memola Marco Leva, Bruno Trombetti a cura di Gianfranco Fioravanti I salti di voce Art director Gianni Sassi pagine 19-20 pagina 33 Edizioni Intrapresa Jurij Lotman Antonio Attisani Cooperativa di promozione culturale Nikolaj Nikolaenko Amleto, Adelchi, Otello Redazione e amministrazionL Dialogo degli emisferi cerebrali (Amleto, di Coop. Nuova Scena, Tea- via Caposile 2, 20137Milano a cura di Simonetta Salvestroni tro Testoni, lnteraction; L'Adelchi di Telefono (02) 592684 pagine 21-23 A. Manzoni, di C. Bene; Otello, di Fai- Coordinatore tecnico: Eugenio Garin so Movimento) Giovanni Alibrandi Il libro di Bucharin pagina 33 Coordinamento marla!ting: (La teoria del materialismo storico, di Giuseppe Moglia Sergio Albergoni N. Bucharin) Il caso centroamericano Composizione: pagina 24 (L'evoluzione recente delle economie GDB fotocomposizione, VincenzoTorneo centroamericane, di G. Rosenthal; Bo/- via Tagliamento 4, 20139Milano Il sistema e la norma lettino Demografico; La situazione del- Te.lefono (02) 5392546 (La teoria del materialismo storico, di la popolazione mondiale, di R. E. Fox; Stampa: Rotografica N. Bucharin) Pensamiento Iberoamericano) viale Monte Grappa 2, Milano pagina 25 pagina 35 Distribuzione: M~ggerie Periodici Comunicazione ai collaboratori tore, titolo, editore (con città e data), Oc.corre in fine tenere conto che il Abbonamento annuo Lire 35_000 di «AJfabeta» numero di pagine e prezzo; criterio indispensabile del lavoro intel- estero Lire 45.000 (posta ordinaria) Le collaborazioni devono presentare c) gli articoli devono essere inviati lettuale per Alfabeta è l'esposizione Lire 55.000 (posta aerea) i seguenti requisiti: in triplice copia e l'autore deve indica- degli argomenti - e, negli scritti recen- Numeri arretrati lire 5.000 a) ogni articolo non dovrà superare re indirizzo, numero di telefono e codi- sivi, dei temi dei libri - in termini utili Inviare l'importo a: Intrapresa le 6 cartelle di 2000 battute; ogni ecce- ce fiscale. e evidenti per il lettore giovane o di Cooperativa di promozione culturale zione dovrà essere concordata con la La maggiore ampiezza degli articoli livello universitario iniziale, di prepa- via Caposile 2, 20137Milano direzione del giornale; in caso contra- o il loro carattere non recensivo sono razione culturale media e non speciali- Telefono (02) 592684 . rio saremo costretti a procedere a ta- proposti dalla direzione per scelte di sta. Conto Corrente Pastaie 154311.08 .gli; lavoro e non per motivi preferenziali o Manoscritti, disegni e fotografie non Autorizzazione del Tribunale b) tutti gli articoli devono essere personali. Tutti gli articoli inviati alla si restituiscono. di Milano n. 342 del 12.9.1981 corredati da precisi e dettagliati riferì- redazione vengono esaminati, ma la ri- Il Comitato direttivo Direttore responsabile Leo Paolazzi ' <""I (l .s -~ ·Q. ~ ..., ~ ... ~ o. <r) i;: s ARNOLDO MONDADORI EDITORE per la scuola menti ai libri e/o agli eventi recensiti; vista si compone prevalentemente di Tutti i diritti di proprietà letteraria ..Q ~~~~~~~~~~~~~~~~_:n:e:_I :cas=o:_d:e::'.i:..'.li:"b:n'.:· _ :occo::'.:rr~e~i:n:d1::·car::_:e:_::_:a::u:-_~co'.:ll:a::bo:=r_:azt:·:o:m:_· _:su:_::co:=numss ::· :i:o:n:e_: .________ ________ t...:e:_:artzs:_::· tica ·=-.'..'.ns:· e:rv=l_ll_l_:·____ _J ~

Usare il mito Autori vari Mythos und Moderne. Begriff und Bild einer Rekonstruktion a c. di Karl Heinz Bohrer Frankfurt a/M, Suhrkamp, 1983 pp. 613, dm 28 Manfred Frank Der kommende Gott. Vorlesuogen iiber die neue Mythologie Frankfurt a/M, Suhrkamp, 1983 pp. 360, dm 18 11 dibattito sul mito ha conosciuto e conosce nei paesi di lingua tedesca dei rinnovamenti che - come di recente ha fatto notare Manfred Frank, uno dei protagonisti dell'attuale MythosDebatte nella Repubblica federale di Germania - fanno pensare più che a delle strumentali rivisitazioni della storia letteraria, schiava dei referenti forti del suo discorso, a quel Unuberwundenes nella storia che - per dirla con Emst Bloch - non ha mai cessato di metterci in questione. Ed ecco quindi che questo residuo mitologico si ripresenta nel «momento del pericolo» (W. Benjamin) quale Logos forte, punto di riferimento e dispensatore di sicurezze non soltanto teoriche. Basta sfogliare le pagine della più recente storia delle idee in Germania per verificare come il mito, nelle sue implicazioni filosofiche, antropologiche, letterarie ma soprattutto sociali, si sia già ripresentato nel nostro secolo, puntualmente, almeno due volte pro- 1 prio in quei momenti che una neanche tanto nascosta ideologia progressivo-illuministica della storia ama definire di «crisi». Stiamo pensando, com'è ovvio, alla complessa stagione ideologica che precede e prepara la cultura nazionalsocialista e al suo suppor - to teorico, esemplificato da opere di grande successo quali il famosissimo Der Mythus des 20. Jahrhunderts. Eine Wertung der seelischgeistigen Gestaltenkiimpfe unserer Zeit (1935) di Alfred Rosenberg, Der Geist als Widersacher der Seele (1929-32) di Ludwig Klages e Das mythische Weltalter {1926) di Alfred Baeumler, tre riletture e «attualizzazioni» del mito e della mitologia che ben si prestarono a una strumentalizzazione politica Glaubens an die Allmacht des Menschen (Reinbek 1979) e del filosofo Hans Blumenberg, Arbeit am Mythos (Frankfurt a/M 1979), una delle opere sul mito più monumentali, in forma e