Alfabeta - anno VI - n. 56 - gennaio 1984

11 linguaggJd,!e,.lpotere Marino Niola La parabola del potere: il big-man ddla Mdanesia Torino, Loeschcr, 1981 pp. l67, lire 4900 Elias Canctti Mu.sa e potru trad. i1. di Furio Jesi Milano, Adelphi, 1981 pp. 615, lire 20.000 9 uali sono le immagini del potere? Con quali segni esso si ra~prcscnt.a sulla scclla storia (umana)? E soprattutto: di quali 1ravestimenti ha bisogno per delimitare il suo confine? Interrogarsi sul potere (o sui poteri), oggi, non può più significare ripercorrere ingtnUJUntntt le sue vicende storiche. Lo storicismo non è radicale, almeno nella misura in cui non affronta il problema del proprio stesso travestimento: che è - per dirla con Nietzsche - la maschera mortuaria con cui blocca lo scorrere incessante e labirintico della vita. La codificazione del passato, in ciò, si rappresenta nell'utopia, tnlro lu qualt si è sempre cercato, nell'ambito della Kultur, di allontanare o rimuovere il proprio asue fHr la morie: e ci~ la propria incapacilà•impossibililà di restare auaccati «al piolo dell'i• stante» (Nietzsche). Il tempo e lo spazio dovrebbero essere così ricondotti. per strade diverse. alla medcsimczza del luogo-soggetto in cui ti dd potere. Ma la medcsimezza. come la univocità e irreversibilità del potere, i una mera caratteristica di esso, non ne i l'essenza. Il potere i stmpre plu• raJe, come: la parola che lo espri• me, e nella quale esso si esprime. Ciò non significadecentramento o disseminazione (anche queste sono caratteristiche specifiche di un ctrto potere): la democrazia contemporanea i la mist tn sd.nt dello Stesso secondo un copione diverso, ma sostanzialmente ana• logo a quello che raccva dire a Luigi XIV: «L'État c'cst moi.-. È il dLmos che produce il kraJos come Unioo, non l'inverso. E la forma dell'Unico può essere dt-untra1a o ac-cen1ra1D, ma t comunque totalitaria: «JJ legarne - anche postulato da molte anime belle - tra socializzazione e democrazia t spcz• z.ato per sempre• (M. Cacciari). Probabilmente l'Altro, che la forma del potere come si t dato in Occidente tende a azzerare, non può costituire oggerro di speculazione teorica. Probabilmente, questa alterità del potere emerge solo a frammenti come infondatezza della parola (Heidegger) o della scrittura (Dcrrida): come soprav• vivenza di miti e riti dispersi tra le rovine del significato in un mondo, quale il moderno (o post•moder• no), che vede disseminato non il potere, oome sovente si crede, ma ~ le istituzioni entro le quali esso t ·t imprigionato. li pere.orsoper pensare il potere ~ come modalità dell'azione sociale, e non oome «politica,. totalità -~ astratta, può essere diverso: aura• ~ versando e.onlinguaggioetnografi• co la sua definizione ampia, al di là ~ del politico istituzionalizzato, ~ t me fa Marino Niola che esamina la ] figura del big-man nel vasto e ~ complesso mondo melanesiano; == oppure ricercando i luoghi e i segni del potere nella geografia del corpo (umano e sociale) genealogicamente ricostruito attraverso le sue funzioni, come fa Elias Canetti. L e implicazioni connesse alla figura del big-man inducono non soltanto e non tanto a identificare il Politico nel Linguag• gio, quanto a distinguere tra Potere e Politicità. «Il big-man: un potere non abbastanza politico?» sì chiede Niola. Il oorpo del capo è il vero luogo del potere, occupando una dimen• sione - che per noi è divenuta in• comprensibile - situata al di qua del politico: «Il potere del big-man si presenta, infatti, come personale. Non poggia su apparati politici o 'dinastici' di nessun tipo, dunque che essa rispondesse a un preciso soggeuo, coperto da essa, e da essa rappresen1a10. Per leginimare lale maschera cristallizzata, il tempo storico è stato ..-inventarialo» come tempo momm1er1tale. Dello ..