Alfabeta - anno VI - n. 58 - marzo 1984

Cento haiku a c. di Irene Iarocci presentazione di A. Zanzotto Milano, Longanesi, 1982 pp. 184, lire 8000 N el 1982 è uscito, presso l'editore Longanesi, un volume di haiku tradotti da Irene Iarocci, col titolo immodesto «Cento haiku. In una antologia commentata il meglio della grande tradizione poetica giapponese»; il volume si vale di una presentazione di Andrea Zanzotto. Ora, mi arriva notizia dal Giappone che è in preparazione un secondo volume a opera della stessa traduttrice. Tanta insistenza richiede qualche osservazione. «Vierge vers ... », dice Mallarmé: verginità perduta a ogni lettura, ma ci si augura che la traduzione non faccia violenza al testo. A proposito di questo sonetto di Mallarmé, Luciette Finas pubblica su Esprit (n. 12, dicembre 1976) un saggio esemplare sull'interpretare poesia. Prendiamo una citazione: «Le 'fait accompli' de son poème me laisse, en apparence, une liberté démésurée. L'initiative m'appartient, si effrayante et vaine, que mon premier soin est de l'abdiquer»1 • Raramente i traduttori consen- •·· tono a abdicare: per lo più fanno dure prove di forza con l'autore legittimo, spesso rivelando frustrazioni di poeti mancati; altre volte rinunciano con indifferenza, magari con sciatteria, al travaglio di una approssimazione all'infinito verso una forma certo irraggiungibile perché unica. Nel caso in questione non si tratta di «aura» mancante, si tratta di una indelicata intromissione sostitutiva. Quella del haiku classico è una struttura ferrea: 17sillabe suddivise in tre versi di 5 - 7 - 5 sillabe. In questa composizione così rapida vengono riportate immagini di una concretezza materica che evita qualsiasi ambiguità o allusività, qualsiasi alone s.imbolico,qualsiasi patetismo: nella sua istantaneità il haiku illumina oggetti di una precisione inequivocabile. L'aleatorietà, se così vogliamo dire, del haiku non sta in una incertezza del tema o in una vaghezza di immagine estompée: sta piuttosto nell'omissione di alcuni nessi che dovrebbero collegare le parti del discorso, ed è in queste omissioni che si realizza l'effetto di choc della composizione. La /ente aperta fra il discorso evidente e il suo signifièato sotteso (e non sottinteso) non viene mai colmata. E non deve essere colmata. La sua funzione è di agire come un «buco nero» in cui va a annullarsi ogni associazione convenzionale, ogni meccanismo logico di apprendimento, spingendo il lettore verso un linguaggio liberato che ~ illumina la distanza del soggetto -5 da qualsiasi identificazione imma- ~ ginaria o simbolica. ~ Spesso si è detto che in un certo ......, senso un haiku assomiglia a un koan dello Zen: cioè a una rottura delle sovrastrutture associative note, per toccare il significante primario che l'immagine contiene e che in questo caso non è raggiungi- ~ bile per sostituzione o contiguità, Ì ma solo per un annullamento della ~ pretesa stessa di sapere. Maledetti fllologi / 7 Checos'èil haiku Carla Vasio Vediamo che cosa si può perdere della qualità intrinseca di un haiku in una cattiva traduzione. Prendiamo ad esempio un haiku di Bashò pubblicato (p. 50) dall'edizione Longanesi, uno dei più noti in Giappone. Il testo, nella trascrizione fonetica, dice: «Furu ike ya I kawazu tobikomu I mizu no oto». La traduzione letterale è: Furu, vecchio; ike, stagno; ya è un segno di accentuazione e di pausa; kawazu, rana; tobikomu (parola composta da tobu, volare, e komu, entrare), si tuffa; oto, suono; no, di; mizu, acqua. La traduzione che ci viene data è: «Nello specchio antico / d'acque morte / s'immerge / una rana. / Risveglio d'acqua». A parte la cadenza dell'originale sono piccole». Bucchò gli chiese: «Attualmente, a che punto sei arrivato?» e Bashò rispose: «Sotto la pioggia il muschio è verde». Di nuovo Bucchò domandò: «Qual è la legge del Budda prima che il muschio cresca?» In quel