Alfabeta - anno IV - n. 42 - novembre 1982

Q uesto volume offre una possibilità enorme di cogliere le radici stesse del peculiare marxismo di Panzieri e il suo essere permanentemente un work in progress in cui coesistono alcune «costanti» e una serie di accumulazioni che portano a precisare meglio le rotture teoriche ulteriori. Di straordinario interesse è anzitutto il quaderno-diario di letture e di abbozzi {che Merli raggruppa nella sezione «Utopismo e marxismo» 1944-1946), un continuo autointerrogar.;isul rapporto fra rivoluzione borghese e rivoluzione proletaria in termini che voglionQevitare «il pericolo ( ... ) di reintrodurre uno schema di filosofia della stari~. Emerge un riconoscimento della centralità del soggetto («U soggetto della storia è l'uomo. n problema è di determinare la posizione del marxismo di fronte alla storia il cui soggetto è l'uomo») che non ha nulla a che spartire con l'umanesimo socialdemocratico (si veda la polemica sull'interpretazione «umanisti~ degli scritti giovanili di Marx nei socialdemocratici Landshut e Mayer) e che è invece in aperta rottura con il marxismo ufficiale, quello che «ha rappresentato il terreno di lotta comune dei marxisti e degli antimarxisti». Contemporaneamente, prende corpo la scelta metodologica di un ritorno a Marx contro il marxismo ufficiale, una critica marxiana del ll)arxismo («ci può essere anche un'ideologia di marca 'proletaria', giacché il proletariato è lo strumento di emancipazione dell'uomo, ma non da essa è compiuta l'emancipazione») e la scelta di leggere la trasformazione sociale che si compie nella contraddizione fra le classi come prefigurazione materiale della società futura. La scelta del «metodo» marxiano non è giocata insomma come restaurazione della dottrina e concezione del mondo ma come indagine permanente del rapporto fra movimento del sistema e movimento degli attori. Cè in questa rottura una complessità di apporti teorici che è evidenziata dal rapporto stesso fra Panzieri e una pluralità di marxismi: già nel 1945, mentre Togliatti avvia il suo lancio dell'italo-marxismo saldando Gramsci come anti-Croce alla triade ufficiale Marx-Lenin-Stalin, Panzieri progetta una piccola biblioteca marxista in cui pensa a suggestioni molteplici, da Sorel a Sombart, da Korsch a Bucharin, da Comu a Hook. L'intellettuale-politico Panzieri che entra nel Partito socialista e fa la sua battaglia per una alternativa al marxismo ufficiale e alla politica dei due tempi, ha già dunque una concezione diversa del socialismo possibile, del rapporto fra soggettività e strumenti politici, del metodo marxiano e della stessa rivoluzione proletaria. Essa si precisa e si compie anche attraverso strappi e precisazioni, ma arriva a maturazione decisiva proprio in rapporto alla crisi del comunismo, cioè agli avvenimenti del 1956: nella critica alla concezione del partito-guida, della politica delle alleanze, del «modo di organizzare le masse» matura la critica stessa della «falsa eguaglianza secondo cui verità uguale classe operaia, classe operaia uguale partito e dunque verità uguale partito». È l'inizio di una rivoluzione copt:rnicana per la cultura della sinistra italiana, culminante nella scoperta di un movimento operaio irrigidito dalle sue false coscienze in una condizione di «sostanziale estraneità della sua azione rispetto alle strutture della società italiana e della sua ideologia rispetto alla realtà in movimento». Panzieri sta arrivando a scoprire lo scarto tra forme ufficiali della politica e processo sociale, fra ideologia tradizionale comunista e riformista con le sue doppiezze e realtà di movimenti in trasformazione. Ma ci arriva attraverso un itinerario tortuoso e al tempo stesso coerente di riflessione sull'alternativa al marxismo ufficiale e al modello comunista di Stato e rivoluzione che caratterizza la ricerca socialista in quegli anni. Quando - nel comitato centrale socialista del marz01 1960 - interrompe Nenni rimproverandogli di credere ormai inutile l'esperienza della generazione socialista degli anni trenta e quaranta, cioè quella esperienza di superamento dei limiti del modello socialdemocratico e di quello comunista che aveva caratterizzato il giovane Morandi, è a quella diversa cultura di riclassificazionee di rottura in avanti che Panzieri si richiama. E la sua rottura col socialismo nenniano e la nuova ricerca degli anni sessanta si compirà portando a maturazione quel bagaglio di una doppia critica del