Alfabeta - anno IV - n. 42 - novembre 1982

Lamafiacomemetodo -1 n una vignetta di Altan c'è un personaggio identificabile come un mafioso che dice: «Non vorrei che il Paese non fosse ancora maturo per un'organizzazione complessa e articolata come la nostra». Il paradosso può far sorridere ma è forse un punto di partenza utile per riprendere il discorso sulla mafia dopo l'assassinio di Dalla Chiesa e le polemiche seguite all'atto di accusa preciso che Nando Dalla Chiesa, figlio del generale-prefetto e studioso di mafia da tempo, ha rivolto alla Democrazia cristiana in Sicilia e a quei settori del potere politico che di fatto colludono con l'onorata società. In realtà, oggi una riflessione insieme storica e politologica non può prescindere da un'osservazione di fondo: la mafia è un fenomeno sorto e sviluppatosi in Sicilia sulla base di condizioni economico-sociali e culturali proprie dell'isola, che ha subìto nel tempo varie trasformazioni e ha saputo adattarsi con sorprendente rapidità allo sviluppo economico del dopoguerra, ma non può essere più studiata e analizzata né combattuta come un cancro locale. Si è ramificata abbondantemente in tutto il Mezzogiorno: 'ndrangheta in Calabria e camorra in Campania (e ora anche in Basilicata) sono di essa versioni non troppo dissimili, pur mantenendo alcune specificità regionali e scontando una storia meno solida e continua. Ma soprattutto ha influenzato profondamente il costume politico di tutto il Paese. Quando Leonardo Sciascia·ha scritto, qualche tempo fa, che l'Italia è andata sicilianizzandosi, ha detto a mio avviso una mezza verità: nel senso che l'espansione del fenomeno mafioso non nasce soltanto da un'infezione propriamente siciliana che incomincia ad attecchire in altri luoghi della penisola bensì può crescere ed estendersi grazie a un concorso di elementi e di circostanze che sono legati alla crisi italiana nel suo complesso e che io stesso avevo cercato di indicare due anni fa su Alfabeto n. 18. •In altri termini, se Òggi vogliamo superare i molti luoghi comuni esistenti sulla mafia (alcuni dei quali sono serviti di recente a riaccendere fiammate di vero e proprio razzismo nei confronti dei siciliani), dobbiamo procedere per approssimazioni in un discorso che al suo interno distingue tra mafia cc-mefenomeno storico della Sicilia moderna e contemporanea, e mafia come questione nazionale che non risparmia l'Italia nel suo complesso - quell'Italia attanagliata da una crisi politica prima che economica di grandi dimensioni. S e_parliamo di mafia nella prima accezione, le analisi compiute in questo dopoguerra da studiosi come Michele Pantaleone, Salvatore Francesco Romano, Domenico Novacco, Eric Hobsbawm, il tedesco Henner Hess e più di recente Pino Arlacchi (per non parlare che dei maggiori e dando per scontato l'apporto prezioso che uno scrittore come Sciascia ha dato in forma narrativa) hanno chiarito definitivamente alcuni punti essenziali che mi proverò a mia volta a sintetizzare per comodità dei lettori: 1. Le origini della mafia non sono antiche, come spesso si afferma. Appaiono invece strettamente legate alle vicende del latifondo della Sicilia occidentale dopo l'abolizione tardiva (1812) di quello che ancora sopravviveva del sistema feudale. Proprietaribaroni assenteisti, intermediari presenti e senza scrupoli (gabelloti), milizie private assunte per imporre i soprusi degli uni e degli altri ai braccianti dànno vita a una sorta di ordinamento parallelo rispetto a quello ufficiale, dei Borbone prima, della monarchia piemontese-italiana poi, che si rivela in quelle zone più efficace e rispondente agli interessi della classe dominante e perciò resiste a tutti gli attacchi. I rapporti tra settori della classe politica meridionale e la mafia sono stretti e più volte documentati. 2. Il regime fascista, nella fase della propria ascesa politica, si serve della mafia ma, una volta consolidatosi al potere, cerca di eliminarne la forte influenza. Invia a Palermo il prefetto Mori con l'ordine di fiaccare il potere mafioso, ma questi si trova presto di fronte alla contraddizione di fondo che ha sempre frenato finora la lotta contro l'associazione mafiosa: per stroncare i gruppi di potere criminale - che si dedicano non solo allo sfruttamento dei braccianti ma all'organizzazione di tutti i traffici illeciti che in un certo momento assicurano alti profitti - non basta spedire in galera decine di 81 l1otecag1noo1anco Nicola Tranfaglia gregari. Occorre colpire i quadri intermedi e i vertici. Ma gli uni e gli altri sono parte del più ampio sistema di potere che regge la Sicilia e indirettamente l'intero Paese (in quel tempo, appunto, il sistema fascista). Sicché appena Mori si rende conto della necessità di estendere la sua azione, viene fermato, rimosso e spedito lontano dalla Sicilia. 