Alfabeta - anno IV - n. 40 - settembre 1982

Chartism and society: An Anthology or Documents edited by F.C. Mather London, Beli & Hyman, 1980 pp. 319, L. St. 15 Giuseppe Berta Tradizi~~!o.,peraia Marx, gli operai inglesi e i cartisti Milano, Feltrinelli, 1979 pp. 120, lire 2.000 «Culture del lavoro e sviluppo industriale: un'interpretazione», in Società e storia, n. I I Milano, Franco Angeli, 1981 Karl Marx Capitale e tecnologia. Manoscritti 1861-1863 a cura di Piero Bolchini Roma, Editori Riuniti, 1980 pp. 171, lire 3.200 Melvin Kranzberg e Joseph Gies Breve storia del lavoro Milano, Mondadori, 1976 pp. 253, lire 5.000 Camillo Daneo «Per una storia della composizione di classe», in Classe, n. 19 Bari, Dedalo, I981 N ell'intenso moto di rinnovamento degli studi di storia della classe operaia - manifestatosi anche recentemente in dibattiti e convegni - che prospetta il ricorso a nuove fonti e impostazioni, va sottolineata l'esigenza di ricerche centrate sul rapporto della condizione operaia con l'evoluzione tecnologica. L'esperienza storica del cartismo Tale problematica si rivela cruciale all'interno della classe operaia fin dai suoi inizi. Scegliamo come esempio la polemica dei cartisti con il tradeunionismo della Amalgamated Society of Engineers («Associazione unitaria dei lavoratori metalmeccanici», formata soltanto da operai qualificati sulla base del «mestiere») e con il movimento cooperativo sviluppatosi parallelamente. Tale polemica è esposta nel volu- . metto di G. Berta, Marx, gli operai inglesi e i cartisti, mentre nella nuova antologia complessiva Chartism and society, curata da F.C. Mather, troviamo qualche brano delle testimonianze fondamentali in proposito, le , Notes 10 the people ( 1851-52) di Eri nest Jones, leader della sinistra carti- ; sta. ! È opportuno sottolineare che in ; questo caso si tratta appunto dell'ala sinistra, divenuta particolarmente rii levante nell'ultima fase del cartismo, ! dato che - come ricorda Mather nel- ; l'Introduzione- non va mai dimenticata la «immensa diversità del movimento• a seconda dei momenti, luoghi e gruppi componenti. gresso tecnologico responsabile dell'introduzione di sempre nuove macchine e della dequalificazione del lavoro, e si prospettavano unioni cooperative in cui gli operai avrebbero trovato la possibilità di fornirsi essi stessi di capitali e mezzi di lavoro per garantire, con la loro laboriosità e abilità, una produzione secondo le migliori regole tradizionali. Non avevano capito che i mezzi di lavoro erano ormai irrevocabilmente in mano ai capitalisti, i quali imponevano modi, ritmi e prezzi del lavoro. Contro l'illusione degli engineers di poter-far chiudere le fabbriche ai padroni sottraendo loro le maestranze per farle confluire in aziende autogestite, Jones già nel 185 I - in un articolo riportato da Mather - obietta: «È impossibile per voi far chiudere le fabbriche, perrhé il grande imprenditore non dipende dal commercio interno: egli può vivere sui mercati esteri; e su ogni mercato, sia interno che estero, può battervi nella concorrenza. Il suo capitale e le sue risorse, la sua disponibilità di macchinario, lo mettono in grado di far ciò. Non è forse un fatto innegabile che le società di lavoratori, i sarti, stampatori ecc. in cooperativa, sono più cari dei loro rivali dei monopoli?( ...) È impossibile privare di operai il datore di lavoro a tal punto da rovinarlo: il surplus di lavoro di cui dispone è troppo grande. E anche se fosse più piccolo, la potenza continuamente in sviluppo del macchinario. che egli può sempre accaparrarsi per primo, potrebbe più che bilanciare il vuoto che gli causate». Rilevando dunque l'inutilità del cooperativismo e la necessità di impadronirsi piuttosto del potere statale per cambiare complessivamente le regole della produzione, Jones faceva vedere - osserva Berta nel libro citato - che «il risultato dello sviluppo capitalistico era di ridurre le differenze qualitative tra i gruppi operai, di rendere sempre più omogeneo (più astrai/o per riprendere la terminologia di Marx) il lavoro operaio, perché