Alfabeta - anno V - n. 47 - aprile 1983

Autori vari Verga. L'ideologia, le strutture narrative, il «caso» critico a c. di Romano Luperini Lecce, Milella, 1982 pp. 297, lire 15.000 Autori vari I Malavoglia di G. Verga 1881-1981. Letture critiche a c. di C. Musumarra Palermo, Palumbo, 1982 pp. 249, ed. f.c. Giovanni Verga I Malavoglia letti da G. Giarrizzo e F. Lo Piparo Palermo, Edikronos, 1981 pp. XXXIII-XI-465, lire 7.500 I carbonari della montagna. Sulle lagune letti da F. Branciforti e G. Cingari Palermo, Edikronos, 1981 pp. XXV-571, lire 15.000 Le storie del castello di Trezza con una nota di V. Consolo Palermo, Sellerio, 1982 pp. 89, lire 3.000 e ome su tutti i classici, anche su Verga incombono gli anniversari, con gli immancabili riti celebrativi. È un destino a cui sono soggetti i morti (ma non solo loro); in alcuni casi la celebrazione ha i caratteri della spietatezza, se non della vendetta, quasi che i cQncittadini potessero finalmente incastrare un loro bizzarro rappresentante, come l'appartato Verga, che sempre si estraneò, con insofferenza del tutto manifesta, dalle esaltazioni cittadine (mettendo nei guai l'affezionatissimo De Roberto, zelante e diplomatico curatore dei rapporti del Maestro con il mondo). È intanto nata una Fondazione intitolata a Verga, a cui è affidato, insieme alle celebrazioni, tutto il patrimonio di carte e d'incartamenti e che si spera ponga fine a quella brutta faccenda che risale al giorno della morte dello scrittore, o meglio a quello del decesso del fedele De Roberto, erede di quelle carte verghiane, subito misteriosamente (ma non troppo) sparite. E infine, dopo essere arrivati in questi ultimi anni a perfezionare le Critic!a@tghiana cure ai testi fino ad approdare alle indispensabili edizioni critiche dei capolavori, da decenni vaticinate e sospirate, si può prevedere che nel prossimo decennio, corrispondente al grande periodo del Verga verista, si assisterà ad una sponsorizzazione spontanea di chi sa quante nuove edizioni e interpretazioni. È profezia fin troppo facile annunciare il fatale declino della leggenda di tipo prevalentemente ideologico che ha accompagnato la fama dello scrittore e sancito la modernità per antonomasia di uno stile destinato a riprese gloriose da parte di avanguardie politico-culturali. Forse presto scomparirà anche il ricordo del periodo eroico in cui lo staff dei futuri dirigenti della politica culturale del Pci collaborò alla sceneggiatura di La terra trema, appropriandosi e diffondendo il messaggio dell'opera verista con una tale carica di immediatezza ideologica da far inorridire i nostri squisitissimi filologi, semiologi e narratologi. Per quello che riguarda i nostri tempi di bassa marea, si è arrivati a «celebrare» il centenario dei Malavoglia e tutto fa pensare che non sia che l'inizio di una sequela di centenari che arriveranno, è presumibile, all'altezza dei primi anni novanta, quando ebbe luogo il gran rifiuto e il ritiro definitivo nella città natale. Ci attende dunque un decennio di appuntamenti a catena, infarciti di dotte revisioni e puntualizzazioni, con il rischio che la poco riguardosa ufficialità si tramuti in una gestione accademica, in una normalizzazione tonata dello scrittore diverso e scostante, tramutato in oggetto di nuove-vecchie esercitazioni. Certo esistono gli studiosi, i cosiddetti specialisti, con le loro sacrosante esigenze, i quali fremono di desideri legittimi, in attesa di notizie attendibili sullo stato delle famigerate carte verghiane, e stanno col fucilepuntato in attesa dei risultati di ricerche a lungo sognate e mai realizzate a causa della latitanza dei manoscritti (lo scoop filologico più prossimo sembra sarà il rendiconto sul manoscritto dei Malavoglia, il testo filologicamentepiù misterioso) - e andando di questo passo già si intravvede la felice era in cui le università godranno dei benefici di alcune illuminate cattedre di esegesi verghiana. Ma il dato caratteristico è che questo decennio di centenari a catena sarà anche il decennio di un ritorno (fra i tanti già in atto) alla neutralità delle interpretazioni, in polemica con il rissoso impegno della critica precedente. E non c'è di che meravigliarsi. Siamo entrati in una fase del ritorno all'ordine, alla santificazione della verifica tout court. La filologia da arma di verità può trasformarsi in strumento di passività, di regressione intellettuale. D'altro canto, molti sono glielementi che concorrono a favorire questa congiuntura, per cui da più parti ci si incammina neila direzione di un approccio alla letteratura inteso come esercizio di competenze tecniche fuori dalle pressioni del contesto storico e dalle valutazioni politiche. Mai come ora provoca scandalo e fastidio l'accoppiata politica-letteratura, la cui incongruità è postulata dallo stile di lavoro, su cui si modellano i nuovi studiosi, presi dalla fregola di congiungere scientificità e accademismo e sprezzanti nei confronti di chiunque si attardi a praticare l'analisi ideologica, cioè a far emergere la valenza politica interna alla narratività delle opere di Verga. «Tutti pregiudizi che non reggono alla prova dei testi!» esclamano i nuovi esegeti, che contrattaccano Bioliotecag1nob1anco inalberando la candida bandiera del rigore filologico e narratologico, di un bianco davvero abbacinante. Abbagliati e sbaragliati gli ingenui cultori dei feticci politici, sembra sia finalmente pronto il terreno per studiare Verga da vero classico, sine ira et studio, in armonia con una pacata visione della letteratura e della critica letteraria messe infine sulla giusta via. E così se ne va il buon Verga ideologico e si avvicina quello filologico. P are un destino davvero singolare quello del Verga. È sempre tornato in ballo col variare delle situazioni. Tenuto a distanza nel periodo dannunziano, riprende quota durante il regime, quando Bottai sfrutta alcune lettere e dichiarazioni nazional-colonialistiche per dare una patina di fascisticità al«grande scrittore italiano", mentre in carcere Gramsci muove dalle ·stesse preoccupazioni, invitando a studiare il crispismo di provincia di fine secolo, tipico di certa intellighentsia siciliana. Intanto, nell'ambito più strettamente letterario, a Verga s'incomincia a guardare in prospettiva antidannunziana, come a un esempio di stile, un idolo preservatosi miracolosamente da ogni contaminazione e immiserimento (così ce lo presenta Renato Serra, con una ammirazione fatta di rispetto quasi religioso). Durante il ventennio, tuttavia, Verga rimane una potenzialità più che un esplicito punto di riferimento, mentre altri esempi incalzano, per lo più stranien, e cominciano a far fermentare una diversa maniera di narrare, aliena da ogni classicismo come da ogni bozzettismo. È significativo che Visconti abbia esordito sulla scia degli entusiasmi americani, pur avendo fatto l'apprendistato in Francia. Ossessione non può essere definito un film «americano» se non per certi accorgimenti, ma rimane il fatto che il regista coglie la consonanza col realismo tragico di uno scrittore americano allora in voga in Europa. Il passaggio, di lì a poco, da questo tardo naturalismo «made in Usa» al verismo italiano ha un significato che è difficile sottovalu-

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