Alfabeta - anno VI - n. 58 - marzo 1984

re, di cercare e di provare a ritrovarli» (Paese sera). Mentre allora l'impulso alla ricerca trovava rispondenza in una situazione sufficientemente «aperta» e provvisoria, in cui, se non altro, gli elaborati letterari non erano abbandonati alla fruizione epiteliale e suggestiva, ma venivano smontati e situati nella riflessione teorica e nel dialogo a più voci. Perriera tiene a ricordare il «ritmo» delle riunioni, «lento, semisilenzioso, dal passo felpato»; e ciò contrasta efficacemente le accuse di esibizionismo vistoso e pubblicitario, di provocatorietà fine a se stessa. Più in generale, tutto lo scenario del laboratorio linguistico viene a smentire il rimprovero ancora rivolto al Gruppo 63 - argomento moralistico sempre 'pronto all'uso' - di un'alleanza tattica tra i rampanti intellettuali del boom, in cordata per insediarsi nell'editoria e nella Rai. Una vexata quaestio (secondo Giuliani: «un tenace pettegolezzo»), che riceve ulteriore risposta, all'interno del dossier recente, da parte di Arbasino: «In realtà, nei posti di 'potere culturale' (se proprio così li vogliamo chiamare) parecchi di noi c'erano già da tempo, assai prima di dar vita alla formazione del Gruppo 63. Semmai, lo ripeto, la novità del nostro comportamento stava proprio neila scelta di non essere 'ribelli-fuori' prima, e 'conformisti-dentro' poi, ma di avvalerci della nostra coll9cazione e della più generale situazione economica esistente, per promuovere una ricerca di tipo sperimentale» (Rinascita). I n molti casi, è proprio l'agguerrito apparato concettuale - metodologico, teorico, tecnico - a suscitare insistite perplessità, per l'invadenza eccessiva della razionalità strutturante (e struttura, lo si sa, non è poesia). Ad esempio, G. Pampaloni denuncia gli «effetti devastanti» dei programmi, che obbligano a applicare procedimenti decisi a priori, a freddo. Anche l'istanza oppositiva con cui la neoavanguardia dimidiava il campo letterario in schieramenti contrari, viene vista come semplificazione schematica dei problemi risolti mediante «processi» e «anatemi» (parole di C. Bo; risponde però G. Gramigna che una certa dose di «hybris» o «arroganza» è indispensabile in chi si adopera a un «tentativo di svolta»). Non ci si salva: da un lato si notifica al gruppo la troppa integrazione, dall'altro il troppo terrorismo - quando non vengano scoccati all'unisono i due antitetici dardi. Eppure, malgrado i mancati approfondimenti, e malgrado il fervore a volte troppo rapido, nel periodo delle scoperte, i documenti agli atti dimostrano facilmente che la codificazione costrittiva è stata minima rispetto alle avanguardie storiche (non c'è stato neppure un leader tirannico come nel futurismo e nel surrealismo); e certamente maggiore, al confronto, lo stretto rapporto con l'analisi critica. Il gruppo di lavoro seduto a tavolino rifiuta i connotati bellicosi e militareschi: su questo punto, la sostituzione delle serate teatrali (di tipo futurista) con la formaconvegno parla da sé. A meno che le obiezioni non riguardino la possibilità stessa di un'alternativa culturale espressa in una linea di tendenza letteraria. In fondo, i sopravvenuti anni settanta si sono svolti proprio in senso antitendenzioso, lasciando piede alla lotta dei clan, ma non dei gruppi teoricamente riconoscibili; e approntando luoghi non di discussione, ma di affratellamento indistinto. Non si può tornare a visitare le problematiche del Gruppo 63 senza gettare uno sguardo in prospettiva al dopo, fino all'oggi. Questo_ punto, negli interventi del