Pensare l'antico Leimmagindi,1medioevo Con gli interventi di Cesare Segre e Gian Arturo Ferrari riprende la serie di scritti Pensare l'antico che ha già ospitato sui numeri 35 e 36 (aprile e maggio 1982) articoli di Mario Vegeui, Salvatore Settis, Luciano Canfora e Andrea Carandini. Jacques Le Goff Intervista sulla storia a cura di Francesco Maiello Bari, Laterza, 1982 pp. 131, lire 7.000 e del corteggiamento al sistema moderno d'istruzione alla fondazione di città (solo centri politico-amministrativi nel mondo antico), che spesso si conservano ancora con mura, chiese e abitazioni. Si potrebbe aggiungere: la nascita delle letterature volgari, la creazione dei generi letterari moderni, e via dicendo. Sono anche d'accordo, Le Goff e Zumthor, nel rilevare il particolare senso di «alterità» che ci offre il medio argomenti e i miti per galvanizzare i nazionalismi europei. Oggi lo studio del passato (tranne i paesi di nuovo nazionalismo, penso al terzo mondo) può al massimo servire alla «politica come spettacolo» (pozzo profondo per la dilapidazione del denaro pubblico). Ma in questo caso non saranno gli storici della società e della letteratura ad essere utilizzati, semmai gli archeologi e gli organizzatori di mostre. Un caso esemplare i bronzi di fi nucleari o ecologiche. Viene allora da domandarsi se per un'utilizzazione appunto metaforica del medio evo non finiscano per servire di più i confusi luoghi comuni che circolano su quel periodo, rimasticature di ricordi scolastici. Ricordo la beata sicumera con cui il Lancelot di Bresson veniva collegato da autorevoli critici cinematografici a Chrétien de Troyes, mentre è una originale interpretazione della Mort le roi Artu. Paul Zumthor Leggere il medio evo Bologna, Il Mulino, I 98 I pp. 186, lire 6.000 RomanJakobson 11 medievalista ha in questi anni qualche motivo di soddisfazione. I libri di grandi storici del medio evo, Duby, Le Goff, Le Roy Ladurie hanno fitta circolazione e notorietà anche fuori dell'ambiente specialistico; su personaggi ed episodi del medio evo escono a getto continuo monografie più o meno solide; collane di testi tra le più diffuse danno ampio spazio a fabliaux, canzoni di gesta, romanzi medievali, opere storiche ed agiografiche (benemerite la «Lorenzo Valla» di Mondadori, i «Millenni» e la «Collezione di poesia» di Einaudi, la «Nuova corona» di Bompiani, i «Classici di storia» e «del pensiero» della Rusconi). Romanzi di ambiente medievale, come L'ordalia di Chiusano e soprattutto li nome della rosa di Eco hanno avuto eccezionale successo, facendo seguito alla voga di Tolkien. Il cinema non è stato da meno, anche se con esiti diversi, dal Lancelot di Bresson e dal Perceval di Rohmer al rutilante Excalibur. È recente la notizia di un balletto «medievale», Raymonda. Un elenco che ogni lettore può facilmente arricchire. Che cosa sta dietro questi episodi? Una moda, fenomeno fisiologico della nostra civiltà, o una reale riconsiderazione di un'epoca estremamente feconda, la cui prima riscoperta, col Romanticismo, impresse tracce fortissime (e molti pregiudizi) in generazioni di poeti e pensatori? Che gli studi medievali, specialmente in ambito storico, attraversino un periodo molto creativo, specie in Francia, è sicuro; ma c'è rapporto tra questo e la moda del medio evo a livello di consumo? Ci aiutano a preparare qualche risposta i due volumetti di Le Goff e Zumthor, anche grazie alla diversità del loro impianto. Quello di Zumthor, storico della letteratura, è un esame di coscienza, spesso autobiografico, anche autocritico. Quello di Le Goff, storico della società e delle «mentalités», spinto dall'intervistatore a soffermarsi . su alcuni punti nodali delle ricerche sue e dei suoi colleghi, è più