Alfabeta - anno V - n. 46 - marzo 1983

Bit che va analizzato; parlare della differenza della donna significa oggi cogliere quel paradossale complesso di voglia di vincere e di paura; quell'ambivalente movimento che è propriamente l'ambizione - che vuole ambedue le direzioni, del dentro e del fuori; quell'ambiguo sentimento che dice no alla dipendenza, e tuttavia non fa dell'indipendenza la propria Itaca. È questo ambiguo volere il daiman femminile che presiede alla sconfitta sociale della donna. Equivoca è la donna: non univoca come l'uomo che passa - diceva sempre Lou von Salome - «dall'unilateralità della scarica sessuale all'unilateralità della tensione sociale». L'estraneità della donna al sociale è radicata in questa obiezione cieca, o resistenza sorda che la disarticola continuamente rispetto al tessuto sociale. LI «indecente differenza» di cui parla il documento romano ha molto a che fare con quello che il documento milanese definisce lo «scacco» della donna rispetto alla compiuta esteriorizzazione del proprio sé. Se teniamo la parola «scacco» nell'ambiente semantico che le è proprio, è di un gioco che si tratta: in cui la Regina - che, si sa, su quel tavolo è la più mobile - s'accorge tuttavia che la partita s'arresta solo grazie a una mossa che metta in scacco il Re, che non può mangiarla, e tuttavia la domina. Ma che succederebbe se la Regina - nel momento di dare scacco al Re - si ritraesse? Il documento di Milano ci porta precisamente in presenza di questo paradosso: di un giocatore che si trova a giocare una partita rispetto alla quale perde interesse nel momento in cui realizza che è solo una partita. Che non deciderà che di una vittoria formale. E alla fine non dirà niente di sostanziale sul vincitore stesso: perché tutto è finto nel gioco, anche la vittoria. Se il gioco è convenzione e l'arbitrarietà vi domina, come può il gioco soddisfare la voracità che l'ha mosso all'inizio? Chi voglia veramente uccidere si accontenterà di risolvere in metafora quell'appetito? E chi voglia veramente mangiare sarà placato dalla parola pane? Dice il documento milanese: non siamo (noi donne) esseri umani dominati da pure esigenze sentimentali. Certamente no. A leggere il documento sembra piuttosto che il tipo-donna - così come il documento lo tratteggia - sia un essere dominato da impure esigenze affettive - dove ad affetti si dia il senso di appetiti che mirano alla soddisfazione, e non alla sublimazione. Ecco perché quel gioco sociale, o sistema simbolico, di sublimazioni, di cui l'uomo si appaga, non soddisfa la donna. Perché non la soddisfa: di qui muove l'analisi del documento. Che questo accada perché le forme di quel gioco hanno tratti anatomici maschili, o fallici, è la risposta «canonica» cui si approda. Di qui nasce questo straordinario appello alla lotta: lotta appunto con l'ostacolo, o fantasma interiore - le cui modalità non riesco tuttavia a intravvedere, al di fuori di molti, privati, itinerari psicoanalitici. Perché ad essere incriminata è qui una struttura simbolica, o - più precisamente - lo strutturarsi simbolico di differenti contenuti corporei. Se io donna ho tale ambigua relazione al sociale - mi pare si dica - è perché ho un corpo di donna: come tale messo in scacco rispetto alla dominanza fallica di questa .cultura: sì che, quand'anche io entri a far parte della scena sociale, pur sempre mi troverò diversa, dispari, mancina. Come rovesciare la mutilazione in potenza? Come vivere con agio il disagio della mia differenza? Come farmi da estranea signora? V ivere con agio - da signore - volendo vincere, sono parole che cadono pesanti come piombo in questa epoca di miseria. Che in un tempo come questo - dove, come recita il proverbio, non ci sono rimasti che gli occhi per piangere - qualcuno usi quelle parole, è provocazione, io credo, da raccogliere. Gli uomini li ho visti ridere di fronte a queste parole. Perché gli uomini dicono che neppure loro hanno più nulla. E lo vediamo anche noi com'è debole l'uomo oggi. Ma l'uomo - prima che quell'essere concreto che abbiamo di fronte, che è stato sempre debole e forte O meglio, anche quando rimane, quella forma è vuota, e nessun corpo vi aderisce. È il senso della lettera di Kafka al padre: vi sono delle forme ideali entro le quali dovrei dispiegare la mia esistenza - ma io non posso, non riesco a maneggiarle. Quelle forme non sono in mano mia. L'agio, in altre parole, è finito per tutti - perché vi può essere agio solo se c'è una posizione prestabilita, un mio proprio luogo in cui io mi possa trovare a casa. Questo un tempo c'è stato: l'uomo e la donna hanno avuto dei luoghi propri e complementari. Ma-suggerisce il documento romano - tempi è che non possiamo consistere neppure nel disagio. Siamo così poveri che non possediamo neppure quel non-luogo che è l'Utopia. A questa verità - che non è un sapere, ma un'esperienza - il documento milanese risponde con la «megalomania»: insofferenti della frustrazione, le donne lì rispondono rilanciando parole d'ordine come «vittoria,. e «agio». E si dispongono a volere più fortemente ciò che non è dato. Non trovando fuori di sé il nemico che la ostacola, la donna ora si volge ad aggredire il proprio ostacolo interiore: per volere decisamente ciò che lei N on diremo più dunque che abbiamo altri valori, e altri pensieri, altre cure. D'accordo. È una prova che possiamo fare: se è una sfida. Ma io mi chiedo se non sappiamo ormai troppo - per non sapere che non ci piacerà. Perché dal documento milanese emerge un elemento del quale chi l'ha scritto pare non tenere conto. Ed è il grande, immenso, «abnorme» narcisismo femminile. L'uomo e la donna - presi in quanto idee - si differenziavano ancora fino a qualche tempo fa soprattutto in questo: l'uomo era l'idea di un potere e di un sapere espresso da un essere che, per sa- .----------------------------------------------, pere e potere, doveva dimenticare Versi d'amore Biancamaria Fr botta (o rimuovere) il proprio corpo - come quel mondo di sentimenti, bisogni, emozioni, che se fosse prevalso lo avrebbe reso non soggetto, ma succube. Succube di un'alternanza che avrebbe ritardato il suo «passo in fuga». L'uomo è stato fondamental- e hi qualche volta si è trovato a femminile? più fragili e improvvisati non si av- mente l'idea che necessaria alla passare per il Mercatino di Sarebbe troppo lungo rispondere vincono alla rosaiba come le pa- conoscenza e al potere fosse l'epoesia che ogni anno, da qual- anché a una sola di queste doman- scoliane femminelle, dannosi pa- sperienza della rimozione; che non che tempo a questa parte, si tiene a de. Ciò che conta è che la risposta rassitidellapoesia, ma anzi svolgo- v'era signoria laddove ci fosse riRavenna si è certo imballuto in della poesia è ancora una volta im- no l'utile funzione ornamentale conoscimento del proprio limite. Giovanna Maiali, che del mercati- prevedibile e liberame. Le autrici dell'asparagina in un bel bouquet. Laddove si sopportasse la frustrano è stata l'ideatrice e ne tiene in antologizzate dalla Maiali sono Un'altra considerazione che si zione di declinare la propria esivita lo spirito di di/etio e di libera e cinquanta: troppe dunque per pre- impone è l'intonazione di questi stenza entro impossibilità e fallispontanea fruizione della poesia tendere di rappresentare un esito versi d'amore, mai lamentosi e re- menti, e vittorie solo parziali. che lo anima. Con analogopiglio e già compiuto e debitamente filtra- torici e invece percorsi da un solli- Assolutamente all'opposto di intraprendenza oggi Giovanna lo. Nemmeno negli anni aurei del lissimo filo di ironia, ora tragico- questo, nel documento milanese, Maiali si è dedicata all'ardua im- petrarchismo rinascimentale, uno sublime, ora apertamente sardoni- la donna è colei che vuole tutto: presa di compilare una antologiadi dei pochi degnamente rappresentati co e aggressivo, ora addirittura dis- l'agio, la signoria, il successo, il poesia, Versi d'amore, edita da un in Italia anche dalle donne, èpassi- sacratorio. Questa nuova asciuuez- godimento - l'affermazione come piccolo editore, raffinato quanto bile individuare cinquanta poetesse za di lingua e di sentimenti- a volte essere sociale, e la pienezza del coraggioso, come Corba e Fiore di di vero valore.· E la curatrice non eccessivafino ali'aridità, a volte in- proprio corpo «naturale». Ci si deVenezia. può non esserne consapevole, dal vece godibilissima, - è ciò che più ve certamente chiedere: Perché L'antologia raccoglie testi inediti momento che sceglie di appaiare a innova nei confronti dello stereoti- no? Perché mai volere di meno? di autrici italiane contemporanee, nomi già acclarati e acquisiti altri po psicologico della «poetessa d'a- Se si tratta di volere, perché voleprivilegiando nella scelta - oltre che fanno magari la loro prima more» novecentesca, sul tipo per re meno che tutto? che il criterio selellivo de/l'autrice, comparsa in pubblico o che, dopo intenderci delle insopportabili selve A questo risponde, credo, il donaturalmente, - un tema che è per anni di clandestinità, vengono falli d'amore alla Sibilla Aleramo. Ma cumento di Roma: che presenta la l'appunto l'amore. Come si cambi- affiorare alla luce impietosa dei ri- il fiorire della nuova ironiafemmi- donna come il luogo di un parana un «oggeuo» così accarezzato f/ellori. nife (sia verso l'amore che verso la dosso, sì che lei non può decidersi dai favori della moda come l'amo- Non tutti i testi, ovviamente, resi- stessa sacralità della poesia) negli né in un senso né in un altro, e re quando è poeticamente tra/lato steranno alle perfidie del tempo, anni più recenti è un discorso da oscilla. A nulla vale tentare di imda «sagge/li»così enigmatici e og- ma ciò che conta in un'operazione sviluppare. brigliare questa oscillazione nelle gi, ahimè, desueti come i poeti di del genere