gli effetti livellatori del progresso tecnologico si assommavano a quelli del processo di proletarizzazione che l'espansione della grande industria accelerava». Inoltre va ricordato che ci troviamo La critica di Marx nell'Inghilterra di metà Ottocento, Le concezioni di Marx si formano quando il progresso delle macchine proprio nel vivo di quelle polemiche, a utensili provoca il passaggio da un'in- cui egli a un certo punto fornisce anche dustria ad alta intensità di lavoro ad qualche contributo attivo attraverso il una ad alta intensità di capitale, con rapporto con Jones. Ci preme però incremento del «capitale costante• e particolarmente sottolineare come del ruolo delle macchine. Ne risulta a quella problematica delle nuove caratminata la posizione degli operai spe- teristiche del lavoro sotto l'impatto cializzati: appiattimento delle funzio- della tecnologia sia connesso anche il ni, pagamento del lavoro in base ai richiamo alla legge del valore che, risultati quantitativi ecc. come è noto, rimarrà fondamentale in Di qui un moto di difesa corporativa Marx e che, lungi dall'essere qualcosa delle prerogative dei «mestieri» e un di «naturalistico• (come l'ha interprerifiuto di porsi sullo stesso piano degli tata qualcuno) è strettamente associaoperai non passati attraverso l'ap- ta al tipo di lavoro predominante nella prendistato. grande industria quale si affaccia a Si comprende anche la dimensione metà Ottocento: lavoro generico, ero- «ideologica» dell'unionismo che si gazione indifferente di energia lavoracercava di organizzare a questi fini: tiva in subordine alla macchina, con sono aspetti di quella «cultura del la- tutti i connessi fenomeni di frammenvoro• che - come tanti altri aspetti di tazione, intercambiabilità ecc. che «mentalità• - recentemente ha attira- superano anche il tipo di «divisione del to assai l'interesse degli storici, dando lavoro» già attuato dalla manifattura. luogo tra l'altro ad alcuni numeri spe- Si comprende il moto di resistenza, ciali di riviste. Si era insomma formato da parte dei lavoratori quali~icati, alla tra i lavoratori un codice etico di ri- perdita della loro importanza e quotaspetto di gerarchie e di comportamenti zione: gli orgogliosi artisa11s tendevache Berta riassume nel più recente ar- no ora a porsi come una labour aristoticolo Culture del lavoro e sviluppo cracy e, sul piano teorico, sentivano industria/e. più consona una concezione che sottoPer le suddette ragioni si determi- lineasse il valore d'uso dei prodotti, la Bi oli octenca ~r Ìntoeora rl° copondenza ai desideri del consumatore e quindi la «qualità» del lavoro, alla quale si sentivano legati. D'altra parte chi puntava invece ad una ricomposizione di classe doveva trovare più logico mettere in luce senza remore il processo di dequalificazione e omogeneizzazione del lavoro industriale. E questo indicare il lavoro astratto come base attuale della produzione riportava l'attenzione appunto sulla sfera produttiva e sullo sfruttamento del lavoro che avveniva in essa, anziché su quella della circolazione e del consumo, per spiegare la valorizzazione del capitale e l'attribuzione del valore alle merci. Ecco allora Jones sostenere, contro il gruppo cooperativistico dei Christian Socialists, che «il valore di una merce• (...)è dato dal tempo e dal lavoro spesi in essa, e non dai desideri e dai bisogni del compratore». È dunque proprio sulla base del collegamento con quei dibattiti della sinistra cartista che si coglie la «continuità tra le lotte politiche dei primi anni londinesi di Marx e il suo grande disegno scientifico del decennio successivo• (Berta). In particolare, è sulla base della sensibilità acquisita in quell'occasione che Marx legge le analisi allora disponihili della trnsforma,ione indotta dalla tecnica nel lavoro industriale, come quelle di Babbage, Ure ecc. Di questi suoi studi sono una testimonianza ulteriore i «quaderni di tecnologia» del 1861-63, che di recente sono stati parzialmente tradotti col titolo Capitale e tecnologia. Da quegli autori è desunto in termini tecnici il quadro