-.smascheramento»di liobbes non c'è traccia nel pensiero politico del Positivismo e dell'apologia bor• ghese. Quante volle i Kapauku avrebbero messo a morte i sovrani dei nostri Stati di dirit10? È in questa fusazione della maschera, come istituzionalizzazione del gesto in cui si dà po1ere, che il potere stesso muore. e trasmuta nel Politico. Allo stesso modo, per Canetli - come si vedrà- nell'epoca moderna il potere tende a risol• versi in una delle sue funzioni, quella del Comando cristallizzalo nell'Ordine. MargilCantensen in Brcmcr Frcihcil ( 1972) né su istituzioni politiche né su istituzioni 'vicarie', come quelle della parentela la cui funzione politica in società senza istituzioni specializzate t stata accuratamente ana• lizzata dalla letteratura antropologica sull'Africa• (p. 21). La forza fisica, la dlpense oratoria, al di là di ogni economia del segno, la capacità di produrre per ridistribuire, sono le caratteristi• che essenziali di questo potere che - io ogni caso - si dà sempre nella sua massima interezza nell'istante in cui accetta di morire. In questa accettazione della propria morte sta essenzialmente il tratto caratteristioo del big-man, il suo essere irriducibile a ogni istituzionalizzazione. «Tu non devi essere il solo ricco, dovremmo essere tutti uguali, perciò sii uguale a noi»: sono le parole che i Kapauku delle Highlands della Nuova Guinea occidentale pronunciano nel mettere a morte il loro capo, quando la funzione diventa oppressione, quando ci~ il potere si smaschera, nel preciso senso che rivela il suo ruolo rap• pruentari'10. A questo proposito. sembra opportuno ricordare che tutta la cui• tura occidentale successivaalla Ri• voluzione francese ha tentato di [usare tale maschera pretendendo Quello del big-man è infani, per eccellenza, un potere che non ha storia, che si gioca nella rappresen• taziont, e nel rischio del proprio smascheramento, senza accreditare o legittimare nessun di.scorso tterno, fissato per sempre nel significato del linguaggio. 11 linguag• gjo del potente, nelle società acefale della Melanesia, t tanto poco «economico» quanto lo è lo scambio, unicamente intriso di simbolicitd. Nella teatralità assoluta della festa cerimoniale sembra dunque fondarsi il potere: i là che dobbia• 'tno probabilmente cercare la sua intrinseca 'llifferenza. Q uale sia l'origine del gesto simbolico che contraddistin· gue il potere, è una questione attorno alla quale ruota tutta la seconda parte del volume di Elias Canetti. Nella sezione intitolata «Elementi del potere,., egli ins1au• ra una vera ecarcheologiadel sape• re», che penetra negli anfratti più riposti del gesto e nelle sue funzioni archetipiche. Si vede allora che tale gesto è oontraddistinto perennemente dal• la caratteristica del penetrare per uccidere e/o per svelare il segreto dell'altro. Il corpo del potere è te• so a oltrepassare il corpo delral• 1ro. o per possedere, o per evitare di esserne posseduto. In tale dialettica delra[fcrrare, scompare qualsiasi distinzione tra soggetto e oggetlo, così come scompare ogni rapporto tra significante e significato. In questo caso la rapprese'1Ul· zio'1e, come fatto ab-solul!LS, esclude la rappresenta'1za- la quale, al contrario, si costituisce come forma legittima di un soggetto rappresentato: «Il potere nella sua intima essenza e al suo culmine sdegna le trasformazioni. basta a se stesso, vuole soltanto se stesso. In questa forma è. sembrato agli uomini degno di ammirazione: assoluto e arbitrario, esso non agisce a vantaggio di nulla e di nessuno» (E. Cane1ti, Massa e potere, pp. 247-48). La mano si configura così oome il vero luogo deputato del potere, in quanto essa è lo strumento di un gesto che è anteriore al linguaggio. Si tratta di una originarietà provvi• sorio, estranea a ogni ipolesi m~ofondativa, non permettendo essa la costituzione di una entità metafisica, anteriore alla sua apparenza: «Parole e oggelli furono ema• nazione e conseguenza di un'espe• rienza unica e unitaria, ciCXdel rappresentare con lt mani» (ibi• dem, p. 261). E ancora: «L'uomo ha, sì, imparato a dominare e.onla durezza ciò che è duro, ma la mano continua ad essere per lui in ogni caso l'ultima istanza» (p. 262). Sono ·pagine che richiamano da vicino la riflessione heideggeriana sull'essenzialità dell'Hand-werk., con una profonda diversità: mentre in Heidegger è il pensiero insi• to nel linguaggio a mostrarsi come gesto (..