Alfabeta - anno VI - n. 56 - gennaio 1984

Federico Zeri Diari di lavoro 1 Torino, Einaudi, 1983 1 pp. 122, lire 30.000 Il L'esiziale connubio tra '' Letteratura e Storia dell'Arte( ... ) qui da noi, negli ultimi decenni, ha raggiunto vertici di insuperabile compiutezza fonnalc, dietro ai quali si celavano abissi di provincialismoe di ambiguità. Chi si diletta di frasi tornite e scintillanti non legga dunque questi appunti; la mia giornata ~ troppo gremita e piena per consentirmi di vegliare a notte alta alla ricerca dell'aggettivo icastico o della cadenza». Scrivendo queste parole severe in epigrafe al suo libro, Federico Zeri naturalmente (da par suo) fa molto sul serio, e al tempo stesso scherza. Ripudia la compiutezza formale fine a se stessa del critico d'arte - anzi non fine a se stessa, ché serve proprio a nascondere vuoti d'informazione e di competenza, ambiguitd di giudizio critico (e qui fa sul serio). Rivendica per se stesso il diritto all'appunto senza speciale cura letteraria, presentando i suoi Diari di lavoro di conoscitore di prima grandezza quasi solo come schede prelevate da un cassetto: e qui scherza. Non che il suo cassetto non possa contenere, anzi non contenga, -schede• limpide e preziose come queste (già ci sono, del resto, i Diari di lavoro 2, comparsi anch'essi nei e.Saggi,-Einaudi poc.o tempo fa; e chi sa quant'altro ancora!); ma è che- sia pure, crediamogli, non per veglie notturne - i suoi testi sono scritti con rara precisione ed eleganza letteraria. Precisione però insieme, ho detto: ed è qui che corre. nella corrucciata invettiva della prima pagina del libro. il discrimine: perché l'autore sa benissimo che il suo aggettivo (icastico, quando occorre) e la sua cadenza si tagliano addosso a questo e a quel problema, a quel pinore, come abiti d'altissima sartoria. La lingua come strumento per rivelare scoperte e precisioni, non per nascondere ambiguità; ecco già una lezione. Questi Diari di lavoro J erano già usciti, nel 1971. per Emblema editore (Bergamo). e sono riproposti da Einaudi tal quali dodici anni dopo:.ottima occasione, dato che la prima edizione era stata poco diffusa. c. Tal quali»: ma, vedendol.i nell'83, è inevitabile leggere questi Diari con altr'occhio, e filtrati non solo dalla loro seconda «puntata•, ma anche da quel Mai di traverso (Milano, Longanesi, 1982), dove Zeri ha raccolto i suoi articoli di giornale, disegnandovisi ora soddisfatto narratore, ora implacabile polemista. Per la brevità del taglio, i testi di quel libro e quelli dei Diari hanno quaJcosa in comune, pur appartenendo a «generi»differenti; e li le- &?L sopra~tto: la capacità dell'autore di delineare entro breve spazio la cifra intera di un problema critico, ora per sapiente evocazione ora invece con caratterizzazioni taglienti e spes.wnon dimenticabili: una «compressione»di ogni tema affrontato proprio intorno al suo nucleo vitale, che cosl ne esce più. evidente. Si capisce che Zeri non p055a soffrire gli sproloqui. I diaridiZeri Naturalmente - e qui sta la differenza - Mai di traverso contiene molti testi più legati a spicciolevicende quotidiane, al ritmo di un giornale, e perciò talvolta sovraccarichi di sciabolate polemiche distribuite, è vero, spesso con ironia, ma non sempre - mi pare - mirando giusto; e probabilmente un esame dello stile rivelerebbe che quelle pagine nervose finiscono con l'essere (contro le intenzioni dell'autore) meno impietose assai che non sembri - certo meno impietose delle stoccate controllatissime di cui nei Diari sarebbe facile prelevare un florilegio. P roprio per la densità della scrittura, questi Diari di lavoro si offrono ai due tipi possibili di lettore (lo spcciaJista e Salvatort Stttis già assai prima, e lo ha mostrato Vincenzo Pacella nella sua Iconografia bernardiniana). Il lettore non-specialista potrà, muovendosi tra opere che non sono nella cultura di tutti, non solo cogliere, per cosi dire, per squarci la variegata problematica entro cui si muove lo storico dell'arte, ma anche entrarvi attraverso una porta specialissima, che Zeri- con pochissimi altri - sa dischiudere con suoi grimaldelli. Vogliodire di una sempre presente, e talora prepotente, vena narrativa, che a1 quadro del singolo «pezzo» non fa da cornice, ma vi s'insinua fino a far corpo con esso: e del problema da conoscitori-in-senso-stretto fa ma• teria di racconto. Prendiamo un anonimo «..Maestro di Marradi,-, il suo arcaizzare Fa.ubindcrl il commi.uariolamcn in Kamikaze 1989 (1981-81)di \Vol/Grcmm il non-specialista) come un cibo specialmente gustoso, che è possibile mangiare secondo ritmi, e riti, diversi. Lo specialista noterà attribuzioni e notazioni - di data, d'iconografia - su cui consentire, o no; rileverà quali, dei problemi affrontati, abbiano mutato la loro topografia (come Buffalmacco dopo il libro di Luciano Bellosi); o dove un'ipotesi meriti di es.serecorretta (cosl quella che l'emblema «bernardiniano» sul manto di un San Pietro di Jacobello, a Denver, debba