momento Bashò udì il tonfo di una rana che saltava nell'acqua e disse: «Il suono di una rana che si tuffa nell'acqua». Da questa risposta Bucchò capì che Bashò aveva raggiunto un alto grado di illuminazione e si congratulò con lui. L'illuminazione non è una modificazione progressiva e non è neppure un'esplosione nucleare: è la rottura improvvisa di un diaframma, come il ploff di una rana che tuffandosi nell'acqua infrange la superficie stagnante della nonshisa ni, in solitudine; Kikaku suggerì Yamabuki ya, il fiore di kerria. Bashò li lodò e propose a sua volta Furu ike ya, vecchio stagno. Tutti furono presi da profondo rispetto e dissero che in qùesto verso si apriva completamente l'Occhio del haiku: lo stesso avvento del Budda era contenuto in queste 17 sillabe. In questo haiku è dunque raffigurato un Occhio che si apre, non un quadretto di genere. Per riferimento citiamo la traduzione di R.H. Blyth: «The old pond / a frog jumps in / the sound of the water» (R.H. Blyth, Haiku, eastern culture, Hokuseido Press, 1949), e quella di E. Miner: «The old pond is stili / a frog leaps right into it / splashing the water» (E. Miner, Gli studi cinematografici di Sievering, presso Vienna, realizzati dalla Sascha-Film nel 1916. perduta nel frastagliamento di questi versetti; a parte l'ingentilimento abusivo dell'immagine per cui «vecchio stagno» diventa «lo specchio antico d'acque morte», con una leziosaggineda illustrazione fine Ottocento, in cui oltre tutto si perde quella qualità bassa dell'immagine, programmatica in uno stile che ci teneva a distinguersi dalla precedente poesja di corte; a parte questo e altro, quello che si perde è l'efficacia della parola tobikomu, suono di rottura intorno a cui le altre sillabe si aggregano, che significa «balza, si tuffa» e che invece viene graziosamente tradotto con un «s'immerge» ulteriormente addolcito dall'elisione. Vediamo, dunque, che cosa c'è dietro quel tobikomu, che è il centro dell'interesse dovendo esprimere un colpo improvviso, una rottura, uno choc auditivo e emozionale. Si racconta che Bucchò, un monaco illuminato del tempio Komponji, maestro di Bashò, andò a far visita al poeta nel suo eremitaggio. Lo accompagnava un uomo chiamato Rokuso Gohei, che appena arrivato gridò: «Ma, come? La legge del Budda in questo giardino tranquillo con alberi e erbe?» Bashò rispose: «Le foglie grandi sono grandi, quelle piccole conoscenza; è il «suono d'acqua» di tobikomu che rivela l'improvvisa illuminazione della mente inerte. Una rana che si immerge sarà più graziosa ma non infrange nulla. La storia continua dicendo che più tardi Sampiì si congratulò con Bashò per la profonda religiosità del suo verso, ma un altro discepolo osservò che mancava la prima parte del componimento e bisognava completarlo. Bashò invitò i discepoli a comporre essi stessi il primo verso: Sampiì propose le 5 sillabe Yoyami ya, l'oscurità del crepuscolo; Ransetzu disse Sabi- ~ie ltbenbe \IJIJOlDQtll)l)ic .,CinBmatoro1auho" ber -Oetcen Aagai.t unb LoulliLa.mJére au~ Lroa. _. TlgUoh .... 6306 V orstel lun;:en tion 10 Uh,r·t}rii~ bi~ 8 llh,r 2!brnbl. 1. •·ubrtksarhelll"r grhcn 1111chUca1111e. !!. Debl's 1-"rilh~tDc:k. :J. Dt'r Seht't.ren• KcblclCer am lluu11tplati. f. Polllhthe ~klnnni:srnischir.dcnbelt~n. 5. Ule dcmolfrtti :uuuer. o. f'e~tiu,r In 1ilzz:i. ,. IJrr l.:lscubabuxug. I. Bezlrk,KarntnerstrassNer..45 (t:inoano )truqnftraf1e -.!, f)od;i,artnn). ~ C!;inh-Ut 60 kr. .,.. Pubblicità del Cinématographe dei fratelli Lumière (Vienna, marzo 1896). «The Monkey's straw raincoat», Princeton Un. Press, 1981). Quella di Blyth, il decano dei traduttori di haiku, nella sua,secchezza è la più vicina all'originale, mentre Miner, pur °rispettando l'essenziale dei versi, il «sabi» dell'old pond, lo scatto della rana,io splashing dell'acqua, tuttavia è pressato dall'ansia di non spiegare abbastanza. Egli stesso dice della propria