impegnato teoricamente e meno personale. Partiamo dal più sicuro: la conoscenza del medio evo è essenziale per comprendere il mondo contemporaneo, dato che «ilmedio evo appartiene alla nostra storia: ci appartiene, in una maniera assai speciale, perché discendiamo da lui biologicamente e culturalmente in linea diretta». Cosi Zumthor; e aggiungerei che l'interesse per il medio evo in America è quasi nostalgiadi un passato mancante, sensazione ancor vivadi sradicamento: da cui l'infinità di costruzioni neoromantiche e neogotiche, la passione antiquaria e museografica, la spinta a viaggiare in Europa. Le Goff precisa l'affermazione di Zumthor: ricorda che il medio evo ha creato modi di vita che ancora sussistono: dal rituale dell'innamoramento Questo numero di Alfabeta stava andando in macchina quando abbiamo appreso della morte di Roman Jakobso11.No11inconcepibile, dari i s11oiottantacinque anni, ma inattesa, perché ancora gli 11lrimidi noi che lo avevano visto, lo avevano trovato energico e sereno, curioso come sempre. Gli occhi affaticati lo obbligava110a leggere con 11nagrande lente luminosa, della c11i perfezione tecnologica a11dava assai fiero, ma leggeva tu/lo ed era informato s11tutto e s11rwri. sino (come s110delizioso costume) al più pungente pe11egoleuo accademico (che naturalmente copriva gli atenei di cinque continenti, e con notizie dell'ultima ora che i fedeli giornalmente, giungendo da ogni parte del mondo in Scorr Street numero 0110, Cambridge Massach11se11sg,li recavaevo: un'alterità fatta di rassomiglianze e differenze, continuità e rotture. In Italia ne è sensibile l'aspetto linguistico: il gusto del pasticl,e medievaleggiante è sempre stato vivo (e meno erudito che, poniamo, in Joyce); è giunto alla popolarità, ahimé, con L'armata Brancaleone imitata cento volte (con strazio degli intendenti). Queste rassomiglianze-differenze facilitano un aggancio mentale utilizzabile per un censimento dei mutamenti avvenuti. Quasi un'immagine d'infanzia: si può considerare il medio evo con superiorità e sprezzo, si può rimpiangerlo come un paradiso perduto. Ma questo doppio movimento ci porta a considerazioni sul senso della vita mutato negli ultimi decenni, sulla crisi del mito del progresso di cui il Romanticismo, rivalutatore del medio evo, fu vittima. Scrive Zumthor: «Non c'è dubbio che il successo crescente della tematica storica ... sia dovuto in parte all'indebolimento della fede nel progresso scientifico, alla riabilitazione delle culture strane e arcaiche, al bisogno di sostituire i segni di un tempo con la conoscenza di ciò che i dotti specialisti ci assicurano che è proprio accaduto cosi... Mezzo rassicurante di pensare se stessi e forse la propria morte». Vale la pena di aggiungere qualche considerazione, magari con l'aiuto di Le Goff. Tutti ricordano certamente il rifiuto verso la storia esibito, specie dai giovani, verso la fine degli anni Sessanta. Solo il futuro contava, o al massimo il presente in cui se ne pongono le basi. Da cui oggi l'ansia di recuperare ciò che si era dato per irrilevante anzi inesistente. M a è un'ansia non corroborata da istanze ufficiali. Il potere politico, per esempio, adula e ·manovra intellettuali di altro genere che gli storici: soprattutto glieconomisti e i politologi. Come ricorda Le Goff, il grande secolo della storia è stato l'Ottocento, in cui essa fornl gli B1bl1otecag1nob1anco Umberto Eco no in dono). Su 11narivista come Alfabeta, o si presuppone che i leuori sappia110111110 di Roma11 Jakobso11, o occorrerebbe dedicargli moire pagi11edi bibliografia ragionata, e non basterebbero. Né basta il tempo e lo spazio, con le rotative in orgasmo. Q11indibasteranno poche righe di ricordo. Possiamo dire 11na cosa: che