sostanza, di questo secolo. Furono questi i primi passi di una riappropriazione da parte della filosofia più agguerrita del problema del mito (cfr. Autori vari, Philosophie und Mythos. Ein colloquium, a c. di Hans Poser, Berlin - New York, Walter de Gruyter, 1979), nonostante e contro la rimozione teorica a cui si assistette dopo la catastrofe ideologica e materiale del nazismo. Non a caso l'introduzione all'antologia Mythos und Moderne di Karl Heinz Bohrer comincia con una vera e propria excusatio non petita che ribadisce l'attualità del mito non tanto come rinuncia a una lineare da parte deU'establishment nazista. Ma pensiamo anche all'intensa Debatte sulla «nuova mitologia» che si è scatenata in ampi settori della cultura tedesca di quest'ultimo decennio. È del 1971 un ricchissimo volume collettivo {Autori vari, Terror und Spie/. Probleme der Mythenrezeptio;:, a c. di M. Fuhrmann, Miinchen, Fink, 1971) che mette a confronto filosofi quali H. Blumenberg, J. Bollack, O. Marquard, e letterati come R. . filosofia della storia o come presupposto di una psicologia universale, né tanto meno come rilancio di elementi irrazionali tanto ghiotti ai profeti del post-modem, ma l'r) Waming, H.R. Jauss, H. Wein- -:s .s rich sulla ricezione filosofica, let- ~ teraria e teologica della mitologia, ~ e che ha dato vita a una vera que- ~ reUe. ~ A distanza di quasi un decennio, ._ durante il quale questo dibattito si :} è andato sviluppando e ha prodot- °' lr) to significative articolazioni, com- ~ paiono poi le grandi imprese teori- ~ che dello psicologo Horst Eber- ~ hard Richter, Der Gotteskomplex. ~ Die Geburt und die Krise des •piuttosto nel suo potenziale «estetico». S appiamo come storicamente il termine 'estetico' si è andato caricando di ulteriori significati oltre a quello più ovvio connesso all'esperienza artistica, e non è certo un caso che questa parola magica ritorni in ogni triittazione sul mito non solo di carattere letterario ma anche e soprattutto di carattere sociale. È merito della grande filosofia utopica di questo secolo /lVerriscoperto que-. sto nesso che ha però una nascita antica: il preromanticismo di Jena e in particolare il dibattito sulla «neue Mythologie» tra Friedrich Schlegel e il filosofo Schelling. Non è, come vedremo, un riferiMichele Cometa mento casuale né un facile topos della storia letteraria, ma un precedente sostanziale che informa tutta la filosofia della mitologia da Cassirer a Bloch, da Benjamin all'attuale dibattito tedesco. Già negli anni quaranta, all'indomani della catastrofe, c'era chi come Cassirer registrava con rammarico e con evidente ritardo l'immane peso «estetico-sociale» della macchina mitologica nazista: «I nostri miti politici moderni non sono affatto il prodotto d'una potenza oscura e maligna( ... ). È la parola imperativa dei capi politici che li ha fatti nascere. Si è trattato di uno dei massimi trionfi della guerra politica moderna. Il mito è diventato il centro stesso di una nuova arte della tattica e della strategia politica moderna (... ). Lo si può produrre a piacimento» (E. Cassirer, Simbolo mito e cultu- . ra, Bari, Laterza, 1981, p. 239). Significativamente Cassirer sottolinea il carattere di artificialità e di artisticità del mito moderno riferendosi proprio alla tradizione preromantica e schellinghiana. Sull'altro versante dell'analisi del potenziale estetico ·della mitologia sta chi, come Ernst Bloch, si fa interprete del residuo utopico, di quella «luce del non-ancora» che nel mito si nasconde in attesa del proprio riscatto. Strappare il mito ali' «oscurità» della terra delle madri e proiettarlo nel futuro significa di fatto riscoprirne l'implicita teodicea, il desiderio prometeico (che Bloch elogerà nel Prinzip Hoffnung) di essere come Dio, o (questo passo lo farà Walter Benjamin nella sua teoria del tragico) addirittura «migliore degli dei». La «luce del mito» è in definitiva per Bloch quell'utopicum racchiuso nel mito che proprio . perché mai venuto alla luce ha il vantaggio di non essere i!ncora corroso né dalla ruggine né dalle tarme né dal lisolo di un'immagine «moderna» del mondo. Sono parole di Bloch che richiamano un famoso detto di Friedrich Schlegel. Il richiamo al preromanticismo, soprattutto nella sua versione schlegeliana e schellinghiana, è d'altronde chiarissimo nella Mythos-Debatte di questi ultimi anni, richiamo tanto più urgente in quanto furono proprio i preromantici a avvertire il bisogno di una «nuova mitologia» come elemento di legittimazione (Legiti- 'a!>ino? agrr !! • sarai poltiglia per i miei polli mierung) e di giustificazione (Rechtfertigung, Beglaubigung) dell'ordine sociale. In questo contesto vanno collocati i lavori di Manfred Frank e i contributi a Mythos und Moderne che, inaugurando un ulteriore matrimonio teorico con le dottrine sociologiche di Habermas, da un lato, e di Luhmann, dall'altro, tentano 'sub specie aesthetica' un'analisi di quella che Leszek Kolakowski (Die Gegenwartigkeit des Mythos, trad. tedesca, Miinchen 1974) ha definito la «funzione legittimante» del mito. U n ulteriore livello si inserisce a questo punto per fornirci almeno a:lcuni criteri relativi all'indagine sul mito che altrimenti rischierebbe di naufragare in un imperscrutabile conflitto delle interpretazioni. Rinunciando infatti alle domande sull'essenza del mito o sulla sua struttura (patrimonio come sappiamo di