Alfabeta - anno V - n. 48 - maggio 1983

«Il cancro del tempo ci divora. I nostri eroi si sono uccisi o s'uccidono». Henry Miller S i potrebbe pensare alla _letteratura come a uno spazio organizzato dalla figura della spirale o come a uno spazio finito e illimitato simile alla concezione dell'universo contenuta nella relatività generale. In ogni caso si dovrebbe trovare un posto di rilevanza alle opere omeriche, data la centralità dei modelli da esse proposti, ed essendo esse matrici di due serie distinte di opere letterarie. «La letteratura (profana, cioè quella vera) incomincia con Omero - scrive Raymond Queneau - e ogni grande opera è o un'Iliade o un'Odissea, ma le odissee sono molto più numerose delle iliadi: il Satyricon, la Divina Commedia, Pantagruel, e naturalmente Ulisse ( ... ) sono delle odissee, cioè delle narrazioni in tempi pieni. Le iliadi sono invece delle ricerche del tempo perduto: di fronte a Troia, su di un'isola deserta o dai Guermantes»'. Questa indiscutibile centralità delle opere omeriche è derivata anche dall'interesse per quella che è la più importante invenzione dell'epos greco: Ulisse. Questa importanza ha creato, con la soverchia disponibilità di modelli letterari derivanti dall'Odissea, un vasto interesse intorno a Odisseo e alla sua vicenda, tale per cui anche il canone dell'eroe è stato ricalcato sul re di Itaca. Ma in tempi recenti la letteratura ha inventato un personaggio che eroe non è, anche se avrebbe voluto esserlo - un protagonista perdente di segno opposto al trionfatore Ulisse, che ha dato vita alla moderna mitologia dello sconfiuo. Questo quasi-eroe si chiama lord Jim, ed è il protagonista dell'omonimo romanzo di Joseph Conrad. Oggi la mitologia dello sconfiuo è sufficientemente ricca eppure costantemente inferiore a quella del vincitore, che resta il modello prevalente e più vendibile da parte dell'industria culturale. Ma, lasciando stare il problema dell'utilizzo dei due modelli, resta la necessità di chiarirne la dicotomia, considerando che non è certo un caso che Conrad abbia scelto per Lord Jim il modello narrativo dell'Iliade, in cui la narrazione ha le trame della memoria e la vicenda s'inceppa e s'allarga con il flusso dei ricordi. Il viaggio di Ulisse è un ritorno, un ritorno a casa che stabilisce per l'eroe un percorso ben definito tracciato su di una mappa. Il suo è dunque un viaggio verso qualcosa di conosciuto che lo attende: la casa, la famiglia, i servitori. Perciò, esso è il percorso di chi torna a legittimare la proprietà, e a rivendicare il diritto di tornare in patria e dalla propria donna, nonostante l'estrema difficoltà creata dai Proci, che costituisce la sanzione definitiva della superiorità del re al comando. L'itinerario di Ulisse scorre allora lungo il parallelo geografico e può essere ostacolato solo da ciò che non appartiene all'umano, che gli è ostile perché comprende che il successo dell'uomo e della sua ragione possono diventare il sovItaca~tJropici vertimento di un ordine: il soprannaturale organizzato dalla mitologia sa che l'avvento dell'uomo crea le premesse per un ordine in cui sarà proprio l'uomo a modellare il corso degli eventi e a creare la storia. A questo proposito, restano esemplari le tesi di Horkheimer e Adorno: «li navigatore Odisseo imbroglia le divinità naturali come - in altro tempo - il viaggiatore civilizzato i selvaggi a cui offre, in cambio di avorio, perle di vetro colorato»'. • L a vittoria di Ulisse è la vittoria di chi vuole appropriarsi della natura fingendo di credere che essa sia.ancora dominata dagli dei del cielo, del mare e della terra. Bisogna sgombrare senz'altro il campo dal soprannaturale per potere acquisire il dominio degli elementi naturali e instaurare linguaggio, della convenzione, sulla natura, che si mostra sempre più insufficiente a contenere l'universo del discorso dell'eroe. Ed è così che Ulisse ritorna a Itaca, dando prova che il re - il capo - non