Alfabeta - anno V - n. 46 - marzo 1983

B \ Cari Schmitt Romanticismo politico a cura di Carlo Galli Milano, Giuffré, 1981 pp. XXXI - 252, lire 12.000 Le animebelle 11volume di Cari Schmitt sul romanticismo politico, la cui versione italiana esce più di sessant'anni dopo la prima edizione originale, suscita un interesse che va al di là della polemica sul carattere rivoluzionario o reazionario del primo romanticismo tedesco. Sebbene questo sia sostanzialmente il problema dibattuto nel libro, gli argomenti elaborati da Schmitt nella sua critica del romanticismo hanno un significato assai più ampio e colpiscono un fenomeno che sembra estendersi ben oltre gli autori da lui considerati ·(Friedrich Schlegel, Novalis, Adam Muller. .. ) fino ai nostri giorni. Secondo Schmitt, i romantici non sono né rivoluzionari né reazionari, né progressisti né conservatori, né di sinistra né di destra. Questa loro inclassificabilità e indeterminazione politica non deriva tuttavia da un apoliticismo letterario ma, al contrario, da una fondamentale attitudine occasionalistica che li rende pronti ad assumere con la più grande enfasi ed entusiasmo qualsiasi posizione politica. Essi sono dunque inclassificabili politicamente non per carenza di affermazioni politiche, bensì proprio al contrario per eccesso: proprio tale sovrabbondanza di dichiarazioni politiche li rende per Schmitt politicamente irrilevanti, perché la politica è- a suo avviso - essenzialmente decisione e scelta. Il fenomeno esaminato da Schmitt non si risolve tuttavia in un mero opportunismo pratico. La nozione che consente da principio la confusione e la mescolanza di tutto con tutto, la prodigiosa promiscuità terminologica dei romantici, è l'ironia: essa ha un'enorme potenza dissolutrice e nichilistica, perché trasforma la realtà in un mero gioco e cambia i fatti in pretesti, in occasioni per l'esercizio della soggettività poetica. Questa è animata da una tensione verso la trascendenza, verso l'oltrepassamento di ciò che è soltanto reale, verso l'affermazione di un valore superiore cui però non riesce davvero ad accedere. Infatti, il primato della possibilità sulla realtà - per cui tutto ciò.che è determinato univocamente appare come qualcosa di morto e di meccanico - impedisce ogni concreta realizzazione e vota i romantici all'inconcludenza. L'occasionalismo soggettivistico dei romantici è così estraneo non solo alla tradizione metafisica che ha elaborato i concetti di causa e di fondamento, ma anche a quella tendenza risalente a Pitagora e ai sofisti greci, la quale fa dell'obbedienza al kairòs, al momento opaut-aut n. 187-188 gennaio-aprile 1982 (in particolare i testi di M. Heidegger, Identità e differenza, e G. Agamben) pp. 308, lire 8.800 Martin Heidegger Tempo ed Essere Napoli, Guida, 1980 pp. 191, lire 12.000 portuno, all'occasione (intesa nella sua dimensione oggettiva e realistica), la condizione fondamentale di ogni successo. L'occasione dei romantici appartiene invece alla modernità inaugurata dal cogito cartesiano che ha trasformato la sostanza in soggetto: non a caso Schmitt vede il lontano ispiratore dei romantici nel cartesiano Malebranche e nel suo occasionalismo teologico. Come per Malebranche i fatti sono semplici accidenti della attività di Dio, così per i romantici essi sono mere occasioni fornite all'attività dell'io. In questo spostamento da Dio all'io, tuttavia, va perduta ogni dimensione creativa: l'io empirico dei romantici non è l'Io assoluto di Fichte, il quale non è oggetto della critica di Schmitt. Infatti egli limita la qualifica di romantico ai membri dei gruppi di Jena, Heidelberg e Berlino, escludendo non solo i filosofi come Schelling e Hegel, ma anche i poeti «seri» come Holderlin e Kleist, i politici «seri» come Gentz e Haller, nonché gli studiosi «seri» come Savigny e Stael. D esta innanzi tutto meraviglia il fatto che un movimento che è stato, a detta di Schmitt, incapace di attività creativa in un qualsiasi campo, che ha prodotto opere il significato delle quali si limita a un'attività di accompagnamento emozionale dell'agire altrui, un Begleitaffeckt, una specie di perifrasi lirica, di cassa di risonanza di azioni esterne, meriti una attenzione critica così serrata e argomentata. Se l'essenza del romanticismo è l'incongruenza, la confusione, lo scambio di tutto con tutto, resta da spiegare come sia stato possibile che questi difetti - di cui ci sono in fin dei conti esempi in tutti i secoli - abbiano potuto acquistare tanto rilievo e tanta importanza e costituire addirittura il cemento di uno dei più importanti movimenti culturali della modernità. Non basta ovviamente la passione romantica per l'intrigo, per le società segrete, per la cospirazione, a spiegare il successo straordinario del moviménto, né la disposizione disgregante per il dialogo indiscriminato con tutto e con