innumerevoli approcci filosofici, antropologici, letterari e psicologici), la nuova Mythos-Debatte intende concentrarsi sulle funzioni «legittimanti» e «estetiche» della mitologia in una prospettiva che, come abbiamo ribadito più sopra, ha una lunga tradizione nella cultura tedesca. Cominciamo dalla prima: la funzione «legittimante». del mito. Fugando ogni sospetto di ricaduta in una semplicistica metafisica che interpreta il mito come modello di legittimazione trascendente, giustamente Frank non si interroga sul!' essenza (con i suoi corollari: verità, realtà, storicità) del mito - domanda che lui stesso riconosce quanto mai inattuale - ma piuttosto, in accordo con il suo approccio ermeneutico, sulla sua «funzione comunicativa». Il termine 'funzione comunicativa' esclude infatti immediatamente i due orizzonti teorici più prossimi che pur tuttavia vengono sintetizzati in questo nuovo approccio: innanzi tutto quello funzionalista classico, secondo il quale i miti si strutturano nell'ambito di una società secondo regole più o meno rigide; e poi quello strettamente linguistico, per il quale il mito è una «grammatica», dunque un insieme di regole, che organizza un qualsivoglia significato. Quello che più gli preme è invece la «kommunikative Funktion» dei miti - «quindi né il loro contenuto (ciò che raccontano), né la loro sintassi (la forma della connessione in cui lo fanno), ma il tipo di azione sociale che viene espresso attraverso il racconto mitico (... ) si tratta di capire il quadro istituzionale entro il quale il mito viene investito di una funzione sociale; legittimare cioè la consistenza e la costituzione della società grazie a un valore superiore. Questa si potrebbe chiamare la prestazione pragmatica del mito» (Frank, p. 77). La funzione «pragmatico-comunicativa» del mito e della religio-· ne, che la sociologia moderna da Habermas a Luhmann ha evidenziato con sempre maggiore decisione, coincide quindi con la capacità di «rendere credibili» (Beglaubigung), e quindi legittimare agli occhi di tutti, alcuni processi collettivi che altrimenti la ragione strumentale (il Geist der Analyse dei preromantici) non è in grado di giustificare. È in questo contesto che Frank, ma anche gli altri autori di Mythos und Moderne (P. Biirger, K.H. Bohrer, H.J. Piechotta, W. Lange, G. Mattenklott, H. Freier, R.P. Janz, W.J. Mommsen, J. Habermas, H. Timm, C. Biirger, tra gli altri, con interventi sui romantici, su Stifter, su Nietzsche, su Simmel, su Mussolini, su Freud, ecc.), riprendono il dibattito preromantico e in particolare la «querelle des anciens et des modernes» nella sua versione tedesca, come possibile orizzonte di senso per il progetto di una «neue Mythologie». Proprio citando con Friedrich Schlegel quel passato «antico e primevo», che ha lo svantaggio di non essere mai stato e allo stesso tempo, e proprio perciò,l'enorme vantaggio di non essersi arrugginito nel corso della storia, Frank interpreta il mito come quell'«indimenticato perché mai divenuto interamente» che Bloch definiva subversiv tout-court, quel paesaggio primevo, quella condizione aurorale la cui «esistenza» pura e semplice - a prescindere dafla sua

verità - è di per sé «sintomo della scissione» (Lukacs), ratifica di una «mancanza», quel «Non-ancora» che mette in questione la rinuncia (Entsagung) dei moderni e si proietta caparbiamente nel futuro dell'utopia. Dopo aver ribadito che la ragione analitica non può legittimare ciò che fa e produce e soprattutto se stessa - secondo un vecchio adagio della Dialettica dell'Illuminismo magistralmente commentata da Habermas in Mythos und Moderne - e che certo non lo potranno quelle soluzioni «volontaristiche» di stampo nietzscheano che riducono tutto a un conflitto di forze, a sistemi di interazione e ai loro giochi, Frank non fa certo l'errore di ricondurre la crisi di legittimazione del sociale moderno al tramonto del mito. Piuttosto si tratta solo del contrario. È il raffiorare della querelle mitologica nonché il progetto di una nuova mitologia a inserirsi nel molto più complesso contesto della crisi dello Stato e del sociale. Il mito è insomma la spia - letteraria quanto si vuole, e questo Frank non esita a riconoscerlo - di una tale crisi, anzi il reagente al tornasole che denunzia i sogni assolutistici della ragione analiticostrumentale. Ma se una tale diagnosi può essere sostanzialmente corretta lo slancio totalizzante di Frank può apparire sospetto e preFranz Rosenzweig Il nuovo pensiero commento di G. Scholem a c. di G. Bonola trad. it. di G. Bonola e M. Bertaggia Venezia, Arsenale Ed., 1983 pp. 106, lire 12.000 E scono presso la Arsenale Editrice, ospitati nella elegante collana «Sinopia», due densi e importanti scritti di Franz Rosenzweig (Casse! 