è tale per nascita, ma lo è perché possiede la conoscenza organizzata dal linguaggio. E alla natura, terribilmente forte quanto ingenua, appartengono anche i sentimenti che devono essere rinviati per consentire l'atteso ritorno. Nella sua isola, quando il viaggio ormai è concluso, Ulisse deve ancora fingere di essere un altro, nascondendo ciò che prova e chiedendo a chi lo ama di fare altrettanto. È l'estrema astuzia che sbaraglia la moltitudine (i Proci), immersa nel cibo e nel desiderio. Pertanto, dopo la sua vittoria Ulisse conclude il ripristino dell'ordine politico e morale, mentre la forza della mediazione ha disDisegno per copertina (Pavlov, i riflessi condizionati, ed. Boringhieri, 1965) un nuovo ordine. «E la formula dell'astuzia di Odisseo è proprio quella dello spirito separato, strumentale, che, aderendo docilmente alla natura, dà ad essa- quello che le appartiene e così facendo la inganna»'. , Il tempo in cui Ulisse si·.muove non è più il tempo del niito ma quello, probabilmente più umano, del mercante: il suo rispetto delle forze mitologiche e la sua astuzia, la sua vittoria, la sua conoscenza dell'avversario, gli consentono lo sfruttamento della propria forza per aiutarlo nell'impresa. La razionalità del rispecchiamento nel mito ne mostra le intrinseche debolezze, la nuova inutilità. Inoltre, la qualità dell'eroe è quella di lottare da solo per fare emergere la sua superiorità proprio là dove ciò appare impossibile. In questo senso, la diàlettica uno/molti ha solo la funzìbne di rafforzare ·l'ordine del disci.rsò nel senso in cui il logos si spiega ed emerge sulla moltitudine dei dati. C'è un solo uomo che alla fine deve affermarsi, così come c'è una sola parola da pronunciare, una sola parola che sfrutti le lacune del vocabolario per affermare l'astuzia del logos sul caos. La forza di Ulisse è la forza del solto tempeste e incanti, non facendo rimpiangere gli dei che vi sono rimasti aggrappati. L a storia di lord Jim è invece modellata sulla struttura del1' !/iade, e ha per protagonista colui che eroe non riesce ad essere. È una narrazione del tempo perduto - tempo che si è condensato tutto nei pochi istanti in cui Jim ha mancato la prova del coraggio, e si è abbandonato alla vigliaccheria di non rimanere sulla propria nave, in pericolo d'affondare, sino alla fine. Jim non è stato in grado di controllare la paura, lasciando sulla nave non solo i passeggeri di cui era responsabile, ma anche la possibilità di essere un eroe. Da quell'interminabile istante, ogni suo gesto - ogni suo eroismo - diviene l'impossibile riscatto d'un destino già scandito. Per questo la sua ricerca del tempo perduto reca l'ansia che il futuro sia come il passato, e che quindi non sia altro che un viaggio verso l'espiazione. Del resto, la struttura del romanzo è una ricostruzione a più voci, complicata da reticenze e ridondanze, di una vicenda e di un personaggio misterioso e segreto. Il narratore non è soltanto il Marlow già conosciuto in Gioventù e Cuore di tenebra, perché egli cerca di comporre racconti e testimonianze che presi da soli non dicono abbastanza, in un gioco narrativo che ha le movenze di un processo, come quello che Jim subisce per avere violato la legge del mare. Ma le pause della narrazione si giustificano in quanto il protagonista ha un problema morale da risolvere, per cui ciò che ha fatto è solo un indizio rispetto a ciò che si cerca di sapere. Per altro, un uomo in fuga come Jim lascia dietro di sé degli indizi troppo grossolani perché possano rimandare a qualcosa di certo. Inoltre, il viaggio di chi fugge è senza meta, tende a essere circolare, perché si finisce sempre per tornare a se stessi, cioè all'origine del problema. Insomma, la lotta di lord Jim con la natura porta a una sconfitta - al contrario di quello che accade con Ulisse, - in quanto la sua lotta non prevede vincitori ma solo vinti, dovendo egli lottare con se stesso. In questo senso il