ventennale, ci preme e tocca da vicino. E ci troviamo in totale disaccordo con la posizione di Fortini che giudica salutare la reazione agli eccessi della contrapposizione frontale; e di A. Berardinelli che afferma «l'impossibilità di costruire ancora dei gruppi di pressione culturale . sulla base di una tendenza letteraria». A nostro avviso, il salto al di là degli esiti raggiunti dalla neoavanguardia, poiché ha rinunciato all'attraversamento critico, dando per scontato il superamento, si è andato sempre più rivelando retrogrado. Abbiamo assistito, in questi anni, a un riemergere del prima (con «la sensazione che ora, negli anni ottanta, si viva una situazione parallela a quella degli anni cinquanta», aggiunge Sanguineti sul Piccolo). In cosa consisterebbe, infatti, il superamento? Nell'avere staccato la poesia dalla prosa, chiudendo agli esperimenti - per noi i più interessanti - della contaminazione, ai confini dei generi? Nell'avere restaurato la figura (invalsa nel senso comune) dell'ispirato che non soltanto fa poesia, ma è, costituzionalmente, poeta? Nell'aver offerto i poeti alla degustazione estetica di massa, nei festivals, lasciandoli a cavarsela con la presenza scenica, più che con i valori del testo? Anche sul tema dell'oralità, il Gruppo 63 può vantare un buon anticipo, e maggior rigore nel praticarla. G li ex componenti del gruppo hanno quindi buon gioco nel dirsi gli ultimi, secondo le connotazioni apocalittiche già insite nella denominazione di Novissimi. Dopo di loro non c'è stato il diluvio, ma un vuoto di proposte, questo sì. Barilli può dire, senza timore di apparire troppo autogratificante, che «le principali ipotesi di lavoro gettate in quegli anni sul tappeto resistono tuttora, non ne sono sorte altre sostanzialmente diverse» (Tuttolibri). Ne dà conferma I. Calvino, scorgendovi I'«ultimo episodio d'aggregazione di poeti e scrittori intorno a un programma comune» - e Calvino è teste attendibile, avendo tenuto, a suo tempo, una fertile distanza, anche polemica, da «osservatore esterno», come oggi si definisce. Il suo intervento molto lucido ed equilibrato - con sguardo da 'signor Palomar', davvero - mette a fuoco alcuni punti nodali della questione. Calvino non nasconde i limiti e i rischi di appiattimento della contrapposizione «frontale» tra avanguardia e tradizione (il pericolo è di cadere nella paranoica ricerca di nemici); senonché, dove molti videro faziosità precostituita, c'era semplicemente la scelta legittima di percorrere altre strade per esplorare collettivamente i contorni di una «nuova idea di letteratura». Se ciò portava a escludere, ipso facto, quanti non fossero interessati a questa area problematica e al suo «codice culturale e comportamentale», è anche vero che un intellettuale «curioso» e disposto a mettere in crisi le proprie certezze non si sarebbe sentito in «fuorigioco». Dal canto suo, Calvino è pronto al «brusco rimescolamento delle carte del mazzo», mossa del resto consueta nella sua narrativa. Quanto al «cosa è rimasto?» (la «luttuosa domanda» - come la chiama Gramigna - che abita ogni commemorazione), Calvino suggerisce di considerare gli «effetti indiretti», cioè l'incidenza nel tessuto culturale. I valori di un testo risultano scarsamente comprensibili, se non inseriti in «un discorso che colleghi e opponga opere, impostazioni, tendenze, nel momento del loro farsi, ricavando un senso generale dall'insieme delle produzioni individuali». Proprio questa connessione tra linguaggi è stata carente e trascurata nel «mancato seguito» al Gruppo 63 - che rimane, secondo Calvino, «l'ultimo