-infatti è solo in quanto parla che l'uomo pensa», M. Hei• degger, Che cosa significa pensa• re?, voi. I, p. 109), in Canetti, al contrario, il gesto t anteriore al linguaggio, procede dal silenzio e non dal linguaggio-pensiero. e i troviamo in ogni caso all'interno di un orizzonte, come quello nichilista, il quale lenta sempre i suoi limiti estremi. alla ricerca di un linguaggio che possa dire il potere e il suo contrario; che possa in qualche modo pensare il potere, interrogando i suoi residui essenziali, a partire dall'epoca mo• derna. Nella dentatura scoperta della belva, vero simbolo della forLa, si potrà allora riconoscere l'origine della eclevigatezza» contempora• nea, la sua ossessiva presenza negli oggeni che ci circondano: ecOggi la levigatezza ha conquistato anche le case, le loro mura, le loro pareli, gli oggetti che vi si colloca• no. Ornamenti e decorazioni ven• gono disprezzati come segni di cattivo gusto. Si parla di funzionalità, di chiarezza, di utilità, ma ciò che veramente ha trionfato è la leviga· rezza e il segreto prestigio del potere che vi è insito» (Massa e pote- "• p. 250). Impossibile non pensare alla forma sforica dell'utopia contemporanea che, attraverso l'Avan• guardia, ha strunurato la metropoli moderna (si pensi alte acute pagine che su questo argomento hanno serino Manfredo Tafuri in La sfera e il labiri1110, Torino. Einaudi. 1980,e, prima di lui, Massi• mo Cacciari in Me1ropolis, Roma, Officina, 1973). Eppure, è proprio cercando tra gli interstizi di ques10 mondo ectotalitario,.del tutto ..-tra• sparente» (come gli edifici di Walter Gropius). e privo di segretezza, che sarà possibile riconoscere, di lontano. la non 1rasparenza del potere, il suo essere radicale nemi• co di ogni segreto, per accentrare in sé tutto il segreto. In questo senso, le dittature moderne non sono per nulla «arretrate». o ..-.residui•del passato, come spesso è stato sostenuto (con tutta la polvere «storicistica» sollevata recenlemente dal «dibattito» sul fascismo e sul nazismo). Esse si presentano a pieno diritto come «forme• contemporanee del potere, prodoue dalle masse libere, o «cristallizzate», votate al proprio accrescimento e alla propria riproduzione-distruzione. Nulla di eculopioo,., quindi, e nulla di «nostalgico,. in questo libro di Canetti, bensl qualcosa di essenzialmente tragico. La tragici• tà sta nel fatto che la figura del soprav'1Wwo, nella quale il potere si concentra, è destinala a soprav• vivere a se stessa: dunque a ol{re• passarsi (oome Zarathustra passa oltre la «grande città»? e in quale senso: in quello di auraversare, o di lasciare al proprio «destino»?). A questo oltrepassamento è destinato il potente: egli deve, a un tempo, cessare di vivere e sopravvivere. Ma per poter fare ciò egli deve togliersi la «spina» del comando, che gli è intimamente ecestranea». È possibile liberarsi del comando, e cioè della ecspina,.che tutti noi abbiamo, a suo tempo, ricevu• to? Canetti dice l'irrinunciabile necessità di farlo, ma non dice come: ecOa qualunque parte lo si consideri, il comando nella sua forma compalla, compiuta, che oggi gli è propria dopo secoli di storia, i divenuto l'elemento singolo più pericoloso della vita collettiva degli uomini» (Massa e potere, p. 403). Su questo interroga• tivo, lasciato aperto, il libro si chiude.

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