personaggio di Conrad, mentre si dimostra astuto e vincente contro la moltitudine - contro il nemico, - si mostra impotente nel risolvere il proprio problema, dato che il suo errore non è il frutto di un calcolo errato, ma di un modo di essere. Il suo dramma consiste non solo nel non potere raggiungere il modello di coraggio che aveva innanzi a sé quando aveva scelto la vita sul mare, quanto nel dubbio che l'incidente gli ha procurato. Il suo dubbio non è l'ombra di una nave che non affonda: è la certezza di una natura che non si piega alla volontà. Quando Jim diventa un capo, è solo lui a dubitare di se stesso, a non accorgersi della nuova realtà di cui è protagonista. Il suo errore è ancora una volta quello di abbandonarsi ai sentimenti e il suo abbandono è totale: si consegna alla natura, andando a vivere nella foresta con un popolo che non è il suo e che tuttavia riconosce come suo; ama perfino una donna, senza accontentarsi di essere amato; rifiuta la società mercantile dei bianchi che è ormai padrona del mondo. Bibliotecaginob1anco Il rifiuto di sottomettersi alle leggi economiche non può che dissolvere il suo sogno romantico. In un mondo diviso in classi e nazioni, Jim si affida a se stesso per cambiare tutto. II suo faticoso tentativo di costruirsi una patria, di specchiarsi in un popolo giusto, ma debole, avviene sotto gli occhi indifferenti dell'Occidente. Non è un caso, allora, che l'ultima sconfitta di Jim sia proprio causata dall'astuzia di un manigoldo, che è sia ladro sia mercante. Lord Jim - o tuan Jim, come lo chiamavano gli indigeni, - viene raggirato da un grassatore senza scrupoli proprio quando ha l'ultima occasione per riscattare la vigliaccheria che lo aveva condannato. Ma non può non sbagliare: crede alla convenzione e al linguaggio, come se appartenessero alla natura, e mostra clemenza laddove Ulisse sarebbe stato spietato. Del resto, è un ultimo atto atteso, quasi desiderato; gli manca perfino il coraggio di darsi la morte, preferendo andarle incontro come ha sempre fatto. Nessun riscatto finale, quindi. S i chiarisce in questo modo l'antinomia fra l'eroe illuminista, modellato sulla figura di Ulisse - sovvertitore del mito e padrone del linguaggio, - e lord Jim, eroe romantico generoso e incerto attore del sentimento e del desiderio. È un'antinomia che corre parallela nella cultura contemporanea, rendendo problematica ogni definizione intorno all'eroe moderno. Nel cinema, arte senza memoria e sicuramente «moderna», sono stati realizzati due film che illustrano i due modelli culturali. In 1997. Fuga da New York, J. Carpenter racconta la storia del suo Ulisse - che questa volta si chiama lena Plinsky, - facendogli compiere il suo viaggio di ritorno in cui tutto sembra cospirare contro l' eroe, che però puntuale compie la missione, consentendosi anche una lieve trasgressione nel finale. In Biade Runner di Ridley Scott, invece, il protagonista è un detective coraggioso e problematico, che viene salvato dalla sua donna e nel finale viene «graziato» da colui che avrebbe dovuto cacciare e uccidere. In altri termini sul biade runner pesano i dubbi di Jim, di colui che si chiede continuamente il perché delle proprie azioni, e pesa anche la malinconia di Marlowe, l'occhio-privato di Chandler, dal volto percorso dagli eventi, sempre pronto - per un amico o una donna o una battuta spiritosa - ad abbandonare definitivamente la California e il mondo in genere. I protagonisti di Chandler e, in parte, di Hammett non hanno nulla dell'eroe tradizionale e vivono con gente che non apprezza l'incorruttibilità e i buoni sentimenti. Eroi soli e non solitari, simili a lord Jim, talvolta belli e sempre perdenti. Note (1) R. Queneau, ~Bouvard e Pécuchet», in Segni, cifre e /e11ere, Torino, Einaudi, 1981, p. 90. (2) M. Horkheimer e T. Adorno, Dialet1icade/l'illuminismo, Torino, Einaudi, 1974, p. 57. (3) Ibidem, p. 67.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==