1887 - Francoforte 1929), il filosofo ebreo tedesco allievo di Meinecke, noto in Italia soprattutto per la sua radicale critica alla concezione hegeliana dello Stato, interpretata quest'ultima come espressione concettuale .e giustificazione teorica dello Stato nazionale totalitario, ovvero di quella compagine sistematica e onniconclusiva che assòrbe e integra nelle sue strutture costrittive e alienanti la concretezza dell'io empirico e la realtà effettiva dell'esistenza umana. Procedendo da tale critica - che già Kierkegaard, sia pure battendo altre vie, aveva promosso - Rosenzweig ne approfondisce i postulati e ne generalizza le istanze sino a vedere nello schema del «Tutto» il fondamento concettuale su cui si innalza l'intero ccsmo del pensiero filosofico «dalla Ionia a Jena». La filosofia è totalità: un mondo in cui l'esistenza di ciò che è meramente umano è da sempre sacrificata sull'altare del pensiero puro, un campo di relazioni anonime e ne_utre nel quale domina il logos, ma da cui sono escluse le autentiche parole dei viventi. Rispetto all'opera maggiore di Rosenzweig, Der Stern der Er/6sung (La stella della redenzione, di cui si attende l'imminente traduzione italiana presso Marietti), gli scritti pubblicati dalla casa editrice veneziana costituiscono - come avverte il curatore G. Bonola - stare il destro a interpretazioni assolutistiche e organicistiche. L'orizzonte utopico, infatti, non nasconde quello assolutistico - Frank riprende dai romantici la nostalgia verso una mitologia - anzi, riducendo il mito alla «metafora di un bisogno», simbolica generale di una mancanza, non si fa altro che riproporre un modello di totalità - sia esso pure la Menschheitsklasse marxiana - molto simile ai sogni di omologazione totale della cosiddetta ragione strumentale. M a il vero limite delle analisi di Frank sta nel non aver capito a fondo il peculiare tratto estetico della filosofia del nuovo mito, e soprattutto della funzione «estetica» del mito nella società moderna. Il «potenziale estetico» della mitologia è invece, a nostro parere, l'elemento originale della riflessione preromantica, tanto più significativo in quanto l'estetica informa tutto il pensiero moderno. In una formula, pericolosa quanto riduttiva, e che meriterebbe invece una trattazione più diffusa e sfumata, potremmo dire con Schelling (degli anni 1793-1800) che il mito - contrariamente a ogni lettura sostanzialistica - può essere storicamente falso, puro frutto della fantasia del poeta o del filosofo, ma non per questo perde la sua «efficacia» sociale, anzi - e qui sta la singolare invenzione dei preromantici - proprio grazie a questa sua «falsità», questo suo appartenere all'ordine del simbolico, riesce a resistere, persino nella società postindustriale, quale elemento di legittimazione. Non è un caso che i primi testi preromantici che si occupano della funzione sociale del mito ricorrano al contesto poetologico o comun- .que estetico. Basti pensare all'Alteste Systemprogramm des deutschen Idealismus (1796) - il cui anonimo autore dovrebbe essere Schelling - in cui si parla di «un'idea che ( ... ) non è ancora venuta in mente a nessuno», quella di una «mitologia della ragione» che renda in forma estetica, e quindi «sensibile» al popolo, la filosofia razionale; o ancora ai primissimi scritti mitologici di Schelling o infine ai frammenti e al notissimo, ma poco studiato, Discorso sulla mitologia di F. Schlegel. Tutti questi scritti che si racchiudono cronologicamente in un periodo di quattro anni (1796-1800), anni fondamentali per la nascita dell'Idealismo tedesco~ e quindi delle prime grandi imprese dell'estetica filosofica, descrivono un itinerario alternativo a quello della Romantik heidelberghese e alla filosofia del mito elaborata nel suo ambito (si veda l'introduzione di G. Moretti a Dal simbolo al mito, Milano, Spirali Ed., 1983), ma soprattutto fanno da sfondo teorico all'attuale Mythos-Debatte che si confronta esplicitamente con gli stessi nodi problematici. In Mythos und Moderne questa dimensione estetica del mito viene più volte ribadita e costituisce il presupposto di molti degli interventi presentati. Fatto non trascurabile, se si pensa che proprio qui sta il maggior pericolo ma a1fche, problematicamente, ciò che salva. Certo, questa mistione di categorie tipiche della sociologia politica e dell'estetica di cui proprio i nazisti furono gli insuperati artefici poRoseg~weig due pietre di confine: entrambi «marcano un territorio anche teoricamente omogeneo nella riflessione di Rosenzweig, che sta entro la forza di attrazione della 'Stella'. Ambedue, simmetricamente, sono lontani da quest'opera, le si rapportano rispettivamente come una fondamentale intuizione ed un bilancio» (p. 10). Denso, stringato, «intuitivo» è infatti il primo scritto, una lettera di Rosenzweig a Rudi Ehrenberg del 18 novembre 1917 nella quale ci viene presentato il «germe iniziale», la «cellula originaria» della Stella della redenzione. Si tratta di pagine in cui si delinea un progetto ancora largamente incompleto: dunque pensieri allo stato nascente. Nulla di nebuloso o di vago, però. L'intuizione al contrario balugina felice come il frammento luminoso di un'idea. Laconico, ellittico, persino esoterico e bizzarro, appare invece il linguaggio di queste pagine. Esse non spiegano ma piuttosto affermano, mostrano. Del resto, non dimentichiamolo, si tratta di una lettera, di uno scritto cioè costruito, almeno in parte, su una sorta di «codice privato», concepito sulla base di un patrimonio di esperienze accumulate nel corso del tempo entro una cerchia ristretta di relazioni interpersonali. «Disponibile~~.Jl,Peitoal lettore e alle sue esigenze di comprensione, scritto in una prosa «dal respiro ampio e regolare»·, programmatico perfino nel titolo (Il nuovo pensiero), il secondo scritto di Rosenzweig appartiene invece «ex professo al genere letterario della postfazione», è cioè concepito come una serie di note supplementari a La stella e come una «guida alla