Alfabeta - anno IV - n. 38/39 - lug.-ago. 1982

• Di qui le «difficoltà> di una parte della stampa e della cultura che aveva creduto di acquietarsi velocemente dietro il nuovo scenario, accreditando una certa neutralità a-ideologica. Le smentite sono giunte cosi rapide da impedire ogni consolidamento di una posizione, che si rivelava debole non appena pronunciata. Di qui, una certa tendenza a enfatizzare i dati di «sorpresa• e di «fatalità incomprensibile• di questo ritorno alla Guerra, a·chiudere di nuovo il circuito della spettacolarità degli eventi. Quell'espressione («dati concreti•) nell'articolo di ù Monde Diplomatique dà da pensare. E;, un'espressione forse troppo rozza per il nostro palato post-moderno, ma può darsi che sintetizzi bene la fiducia nel formulare ipotesi di previsione e di spiegazione, fondate su una attenta raccolta di informazioni. La «novità• del colpodi mano israeliano in Libano si dimostra anch'essa molto relativa, non meno di quella delle Falkland. E ancora una volta ci dobbiamo chiedere se il clamore dei «fatti• non rischino di offuscarne il senso per il lettore. Né l'invasione israeliana, né la «tregua• (troppo precocemente annunciata) sembrano «fatti• sufficienti a restituire senso, tanto erano prevedibili, scontati in se medesimi e nel fiume di commenti suscitati. Senza chiarire ciò che vi era prima degli eventi (il prevedibile, il previsto, la non-novità) è molto difficile restituire le linee di forza «concrete• che muovono la crisi, che possono determinare uno sbocco o un altro. Solo un simile sganciamento dall'attualità garantisce al lettore un ruolo non passivo, il senso delle alternative possibili illuminato dalle condizioni che le hanno determinate. Si potrà dire che tutto ciò è difficile per la stampa. Se ne può genericamente convenire. Ma gli esempi che abbiamo addotto mostrano anche che gli elementi per compiere l'impresa sono disponibili, a tal punto che sono stati utilizzati con successo in sedi che non dispongono di mezzi superiori a quelli posseduti dagli apparati media. Se vi sono altre e difficoltà• bisogna che siano chiarite, dismettendo e respingendo nel ridicolo le rituali litanie sui giornali come specchio dei fatti, del giornalismo che si fa «giorno per giorno•, dei giornalisti come sacri interpreti di ciòche deve essere considerato «nuovo•. I meccanismi che condizionano gli apparati media non sono tutti ideologici, certo, ma molto debbono ai tempi e alle condizioni del loro produrre. Si discuta, si illumini questo, allora. Oò implica, però, che non si considerino più giornali e mezzi di comunicazione come macchine della stupefazione (l'estasi di cui parlava Formenti in un articolo nello scorso numero di questa rivista). Un breve cenno alla vicenda «gialla.. di Calvi può servire a illuminare meglio qualche risvolto della situazione. Anche qui, al di là del «fattaccio• che invece cfa notizia• e incatena l'attenzione, le «novità• sono scarse. Ha ben ragione Eugenio Scalfari di ricordare quello che il suo giornale va scrivendo da anni sulla matassa di cui Calvi è solo uno dei bandoli (l'espressione non è nostra, ma di un articolo pubblicato dall'Uniti) nel 1980, su cui torneremo). E la Repubblica non è stato il solo giornale in questa opera di illuminazione, anche se la compagnia non era numerosa. Ma quest'opera di denuncia, di informazione, di documentazione - che in altri periodi era efficace-si è rivelata negli scorsi anni quasi impotente, non tanto a provocare i pur necessari mutamenti civilie politici, quanto - ed è il minimo- ad accendere un flusso di informazione sufficiente a far scattare la funzione di controllo dell'opinione pubblica (o come altrimenti si vuole denominare). E si è parlato di riflusso, non casualmente. Dopo la morte di Calvi, sui giornali abbiamo letto espressioni come: cl misteri d'Italia son'o destinati, purtroppo, ad offrire nuovi capitoli ... all'interno di questo tenebroso romantò. ·• (I Gto o 1 giu o 1982 L misteri di Milano); oppure: cl fatti non si discutono, sono fatti; ma il loro significato, le ipotesi, il retroscena, quelli sono molti, contraddittori, incerti, misteriosi. Un giallo. Il grande giallo della vita italiana dove finisce per entrare assolutamente tutto: la