necessariamente considerarsi un'aggiunta posteriore: mentre quell'emblema, diffuso sl da san Bernardino, era però ben noto di proposito violando le cronologie, •i dirottamenti verso temi iconografici e formali 'antichi'». È un piccolo maestro di cui non conosciamo né l'ambiente né i comntittenti, e però vivo proprio in quel suo ostinato calarsi altrove, riprendendo e copiando da Taddeo Gaddi: «Non conosco altra opera del Quattrocento cosl affine agli odierni tentativi di dar vita a una formula inane in partenza, che vorrebbe innestare un passato di favola su un presente svuotato della sua ragion d'essere, la formula cioè cui s'aggrappa ancor oggj il mondo figurativo del Cattolicesimo». O ancora il «falsario in calcinaccio»: lieta figura di inventore di frammenti d'affresco, che Zeri non si lintita a definire come «falsario» appunto, a1 mero scopo di elintinarlo dai cataloghi di pitture quattrocentesche; anzi, chiaman• do a prove «contro» di lui ora l'impasto (in uno stes.wframmento) di Toscani e Veneti, ora l'intrusione di Hans Holbein, ora l'esemplarsi su «tipi» cinematografici o sugl'involucri del panforte di Siena, finiamo col vederci squadernata davanti non l'etichena, ma quasi la biografia del FaJsario. D ue tenti topici, che ritornano in più d'un s.aggjo,si prestano in modo speciale aJlo Zeri annodatore di trame: la collaborazione fra artisti e la ricostituzione di complessi smembrati. Ccl/aboration in ltalian Renaissance Art è il titolo di un libro stampato a Yale nel 1978: rispetto a quelli, gli esempi prodotti da Zeri hanno questo di particolare, che mettono a fuoco casi di collaborazione tra /raie/li, Pietro e Ambrogio Lorenzctti o Domenico e Davide Ghirlandaio, puntando diritto sul problema dell'organizzazione della bottega familiare, dove djvisione (del lavoro) e unità (del progelto) non sono che le due faa::edella stessa medaglia. Forse più ..narrativo» ancora t l'aJtro tema: percht rimettere insieme, da frammenti sparsi nei più. vari (e lontani fra loro) musei e raccolte privale, un polittico di Bernardo Daddi o di Jaoopo Bellini non è solo operazione di risarcimento archeologico, ma consente di ripercorrere aJl'indietro più d'u• na vicenda collezionistica e, collocando l'opera recuperata al termine di un arduo e privilegiato percorso conoscitivo, ne fa un più prezioso oggetto d'attenzione. Di più: se - divideDdosi in più parti - un'opera ha perduto l'unità e l'idenlità originaria, tanto che ogni frammento aveva assunto, nel luogo dov'era, una propria classificazione anagrafica., ecco che la strada contraria dove Zeri conduc.e il lettore (spesso appoggiandosi a minute, inoppugnabili osservazioni di dettaglio: la proscalZione di una linea dello sfondo, la ripetizione di identiche punzonature ... ) diventa riconquista di quell'identità; e il confronto fra i due punti estrenti di questo itinerario (le due 'cane d'identità', quella dei singoli frammenti e quella complessiva) dà ogni volta uno spaccato della strumentazione e delle strategie proprie degli storici dell'arte. Com'è ovvio, quest'ultimo 'genere' di narrazioni critiche è speciaJmente avvincente proprio pcrchl! t, insieme, il racconto di un'avventura: se è ora possibile rivedere insieme l'Angelo (già in collezione privata a New York) e la Veriine (a Mosca) di un'Annunda.rion.e di Andrea di Bartolo, ~ proprio perch~, girando il mondo armato dei suoi problemi, Zeri ha riconosciuto la pertinenza comune dei due frammenti. Cosl il racconto delle scoperte del conoscitore è anche il racconto dei suoi viaggj: e Zeri, insomma, si fa amabile e compiaciuto narratore di se stesso - ostentando talora, con un gusto dell'improbabile tra il capriccioso e il divertito, ciò che non può chiamarsi aJtrimenti che una sfacciatissima fortuna. Qualche esempio. Aveva in casa, da tempo immemorabile, un'iscrizione antica, funeraria, d'un ragazzetto dodicenne di nome M. Bebio Marino. Nel 1979,capita da un antiquario di BcverlyHills e ci trova un altro pezzo dello stesso identico monumento funebre, col nome dello stesso fanciullo, e la stc:s.saetà: naturalmente, lo compra e riunisce, dopo secoli forse, i due «disiecta membra» (Mai di traverso, pp. 249 sgg.) Sta studiando, su monconi sparsi qua e là, i frammenti di un Trionfo tkl/a Ca.nit.i di Gherardo del Fora, e gli manca un anello della catena, alcuni pannelli già in collezione Adorno a Genova, e 6 visti dal Bode, dal Morelli, dal Berenson, da A. Venturi, ma poi spariti e mai (sembra) fotografati, nt mai (certo) pubblicati. Fmcht trova le foto di tre pannelli su quattro. Come? «Le ritrovai chissà come aJl'interno di una copia di "° un vecchio libro di cucina, che ~ avevo acquistato nel 1963 da un ·i piccolo libraio_del Village a New ,!- York, dove Dl1 aveva condono la ~ noia di un pomeriggio estivo, di ~ asfissiante calura» (Diari di lavoro -~ 1, p. 7S). . 5 . No~ c'è che dire: fonu.na_o no, : m ogrucaso è un bel pe27.0 di lette- """ ratura. i:: l! J! ~

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