lettura» dell'opera tendente a produrre «un'accurata sottolineatura del suo significato preponderante» (Bonola, p. 11). Conclude la raccolta, infine, un ampio e autorevole saggio di G. Scholem dedicato all'analisi e al commento del pensiero di Rosenz-~ weig, con particolare attenzione alla sua opera maggiore. È il testo della allocuzione pronunciata all'Università ebraica di Gerusalemme in occasione delle onoranze rese a Rosenzweig il trentesimo giorno successivo alla sua morte. Al di là degli indubbi meriti critici e della grande chiarezza esplicativa del saggio, ciò che in esso appare problematico è il tentativo di ricondurre La stella nell'alveo tradizionale del giudaismo. Eppure Rosenzweig aveva precisato con chiarezza - proprio nelle prime pagine del suo Nuovo pensiero - che Stern der Erlosung non si prestava a essere letto come «un libro ebraico». E allora come stanno le cose? Se non valgono formule riduttive né drastiche strategie di annessione territoriale, in che termini dobbiamo intendere il dato - comunque inaggirabile - dell'appartenenza di Rosenzweig all'esistenza e alla cultura ebraica? Che cosa di una tale esistenza e di una tale cultura viene portato dalla sua riflessione teorica nell'universo della filosofia occidentale? Il l'uomo d'improvviso sco- '' pre che egli, pur filosoficamente digerito da molto tempo, è ancora qui. E non certo l'uomo con il suo bel ramo di palma», l'esistenza vagheggiata da Schiller nel sogno della sua classica utopia. Non questa Anima circonfusa d'aureola, educata alla pura luce della Bellezza, ma piuttosto «qualcosa» di infinitamente più umile, «qualcosa» di assolutamente più vero: «l'uomo come 'io, io che sono polvere e cenere'. Io comunissimo privato individuo, io nome e cognome» (Rosenzweig, p. 21). È appunto la realtà umana vivente di una creatura ostinatamente radicata nel suo essere-qui, ciò che resiste a qualsiasi progetto di riduzione e di assimilazione. «Intrattabile», opaco, refrattario, questo io rompe l'ordine delle corrispondenze e delle simmetrie stabilite dalla grande «dominatrice universale». Egli esiste, è ancora qui: ma non nella prigione di quel silenzio al quale il sapere filosofico l'aveva condannato, bensì piuttosto nella fatica del suo respiro esitante, spezzato nell'annaspo quotidiano, nell'affanno di una miseria dal cui fondo egli «ancora grida la sua libertà, torbida e disperata, ed al 'vacuo sorriso' della speculazione filosofica oppone la sua inconsolabile paura della morte» (Bonola, p. 9). È dunque questo io, il quale porta il nome proprio come una differenza insormontabile, questo io vinto e abbandonato ma che ancora si arrischia a vivere (polvere e cenere, sì, ma anche carne e sangue, linguaggio e prossimità, speranza e cammino), questo io che sente e che «fa» insomma, ciò che il sistema filosofico non tollera, ciò che esso rimuove o rifiuta. Eppure, d'altra· parte, non si può certo affermare che la filosofia, nel corso della sua storia, abbia ignorato !'«Uomo». Ma la marca della lettera maiuscola mostra già, con evidente chiarezza, quale uomo essa abbia contemplato nell'empireo delle sue astratte visioni. Si tratta sempre di un concetto o di un'idea, di un tipo logico, di una categoria. È l'uomo classicamente concepito come splendore e pienezza della humanitas, quell'uomo il cui «bel ramo di palma» è già da tempo caduto nel fango. È l'artefice, il signore della terra; un tempo arbitro indiscusso nel dominio dell'immanenza, o&gi ridotto a animale da lavoro. E il Soggetto, fondamento e orizzo te del processo di comprensione, l'Uomo come pensiero puro in un mondo senza trebbe portare a quella «esteticizzazione della politica» contro cui già Benjamin metteva in guardia. Ma è pur vero che solo a partire da questa ricognizione su di un «ghiaccio troppo sottile» - come ricorda Frank - si può sperare di comprendere senza trionfalismi e senza indulgenza la cosiddetta «società dello spettacolo» che vive di questa mistione esplosiva. In questo può aiutarci proprio la lezione dei preromantici di Jena (August e Friedrich Schlegel, Tieck, Schelling, ecc.), i quali compresero con singolare urgenza la dimensione sociale di una nuova simbolica generale, di una «nuova mitologia» che C(?ÒVertissle conquiste della nuova razionalità, allora ai suoi primi passi, in un patrimonio sociale comune a tutti. E allo stesso tempo riconobbero l'enorme centralità dell'estetica, che non a caso sta al vertice dei loro sistemi, nella nascente società di massa. Un itinerario che l'attuale Mythos-Debatte ripercorre, cosciente certo delle tragiche esperienze del passato, ma non per questo disposta a abbandonare le «eterne speranze» del passato. Oggi non si tratta più semplicemente di «conoscere» le strategie del nemico, secondo la ben nota diagnosi di Cassirer, ma di «usarle» giacché non solo la ragione ma anche il mito è nelle mani dell'uomo. uomini. Ma perché mai la filosofia si -~ presenta come quel curioso paradosso logico in virtù del quale un pensiero che - nel corso della sua storia - si è più volte esplicitamente affermato come umanesimo, ha contempor,Jneamente dato luogo - nelle sue forme più rigorose e conseguenti - a un processo di radicale negazione dell'uomo in quanto concreta singolarità vivente? È a questo punto che diviene di centrale importanza l'interpretazione della filosofia offertaci da Rosenzweig. Secondo una tale prospettiva, essa