tentativo di di- .segnare una mappa generale della letteratura, per quanto rigida e semplificata, e di attribuire a ognuna delle componenti una va-_ lenza ideologica e un ruolo storico, pur con tutte le illusioni e_le forzature polemiche». Le argomentazioni calviniane intendono assai bene il tipo di specificità letteraria usufruita dalle neoavanguardie (è preferibile il plurale data la varietà di componenti teoriche coperte dal termine) che, anche quando calcavano e esibivano la separatezza per 'mettere in azione' il lettore, tuttavia la traducevano subito criticamente nei linguaggi della relazione e della riflessione razionale (e non la sacralizzavano evocativamente al modo ermetico). sembra zittire preventivamente qualsivoglia obiezione, - l'attestato di una riuscita poetica involontaria, quasi a dispetto delle coordinate intellettuali, sta stretto a questi autori che hanno basato le loro operazioni sull'autocoscienza del fare; e che, inoltre, hanno frequentato i reami dell'arte, anteponendole spesso un irriverente prefisso anti-; né l'irriverenza è esaurita: tuttora Giuliani propone «la scelta della parodia, dell'atteggiamento ironico e maldestro con cui l'autore può e deve guardare a se stesso» (Rinascita); e Sanguineti insiste nella «lotta contro il 'poetese'» (Rinascita). e ome si vede, su certi problemi di fondo, vengono fuori notevoli divergenze, pur nel- !'«indistinta babele» degli anni recenti. Ma i discorsi (se non si vogliono solo sbandierare vaghe formule o etichette) andrebbero articolati ben oltre lo spazio consentito dalle colonne dell'informazione quotidiana. Un aggiornamento del dibattito poteva riuscire interesMagda Sonia Analogo punto di vista viene enunciato da Porta, nella dichiarazione al Mattino: il Gruppo 63 «non si è mai presentato soltanto come un gruppo di scrittori impegnati a fare opere letterarie sia pure di valore. Era soprattutto un gruppo di persone impegnate a incidere sul rinnovamento culturale italiano in senso generale, anche politico». D i contro - e sono quasi due lingue diverse - stanno quegli interventi che si applicano a passare al setaccio, secondo criteri di altezza estetica, gli autori e i testi degli anni sessanta, cercando di salvarne i vertici, ma staccati dal substrato teorico e programmatico. Così, per E. Siciliano, i migliori scrittori emersi dal gruppo «non avevano di sicuro bisogno ( ... ) dei supporti polemici». Raboni parla di «autentici talenti individuali», e perfino il tanto avverso Fortini riconosce che «alcuni fra costoro erano autentici poeti e scrittori». Ora, a parte il fatto che un giudizio di gusto di taglio assoluto ispira poco al dialogo - come quando Fortini parla di poeti di «forza indiscutibile», e l'aggettivo sante (scrive F. Piemontese: «non è forse inutile tornare ancora una volta sull'argomento»); è anche vero, però, che gli interventi del ventennale non hanno prodotto grandi modificazioni o novità. Al massimo hanno espresso in • forma augurale - infine, di compleanno trattasi - l'auspicio per un ritorno al lavoro sperimentale in letteratura. Sia al negativo, come insoddisfazione (Calvino: «Le condizioni per far nascere un nuovo movimento d'avanguardia potrebbero essere solo nell'insoddisfazione per quel che c'è, e questa certo non può mancare»), sia come esigenza culturale premente - significativo è il ricorrere del termine necessità, per indicare la forza improrogabile; in Porta (che la chiama anche «fame», forse ricordando le artaudiane «idee con la forza della fame») è la «necessità» di ricominciare «a muoversi e a lavorare con proposte