Alfabeta - anno V - n. 50/51 - lug.-ago. 1983

Cfr. 2.eno Birolli Umberto Boa:iooi Torino, Einaudi, 1983 pp. 189, lire 24.000 Diceva Oscar Wilde che per essere un buon narratore basta del talento, ma per essere un buon critico occorre del genio. Con queste ultime parole credo intendesse alludere, più che alle difficoltà dell'impresa, alla diffusa modestia di quanti vi si accingono, cosl che le eccezioni appaiono straordinarie. Ripensavo a questa intuizione leggendo Umberto Boccioni di 2.eno Birolli, dove narratore e critico addirittura si sovrappongono e si fondono e rendono l'opera tanto più affascinante e originale, quanto meno definibile. Vi viene evocato, anche se con diversioni e ritorni, soprattutto l'ultimo periodo della vita di Boccioni, quello della adesione al futurismo, del Dinamismo Plastico. dei contatti fecondi con artisti, poeti e critici, da Balla a Carrà a Severini, da Marinetti a Palazzeschi, da Longhi a Cecchi; periodo che si conclude con l'esperienza tragica e illuminante - dopo l'ebbrezza interventista - della guerra, dove muore nel 1916, a trentaquattro anni. Non si tratta però né di un racconto critico come il Picasso della Stein, né di un ritratto immaginario alla Pater, né di una biografia autobiografica come il Majakovskij di Sklovskij. È piuttosto un viaggio nel mondo di Boccioni, fondandosi sui suoi scritti critici, sulla sua corrispondenza, sui suoi diari, oltre che sulle innumerevoli testimonianze del tempo, ma affi-ontando questo itinerario con una estrema libertà di movimento. D punto di vista narrativo passa continuamente dalla prima persona, dove Boccioni vive le sue tensioni tra limiti quotidiani e certezze di assoluto, e la terza persona, dove viene inserito nella trama, mobile e cangiante, dei rapporti umani o fermato in dialoghi di tagliente consapevolezza. E la scrittura passa, con altrettanta flessibilità, dalla notazione storica a un correlativo narraJivo della esperienza pittorica e plastica. È una scrittura stranamente mimetica, dove il clima, il gusto, le aspirazioni di un'epoca, quali ad esempio traspaiono nel linguaggio di Soffici, di Campana, di Marinetti, riaffiorano all'interno di un altro linguaggio, che avvicina il proprio oggetto, ma insieme lo preserva nella sua lontananza, per poterlo appunto rivivere e ricreare. Per arrivare a que!.to risultato Birolli ha certamente attinto ai tanti anni di frequentazione di Boccioni, di cui cura l'archivio e di cui ha pubblicato nel 1971-'72, presso Feltrinelli, gli Scritti editi e inediti. Ma in pari tempo ha saputo prendere le distanze, con un cora.ggioche può nascere solo da una determinazione morale: ossia dalla volontà di immedesimarsi in un uomo, ma insieme di confrontarsi con lui, di essere se stesso nel divenire dell'altro, di trasformare il rapporto critico in una esperienza vitale. Giuseppe Pontiggia Centro internazionale di Semiotic:a e Linguistica Urbino, 11-30luglio 1983 Numerosi, e per tutti i tipi di ~ specialismo interno, i convegni .Q ::E!, prossimi dall'l l al 30 luglio di quesfanno nel tradizionale mese delle scienze del linguaggio del Centro internazionale di Semiotica e Linguistica di Urbino. Accanto a corsi individuali, sul cinema, sulla fotografia, sulla letteratura, sulla semantica e cosl via, sta infatti una serie di incontri internazionali di indubbio interesse scientifico, sia per il tema che per i partecipanti. Vi è, ad esempio, un'importante discussione sulla semantica che vede la partecipazione di Cicourel e Fouconnier, due dei massimi esponenti della disciplina. Ma vi è anche un incontro di semiotica avente per oggetto la specificità femminile, che vedrà la partecipazione di donne-semiologhe, si presuppone agguerrite ma non certo dedite a riproposizioni ideologiche femministe quanto piuttosto alla ricerca dello specifico comunicativo del comportamento femminile. Molto diverso, ma in qualche modo legato tematicamente al primo convegno, è poi l'incontro sulla Retorica del corpo, dove il fulcro però è forse un po' meno il corpo e un po' più la retorica, almeno stando a vedere i nomi dei partecipanti, che comprendono studiosi di retorica strutturale (come i belgi del Gruppo di Liegi), di arte (come Daniel Arasse), di letteratura, e così via. Più legato alla semantica è invece il convegno organizzato da Peer Age Brandt sul tema della Torre di Babele, e che consiste nell'esplorazione del mito di origine delle lingue, divise dal peccato di superbia, ma in fondo unite dal principio dell'origine comune. Segnaliamo ancora una serie di tavole rotonde di un certo peso: dal 18al 20 un dibattito sul cinema italiano e italo-americano organizzato da Seymour Chatman; il 29 e 30, invece, la discussione sulla