tecnica di traduzione: «By endeavoring to preserve the line order and cutting, we bave sought to pay due tribute to the need of explicability»2 - preoccupazione pericolosa per il traduttore di una poesia in cui omissioni sintattiche e parole tronche sono usate ad arte non solo per marcare le pause, ma anche perché il lettore possa trasgredire i limiti che gli porrebbe una immagine finita. L'azione arbitraria in questo caso è proprio «chosen one meaning out of severa! possible one». Oltre a limitare la prevista partecipazione del lettore, si finisce col cadere nell'equivoco di annettere il haiku ai generi tipicamente occidentali della poesia di frammento e di ambiguità; invece, è aspirazione di un poeta di haiku riuscire a rappresentare in 17 sillabe un universo compiuto, contenuto in una percezione istantanea di tempo e di luogo. Non si tratta quindi del frammento di una realtà incompleta, ma piuttosto di un intero universo presente in un unico oggetto di attenzione. «Vede le differenze dopo aver visto l'unità: questo fa il poeta», dice Tokoku Kitamura, scrittore di epoca Meiji. Sarebbe meglio; dunque, parlare di polisenso piuttosto che di ambiguità, allusività o rinvio, e di costante fuga del significato in vista di una ulteriore estensione. R itorniamo in compagnia delle rane, animali molto rappresentativi nel bestiario della favolistica orientale. A pagina 107 della edizione Longanesi si legge: «Dopo la pioggia / la raganella / con caute mossette / sale sul tronco scivoloso / dell'albero di banane». Il testo dice: «Amagaeru I basho ni norite I soyogi keri». Si nota che amagaeru è una rana verde che vive in ambiente umido; basho è il banano, e norite vuol dire star sopra; soyogi è un verbo che si usa per l'oscillare delle foglie nel vento; e keri è l'ausiliare per il passato. L'immagine presenta, dunque, una rana posata su· una foglia di banano che ha oscillato nel vento. Si può ricordare che la posizione della rana dritta nella schiena e salda sulle zampe è spesso citata dai maestri di Zen come esempio di posizione corretta. Si può dire che si tratta di una tipica immagine «sabi», parola chiave per capire molta arte giapponese, derivata dal verbo sabishi, che indica l'introversione della solitudine, e anche consonante con il sostantivo sabi, che vuol dire ruggine (per un maggior approfondimento si veda· Juzo Karaki, Letteratura del Medioevo, Chikuma Shobo; 1955). Si possono fare molti riferimenti, ma certo le «mossette caute» e il «tronco scivoloso» nel testo non ci sono e risultano fuorvianti rispetto all'immagine originale così calibrata sulle due condizioni: la stabilità della rana e l'oscillare della foglia, un momento di equilibrio nell'oscillare del «mondo fluttuante». Se anche ci si volesse rammaricare per una immagine «povera» e si cercasse di renderla più attraente, si dovrebbe evitare tutta- - via di trasformare un haiku nella Vispa Teresa. Per non dare l'impressione che il haiku sia una poesia religiosa, prendiamo un ultimo esempio di componimento dedicato alla vita familiare. A pagina 138 dell'edizione Longanesi si legge: «Un brivido di freddo, I lì sul pavimento della camera / al toccar col piede / il pettine della mia povera cara». Il testo dice: «Mini shimu ya I naki tsuma no kushi wo I neya ni fumu» ed è di Buson. Vediamo ora che mi ni shimu significa «penetra nel corpo» (shimu, penetrare; mi, corpo) e indica una sensazione molto forte, molto intensa. Si può dire di una visione di bellezza sentita fortemente o di un rimprovero efficace o di qualsiasi sensazione penetrante; si può dire anche del vento autunnale e in questo senso diventa kigo dell'autunno, cioè indicatore di stagione, tanto più che l'autunno è il momento in cui tutto tende a ritirarsi verso l'interno mentre per la primavera si usano parole che indicano l'aprirsi verso l'esterno.

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