Alfabeta - anno IV - n. 42 - novembre 1982

Une'sistenz,&Fpo!lricellana Emily Dickinson Lettere a c. di Barbara Lanati Torino, Einaudi, 1982 pp. 178, lire 6.500 The complete poems ed. by T.H. Johnson Harvard University Press, 1955 Poesie a c. di Margherita Guidacci Milano, Bur Rizzoli, 1979 pp. 294, lire 3.500 Poesie a c. di Guido Errante Milano, Guanda, 1975 Poesie a c. di Barbara Lanati pref. di R. Rossanda Roma, Savelli, 1976 - • Poesie a c. di Ginevra Bompiani Roma, Newton Compton, 1978 pp. 177, lire 1.800 del desiderio. Se l'altro si tiene in tale inaccessibile distanza, è solo nei modi tenui che Emily può dire quel desiderio, che la fa tutta domanda: «Scrivoafferma - piena di desiderio e senza risposta» (Lettere, p. 149). Quel «senza risposta» dice che nelle lettere, come nelle poesie, assiste solo alla sua propria solitaria manifestazione. L'altro non si manifesta che come assenza: rimane, come è lei stessa a dire, «eclissi». Le lettere, come le poesie, non fanno legame: non colmano l'abisso della separazione, ma lo confermano. S e vogliamo comprendere le lettere (e le poesie) di Emily Dickinson dobbiamo collocarci esattamente in quell'angolo obliquo (quel «certaing Slant of Light» di certi pomeriggi invernali), nel centro di quella intersezione metafisica, che si apre per Emily tra la relazione all'altro, in quanto prossimo - non semblable, non frère - e la relazione all'Altro, quel grande Altro assoluto - che nel vocabolario puritano della Dickinson si chiama Dio. Se a questa solitudine L a solitudine è certamente un no- nella vita e nella scrittura Emily giunme che possiamo dare all'espe- ge, è perché sempre più distraendosi rienza di Emily Dickinson. In dagli altri («non parlavo mai - se non questa solitudine possiamo situ;ue richiesta - e in tal caso, poche parole con sicurezza le sue poesie, che ne so- e piano - non sopportavo di vivere - no in certo senso il frutto. Ma le lette- ad alta voce»), Emily sceglie a prore? Contraddicono le lettere la solitu- prio interlocutore Dio. dine in cui Emily si raccoglie come un Non afferrabile evidentemente nel nocciolo nel frutto? dialogo, questo grande Altro assoluto - ~ La lettera è di per se stessa apertura - sciolto fin dalla relazione stessa - e dialogo: è addressed, cioè indirizza- precipita la sua parola nella solitudita e rivolta. In quanto destinate, le ne. Non più patto, né accordo - perlettere di Emily rompono le mura del- ché non rivolta all'eguale; e neppure la sua esistenza solitaria e aprono ver- preghiera («Buttai via la mia Preghieso un interlocutore, un altro - che, se ra», 476), la parola di Emily è parola pure assente, lontano, altrove, tutta- atea: è nel fondo della separazione via dalla sua lontananza è chiamato che Emily la trova. all'ascolto. Carica di questa irriducibile estraNelle lettere l'altro è per definizio- neità dell'Altro - che è anche ciò da ne l'assente, il lontano; ed è una pura cui essa ha origine; e colma del desimagia di linguaggio che lo rende ma- derio della relazione, la parola della nifesto. Evocato, l'altro appare - ef- Dickinson conosce una solitudine esfetto del «potere spettrale del pensie- senziale - che solo il movimento del ro» (Lettere, p. 76). desiderio trascende. Desiderio che E tuttavia, se la lettera è elegia, in- tuttavia la lascia sempre più vuota: vocazione dell'altro cui si destina, es- perché il paradosso della sua costitusa è soprattutto apologia - rivelazione zione - che cosi bene Emily, e il poeta dell'io scrivente, che dice di sé, si di- da lei tanto amato, Keats, conoscono fende e si giustifica - e lascia all'altro - vuole che il desiderio è in quanto e il potere dell'accoglienza. L'altro di- fin tanto che rinuncia al desiderato. venia cosi l'ospite, colui che accoglie Dunque è separazione infinita. in quel rapporto-senza-rapporto che è Questo infinito assolto dalla relafondamentalmente la lettera; ed è an- zione è tuttavia ciò che dovrebbe fonche il responsabile, colui che ha in sé dare l'esistenza stessa. Emily sa che, l'abilità, e dunque il potere della ri- se togliesse davvero tutta quella fansposta. tasmagoria entro cui il teatrino purita- ....