una b11onametà. e forse tre quarti degli articoli di Alfabeta, dal suo primo numero ad oggi. che essi parlassero di linguistica, di semiotica, di critica letteraria, di antropologia, di psicoanalisi, di teatro, non avrebbero porwo essere scrirri se dietro alla storia personale degli autori, o dietro ai libri di cui si parlava, non ci fosse srata l'opera di Jakobson. Epossiamo dirlo tranquillameme anche per Riace. Più che desiderio di conoscere meglio le nostre radici, la curiosità per il medio evo si presenta dunque come una fuga verso l'infanzia (collettiva) o il diverso o il mistero o l'irrazionale. Essa è vicinissima a quella per le religioni orientali o per l'esotico, per la magia o l'astrologia. Tanto più che il medio evo ha sviluppato in sé, prima delle varie «rinascenze• (quella carolingia. quella ottoniana. quella del Xl I secolo), molte delle pratiche ora valorizzate: stregoneria, misticismo e, negli aspetti più vari, simbolismo. Anzi la lunghezza e variegazione di quel periodo, col suo decorso di quasi un millennio, ospita temi adatti a entrambe le polarità della nostra attrazione-ripulsione: anarchismo e gerarchizzazione sociale, schiavismo o riduzioni della libertà e grandi imprese individuali, oscurantismo e sublimi raffinatezze teoretiche, frammentazione regionale e circolazione di idee e commerci, barbarie e alta contemplazione. Il millenarismo che ne caratterizzò vari momenti, alleato alle carestie e alle pestilenze, anticipa le attese ora legittimamente diffuse di catastrocoloro che scrivevano senza rendersi coma, se mai fosse staro possibile, che alle loro spalle giocava il magistero jakobsoniano. Ricordiamo quindi non /'aurore amaro e so110/i11earao lungo da alcuni di noi, ma uno dei maestri di rulla la nostra generazione, e di molrissimi di quella precedente. Torneremo a parlare di /11i, inevirabilmeme. Per alrnni di noi si tratta di un /11tto perso11ale. Per rwri, di un fui/o della culrura. Ma migliai~ delle sue pagine non sono srate ancora tradotte, non si dice in italiano, ma in 11nadelle poche ling11eaccessibili ai più. E quindi Jakobson rimane, più che da commemorare, da leggere ancora, e a lungo. Non c'è dubbio che gli editori hanno in genere risposto affermativamente al mio dubbio. Basta vedere quanto siano approssimative le traduzioni, disinformate le introduzioni, capricciose le scelte di alcuni dei testi medievali ora affrettatamente allestiti (notevoli ma troppo scarse le eccezioni); si sono persino ammannite ritraduzioni di rifacimenti francesi, invece delle traduzioni dirette dal francese antico. Basta notare come siano casuali le scelte, talché opere tra le più belle e culturalmente decisive sono trascurate: dico, lasciando da parte le mediolatine, il Romande la Rose, il Romande Renart, i romanzi di Chrétien (la traduzione completa della Sansoni è ora introvabile; quelle parziali disponibili non soddisfano), i deliziosi lais di Maria di Francia (già tradotti magistralmente da Ferdinando Neri), le liriche di quasi tutti i trovatori e trovieri (le antologie danno inevitabilmente un modesto campionario), il Libro de buen Amor. Si avverte soprattutto una mancanza di programmazione, un combattersi a colpi di (piccole) trouvailles. e he cosa fanno i grandi organi d'informazione? Non meglio, com'è naturale se si pensa che i mezzi di comunicazione di massa sono nelle mani di pochissimi gruppi, ognuno dei quali gestisce contemporaneamente case editrici, quotidiani, settimanali, televisioni private. Che da qualche parte di questo grosso giro si avverta l'inizio di un discorso serio, documentato e sistematico sul medio evo, o in generale sulla storia, non direi. Da una siffatta situazione strutturale nascono poi le ovvie conseguenze. L'editore