si configura come un sapere tendente a ridurre la totalità a un sistema solidale di relazioni equivalenti. In altri termini, gli elementi che compongono la totalità (Dio, il mondo, l'uomo) non sono considerati dalla filosofia come realtà irriducibili l'una rispetto all'altra. La totalità filosofica, infatti, si configura come una sorta di gioco i cui elementi non hanno significato in se stessi. Ciò che dà senso è piuttosto l'insieme delle relazioni, reciproche e commutabili, che essi di volta in volta stabiliscono fra loro. Così dunque, nel gioco della filosofia, Dio non è mai unicamente Dio, né il mondo è mai soltanto mondo, né l'uomo è mai semplicemente uomo, ma, al contrario, queste tre matrici originarie si intrecciano e si confondono in una dinamica di sovrapposizioni, di permutazioni e di scambi, la quale ~ dà luogo a ibride figure. -~ Un Dio che si umanizza appare ~ nella cornice • intramondana di ~ ~ quella totalità immanente che al- ...., lude solo a se stessa in quanto non :-:::: è altro che l'identità del pensiero. "- ~ «Allora, Dio, considerato nella sua essenza sarebbe l'io, l'io sareb- lr'\ be il mondo, e tutte queste combi- ~ nazioni e mutazioni che si chiama- S no 'punti di vista' (Standpunkte) l non sarebberoche aspettisuccessi- ~

vi della totalità. la quale sola si pensa» (Scholem. p. 88). A questo punto spezzare la totalità, rompere la compattezza monolitica del sistema significa, nell'economia del pensiero di Rosenzweig, porre radicalmente in questione la logica filosofica di quel «simmetrico-equivalente» nel cui orizzonte ogni elemento è insieme se stesso e il suo contrario. Una totalità spezzata: una trama di relazioni dissolte. In essa gli elementi, non più solidali, non più vincolati al gioco delle corrispondenze e degli scambi, appaiono sciolti, liberati, assoluti: ciascuno legato unicamente a se stesso. privo di connessioni con gli altri e con l'insieme. A questa situazione di rottura e di estraneità, Rosenzweig fa corrispondere la costellazione originaria del paganesinw. In essa un Dio metaf,sico abita lo spazio del suo Olimpo solitario; un mondo metalogico si struttura in se stesso, nell'unità della propria forma plastica; un uomo metaetico appare come eroe tragico. chiuso nel suo ostinato silenzio di fronte alla fatale e irredimibile incombenza della morte. Come è possibile a questo punto, oltre questa rottura e al di là di una simile separazione radicale, istituire una nuova trama di relazioni tra Dio, mondo e uomo? Come può il pensiero porre in rapporto questi differenti ordini di realtà, mantenendoli nella loro assoluta differenza? All'analisi di questi problemi è dedicata una parte assai importante del pensiero di Rosenzweig. Ma su di essa ben poco possiamo dire nel breve spazio di questa nota. Accontentiamoci allora di porre in rilievo quello che sembra essere il dato centrale di una simile indagine. Secondo Rosenzweig Dio, mondo e uomo possono evitare di essere compresi nell'orizzonte di un pensiero totalizzante, se e solo se le relazioni che tra essi giungono a stabilirsi sono e rimangono assolutamente, rigorosamente asimmetriche. Nella 'Stella' di Rosenzweig non vi è possibilità di confondere l'alto con il basso e la sinistra con la destra. Creazione, rivelazione, redenzione sono gli eventi e i momenti attraverso cui si sviluppa l'itinerario del nuovo pensiero. Ma in nessun passaggio di un tale cammino può nuovamente riproporsi il gioco dell'ambivalenza. In particolare: è come Dio che Dio si rivela all'uomo; ed è come uomo che l'uomo si rivolge al suo simile. Nessun equivoco logico, nessuna mistica confusione tra cielo e terra, tra uomo e Dio, possono darsi in questa rigorosa sequenza di rapporti. Ed è per questa ragione che l'uomo rimane irriducibilmente se stesso: inconfondibile, incontenibile, estraneo a ogni effettiva possibilità di assimilazione. In quanto uomo egli è sporgenza, singolarità, frammento, differenza non comprensibile nel circuito delle equivalenze filosofiche. «Un nome e un cognome»: sarebbe dunque un simile umanesimo della unicità e dell'eccezione il dato specificamente ebraico che il pensiero di Rosenzweig porta nel continente anonimo della filosofia? Per la verità, se ci limitassimo a rilevare un simile dato, non ci sarebbe possibile andare molto al di là di Kierkegaard e della sua strenua, implacabile, perfino aggressiva affermazione dello scandalo di un io che rifiuta la neutrale impersonalità del sistema. Ma le intenzioni e i propositi di Rosenzweig si pongono consapevolmente oltre una simile prospettiva. Il singolo di Kierkegaard, infatti, nel momento stesso in cui abbandona il luogo della totalità, rimane chiuso in se stesso, inaccessibile agli altri come uno sprezzante cavaliere serrato nella dura corazza della sua angoscia e del suo coraggio. Martire, testimone, paladino del Nulla o della gloria di Dio nel paradosso della fede, questo io singolare si rivela a se stesso sempre e soltanto nella plaga desolata. della propria orgogliosa solitudine. Non così in Rosenzweig, né - più in generale - in quello che abbiamo qui definito «umanesimo ebraico». Se vi è un tratto costante nel pensiero filosofico moderno ispirato dal giudaismo, questo si configura appunto come tentativo Igort (ripetuto di volta in volta in modi nuovi e differenti) di pensare l'uomo non più come categoria logica o come scandalo della singolarità, ma