>< L'analogon dell'esistenza stessa, no organizza il suo spettacolo, anniciò che la lettera evidenzia, è che l'io chilirebbe non solo la sua esistenza, e dipende dall'altro, e l'altro è essen- quella di Dio - ma il linguaggio steszialmente separazione e distanza; e di so. Se quel Lui si perde, come potrebquesta distanza, quand'anche l'io si bero continuare a esistere l'io e il tu? pretenda sovrano - in quanto signore Emily sa che quel dialogo tra l'io e il che accorcia e dilata a suo piacere i tu - dove il simile conosce il simile - tempi e gli intervalli della corrispon- non sarebbe che equivoco e misconodenza - egli non ne è di fatto che il scimento. Ci deve essere da qualche subjectum. Apparentemente sovrano parte una parola vera, e qualcuno che - perché l'iniziatore dell'utterance - possa pronunciarla. Per questo Emily ma in verità subjectum all'altro che lo dice: «God cannot discontinue Himaccoglie, e obbligato a trovarsi nell'e- self», Dio non può cessare. steriorità di un luogo (la lettera) che Se Dio smettesse di esistere, lei non - rimuove ogni immediatezza di incon- potrebbe più parlare. Perché la sua tro nell'intervallo che tra l'io e l'altro parola è in quanto desidera e cerca distende il linguaggio - cosi si presen- quella Lingua fondamentale - la cui ta il soggetto nella lettera. Dove la proprietà è di essere enigmatica, e di relazionè di per sé rimane distanza, e darsi per «Cenni» e «Segni», il cui a prevalere è l'esteriorità. Con l'altro «Messaggio è affidato a mani che non non v'è intimità; l'altro è sempre all'e- posso vedere» (441), e che pur nella sterno. Non lo si può includere. Non sua assoluta estreneità permette la c'è nessun modo della lingua - e della sua poesia. Emily fa poesia perché vita - che se ne possa impadronire. cerca. ed incontra - trova. nel senso Tra i modi dei verbi nelle poesie e preciso di inventare - quella Lingua nelle lettere la Dickinson ama non a fondamentale, fatta di parole indeclicaso più degli altri il congiuntivo e nabili, non coniugabili, assolute - che B ottafvo I et~l~ss"béJà, ~ a t cctJa la lasciano «nuda e bruciata» (Lettere, p. 62). Parole che cadono come un corpo nel vuoto; verbi che non conoscono appunto coniugazione, lasciati lì senza ausiliari e desinenze; sostantivi che depositano nella parola l'essere - nel senso antico di quel lego che è contemporaneamente posare e dire. Parole «ablative», Emily le chiama - che conoscono il mistero del «senza», e in virtù di tale conoscenza si fanno assolute, «come Dio». Perché è «come Dio» chi sa «vivere senza», come ha fatto Emily che può dire: «Sei tu la cosa che volevo?/ Vattene ( ... ) mentre aspettavo / Il mistero dèl Cibo / È cresciuto tanto che l'ho ripudiato/ E ho fatto senza come Dio» (1282). A noi non è dato conoscere Emily Dickinson. Possiamo solp conoscerla attraverso la fenomenologia del suo linguaggio: cioè di lontano, e quasi in contumacia - fingendo dunque che essa abiti nel linguaggio che semplicemente porta la sua firma; in un'opera che - bisogna ricordare - noi le rubiamo, che lei non ha voluto donarci. Praticando una liturgia, che credo lei non ci consentirebbe. E tuttavia se liturgia è esercizio a fondo perduto, azione paziente e devota, solo una lettura che sia appunto liturgica, culto arrischiato dell'opera, può consentirci conoscenza di lei. Ora accade che, nelle sue lettere e poesie, il linguaggio ci rivela come tratto precipuo un modo - che è quello dell'ellissi. L'ellissi è figura ricorrente nella lingua della Dickinson. Sintatticamente l'ellissi è una figura della sottrazione - in quanto articola il discorso, che è un insieme, non attraverso il procedimento dell'accumulo ma appunto del sottrarre. Sottrarre dalla frase