pragmatica dell'oggetto architettonico, allestita da Rivkin. Al colloquio sul cinema italiano e italoamericano fa riscontro per altro una seconda e più ambiziosa iniziativa, promossa in Urbino e presso il Centro di Semiotica dalla Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Si tratta di un laboratorio sul tema, bello quanto difficile, dell' «estetica della ripetizione», e cioè sul film e telefilm seriale. Si prevedono numerosi interventi, fra i quali quelli autorevoli di _Ecoe nuovamente di Chatman. Per concludere, le conferenze, ampie e qualificate: nel programma, infatti, si leggono i nomi di Paolo Fabbri, di Louis Mario, di D'Arco Silvio Avalle, di Nicole Treves, di Vilmos Voigt, e di molti altri, fra i quali, si spera, interverrà anche Tzvetan Todorov. L'attività di Urbino, insomma, prosegue anche quest'anno con eccellente ritmo e qualità, e c'è da prevedere che corsi e seminari saranno come sempre affollati di persone. È una testimonianza, questa, che quando una piccola istituzione riesce a fornire occasioni interessanti di incontro si fa presto a istituire una tradizione. Solo, sarebbe il caso di moltiplicare iniziative di tal genere, e offiire risposte a una domanda di cultura che, soprattutto in provincia, è massiccia, e potrebbe ancora sortire buoni risultati. Omar Calabrese 8101otecag1 1anco D,--io Antologia poetica Reggio E., Elitropia," 1983 pp. 952, lire 40.000 II pomerio, «spazio di terreno consacrato e libero da costruzioni che correva lungo le mura di Roma», è suggestivo per un'antologia libera da ogni possibile vincolo precostituito e frutto di due anni ·di lavoro di ricerca e di sondaggi e di autentica passione di Gianni Scalia, stimolato da una ribellione definitiva contro quel «senso di colpa verso l'innocente e astuto desiderio del Bello» che in certi anni molto ci ha afflitto. Nella sua prefazione, chiamata argutamente «Aperitivo», Scalia può sembrare fin troppo aperto, ed eccessiva la sua chiamata all'entusiasmo per la poesia. A me sta bene e condivido anche una certa aria di sfida alle «insidie e alle idiozie del sérieux», proprio perché Il pomerio è, dentro i propri criteri, opera serissima, un autentico livre de chevet, da aprire per il piacere puro di condividere la vitalità di scritture limpide e tese. Nulla che sappia di facile «decostruzione», ma traduzioni sensibili e rigorose e commenti - per chi voglia accrescere il proprio godimento - adeguati. Chi non ne sente il bisogno li può tralasciare, ma è difficile non desiderarli. Dalle Cinquanta strofe del ladro, capolavoro della poesia d'arte in sanscrito, a Novalis, Quevedo, Victor Segalen, Cesar Vallejo, Antonio Artaud, Elizabeth Bishop, John Ashberry, Geoffrey Hill, Gennarij Ajgi ... un percorso a volte fulminante, a volte calmo e persuasivo. «'Un poeta volentieri s'unisce ad altri e li aiuta ad intenderlo', ci ricorda Holderlin. L'uno accanto all'altro, senza rivalità, alternativa, comparazione, in quella convivencia che nasce dall'eguaglianza che conosce la Poesia». Così nell'«Aperitivo». E continua: «'Il comunismo dell'anima', come per Artaud. E anche una virtù cortese, una gaia scienza, una bella sapienza... 'Le letterature si sono innamorate le une delle altre' scriveva Valéry». Un atto liberatorio, dunque, non certo (per fortuna! e per intelligenza... ) un programma; un bel salto nel vuoto dall'esito felice perché chi lo compie approda nel terreno ben lavorato e di conseguenza bene abitato della poesia (e questo è merito anche dei traduttori e curatori dei poeti offerti). «Abitare il linguaggio» oggi significa attraversare le devastazioni del territorio linguistico e fare opera di disinquinamento, scoprire un linguaggio abitabile; questo fa la poesia, antica e moderna, sempre contemporanea se ri-scritta, oggi, da un lettore che sa come utilizzarla. Le mitiche «origini» sono il segnale del desiderio-necessità di un luogo dove poter vivere, con anima e voce. Antonio Porta Per Mastronardi Atti del convegno (Vigevano, 6-7 giugno 1981) a c. di M. Antonietta Grignani Firenze, La Nuova Italia, 1983 pp. 167, lire 10.000 Sulla figura e l'opera di Lucio Mastronardi, scomparso nel 1979, si era interrogato due anni fa un Convegno di studi a Vigevano; ne sono ora pubblicati gli Atti. Tra gli intervenuti, Giorgio Orelli «tassella», particolarmente dal Calzolaio (che al Convegno ha largamente 'vinto' sulle altre opere), esempi di quella poesia dell'assurdo da lui individuata come fondamentale nello scrittore. Renato Marchi ripubblica qui (pp. 117-32) uno specimen di quattro racconti 1955-56 allestito per il Convegno, e vi accompagna alcune sue nitide note sul primo Mastronardi. M. Antonietta Grignani, in un saggio fondamentale, analizza