mafia, la P2, i servizi segreti, alcuni gruppi politici italiani, il Vaticano, l'Eni, e chi più ne ha più ne metta• (Eugenio Scalfari, fondo della Repubblica del 22 giugno 1982). I lettori di questa rubrica sanno che ormai da anni andiamo indicando il «romanzo italiano• e l'esigenza di vedere i «fatti• come capitoli di esso, per restituirne senso, leggibilità e agibilità civile. Ora queste espressioni sono sulla bocca di tutti e designano il medesimo concetto; quel che più importa è la stampa stessa che indica la strada della necessità assoluta di andare oltre i fatti. Si è fatto continuamente del terrorismo con la parola magica «dietrologia•; ma non è certo il povero untore!- staurato un nodo sempre più stretto di contraddizioni che rinserra ogni superstite volontà di accreditare immagini oscure o parziali del mondo. Bisogna avere il coraggio di dirselo. Falldand: una' guern incomprensibile? Diamo di seguito ampi estratti di due schede pubblicate, a firma di Andrea Rivas, nella Rassegna Internazionale del Cespi (Centro Studi Problemi Internazionali), anno III, n. 4. Una terza scheda, sugli interessi economici e strategici che gravitano sull'Antartide, non viene ripresa per ragioni di spazio, anche se integra l'informazione precedente. Per chi voglia leggere il testo completo, può rivolgersi al Ce- •spi, p.le Dateo 5, Milano. l. L'economia argentina L'Argentina ha conosciuto, negli ultimi anni, la più acuta crisi economica della sua storia. Questa involuzione Tav. 3 La «vicenda Calvi» in prima pagina presenzain la pagina ··••coRRIERE -I-GIORNO 1111111111 REPUBBLICA -STAMPA i i - assenza ~-r---r---...-----r----,..---,---.---,----, 12 13 141. IS lo dietrologico che può fare danni, in queste condizioni. E se qualche ramo del potere esercita della dietrologia di comodo, a proprio uso e consumo, è proprio perché permane uno sfondo oscuro su cui si possono proiettare storie immaginarie. Si vada dunque a riaprire Alfabeta del settembre 1980, la citazione di due articoli dell'Uniti) e del Manifesto apparsi in occasione dell'arresto di Calvi. Si vedano quali truculente verità vi erano scritte, quasi due anni or sono. Le «novità•, in Italia, restano impossibili,dal momento che il senso di quello che accade oggi è affidato a un passato non risolto. Proprio nel periodo in esame un organo della magistratura riapre l'inchiesta su Piazza Fontana per l'ennesima volta, mentre un altro organo opera una semi-archiviazione della inchiesta P2. E;, inevitabile che, in simili condizioni, nel riflusso (ideologico) si instauri un altro riflusso (questa volta reale, nel senso che dava a questo termine Giorgio Colli) destinato a riportare alla luce tutto ciò che è rimasto velato dalle cattive rappresentazioni. In caso contrario, l'Italia sarebbe il primo paese, forse, a rimanere soffocato da un mistero. Ma ormai anche la stampa sembra saperlo e non sembra più disposta, nella sua parte meno sradicata, ad_avallare l'ideologia del mistero. Come si è visto, se qualche buon segno si vede sul piano dell'informazione «interna•, segni meno incoraggianti provengono dallo scenario «internazionale•, dove è ancora in corso una travagliata (/ecantazione di immagini e di schieramenti. Dalla Polonia alle Falkland, al Libano, si è però in16 giugno 17 18 211. 22 può essere esemplificata da un dato: nel I 950, il Prodotto Industriale Lordo argentino equivaleva al 90% di quello brasiliano e superava del 3 I % quello messicano. Nel 1980 il Pii dell'Argentina rappresentava il 32 % di quello brasiliano e il 60% di quello messicano. Dal punto di vista interno, il tracollo è facilmente identificabile attraverso i seguenti dati del dicembre 1981: - secondo i calcoli ufficiali, la disoccupazione superava di poco il 10% (ma altre fonti parlano del 20%); - Il Pnl è caduto del 6, 1 % nel corso dell'anno; - il debito estero ha superato i 34 miliardi di dollari (20 dei quali garpntiti dallo Stato) e gli interessi superano il 50% del valore delle entrate da esportazione; - le riserve valutarie (12 miliardi di US$ nel 1979) toccano appena i 5 miliardi; - i fallimenti di aziende sono aumentati del 250% (rispetto al 1980, anno in cui già erano stati molto numerosi); - l'inflazione annua è arrivata al 131,5% (80% nel 