invece come relazione, prossimità, parola. Da Rosenzweig a Buber, sino alla più recente riflessione di Lévinas, sembra delinearsi con sufficiente precisione il disegno di un pensiero che inscrive ripetutamente nel solco della tradizione umanistica il dato di un'esperienza che la filosofia occidentale, nell'intero corso della sua storia, ha sistematicamente ignorato o rimosso: l'elemento dialogico, il rivolgersi dell'uomo all'uomo attraverso la parola detta e scambiata nel dialogo prima ancora che tematizzata e autoriflessa nel luogo solitario della pura meditazione. E ancora: ciò che Rosenzweig definisce come «nuovo pensiero» Il senso della letteratura / 4 non riguarda tanto un nuovo oggetto bensì piuttosto un differente stile, un modo di pensare diverso rispetto a quello che si è affermato come dominante nell'orizzonte della filosofia. «In luogo del metodo del pensare, come è stato costituito da tutta la filosofia precedente, entra in campo il metodo del parlare». M entre il pensiero è e vuole essere senza tempo, il parlare è intimamente legato alla temporalità. Esso «si nutre di tempo, non può né intende abbandonare questo suo terreno di coltura, non sa in anticipo dove andrà a parare, lascia che siano gli altri a dargli lo spunto. Vive soprattutto d_ellavita di altri», mentre il pensare «è sempre solitari0 anche se avviene in comune tra più persone che 'stanno filosofando insieme' (Symphilosophierenden), anche allora l'altro mi muove solo quella obiezione che io mi sarei potuto opporre da solo. Di qui nasce il senso di noia che generano per lo più i dialoghi filosofici, anche la maggior parte dei dialoghi platonici. Nel dialogo vero qualcosa accade sul serio, io non so prima che cosa l'altro mi dirà perché in realtà non so neppure che cosa dirò io, anzi non so neppure se parlerò» (Rosenzweig, p. 57). A differenza del «dialogo vero», quello filosofico è una sorta di dialogo truccato. In esso quello che Rosenzweig chiama il «pensatore pensante» (al quale viene contrapposto il «pensatore della parola») vive nella pienezza illusoria del mondo egologico - proiezione narcisistica del suo pensiero nelle altrui menti che, umili e sottomesse, glielo restituiscono come fossero specchi. Per il «pensatore pensante» il pensiero si riduce a quel «già noto» o a quel «per sempre» che da sempre riposa nella quiete dell'assenza di tempo. Ma l'assenza di tempo, spiega Rosenzweig, non è che l'assenza deli'altro, un'assenza che il ~<pensatore della parola» non può in alcun modo accettare. La differenza tra pensiero vecchio e nuovo «non consiste nell'esprimersi a voce alta o a voce bassa, bensì nel bisogno dell'altro o, che è lo stesso, nel prendere sul serio il tempo». Bisogno dell'altro che, ovviamente, non può darsi come esigenza di comprensione da parte di un io il quale, ancora una volta, lo ridurrebbe narcisisticamente a sé. Poiché «bisogno dell'altro» non vuol dire affatto, in questo contesto, necessità di pensarlo, ma desiderio di pensare con lui e per lui, desiderio di parlargli. Contro la concezione di un pensiero che pensa in modo neutro e anonimo, in modo opaco e indeterminato (e dunque «per tutti e per nessuno», per la generica «collettività»), sorge, in questo ambito problematico, l'esigenza di un effettivo orientamento del pensare e del parlare. Per Rosenzweig l'oriente della parola è appunto costituito dall'altro: esperienza di prossimità e di relazione in virtù della quale parlare e pensare significano «parlare a qualcuno e pensare per qualcuno, e questo qualcuno è sempre ben preciso e non ha soltanto orecchie, come la collettività, ma ha anche una bocca» (Rosenzweig, p. 58). Dunque qualcuno parla, qualcuno mi chiama, si rivela à me e mi interpella. Qui - in questa situazione - la parola perde tutti i suoi contrassegni astratti e impersona- , li. È ancora, sì, rivelazione, ma ciò che manifesta non è più l'Idea, concetto-chiave della filosofia. Essa mostra invece l'umano, diviene presenza di un altro il cui evento non giunge mai per il «pensiero pensante», preoccupato soltanto di sé e intento a celebrare la propria solitudine attraverso il fasto dei suoi riti. Leparole1ih!mancano a domanda: qual è il senso della letteratura? ne implica un'altra, in un gioco di scatole cinesi: che senso ha dare un senso alla letteratura? Essa fa fare un altro passo, mi sembra. a ciò che aveva avanzato Raboni ad apertura del suo intervento. Allora: la letteratura appartiene alla Kultur o alla Zivilisation. secondo le oscillazioni di una dicotomia famosa? o non sarà essa stessa quell'ombra di disagio, di Unbehagen, che cade fra l'una e l'altra. nell'una e nell'altra? Dare un senso alla letteratura è operazione un po' equivoca - Io è del resto anche solo significarla come «disagio». Rischierebbe di apparire l'altra faccia del vecchio inestirpabile connotato di una letteratura «cons0Iatoria» (con tutto il corteggio di varianti: parenetica, costruttiva. promozionale, ecc.). Ma quasi altrettanto insoddisfacente risulta ormai la versione circolata in tempi non lontani e con ~ rispettabili alfieri. che si può defi- ~ nire superficialmente del negativo: ·i buco, trasgressione, ateologia ... ~ ~ Qualcosa come venticinque anni ~ fa, Maurice Blanchot ha creduto ...... ~ di liquidare la domanda: l'essenza .._ della letteratura consistendo nello sfuggire a qualsiasi determinazione, a qualunque affermativa che la