elementi che normalmente sono necessari - questo è il modo dell'ellissi. Le figure dell'ellissi sono un fenomeno della brevitas; e appaiono nelle varianti della sospensione, della formazione di parentesi e incisi, della compressio. La detrae/io - nel caso della Dickinson - è quasi sempre per omissione, per caduta di un elemento sintattico: spesso è l'ausiliare del verbo, spesso è il pronome, spesso la congiunzione. La Dickinson, potremmo dire, elimina le parti cuscinetto del discorso, ciò che fa scivolare un nome dentro il verbo, e cosi via: si che non ben oliata pare la sua macchina sintattica, basata piuttosto sulla forza dell'attrito, su una sorta di violenza della congiunzione. Spesso questa detractio fa si che nel suo dispiegJWl 'l'I'' pe~siero manchi dei nessi necessari alla comunicazione: il che conduce per via di brevitas all'obscuritas. Proprio in ragione della sua brevitas, il ritmo della parola e del pensiero nella Dickinson è concitato: «Lei pensa che il mio passo sia 'spasmodico' - sono in pericolo - Signore» (Lettere, p. 58). Accelerata - perché veloce nei passaggi, che addirittura salta per via di ellissi - la sua frase è tuttavia al tempo stesso statica: perché assertiva. Apodittica e aforistica, la lingua di Emily Dickinson non ha il tempo di dubitare. Il dubbio implicherebbe un indugio, un tenersi sospesi nel tempo che Emily non si concede. Come dice: «Amleto ha esitato per tutti noi» (Lettere, p. 93). Al tempo veloce dell'esistenza umana - che è il tempo che ci vuole perché la rosa appassisca («Cara amica, le mando un fiore dal mio giardino - anche se morrò nel momento in cui arriverà a lei, lei saprà che viveva quando lasciò la mia mano - Amleto ha esitato per tutti noi», Lettere, p. 93), - Emily contrappone il tempo ancora più breve della sua frase e dei suoi versi. Quando Emily scrive, vuoi una lettera vuoi una poesia, non spezza la solitudine di quella «esistenza di porcellana» - come Emily chiama la sua vita. Il carattere inquietante del silenzio e della solitudine in cui Emily sigilla la sua vita è che in quel ritiro - che lei volle - si pronuncia una sottrazione di vita che è la più terribile accusa alla vita stessa. Un'esistenza umana, con gesto onnipotente, si fa giudice dell'Esistenza tutta. «Il Tutto non è venuto tutto insieme - È stato un assassinio per gradi» (762). Alla «supreme Iniquity» del Padre celeste, alla sua «Duplicity», come si può perdonare? Per Emily entrare nel linguaggio è entrare in un universo di morte, di scambi e di sostituzioni, a cui la sua veste verginale e la perfetta chiusura sovrana dell'aforisma si contrappongono in egual modo. Del linguaggio Emily non accetta il suo essere luogo di innaturali congiunzioni, di sostituzioni improprie, di passaggi furtivi - non accetta cioè il suo carattere essenzialmente metaforico. Per questo cerca una parola secca, essenziale. Ciò che accade nella Lingua per Emily è un furto. La Lingua è ladra per Emily proprio perché metafora, e dunque naturalmente incline al trasferire, allo spostare, allo scambiare. Se la Lingua è ladra, e mi ruba le parole che ho trovato, allora io a mia volta non posso che rubare, b2tterla sul tempo. Così Emily ruberà alla Lingua il tempo dei nessi: sottrarrà alla Lingua alcune parole, in fretta - perché non sia la Lingua, fattasi Morte, a sottrargliele. In fretta, scrivendole su dei foglietti, Emily salverà alcune parole che saranno - finché rimarranno nascoste - le sue. Se la Lingua è ladra, è perché ruba alle parole il tempo della vita: così la Lingua è Morte, e «a word is dead/ when it is said» (1212), morta è la parola una volta pronunciata. La Morte e la Lingua si presentano ad Emily come controfigure servizievoli, o comparse, di quel grande Altro invisibile, che mascherandosi di volta in volta da Dio, da Morte o da Lingua, non è comunque che un Ladro. Messi di fronte a questa morte, vivere e scrivere saranno per Emily la stessa cosa e