1980); - il deprezzamento del peso prosegue a passi da gigante: nel giugno 198 I, la parità rispetto al dollaro passava da 2.000 a 8.000 pesos per I US$; - il deficit della bilancia commerciale è di 67 milioni di US$, a fronte di un attivo previsto di I_miliardo; - in un solo anno, il potere d'acquisto dei salari ha subito una brutale riduzione, del 25 % circa. È in queste condizioni che si prepara il terreno per il colpo di Stato interno al potere militare e che vede il passaggio delle consegne dal gen. Roberto Viola al gen. Leopoldo Galtieri. La «nuova» politica economica viene da quest'ultimo enunciata in questi termini: - immediato blocco dei salari e delle pensioni nel settore pubblico; - ripristino del «libero mercato»; -taglio del I 0% al bilancio della Difesa (un taglio comunque minimo, dal momento che le spese militari equivalevano già al 30% del totale della spesa pubblica); - riprivatizzazione de/l'economia (in Argentina il peso economico dello Stato è determinante, poiché esso controlla il 60% circa delle attivitdeconomiche). Questa «politica d'urto» versione argentina, molto simile alla «reaganomics», avrebbe dovuto restituire competitività all'industria e nuovo fiato al mercato attraverso utilizzo della manodopera a basso costo, il che d'altronde avrebbe dovuto consentire afflusso di ingenti capitali. Il disegno era completato da un lato dalla ricerca di un accordo politico interno che riducesse la conflittualità - accompagnato evidentemente da un riacutizzarsi della repressione contro chi non avesse voluto aderire liberamente a questo «patto sociale» -. D'altra parte era prevista una «nuova» collocazione internazionale che, pur ricalcando la tradizionale «appartenenza al blocco Occidentale», consentisse di fare un salto di qualità nella qualifica di alleatopiù fedele della Casa Bianca: di qui, quindi, gli accordi istituzionali con l'esercito salvadoregno, l'invio di truppe scelte in tutta la regione centroamericana e l'interesse per un patto militare nel Sud Atlantico che coinvolgesse anche il Sudafrica (ipotesi saltataper l'opposizione dei brasiliani). Il tutto, pur mantenendo un notevole livello di autonomia commercia/e, necessario perché ali'Urss è destinato il 33% dell'export globale argentino e il 77% della produzione esportata di grano (un altro 14% va alla Cee). Sono questi i dati da tenerepresente per capire la mossa dei «gorillas» il 2 aprile 1982: la situazione economicopolitico-sociale è ormai agli estremi. Tre giorni prima Buenos Aires si è trovata di fronte alla più grande manifestazione operaia degli ultimi anni e una serie di forze di opposizione non è disposta ad avallare un «patto» che faccia piazza pulita del problema degli scomparsi (anche se molte altre si sono invece già rassegnate ad accettare «l'inevitabile»). Quindi, l'occupazione militare delle Ma/vine deve servire da valvola di sfogo alla tensione, contando anche sul fatto che, dal Sahara a Timor, dal Ciad al Medio Oriente, da Cipro ali'Irlanda del Nord ... /'«Occidente democratico» (o, per meglio dire, i suoi governi) si è sempre strafregato dell'«autodeterminazione deipopoli», del «non uso della violenza», della «difesa dei l·acriprincipi» e di tutte le altre belle cose che invece, in questa occasione, sono state rispolverate. Ma questi dati vanno tenuti presenti anche per vedere l'estrema parzialità di un'informazione che ci ha presentato gli argentini come biechi nazionalisti che, secondo un'espressione sca/fariana, hanno creato una «lontana e irresponsabile atmosfera di gioia, dimenticando torture e illegalitd» (La Repubblica, 22 maggio /982), e il sub-continente come una regione dove «cresce la febbre nazionalistica e lasmania di battersi contro gli inglesi» (Il Manifesto, 29 aprile 1982) II. L'economia inglese e le conseguenze della crisi per la city (...) Si tratta di un quadro deprimente, malgrado l'enorme aumento della produzione petrolifera. Gli unici dati positivi sono rappresentati dall'aumento delle riserve monetarie e dall'eccedente della bilancia deipagamenti per il secondo anno di seguito (4,5 miliardi di dollari). In questo quadro si inserisce laguerra. Secondo il Wall Street Journal, il solo mantenimento della flotta cosca71 milioni di dollari al