stabilizzi o realizzi, non si può es- ~ sere mai certi che la parola 'lette- l ratura' risponda a qualche cosa di ti reale, di possibile o di importante: «chaque livre décide absolument d'elle». Le date, però, sono importanti perché fanno da spia alle metamorfosi alle quali libri, scritti, linguaggio sono legati: per lo meno impediscono di credere che le stesse parole, nel tempo, restino le stesse parole. Fatto è che la letteratura produce senso, anzi produce dei sensi. È anche il punto dove mostra il suo limite o dirò meglio la sua irriducibilità. Che produca sensi è cosa con cui bisogna fare i conti, piaccia o non piaccia. Si può anche prendere uno di questi sensi o il tratto che unifica in un fascio una certa quantità di sensi, e assegnarlo alla letteratura, pretendendo che stia lì la sua identità, il suo fine. «Tendo al mio fine» mi pare sia il ben noto epifonema di Carlo Emilio Gadda interrogato sulle proprie «tendenze» di scrittore; peraltro subito chiosato in nota con il rinvio all'ambiguità del vocabolo: insieme «finalità» e «estinzione». Il senso, inevitabilmente, si collega con la morte. Ma «non ci lasceremo squartare fra tesi e antitesi»: ottimo programma anche per qualche ipotesi sulla letteratura. Anche astraendo per un momento dai motivi portati avanti, mi sembra condivisibile l'intervento di Antonio Porta proprio nel modo non tanto di investire l'argomento ma piuttosto di attraversarlo, con la forma felice e in certo senso improvvisata via via della «serie di appunti», degli aggiustamenti veloci. Tanto è vero che ora mi accorgo come caschi a vuoto l'inciso «astraendo dai motivi... », visto che il metodo stesso di approccio a un problema finisce per indicare un certo tipo di impostazione di fondo e di risposta - particolarmente in questo caso. Sul merito dello scritto di Porta mi riservo di tornare. Intanto vorrei provarmi a indicare che cosa significhi dare un senso alla letteratura. Interrogando il momento di decisione dell'atto letterario ci si imbatte in qualcosa cui «mancano le parole per dirlo» (per dirlo tutto, s'intende). Ciò riguarda, dirò così, la partenza della letteratura, non il suo arrivo: non ne designa insomma un'impotenza istituzionale ma la sua qualità di impossibile, quella che la fa reale. Ma riconoscere che la letteratura è il posto dove le parole mancano, vuol dire insieme riconoscere che è il posto dove possono prodursi. Dare un senso alla letteratura sarà dunque metterla là dove ci si adopera perché qualcosa avvenga. Il mancare («mancano le parole per dirlo») suona quale avatar del produrre. Se la letteratura produce sensi, produce anche il suo proprìo nella forma di un lavoro. Ho già espresso l'idea che la letteratura, sotto questo aspetto, non abbia a che fare con l'Uno ma semmai con l'Uno-in-più. Se ci si ostini sull'uno, potrà dirsi che il senso della letteratura è il suo lavoro - che produce sensi, come il vero significato del sogno è il lavoro onirico. Portato sul piano dell'attuazione, ciò indica l'esigenza di un lavoro combinatorio continuo: cioè che combini senza soste le unità minime del reale di linguaggio (il reale, lo si è imparato almeno fin da Freud, non coincide necessariamente con la realtà ... ) in unità sempre più grandi. Tale lavoro combinatorio, appunto perché inventa i punti di connessioni degli elementi, è per forza uno sperimentare. Può spiacere il richiamo, almeno fonico, a un'etichetta recente e vertiginosamente sfilacciatasi, ma che farci? Se soprattutto lo sperimentare si riconnette al soggetto, al suo dividersi o fading nell'incontro col significante, eccetera... Anche la letteratura è «non tutta», e il suo senso o uso un mito ossia un progetto. Torno all'intervento di Porta, ricco di punti stimolanti che magari, a volte, lasciano perplessi - il bello sta qui, nel rischio. «Il senso della letteratura è dare oggi forma al sentimento ... » È un punto abbastanza perturbante, per vecchie implicazioni che porta seco il termine 'sentimento'. Ma la frase che ho appena finito di scrivere («abbastanza perturbante») provoca un'apertura imprevista: se quel «sentimento» lo si leggesse, per esempio, nel rapporto fra heimlich e unheimlich? Vado ad aprire il libro appena uscito di Porta, Invasioni, e intendo senza più perplessità una direzione su cui può avviarsi la letteratura: «Il nido è pieno di ali minuscole I piumine leggere respirano intorno è fieno / dentro il neroluce mi adagio mi fido / al centro del bozzolo si schiude il mio giorno / / da anni da una vita laceravo / ora è la stretta espansiva che sognavo» ecc.; e capisco anche la proposta di «una scrittura diretta e semplice, perfino trasparente». C'è un libro che negli ultimi tempi mi ha dato qualcosa di quella «stretta espansiva» di cui parla Porta, non a me solo credo, ed è La felicità mentale di Maria Corti. Non appena per la finezza dell'indagine critica - è un libro di studio -, soprattutto per il coinvolgimento del lettore nello stato indicato nel titolo. Non saprei spiegare fino in fondo che cosa sia la «felicità mentale»: ma forse riguarda anche il dare un senso alla letteratura. Il dibattito su «Il senso della letteratura», cominciato su Alfabeta n. 57, ha accolto finora interventi di F. Leonetti e A. Porta (n. 57), G. Raboni (n. 58) e, nella serie «Riferimenti», contributi di G. C. Ferretti e F. Muzzioli.

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