lingua e dialetto - ancora soprattutto nel Calzolaio - e dà preziose indicazioni su personaggi e luoghi di Vigevano citati negli scritti di Mastronardi. Ancora alla Grignani dobbiamo l'altra riscoperta del volume (pp. 133-67): dieci racconti della maturità, usciti dal '62 al '66 sul' Unità e non raccolti ne L'assicuratore (Rizzoli, 1975), l'ultima uscita in pubblico dello scrittore. (Va fatta almeno una giunta alla Bibliografia di p. 35: il racconto L'assicuratore apparve sul Caffè, in due puntate, nel 1961). Mastronardi esordisce su un giornale vigevanese nel 1955, a venticinque anni, con racconti di vita locale e «ricordi di tempi andati», già nel suo stile. Dirà in un'intervista del 1962: «Mi piacciono Pasolini e Gadda, ma non sono come loro. Non sono filologo, non mi compiaccio del pastiche linguistico. Scrivo in un impasto dialettale perché in italiano puro farei dei componimenti da maestro di scuola: la farfalla vola nel prato ecc.» (Per Mastronardi, p. 48). Si laurea scrittore a pieni voti, come è noto, inaugurando Il menabò di Vittorini nel '59. Meno notato è il seguito - non pubblicherà più una riga sulla rivista - e ancora oscura è la storia dei rapporti con Vittorini. Si può arguire, purtroppo, che vi ebbero replica quelli difficili con Fenoglio di qualche anno prima. Nel suo «silenzio» di quegli anni, Vittorini a volte poteva essere anche sordo o molto fazioso, e insomma - nella definizione della sua politica data dalla Grignani nel volume - abusare del bastone. Così sarà vittoriniana e infelice l'ultima creatura della Trilogia: quel Meridionale di Vigevano (1964), dopo il quale Mastronardi si tiene in disparte per qualche anno - salvo intermezzi di racconti assoluti come A buon rendere, L'acqua e soprattutto la Ballata. Verso il successo precoce, così come verso i tonfi (Il meridionale, e poi A casa tua ridono, 1971), l'autore mostra una indifferenza elegantissima. Adolescente di guerra, comunista in tempi duri e raté di suo (fisiologicamente, si vorrebbe dire, ma sempre con dolcezza e autoironia), come Pratolini da una certa data in poi non scriverà quasi più. Non soltanto per le sue vicende di «scorticato vivo» (I. Calvino), ma perché quella necessità di dire che è sempre stata alle origini del suo stile, non c'è più o peggio è inefficace - che è il sugo amaro di Racconto stracciato del 1965 (riedito in questo volume, p. 158). Proprio tale necessità può rivelare gli stretti parenti letterari di Mastronardi (al di là dei grandi nomi di Manzoni, Verga, ecc.), vale a dire il gruppo allora riunito attorno a Gianni Bosio, e su Nuovi argomenti le storie sarde di Gianni Cagnetta e quelle della «leggera» di Danilo Montaldi (queste ultime in volume nel '61). In prima fila, dunque, tra i «selvaggi», Mastronardi ne apre la stagione migliore, che si concluderà idealmente dieci anni dopo con Vogliamo tutto e il primo Celati. Una collana tra le meno appassite nel catalogo degli anni sessanta... Marco Leva F. Verde, E. Pacifico IL TRIBUNALEDELLALIBERTÀ commento articolo ~r articolo a questa legge innovativa M.C.DelRe LASTERILIZZAZIONE VOWNTAIUA faJti eproposte prefazione di Ernesto Balducci problemi giuridici, medici, morali Armando Montemarano IL TRA Tr AMENTO DI FINE RAPPORTO prefazione di Amelio Malatesta le «nuove liquidazioni• Franco Ferrarotti COMEMUOREUNACLASSE DIRIGENTE una analisi «scomoda» della società italiana Maria immacolata Macioti ERNESTONATHAN un sindaco di Roma massone, ebreo, mazziniano che non hafatto scuola Anna Riva LARABBlAFEMMINISTA la storia del neofemminismo italiano dal 1966al 1980 attraverso l'analisi dei documenti Arnaldo Nesti LEFONTANEE IL BORGO il fai/ore religione nella società italiana contemporanea Fabrizio Di Giulio IL NEMICOINTERNO dialoghi con gli oppressi il noto psichiatra raccoglie i colloqui più significativi con i suoi pazienti via A. Riboty n. 18 00195 Roma telefono 06-3589470 Misteri d'autore Rarità e storie inedite "gialle" e "nere" tolte dal cassetto di maestri della letteratura e di scrittori insospettabili. ArturoCarloJemolo Scherzodi ferra,osto Fra giallo psicologico e realismo nero, !"opera insolita di un insigne giurista, una macchina narrativa che darà filo da torcere ai più accaniti lettori di romanzi polizieschi. lire 6.(X)() AchlmvonArnim Il manichinotra,lco "Pare un miracolo la serietà terribile di Hoffmann, ma si tratta di un gioco da ragazzi al paragone di Arnim··_ (Hclnc) Lire 5.000 ThomasDeQuincey Il vendicatore Una litania di delitti sconvolge una piccola città della provincia tedesca agli inizi dell'Ottocento. Un romanzo tra i più raggelanti della grande tradizione "nera". Lire 5.000 Editori Riuniti

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