della fabbrica capitalistica che Marx, utilizzando appunto i suoi quaderni di tecnologia, recupera in una parte del primo libro del Capitale, la quale in tal modo acquista nuovo spessore. In questi quaderni, in cui vengono passate in rassegna le differenze tra strumenti e macchine, tra manifattura e industria meccanizzata, Marx fa leva sul fatto che «nell'officina che si basa su un sistema di macchine ( ...) un lavoro in parte assai abile (quale si aveva ancora nella manifattura) è sostituito da un semplice lavoro a macchina (...) e quindi viene sempre più annullata la specializzazione», essendo «eliminato ( ...) il lavoro più complesso• e «sostituito da un semplice lavoro meccanico», inteso come «azioni ausiliarie che l'uomo deve compiere quando agisce sulla macchina operatrice». Solo con la fabbrica meccanizzata diventa veramente «compiuto• il modo di produzione capitalistico, e con ciò anche un valore di scambio basato sulla quantità di lavoro: quantificazione perfezionata appunto dal fatto che il lavoro è omogeneizzato sul piano qualitativo, ridotto a «semplice forza-lavoro astratta• (né Marx manca di mettere in risalto i risvolti psicologici di questo processo, usando anche il termine alienazione). U problema attuale Le correlazioni stesse possono essere studiate anche in ordine alle fasi successive all'introduzione dell'industria meccanizzata di metà Ottocento. Come si può facilmente riscontrare dai manuali di storia della tecnologia e del lavoro - faremo riferimento diretto, per la loro sinteticità, ad alcune indicazioni della Breve storia del lavoro di Kranzberg e Gies -, ad ogni ristrutturazione tecnologica si formano nuove «professionalità»; che a loro volta vengono poi distrutte da una ristrutturazione successiva, mentre il processo complessivo ha prevalentemente la tendenza ad una generale dequalificazione del lavoro. Prendiamo anzituno la fase determinata dall' «organizzazione scientifica del lavoro• di Taylor, accoppiata per lo più alla catena di montaggio di Ford. Oui l'operaio viene nuovamente e ulteriormente «diviso•, trasformato in esecutore di compiti elementari, mentre attorno al processo produttivo prolifera una complessa serie di man- ,ioni di controllo e di direzione (line, \"laff..). E di qui ovviamente nuove Ione: « Nel decennio successivo al I9 IO, 4uando, nell'industria americana, la direzione scientifica venne applicata ,u vasta scala, l'opposizione degli operai crebbe. L'aumento del ritmo delle linee di assemblaggio determinò proteste, assenteismo, sabotaggi, scioperi c fu di stimolo all'organizzarsi dei sindacati» .. Possiamo in generale osservare che, tra Ione operaie e innovazioni tecnologiche, vi è un processo di rincorsa nel ,cnso che proprio l'esigenza di rispondere alle lotte, suscitate a loro volta dalle ristrutturazioni, spinge il capitalismo a intensificare l'espropriazione della capacità operaia di disporre del lavoro, concentrando sempre più la capacità nel macchinario tramite ulteriori innovazioni (che non vengono pertanto a dipendere solo da un'evoluzione «interna• della scienza-tecnica). Ricapitolando il problema, si può dire che la successiva grande fase è quella dell'automazione (ben superiore al sistema «automatico• di cui parlavano Uree Marx), basata essenzialmente su dispositivi elettronici di retroazione o feedback. • Nella fabbrica automatizzata, l'utensile non è più,da nessun punto di vista, un complemento dell'abilità del lavoratore, né il lavoratore è più un'estensione della macchina, come sembrava diventare nella produzione organizzata mediante linea di assemblaggio. La macchina è ora autonoma e svolge il suo compito secondo un programma precedentemente fissato e diretto dall'elaboratore•, mentre agli operai restano solo compiti di sorveglianza delle macchine (in genere attraverso pannelli di controllo relativi a dispositivi elettronici che sono i veri «controllori• direni del processo), compiti di manutenzione, lavori non specializzati di pulizia e simili, e intorno al senore produttivo si dispongono impiegati, operatori, ingegneri, ecc. La