è, a mio parere, altrove. Per concludere vorrei, fra tanti trarne di un progetto vuoi politico, sesso femminile? Intanto, ancora una volta bisogna nomi, citareil semiesordio di Alida vuoi di conoscenza: la si può solQuesto è certo il quesito più sii- dire che il tono medio di questa Airaghi, di Carmela Fratantonio, tanto volere - volere che si dispiemolante e originale che l'agileanta- piacevolissima /e/tura è alto, privo di Giovanna Sicari, di Chiara Sca- ghi. logia suscita. Non vale la pena ri- cioè di quegli inabissamenti sollo- lesse. Benvenuto il ritorno di Marta La donna, in altre parole, non la prendere qui l'ormai annosa e di- culturali che fino a ieri sembravano Fabiani e di Sandra Petrignani. si educa a diventare signora: queba//uta questione sulla legittimità inevitabili ogni qualvolta il raggio Bellissimi gli inediti di Daria Meni- sto vuol dire, credo, che la donna lei/eraria e non più soltanto politi- poetico si allargavaa illuminarefa- canti e di Amelia Rosse/li. è «indecente»• Che la si conosce ca-culturale delle antologie di poe- sce sociali e culturali tradizional- solo se da lei ci si dispone a impasia femminile: spazio autonomo o mente minoritarie. La conseguenza rare. Ciò che da lei si impara è che ghello? laboratorio di ricerca /in- è che testi eccellenti non paiono tali Versi d'amore c'è una modalità dell'essere che è guistica o rice//ario di formule e per l'effetto contrastivo con la «pia- inediti di autrici italiane continuamente fuori-posizione; stereotipi? precipitato della nuova nura» ma anzi proprio da essa contemporanee sempre a disagio; che vince (e fisionomia femminile maturatasi traggono humus e succoso nutri- raccolti da M.G. Maioli Loperfido non: vuole vincere) tutte le volte negli anni ruggenti delfemminismo mento, e così- rovesciando la logi- Venezia, Corbo e Fiore, 1982 che ce la fa a riconoscere la proo detrito arcaico e nostalgico del ca del ragionamento - i versi anche pp. 214, lire 10.000 pria «indecente differenza» - che ~------------------------------------------ potrebbe semplicemente consisteinsieme - è una nozione; o, se vogliamo, una posizione. Uomo è il modo eretto dello stare al mondo. Per riprendere una metafora kaf- • kiana, c'è chi al mondo sta eretto - e chi accovacciato. Chi aderisce orizzontalmente alla terra, e chi in verticale si separa verso l'altezza del Mondo. Queste differenti stazioni fisiche hanno sostenuto l'immaginario di una delle più alte idealità che la nostra cultura abbia prodotto: l'idea di uomo. Il documento romano parte esattamente da qui: dal disagio della nostra civiltà che ha ucciso quell'idea. Perché l'idea di uomo è finita, dice il documento romano. questi posti si sono confusi: non ultimo, perché «giustamente» le donne hanno attaccato quelle ordinate spartizioni. C'è stato un altro momento - che ci è ormai anch'esso alle spalle - quando, ribellandoci alle prescritte divisioni, le abbiamo rovesciate, e in una sovversione della politica e della morale abbiamo salutato la diversità, l'emarginazione, l'estraneità, come prove di un altro possibile modo di stare al mondo: che non era né eretto, né accovacciato - ma forse di lato, o di traverso. Ora questo modo è sparito: la nuova povertà di questi nostri - per «natura» - è indecisa di volere. E se prima dicevamo di volere ciò che volevamo, perché ci mancava: il potere, e tutte quelle virtù maschili necessarie a una buona riuscita, ora - il colmo del paradosso - dovremmo dire di volere ciò che non vogliamo, che non ci manca. Perché la sfida s.i è fatta squisitamente psicologica: per evitare di fare come la volpe con l'uva, dovremmo provare a tendere la mano e conquistare quel fruttoche, comunque, non placherà la nostra fame, e probabilmente si disfarrà in mano nostra, troppo maturo. re nel differire, o tenere in scacco, i significati della parola vittoria e della parola potere. Se la donna è quell'energia smodata che ingorda del proprio desiderio si ingorga, e tutta intera non si ritrova che nel proprio intasamento, o «scacco» - come dice il documento milanese; se la donna è questa «indecenza» della differenza - come dice il documento romano; allora nell'ombra che tutto ciò getta su ogni volontà di chiarimento e decisione si tratta di sostare - per entrare in ascolto di quel cupo rumore di insoddisfazione che fa la donna estranea a ogni possesso, continuamente occupata a disfare le maglie del tessuto che la vorrebbe stringere al Mondo. Tra i due documenti, malgrado le apparenze, quello romano è il più ottimista: e il più ideale. Il più contemporaneo, anche: più in sintonia con i tempi, in esso la donna appare come l'abitante modello di una società postrnateriale, e postacquisitiva. Quello di Milano è hobbesiano nel tono etico; ed emancipatorio (anche se qui l'emancipazione è in parte affare della psicoanalisi) nel taglio dell'analisi. ri 1ar ......

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