mese, ai quali vanno aggiunti i costi operativi (col solo «Sheffield» sono affondati 300 milioni di sterline). Tuttavia, ci sembra importante fare un accenno alle eventuali conseguenze del conflitto sul sistema banca~io britannico, sia perché queste sono meno note, sia perché possono diventare estremamente pesanti, in particolare se lette in rapporto alla situazione finanziaria dell'area latinoamericana nel suo complesso. Si sa che la City londinese concentra il 25% circa delle attività finanziarie internazionali (Lloyd, per esempio, ha tra l'altro ben 38 filiali in Argentina), il che equivaleva, nel/'80, a 559 miliardi di dollari (per rendere l'idea di ciò che • questa cifra rappresenta, bastert) ricordare che, sempre nell' 80, il Pnl italiano era di 369 miliardi ·didollari, cioè i 2 /3 dei depositi londinesi!). Si tratta di una posizione preminente, giacché le percentuali per il resto del mondo sono di gran lunga inferiori: Usa 10%; Francia, Bahama e Giappone 7,7% ciascuno; Svizzera e Lussemburgo 5 % ciascuno; resto del mondo 25 %. Sappiamo anche che si è trattato di una crescitavertiginosa:nel 1971, nella City si contavano 174 banche straniere con /2.000 dipendenti e 18 miliardi di• sterline di depositi. Nel /98/, le banche erano diventate 350, i dipendenti 38.000, i depositi ammontavano a 245 miliardi di sterline (New York, la città rivale, ha /00 banche estere in meno). La City quindi è stata il vero punto di partenza delle grandi avventure finanziarie, dei consorzi bancari, dei prestiti a multinazionali, a societt) o a Stati. Il solo mercato dell'eurodollaro, che ha la City come capitale, ha un valore di 855 miliardi di dollari e opera al di fuori di ogni controllo ufficiale e di ogni regolamento tra le banche centrali. - Ora, da quando è iniziata la crisi delle Ma/vine si parla di un'eventuale diminuzione dei crediti all'America Latina, olrre che del già avvenuto congelamento dei beni argentini in Gran Bretagna (beni che però non sono significativi; il Regno Unito, d'altra parte, riceve solo lo O, 4 % dell'export di Buenos Aires). Quindi, si dice, approfittando della crisi si potrebbe «chiudere il rubinetto dei crediti a paesi dall'incerto futuro economico e politico, come dire . virtualmente inaffidabili» (Il Sole-24 Ore, 4 maggio '82). - • In verità, il debito complessivo del continente (che ormai supera i 170 miliardi di dollari e che è pressoché raddoppiato nell'ultimo triennio) è una mina vagante del sistema finanziario internazionale (il debito dell'Europa dell'Est, di cui tanto si è parlato a proposito della crisi polacca, è di 60 miliardi di dollari circa). Nel /981, il disavanzo globale della bilancia corrente è stato pari a 34 miliardi di US$ (27,4 nell'80), mentre il solo servizio del debito estero è ormai superiore alle entra- ,' te da export, il che ha lasciato come unica via d'uscita la frenetica corsa all'indebitamento (chisst) perché, in compenso, i «nostri» non si erano accorti che i dittatori «scoperti» oggi si sono mantenuti al potere fino ad ora anche grazie a questa «generosa» politica). Di qui la tentazione citata. Tuttavia, cedere a questa tentazione potrebbe forse anche «soddisfare l'onore» dei nostri difènsori di sacri principf, ma avrebbe conseguenze finanziarie mon- • dia/i disastrose. Non bisogna infatti dimenticare che uno scontro aperto con l'insieme dei paesi dell'America Latina - un facto che si può già intravvedere nel recente ritiro dei depositi venezuelani da Londra per trasferirli a Parigi - può mettere in crisi un sistema basato in larga misura sulla fiducia reciproca: è questo che conferisce alla crisi delle Ma/vine una potenzialità radicalmente diversa da quella conseguente al «congelamento» dei beni iraniani dopo la rottura dei rapporti fra Teheran e Washington. Ecco perché il blocco dei beni argentini in Gran Bretagna è una questione che va molto al di là della loro consistenza monetaria: di fatto, è su quanto potrt) accadere nella City - molto più che su quanto potrà accadere nel Sud Atlantico -che si appuntano gli sguardi dei banchieri internazionali. Ed è forse in questo contesto che si può meglio capire l'inaspettata ottusi/i) di certi ambienti italiani.

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