qualificazione richiesta per il nuovo tipo di lavoro, essendo tutte le «abilità• sempre più incorporate nelle macchine, è in genere relativamente bassa (pur con eccezioni come la manutenzione). Per sorvegliare un pannello di controllo o perforare schede non si richiede molta preparazione, quanto piuttosto uno sforzo nervoso di anenzione, resistenza alla monotonia e simili. Inoltre «nello stesso modo che un conduttore di macchina specializzato può essere sostituito da una macchina a controllo numerico, sorvegliata da un operatore che è solo semi-specializzato, cosi il personale dirett.ivo di medio livello può essere sostituito da elaboratori messi in funzione da personale modestamente specializzato>; in una certa misura perfino il lavoro di progettazione e quindi l' «ingegnere può essere sostituito da un elaboratore opportunamente programmato e condotto da un operatore modestamente specializzato>. È superfluo dire che anche a questi mutamenti tecnologici corrispondono nuove problematiche nell'organizzazione del lavoro. Per non frustrare gli stessi vantaggi che possono derivare dalle nuove poderose attrezzature, il management trova necessario mutare non solo i modelli di lavoro, ma persino gli atteggiamenti verso il lavoro; e si concentra pertanto sulle motivazioni dei lavoratori. Di qui i tentativi di ristrutturazione delle mansioni, di rotazione, allargamento e arricchimento della mansione (job enrichment), di lavoro a gruppi, ecc. Naturalmente tutto l'iter storico che abbiamo delineato per sommi capi va poi ridimensionato sulle singole situazioni locali, che comportano modalità proprie, per esempio nel caso italiano. Una proposta di analisi approfondita di questa situazione è fatta da c.· Daneo nell'ultimo numero di Classe (dedicato in gran parte ad una ricerca collettiva su «Gli operai di Genova 19501970»). Egli sollecita «almeno l'avvio ad una storia della composizione di classe in Italia», dove con composizione «non si vuol tanto indicare un dato quantitativo (101 donne e ragazzi, 101 operai di mestiere, ecc.) quanto un processo organizzativo; vale a dire un'indicazione concreta del grado di sviluppo dell'accumulazione di capitale, misurato attraverso l'organico di fabbrica e l'organizzazione del lavoro (ivi compresi i modi e le forme di direzione, o 'comando' del processo produttivo); a partire da quella fase che Marx indicava come 'sottomissione formale del lavoro al capitale'•. Come principali problematiche da affrontare vengono indicate: la formazione dell'industria e del proletariato in Italia (già oggetto, negli scorsi decenni, di vaste discussioni); l'insistenza della nostra industria sullo sfruttamento della forza-lavoro più che sulla modernizzazione tecnologica; le modalità di introduzione del taylorismo (centrato sulla razionalizzazione della forza-lavoro), da noi spesso non accompagnato da un parallelo sviluppo del fordismo (centrato invece sulla razionalizzazione tecnologica tramite linee di assemblaggio); la condizione operaia nel periodo tra le due guerre mondiali (particolarmente nell'epoca fascista) che coincide appunto con una serie di ristrunurazioni del tipo ora indicato, le quali vengono gradatamente anuando il passaggio storico dall'operaio di mestiere all'operaiomassa. Restano infine ovviamente - possiamo aggiungere - anche per il nostro Paese i problemi più recenti legati all'automazione, alla ristrutturazione estesa a tecnici ed impiegati, e al decentramento produttivo. Si sa che nella fase attuale di enorme articolazione frammentata della realtà industriale, insieme e in rapporto con complessi automatizzati e forme di lavoro corrispondenti, possiamo trovare situazioni già di tipo oltocentesco, proto-capitalistico, come il «lavoro nero>. Il problema di valutazione teorica e analitica di questi fenomeni, e dell'intera fase produttiva in corso, ci porta però fuori dal nostro assunto, che è circoscritto qui, per ora e con valore di chiarimento, a connettere taluni aspetti del problema attuale con quelli già storicamente accertati.

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