3.. L'insuccesso di Mori spiega il risorgere in grande stile dell'organizzazione mafiosa quando gli alleati sbarcano in Sicilia e insediano 'nuovi sindaci e nuovi funzionari. Per quanto siano incerte e in definitiva solo parzialmente attendibili le storie che si raccontano su Lucky Luciano e poi su Vito Genovese, resta il fatto che pro- -prio nel 1943-46 assistiamo all'insediamento di noti capi mafiosi (Calogero Vizzini, Genco Russo e molti altri) in PQStirappresentativi del potere l~e a una saldatura ancora più evidente tra gli interessi dell'organizzazione mafiosa e quelli del partito politico che ha raccolto la maggiore eredità del partito fascista, e che si rivolge contemporaneamente ai baroni, alle classi medie e a strati sottoproletari dell'isola. Parliamo, naturalmente, della Democrazia cristiana, senza affermare peraltro che i rapporti tra classe politica e mafia riguardino soltanto il partito cattolico: la cronaca ci lascia tracce di un inquinamento mafioso che colpisce anche altre forze politiche, soprattutto quelle che si muovono in una logica interclassista e di appoggio alle classi tradizionalmente dominanti. 4. Quando l'Italia, all'inizio degli anni sessanta, esce dal ristagno politico del centrismo e tutto il Sud, inclusa la Sicilia, viene lambito dal cosiddetto «miracolo economico», gli italiani scoprono che la progressiva liquidazione (lentissima. d'altra parte) del latifondo nella Sicilia occidentale non porta con sé la scomparsa della mafia. Al contrario (come apparirà chiaro nella parabola narrativa de Il giorno della civena di Sciascia) la mafia si è rinnovata e va all'attacco dei mercati ortofrutticoli, dell'edilizia e della grande speculazione che vi è connessa, dei traffici di ogni genere legati all'erogazione gigantesca di risorse da parte della Regione e degli altri enti locali, oltre che dei settori tradizionali di intervento (prostituzione e, sempre più, stupefacenti). È lo stesso Sciascia a fornirci quella che è forse la definizione più valida per quanto riguarda l'accezione di mafia nel contesto siciliano (e poi anche meridionale in senso più lato): «un'associazione per delinquere, con fine di illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra produzione e consumo, tra cittadino e Stato». 5. L'accelerazione degli affari legata al boom italiano degli anni. se=ta produce necessariamente una lotta per il potere anche all'interno dell'organizzazione mafiosache sfocia in omicidi a ripetizione, vere e proprie stragi e azioni clamorose. Ancora una volta la classe politica deve rispondere a una richiesta di oonoscenza e di intervento che sale da gran parte delle forzesociali; nasce la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia. La legge istitutiva è del 20 dicembre 1962. Dopo dieci anni di lavoro, la Commissione, che si è trovata di fronte a ostaooli di ogni genere, alaini dei quali impossibilida rimuovere a livello politioo, pubblica una relazione di grande interesse anche se zeppa di «omissis», brani cancellati per ragioni di «opportunità politica». Come cento anni prima, quando Sonnino e Francbetti avevano pubblicato la loro inchiesta sulla Sicilia, la classe politica italiana mostra di essere più disposta a conoscere che a provvedere. Non a caso: l'applicazione rigorosa delle misure oonseguenti al quadro apparso davanti alla Commissione d'inchiesta avrebbe. aperto contraddizioni gravissime all'interno anzitutto del partito di maggioranza relativa e più in generale nella ooalizione parlamentare al potere. Dunque, si adottano soltanto quei provvedimenti che lasciano da parte questo nodo fondamentale. Il risultato è quello di consentire all'organizzazione mafiosa non solo di sopravvivere ma di adeguarsi alla mutata situazione negli anni settanta e ottanta. Di spostare cioè i propri traffici dall'edilizia e dagli ortofrutticoli alla droga, di rafforzare i propri legami con le organizzazioni criminali internazionali che si richiamano a una comune origine mafiosa, di entrare con maggior decisione nella gara per gli appalti pubblici, sia statali che regionali e periferici. 6. Si producono due mutamenti importanti rispetto al primo ventennio del dopoguerra. Il primo è che la mafia assomiglia sempre di più a un'organizzazione criminale di tipo americano, a una grande azienda regolata da ferree leggi di profitto: di qui una sua maggiore facilità di espansione anche al di fuori della zona d'origine. Il seoondo riguarda i rapporti oon il mondo politioo: il ricatto che si può esercitare ora verso quegli esponenti del potere a essa legati è più ampio. Non oonsistesoltanto nella minacciadi toglier loro i voti necessari per l'elezione ma anche nella possibilità o meno data ai politici di acquisire, attraverso la mafia, una potenza eoonomica fondamentale per autonomizzarsi dal proprio stesso partito, da ogni oondizionamento politico oontingente. A questo punto, la definizione di Sciascia deve essere integrata e corretta. La mafia resta un'associazione per delinquere con le caratteristiche già note, ma ba raggiunto un'integrazione mai vista prima con l'apparato dello Stato e degli enti locali, ne fa parte quasi istituzionalmente: per sradicarla occorre agire direttamente, e con costi assai alti sul piano della ere-

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