tutti a giustificare il suo grande rilievo storicosociale. Tutto ciò induce a sospettare che il limite del volume di Schmitt non consista tanto nell'avere pronunciato un giudizio senza appello kens (Tubingen 1969)- due gruppi decisivi di testi dell'ultimo Heidegger - insieme a un notevole articolo interpretativo di Giorgio Agamben offrono l'occasione per unariflessione sul tema della fine della storia dell'essere (e in un certo senso della filosofia), la cui periodica risorgenza qualche significato dovrà pure avere. Come è noto, nell'Ereignis heideggeriano Tempo ed Essere figuL a riproposta di ldentitiit und rano congiunti in modo tale che Differenz (Pfullingen 1957) e l'ereignen (l'appropriare) sta in la traduzione delle confe enze luogo della congiunzione e non di e seminario Zu~ Saa ~des D~'9 rm orto sovrapposto successi~ Mario Pernio/a sui primi romantici tedeschi, quanto nell'avere limitato l'indagine su un fenomeno che ha ben altra dimensione e ampiezza. Anche Hegel nelle sue lezioni sull'Estetica non era stato certo tenero con gli Schlegel e i loro amici: egli aveva stigmatizzato con estrema durezza la mancanza di serietà della vita ironico-artistica, la quale dissolve ogni interesse sostanziale, ogni contenuto considerato in sé e per sé, ogni saldo principio, e trasforma la realtà in mera parvenza in piena balìa dell'io, che emancipato da ogni legame pretende di considerare gli altri come nulla, e di vivere nella beatitudine dell'autogodimento. Secondo Hegel, questa ambizione porta a un autoannientantesi nulla perché, chi trova tutto nullo e vano, è destinato a trovare nullo e vano anche se stesso: la vanitosa pretesa di potere tutto, accompagnata dal rifiuto di ogni rapporto con una realtà sostanziale, genera l'infelicità, lo struggimento dell'anima bella, la sua morbosa suscettibilità, la sua lamentosa irrequietezza. Tuttavia Hegel, nello stesso momento in cui pronuncia una condanna inesorabile sul romanticismo inteso come movimento letterario, considera l'arte romantica - insieme all'arte simbolica e a quella classica - una delle tre fondamentali forme d'arte in cui si manifesta e si sviluppa il bello artistico: quella appunto in cui l'equilibrio tra esistenza spirituale ed esistenza sensibile, cui l'arte simbolica aspirava soltanto e che risulta compiuto unicamente nell'arte classica, è di nuovo spezzato a causa del prevalere dell'elemento spirituale, dell'interiorità autocosciente sulla forma. In tal modo, con un colpo di scena sbalorditivo, Hegel estende la categoria del romanticismo all'intera era cristiana, comprendendovi milleottocento anni di storia e identificando col romanticismo l'intera civiltà culturale e artistica occidentale. La storia della redenzione di Cristo diventa così la prima storia romantica, l'inizio di un processo che - attraverso l'amore religioso, i martiri, la cavalleria, la tragedia shakespeariana e il romanzo moderno - arriva fino all'umorismo soggettivo di Jean Paul, il quale mette insieme le cose oggettivamente più distanti e mescola nel modo più impensato oggetti la cui relazione è qualcosa di interamente soggettivo. Questo estremo esito, che segna vamente, è ciò che si cela nell'invio destinale e nelle «coniazioni,. epocali. Il nascondimento dell'essere appartiene, come sua umbratile privazione, alla radur.a luminosa (Lichtung) dell'essere. Pensare l'essere significa p_ensarloin modo tale che l'oblio gli appartenga essenzialmente, equivale a porsi e mantenersi in esso. Proprio nel pensiero dell' Ereignis l'oblio dell'essere è esperibile come tale. li Ge-stell, la pro-vocazione dell'essere nella tecnica, rende possibile (prelude a) il salto nell'abisso dell' Er-eignis approper Hegel il momento di dissoluzione dell'arte romantica, è possibile tuttavia perché nell'arte romantica fin dall'inizio l'apparenza esterna stava in un rapporto di particolarità accidentale, se non di superfluità occasionale, nei confronti dell'interiorità, dell'anima. Quando perciò Schmitt ci presenta l'occasionalismo soggettivistico come il carattere essenziale del romanticismo, è al rapporto di esteriorità accidentale instaurato dal cristianesimo tra spiritualità e apparenza sensibile che bisogna risalire: da ciò deriva che, da un Iato, la realtà esterna acquista il suo valore solo quando lo spirito si è trasferito in essa, dall'altro la realtà spirituale assume la dimensione dell'intimità conciliata solo con se stessa, che rifugge dal conflitto. Le critiche di Schmitt ai romantici coinvolgono quindi una problematica che già per Hegel riguardava l'intero cristianesimo. I fattori di dissoluzione che Schmitt rileva in atto nei romantici sono scoperti da Hegel già nella tendenziale iconoclastia cristiana, che induce a vedere il dopo dell'arte nella religione. Il bisogno dello spirito di essere soddisfatto solo nel proprio interno conduce nel