riformismo e del comunismo che caratterizza appunto il suo marxismo diverso. PalermocomeRoma L'intervento di Pio La Torre qui riproposto è apparso su l'Unità, 8 gennaio 1980. Lo scritto di Mario Spinella rievoca la figura del militante comunista assassinato dalla mafia il 30 aprile 1982. P erché diciamo che il barbaro assassinio del presidente della Regione siciliana PiersantiMattare/- la è il delitto politico più grave dopo l'agguato di via Fani e l'uccisione de/- l'onorevole Aldo Moro? Vorremmo richiamare, prima di tutto, ancora una volta l'attenzione su un'analogia politica impressionante. Allora, per colpire Moro, fu scelto il giorno in cui la Camera stava per discutere la fiducia al governo di solidarietà nazionale. Oggi si colpisce Mattare/lamentre è aperta una crisi decisiva per la vita della Regione siciliana: cioè quando si chiude la fase del centro-sinistra e si apre un confronto tra tutte le forze democratiche dell'isola per dare uno sbocco unitario e positivo alla direzione politica della Regione. Mattare/la era un punto di riferimento decisivo per questo confronto politico. Per questo lo si è colpito. C'è da aggiungere che l'attentato avviene mentre da IUI anno si susseguono a Palermo fatti sconvolgenti. Siamo di fronte a una «scalata»terroristica che colpisce sempre più in alto. E su due versanti: da un lato quello degli onesti servitori dello Stato, per crearepanico tra le forze dell'ordine e la magistratura, e dall'altro quello di determinati esponenti democristiani, quelli più A lto, i grandi occhi che dominavano, in un viso che i capelli corti, a spazzola, rendevano più nitido ed esposto, Pio La Torre, un Pio La Torre poco più che adolescente, fa spicco tra le immagini che molti anni di direzione della scuola dei quadri del Partito comunista italiano hanno disseminato nella mia memoria. Mi sono chiesto, dopo il suo assassinio, se a ravvivarne il ricordo era stata la sua tragicamorte; o, ancor prima, se il suo iterpolitico aveva contribuito a segnarne in me con forza la traccia. Credo di poter dire che non è cosi: se anche Pio La Torre fosse rifluito nel- /' anonimato di tanti militanti, o addirittura avesse mutato le sue scelte di vita, la sua figura, nelle aule e nei giardini della scuola di Frattocchie, non ,mi si confonderebbe tra /e molte altre esposti nella battagliadi rinnovamento in un quadro di unità democratica. Il governo non ha colto tempestivamente questo significato politico degli eventi palermitani, lasciando che ogni delitto venisse considerato come un fatto a sé. Si è così accumulato un. ritardo gravissimo. Si è continuato a dire che non c'erano prove s11fficientsi 11i legami tra mafia e terrorismo. ignorando che gli effetti degli assassiniperpetrati a Palermo sono identici a quelli dei delitti organizzati altrove dal terrorismo politico e oscurando, perciò, l'esistenza di una convergenza obiettiva. Si tratta,poi, di sapere se si è realizzato anche un collegamento diretto tra cosche mafiose e qualche centrale Pio La Torre eversiva nazionale. E anche - ipotesi ancor più grave - se esiste un collegamento con centrali internazionali. Sono noti i legami tramafia e «Cosa Nostra», come pure i risvolti palermitani de~'affare Sindona. Tornano allora alla mente altri momenti di grave crisi del nostro Paese, in c11lia mafia è stata posta al servizio di trame politiche tese a bloccare il processo di rinnovamento della Sicilia: dai tempi dello sbarco degli anglo-americani alla strage di Portella, a/l'offensiva anticontadina negli anni cinquanta. Di fronte allagrave crisi che oggi sta attraversando il nostro Paese, anche questa ipotesi va tenuta presente. In ogni caso ciò che chiediamo è di impostare e sviluppare un'azione rapida ed efficace per individuare e colpire la particolare trama siciliana con i suoi collegamenti, cosi come in qualche misura si sta cominciando a fare con il terrorismo in altre aree del Paese. E questa azione va inquadrata in unapiù generale iniziativa Stato-Regione per il risanamento e il rinnovamento delle strutture economiche. sociali e amministrative che impegni tutte le forze sane dell'isola. Ma c'è un'ultima, fondamentale circostanza da mettere in evidenza. L'uccisione di Mallare/laavviene anche alla vigilia dei congressi regionale e nazionale della Dc. Noi abbiamo sempre respinto l'equazione «mafia uguale PioLaTorre che in quelle aule hanno allora studiato, in quei giardini hanno passeggiato e discusso. Vi è, impalpabile, indefinibile, una