punta esclusivamente al best seller; i suoi organi d'informazione collaborano a fare del best seller potenziale un best seller reale. Le Goff afferma a un certo punto che in Francia «si assiste al paradosso che lo storico più conosciuto è un giornalista che ha saputo attraverso la televisione e con grande talento parlare di storia e di fatti inerenti alla storia». In Italia, questa è la norma (a parte il «grande talento»). Un giornalista scrive un'opera di argomento storico (per lo più di seconda mano, spesso romanzata); i giornalisti (recensori) suoi colleghi la celebrano sui mezzi di informazione. li pubblico, anche colto, crede che si tratti di un contributo storico effettivo, e che comunque di contributi più seri non ne esistano, dato che non se ne parla. Un circolo vizioso che giova forse al fatturato delle case editrici, ma contribuisce a rendere più fonda la nostra ignoranza. Se grandi studiosi come Duby, Le Goffe Le Roy Ladurie sono sulla cresta dell'onda anche da noi, ciò è avvenuto solo come estensione del successo in Francia, ma temo non implichi un reale impegno a farci conoscere meglio il medio evo. Insomma, a mio avviso c'è un diffuso e motivato interesse per il medio evo, ma anche il pericolo che questo interesse si risolva in una delle tante mode, effimera come lo sono per definizione le mode. Dalla classe politica e dagli organi universitari, come s'è visto, non c'è da sperare in appoggi e incentivi, dato che la ricerca storica «paga» soltanto alla distanza, e solo in moneta culturale. Il potenziamento degli studi medievali non può verificarsi che per iniziativa di singoli studiosi oéquipes o scuole, e grazie all'appoggio illuminato di qualche benemerito editore, come Ricciardi. Modello forse irripetibile la scuola francese delle Anna/es e i molti grossi storici che vi si sono formati. Altro modello la scuola filologica italiana, che ha rinnovato lo studio dei testi romanzi medievali e la loro interpretazione in un momento in cui il medio evo non era ancora di moda ... Le differenti attitudini dei due storici di cui sto parlando riguardo ai programmi per il futuro sono molto istruttive. Fiducioso Le Goff, certo dei suoi punti di riferimento e convinto dei programmi. Per lui è fondamentale il nesso tra storia e antropologia, che permette di «conservare la lezione della lunga durata, rivalutando però l'avvenimento». La storia del medio evo, storia di lunga durata, e storia di cambiamenti che hanno anch'essi tempi lunghi, è oggetto ideale per questa impostazione. Non solo. Lo studio dei documenti medievali rivela una interessantissima combinazione tra cultura materiale e valori simbolici, e permette di evidenziare la codificazione dei comportamenti che è base solida per un'antropologia storica. Si sa per esempio che gli usi alimentari e l'abbigliamento erano in stretta connessione con le classi sociali, cosl come l'impiego del cavallo: quello da lavoro al contadino, il destriero agli aristocratici e all'alto clero, il mulo e l'asino per le classi inferiori. E quanto alla cultura materiale, ha importanza decisiva l'apparizione di nuovi attrezzi, come l'aratro a ruote o ilmulino ad acqua, già noto all'antichità che però non seppe sfruttarlo. Altra direttiva generale additata da . Le Goff è l'impegno a fondare una nuova erudizione che, a differenza da quella ottocentesca, pure vastissima e preziosa, sappia interrogare gli stessi, od altri documenti, in funzione delle nuove prospettive storiografiche. Per esempio i falsi, che il medio evo produsse in abbondanza, a sostegno di diritti e privilegi privi di basi giuridiche (famosa la donazione di Costantino), non vanno disprezzati come faceva la
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