Cinquecento alla distruzione delle immagini religiose e alla condanna dell'arte, mentre porta nell'Ottocento allo sviluppo di una religione della cultura, in cui l'intellettuale diventa il sacerdote di se stesso. Come sarebbe troppo superficiale vedere nell'iconoclastia cinquecentesca il mero trionfo del vandalismo, così è parimenti troppo facile considerare il culto personale di se stessi che artisti e scrittori impongono al pubblico a partire dal romanticismo come un mero trionfo della vanità. Innanzi tutto perché di tale culto essi stessi sono talora le vittime, come nei casi di Byron, di Baudelaire e di Nietzsche, considerati da Schmitt vittime sacrificali, capri espiatori della religione dell'arte. In secondo luogo perché la solennizzazione mitica della vita dell'artista è pur sempre un modo per affermare in una forma laicizzata la trascendenza della condizione intellettuale rispetto alla disgregatezza e alla degradazione che comporta l'imperversare della ricchezza e del potere. L'identificazione tra romanticismo e cristianesimo, compiuta da Hegel, è portata alle estreme conpriante/dispropriante. Prendendo dimora nell' Ereignis (al di là del pensiero discorsivo-dimostrativo), il pensiero prende atto della fine della storia dell'essere, è risalito dalle diverse «impronte,. epocali e destinali al loro destinante, che è senza destino e senza storia. Con il che è finita anche la metafisica, la storia del ritrarsi del destinante a favore delle coniazioni destinali. Agamben parte dal seminario di commento alla conferenza Tempo ed Essere per una suggestiva analogia (contro l'avvertimento esplicito di Heidegger) fra questa teseguenze da Nietzsche, il quale afferma il carattere essenzialmente nichilistico di entrambi i movimenti. Il romanticismo, che è considerato da Nietzsche l'ultimo grande avvenimento nel destino della nostra cultura, soffre di un radicale impoverimento della vita, che lo induce a evitare il conflitto e a cercare ovunque conciliazione, riposo e quiete: il romantico sta dunque al polo opposto del dionisiaco, il quale soffre per sovrabbondanza di vita ed è strettamente connesso all'esperienza di una massima opposizione. Per Nietzsche il nichilismo romantico non è solo dissolvente, ma anche a suo modo costruttivo. La sua creatività non porta tuttavia a un'arte oggettiva, bensì a opere che sono segnate e quasi marchiate da caratteristiche del tutto accidentali, troppo singolari, troppo legate alla persona e alle caratteristiche idiosincrasie del suo sentire. Il romanticismo affonda, secondo Nietzsche, le sue radici nel cristianesimo, nella «buona novella» che insegna la fine di ogni lotta e l'avvento di un regno di beatitudine, di pace, di bontà. Questo rifiuto della realtà, tuttavia, genera una dimensione reattiva che si manifesta appunto nella genesi dell'atteggiamento valutativo, nella posizione di valori trascendenti, nella affermazione di un àmbito ideale che tanto i romantici quanto i cristiani ritengono di possedere. È proprio tale movimento di allontanamento dal1'effettuale, questa assunzione di distanza nei confronti del reale, a costituire l'essenza del nichilismo. Se dunque le origini del fenomeno descritto da Schmitt affondano nel cristianesimo, o addirittura prima di Cristo, in Epicuro, e risalendo ancora più indietro in Socrate e in Platone, il suo rifiuto del nichilismo romantico deve essere inquadrato in un contesto estremamente più ampio, le cui linee essenziali erano già state tracciate da Hegel e da Nietzsche. Da tutto ciò Heidegger trarrà le più inesorabili e radicali conclusioni: tra la metafisica greco-cristiana e il soggettivismo dei tempi moderni non esiste cesura, ma continuità; la nozione moderna di soggetto è la trasformazione del concetto antico di sostanza; l'ansia romantica dell'oltrepassamento è il proseguimento della tensione metafisica verso la trascendenza. Così certo si è mostrato che le radici del romanticismo affondano in un passato lontano. Ma resta aperta la domanda che rende tanto interessante la lettura del libro di Schmitt: quanto preteso postmodernismo attuale è in realtà mero tardoromanticismo, semplice decorativismo ideologico, attività di puro .accompagnamento delle tendenze veramente attive della nostra epoca? malica dell'esaurimento dell'essere nell' Ereignis e quella hegeliana sulla fine della storia, ancora presente nel marxiano passaggio dalla preistoria alla storia. L'assoluto hegeliano, in questa interpretazione, compiendosi «entra nel suo proprio», si pone come «perfetto» nella sua finitezza, e quindi si presenta come «fine della storia». Analogamente l' Ereignis heideggeriano sancisce la fine della storia dell'essere e l'uomo entra nel suo proprio - nella sua finitezza non definita più per rapporto a qualsiasi infinitezza o «fondamen-

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