qualità umana, una materia, una «stoffa» (Stoff), che riesce a comunicarsi - e a comunicare - quasi immediatamente. In La Torre era fatta di attenzione, cautela critica, volontà di riflettere, comprendere a fondo, attestarsi - prima di consentire o negare - sul bordo del dubbio. Non respingere, ma sottoporre a esame la stessaautorità, le stesse parole, del docente, anche se segnato, per un giovane militante, dal prestigioso carisma del partito. E, in quegli anni, il suo non era un atteggiamento comune. Il bisogno, la volontà di sapere, facevano sì che si applicasse metodicamente alle varie materie di studio: la Mario Spinella storia, l'economia, il pensiero marxista. Ma il testo che più lo appassionò, tanto da indurlo a una ricercaparticolare, fu il saggio di Gramsci sulla «questione meridionale». Il gioco complesso delle classi urbane e rurali, il blocco organico e compatto delpotere, la funzione oscillante e contraddittoria degli intellettuali, il ruolo delle poche isole operaie ( «i cantieri navali ,tfj !:J/(rmo»_,sott~lin~ava) lo inducevano a cons1derazwm e raffron/1tra le analisi gramsciane del 1926 e la situazione di questo nostro secondo dopoguerra. E infittiva di domande sulle grandi fabbriche del Nord i compagni di corso lombardi, piemontesi, liguri; quasi a impadronirsi di un universo sociale che, sino ad allora, era sfuggito alla sua esperienza diretta. Prevaleva in q11eglianni - o almeno si presentava come possibile sfondo - l'idea che gran parte del destino del Mezzogiorno fosse legata alla nascita di forti concentrazioni operaie: i «poli di sviluppo». Se mal non ricordo, vi era tullavia in La Torre una punta di ostinazione nell'ind11giaresulla questione contadina. La sua città, Palermo, con il magma di sottoproletariato, ceti medi burocratici, potentati familiari e mafiosi, in un certo senso lo respingeva. O meglio, gli sembrava di poter intuire la prospettiva di un eq11ilibrio di spinte, da/l'interno e da/l'esterno del coacervo urbano, come la via regia di 11nmutamento profondo della stessa realtàpalermitana. Non so se abbia conservato, e in q_ualmisura, queste sue ,dee e ipotesi. E certo che l'al/enzione al mondo contadino sarà sempre 11nacaratteristica Dc». Ma siamo consapevoli che alcune componenti di questo partito sono collegate con il sistema di potere mafioso. E anche nella Dc è in atto uno scon~ro - aspro, violento - fra gli uomini che, come Mallare/la, sono impegnati per il cambiamento e quanti difendono tenacemente il sistema di potere mafioso perché sanno che esso è lo strumento per la loro sopravvivenza politica. Il gruppo dirigente nazionale della Dc non può ignorare questa drammatica realtà. È la stessa dialellicademocratica all'interno della Dc, e anche nelle istituzioni, che viene turbata, sconvolta dall'eliminazione fisica di suoi autorevoli protagonisti. Si tende a seminare paura e terrore nella componente più avanzata della Dc e fra tlltte le forze democratiche della Sicilia. Ecco perché chiediamo alla Dc, ai suoi dirigenti nazionali più consapevoli, di fare i conti fino in fondo con la questione siciliana. Ma noi non vogliamo, né possiamo restare spettatori. Dobbiamo fare intendere allaclasseoperaia, ai lavoratori, a tulle le forze democratiche italiane, che in Sicilia - ancora una volta - si sta giocando una partita crucialeper le sorti stesse della democrazia italiana. Sarebbe gravissimo errorepolitico declassare il dramma siciliano a 11na sorta di groviglio locale e separato: in realtà in Sicilia si sta giocando una grande partita politica che è parte inseparabile della battaglia nazionale per la difesa e il rinnovamento della democrazia. della sua storia politica. Tra gli scritti degli ultimi anni si segnalano quelli da lui dedicati, oltre che alle strutture mafiose del potere in Sicilia e ai loro addentellati in più alto loco, le analisie le proposte sul dopo-terremoto in Campania e in Irpinia. Del resto risulta evidente che per lui i due temi si intrecciavano strettamente. Consapevole com' era del potere mafioso e dei suoi modi di ir.tervento, ne temeva lapresa, l'impatto, sulla gestione della ricostruzione e dei miliardi delle erogazioni statali. Non sembra che i fatti gli abbiano dato torto. In Sicilia, da ultimo, la mafw lo ha colpito a morte: non solo, certo, un gesto di intimidazione, ma 11natto di guerra contro un avversario, un nemico, che costit11ivaun pericolo.

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