si daranno dunque per lei solo nella modalità del nascondimento. Affannata si chiede: «Ditemi, l'uomo che annuncia la morte è proprio dappertutto? Dove posso nascondere le mie cose?» (Lettere, p. 38). E ancora: «in un mondo come quello in cui viviamo ci vuole un gran tempo per trovare e le occasioni per perdere sono così frequenti, per questo tengo stretto ciò che possiedo» (Lettere, p. 47). Perché «solo ciò che è celato, resta ... » (Lettere, p. 122). Sottrarle a quel mercato di morte di cui la Lingua si nutre - solo così le sue parole e la sua vita saranno salvate. L a vita e l'opera di Emily Dickinson sono la manifestazione di questa semplice verità: che nell'esistenza umana non v'è che sottrazione. Tutto ci è sottratto. Per questo «la parola 'no' è la parola più selvaggia che affidiamo al linguaggio» (Lettere, p. 109). E per questo Emily scrive secondo la forma dell'enigma - forma della sottrazione nell'oscurità del senso - o dell'ellissi, sacrificando congiunzioni, preposizioni e pronomi, serrando la frase come un nodo. Per questo credo scelse di vivere in uno stato di progressiva e poi perpetua eclissi. Ellissi ed eclissi sono le parole «ablative» del vocabolario di Emily Dickinson: parole che portano in presenza un abbandono, una sparizione, o una omissione. Parlando dei suoi cari Emily scrive: «Sono religiosi, tranne me - e tutte le mattine si rivolgono a un'Eclisse che loro chiamano Padre» (Lettere, p. 57). Se loro sono religiosi e onorano quel grande Ladro che li ha derubati della sua presenza stessa - sì che si rivolgono appunto a quella sparizione che Lui ha la.sciato, come fosse una presenza - Emily, la pagana, che fa? Lei ruba al grande Ladro. Lei risponde all'eclissi con l'ellissi. Violenta e ostinata, Emily che è una bambina e ha paura del buio («Lo sapete che siamo ancora bambine e le bambine hanno paura del buio?», Lettere, p. 44), si va a ficcare apposta nel buio. Allo stesso modo, lei che ha paura del silenzio, smette di parlare. Lei che ha fame, «cena senza - come Dio». Fiera, ostinata e impaziente questa donna desidera congiungersi in rapporto con quel «Luminoso Assente» che non fa che rimandarla alla propria inaccessibile estraneità. Sì che il grande Ladro - che a volte Emily chiama più semplicemente «Burglar» (scassinatore) e che detesta - Emily poi lo desidera, come si desidera un amante, e tra sé e lui finisce per distendere i modi di un corteggio, e a lui dedica i fiori del suo giardino: «I tend my flowers for thee - Brighi Absentee!» (339). Non è tuttavia un Amante che dona, quello verso cui Emily si volge. È al contrario un Amante che le toglie tutto, sl che «la prova si fa sempre più ardua» e «il godimento sempre più incompleto,. (Lettere, p. 146); e lei deve continuare a «imparare a fame a meno» (Lettere, p. 77), e «la Felicità,. si fa sempre più «innaturale,. (Lettere, p. 45); e lei rimane «nuda e bruciata» dalla sua stessa «Forza» (Lettere, p. 62). E cosl Emily conferma: «rifuggo da Uomini e Donne - è perché parlano di cose consacrate, ad alta voce - e mettono in imbarazzo il mio cane,. (Lettere, p. 62). E altrove: «Le donne parlano, gli uomini stanno zitti - ecco perché ho paura delle donne,. (Lettere, p. 76) Se il mondo è retto da eclissi, se le figure che articolano il rapporto dell'io ali'Altro sono rette dalla categoria del Furto - se non ci sono che piccole morti, prolusioni alla grande Morte («La Morte dai gusti raffinati! La Morte democratica» che ruba tutto, la «zinnia più bella» del giardino, e «la figlia del servo», Lettere, p. 38) - a questa eclissi Emily Dickinson risponde appunto con l'ellissi. A quel grande Altro invisibile che ruba tutto, Emily risponde che sarà lei a sottrarre, e praticherà quella lingua aforistica ed ellittica - operante secondo le modalità del taglio, dell'apocope, e dell'interruzione. Riusci,à il grande Ladro a rubarle anche questo?

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