Alfabeta - anno IV - n. 42 - novembre 1982

in uno spazio breve ma mosso• è anrora quello del musicista abituato al foglio vergato dalle linee parallele del pentagramma, tracciate per accogliere una cifra, tradizionalmente almeno, più determinata. • Come si è detto, le partiture di Bussotti si caratterizzano proprio per una radicale sovversione di tale relazione. Dal margine di indeterminazione esistente nel rapporto tra grafema e idea rompositiva può derivare di volta in volta una musica inedita, ignota allo stesso compositore. È l'assunto programmatico di ogni scrittura sperimentale, che nel caso di Bussotti si arricchisce di un gusto dell'ornato tale da rendere il segno musicale affascinante, fuori da ogni intento funzionale, per il suo aspetto pittorico. I raffi. nati barocchismi del compositore fiorentino si spingono ben oltre certe suggestive partiture di Earle Brown o Dieter Schnebel. Ma poiché la st=pa «non ha calligrafia,., queste possibilità espressive qui gli sono precluse. Cinque pagine in facsimile difatti - un figurino, una lettera manoscritta, una partitura-dipinto - sono i primi oggetti che rinveniamo nel libro-scatola di Bussotti. Una scatola come quelle che si tenevano nell'Ottocento, con dentro una ciocca di capelli, una moneta, qualche foto ingiallita, un pezzetto di stoffa (così lo ha definito Massimo Mila) e con i suoi tre bravi scomparti: due sezioni diaristicbe, Per argomento e /n dola, più Alcuni saggi. A bbandonate le istantanee-facsimili sulla porta, e con esse l'estrema possibilità di coniugare parole e musica attraverso il segno grafico, per proseguire l'autore si fa guidare dal ritmo interno della frase. Nella sua prosa questo accade per inclinazione naturale, anche a costo di rivelare impudicamente, sotto ogni rigo, l'endecasillabo del libretto da melodramma. Usatq da Bussotti per pensare la scrittura come la serie di dodici note la musica. Il melodramma è la parola che si dissolve in musica. Nessuna definizione, scevrata dalla connotazione negativa che le associava il De Sanctis, si avvicina di più al significato esterno di q1,1estaprosa. Che Bussotti stende affidandosi al suo ·senso musicale - ma poi riprende e costruisce con attenzione estrema. Nella prima pagina di Per argomento tre cambiamenti di luogo (Treviso, Firenze, Genazzano) e tre di tempo (11 ottohre 1978. 24 aprile 1'153. !"indomani). per tre situazioni costruite a incastro, in un nash-back vertiginoso. La musa è dunque riconoscibilissima, novecentesca: nonostante i panni ottocenteschi che porta addosso è la stessa di Joyce e Proust. Il ricordo anche qui è il pretesto perché la pulsione a raccontarsi trovi sfogo, dando il via a una complessa azione psicologica. Sul versante compositivo, del resto, se un tratto comune si vuole cercare nei lavori della Neue Musik esso è proprio rintracciabile nell'«epifania» del materiale sonoro, nell'illuminazione che il musicista ba il compito di rendere conveniente. La scelta, cosl rétro, del diario risulta quindi stravolta. «Lasciare qualche segno della verità in margine a giorni e giorni passati sul palcoscenico», tentando di vanificare l'immagine disegnata sulle Pa&ine delle cronache musicali, è l'inteni, dichiarato dell'autore. Per fare questo Bussotti adotta il discorso sfumato. fallo a hassa voce. che scende oltre ogni margine di sicurezza nella zona germinale dell'arte. li Diario di Gide, al quale Bussotti guarda come a una autorizzazione a procedere, è in realtà ben altra cosa. Gide parla come da una tribuna attraverso le sue pagine e, nonostante il tono antiretorico adottato, innalza a se stesso un monumento che non consente se non rari attimi di abbandono. Il ricordo è in lui meccanico frammento di memoria, un accadimento a cui guardare con il distacco dello scrittore che domina la propria materia, e che gli fornisce il destro per l'aforisma, l'appello, l'analisi, la provocazione, la sintesi preziosa. Bussotti narra innanzi tutto se stesso e i drammi in svolgimento nelle zone notturne della propria psiche. In questo senso il suo libro pare più autobiografico che strettamente diaristico e, nonostante le intenzioni, non fornisce materia prima per qualsivoglia monumento. Piu11ostodà fondo all'universo personale dell'autore, dove le figurazioni del ballerino Rocco sulla scena di Oggetto amaro si confondono con quelle, assunte tra sipari differenti, di ragazzi scelti dannunzianamente belli come efebi (ma non lo aveva fatto anche il cosi poco dannunziano Saba con Ernesto e Glauco?). Dove ancora si riconoscono i prediletti: Bene, Cecchi, Amidei per il teatro, Boulez, Cage, se stesso tra i compositori contemporanei, Zancanaro e De Chirico in pittura. Dove emergono le ossessioni: a confessarsi, subito, completamente - sicché nelle prime righe tutto il libro è già anticipato e il velo sulla propria omosessualità immediatamente lacerato; a spostarsi di continuo, da una città all'altra, da un capo all'<1ltrodell'Europa - ciò che è riflesso in una datazione delle note che finisce, forse con un po' di malizia, per disorientare il lettore più attento. A un altro libro gidiano, alle Note su Chopin, Bussotti deve aver guardato come a un precedente per la parte saggistica dei Miei teatri. Si tratta di un insieme di appunti e note diaristiche in cui lo scrittore francese, pianista dilettante, cercò di rendere con l'ausilio della parola quello che aveva compreso di Chopin senza essere in grado di tradurlo in suoni. Righe di prosa a tema che si rivelano pretesti per preziosi motivi decorativi sviluppati «intorno» alla musica del compositore polacco, senza raggiungere mai la forma articolata del saggio. Cosi accade, nonostante le· lunghe pagine stese per alcuni argomenti, ai Saggi di Bussotti, che restano troppo «personali» per raggiungere quel livello di comunicazione neutra che siamo abituati a riconoscere nella forma-saggio. La scrittura di Bussotti denuncia anche qui il proprio «limite» nel bisogno di verità materiata (arte come vita e vita come arte) che rifugge da ogni astrazione critica. Resta da decidere se si tratta di un «limite». Tra tanta produzione letteraria, questo libro cosl anomalo pare rispondere ai voti di chi ritiene che nella situazione attuale «gli artisti ( ... ) sono tenuti a fare ciò che fanno senza la protezione dell'argomento teorico. Il quale era( ... ) semplicemente un argomento ideologico» (J .F. Lyotard, «Regole e paradossi» in Alfabeto n. 24).

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