che possano riprendere a circolare e a confrontarsi» ( Corriere della sera); in Giuliani «la necessità di una costante esplorazione del nuovo e della tradizione: voglio dire la necessità di non fermarsi ai dati acquisiti, di non appagarsi dell'esistente» (Rinascita); per Arbasino, «è necessario non fermarsi mai ai risultati raggiunti, ma cercare di rinnovare, in modo permanente, le strutture, le forme, i contenuti e gli stessi generi del linguaggio letterario» (Rinascita). E si confronti con il perentorio aut-aut di Sanguineti: «O si accetta uno stagnamento, e questo può proseguire indefinitamente, o si passa a una ripresa problematica e critica di quello che si era mosso allora» (li Piccolo). Ed effettivamente, se vorremo parlare ancora dei problemi della scrittura che più ci interessano (e che abbiamo ereditati, in buona parte. proprio dalla stagione degli anni sessanta e dai dibattiti attorno alle neoavanguardie), bisognerà scegliere: o aspettare un'altra data propizia alla ricorrenza; oppure, imitando un celebre cappellaio, intervenire con puntualità in occasione dei non-anniversari. Principali interventi usciti nel periodo giugno-dicembre 1983 A. Arbasino, «Con affettuosa nostalgia», in La Repubblica, 9 ottobre; «Noi, figli del boom» (intervista a c. di F. Bettini), in Rinascita, 23 dicembre. M.L. Ardizzone, «Avanguardia, addio», in Giornale di Brescia, 1° novembre. R. Barilli, «Un fischio di "fuori gioco"» in Corriere della sera, 26 ottobre; «63 scrittore che cambia», in Tuttolibri n. 380, suppl. a La Stampa, 5 novembre. A. Berardinelli, «L'incubo dei primi della classe», in Paese sera, 4 novembre. C. Bo, «E piovvero botte per tutti», in Corriere della sera, 26 ottobre. I. Calvino, «Gli ultimi fuochi», in La Repubblica, 9 ottobre. R. Di Marco-G. Testa-M. Perriera, «Noi gli ..scomodi" della periferia Sud» (interviste a c. di S. Rizzo), in Giornale di Sicilia, 2 ottobre. G. Dorfles, «Le polemiche utili», in Corriere della sera, 26 ottobre. G. Ferretti, «Evviva il "consumismo" d'avanguardia», in L'Unità, 2 novembre. F. Fortini, «Vent'am~i sprecati» (intervista a c. di F. Brioschi), in L'Unità, 23 ottobre; «Ci volevano morti, però ... », in Corriere della sera, 26 ottobre. A. Giuliani, «Fare poesia dopo i Novissimi» (intervista a c. di F. Bettini), in Rinascita, 24 giugno; «Ma non è mai esistito», in La Repubblica, 9 ottobre. G. Gramigna, «Non un'etichetta forse un sintomo», in Corriere della sera, 26 ottobre. W. Mauro, «Quando la rivoluzione va a marcia indietro», in Il Tempo, 4 novembre. G. Pampaloni, «Più vittime che vincitori», in Tuttolibri n. 380, suppi. a La Stampa, 5 novembre. F. Piemontese, «I favolosi sessantatrè», in Il Mattino, l° ottobre. A. Porta (intervista a c. di F. Durante), in li Mattino, 1° ottobre; «Ricominciare a fare programmi», in Corriere della sera, 26 ottobre; «..Volevamo dare un bello scossone alla cultura italiana"» (intervista a c. di S. Magagnoli), in Paese sera, 11 novembre. G. Raboni, «Nel segno della trasgressione», in Il Messaggero, 3 ottobre. E. Sanguineti, «Il piccolo fatto 00 vero» (intervista a c. di F. Betti- ~ ni), in Rinascita, 16 settembre; .s ~ «Dopo di noi gli anonimi» (intervista a c. di F. Durante), in Il Mat- ~ tino, 1°ottobre; «Non fummo solo -. i signori del "no"» (intervista a c. o t:! di M.T. Carbone), in J/ Piccolo, 1° ~ ottobre; «Un fantasma necessa- E 00 rio», in Tuttolibri n. 380, suppi. a lr) La Stampa, 5 novembre. s: E. Siciliano, «Un successo nato ~ sui giornali», in Corriere della se- Ì ra, 26 ottobre. ~

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