Alfabeta - anno IV - n. 38/39 - lug.-ago. 1982

A.E. Singer «A Bibliography of the Don Juan Theme», in West Virginia University Bulettin, I954 Jean Rousset Le mythe de Don Juan Paris, Colin, 1978 Shoshana Felman Le scsndal du corps parlant. Don Juan avec Austin ou la séduction en deux langues Paris, Seui!, 1980 Claude Reichler La diabolie. La séduction, la renardie, l'écriture Paris, Editions de Minuit, 1979 Micromégas nos. 15-16, dicembre 1979 (numero dedicato al Don Giovanni) Fausta Ga~avini La casa dei giochi Torino, Einaudi, 1980 pp. 353, lire I0.000 EJ un periodo, questo, in cui la figura del seduttore è praticamente scomparsa. Oggi, scegliere il mestiere di seduttore non è solamente fuori moda: è fuori tempo, come diventare fabbricante di piega-· baffi o postiglione di diligenza. Non esistono seduttori perché non si sa più chi seduce e chi è sedotto. Esistono sistemi di seduzione (di cui il principa- ·-1e è il linguaggio stesso); organizzazioni seduttrici (l'industria, i mass media, gli sport popolari); canali di seduzione (il cinema, la canzone pop, lo spettacolo televisivo); e così via. Lo studioso si concentra non più sul seduttore bensl sulla seduzione, argomento intorno al quale fervono al momento i lavori più aggiornati e inquietanti (come il fortunato De la séduction di Jean Baudrillard). Pure ·gli studi sul seduttore sans parei/, Don Juan, continuano a moltiplicarsi da tre secoli a questa parte (come osservava Miche! Foucault nella sua Vo/onté de Savoir, Paris, 1976, p. 54), nonostante il temporaneo declino di questa laboriosa ed ingrata professione. La bibliografia tenoriana (da Don Juan Tenorio, come viene chiamata nel linguaggio degli esperti), uscita per la prima volta ventotto anni or sono nel West Virginia University Bu//etin. che comprendeva già allora più di quattromila voci fra libri ed articoli, è stata più volte aggiornata con nuovi ~ supplementi. Ogni anno centinaia di contributi freschi (compreso questo articolo) erigono al celebre cavaliere un sempre più inscalabile monumento cartaceo. molto più imponente di quello marmoreo innalzato alla memoria del Commendatore. Meno si seduce nella pratica, più - sembra - si ama studiare l'arte di chi sapeva ancora sedurre. forse per mantenere in vita il ricordo di una tradizione in via di estinzione. In particolare i professori continuano a ficcare il naso nelle faccende di Don Giovanni: «Vois avec quelle ardeur d'exégèse et d'envie / Le nez des professeurs s'est fourré dans ma vie» dice il cavaliere libertino nella Dernière Nuit de D011 Jua11 di Edmond Rostand. In Italia gli studi tenoriani, che dalle opere di tediosa erudizione di Farinelli erano saliti alle preziose altezze di Giovanni Macchia nel suo fondamentale Vita e Morte di Don Giovanni (Torino, Einaudi, edizione del 1978). DonGiovanni nel volume qui recensito, sono recentemente tornati al problema della psicologia e della drammaticità dei personaggi, come è confermato dal saggio su « Don Giovanni e il povero» in un volume di Fausta Garavini, La casadei giochi. Di questo libro, credo, si è parlato relativamente poco, ed è ingiusto perché si tratta di una raccolta di alta erudizione e ricca di spunti interessanti. Ma il capitolo meno convincente mi sembra proprio questo sul Don Giovanni molieriano, in cui avviene una forzata gigantizzazione del personaggio del mendicante devoto per permettere al cavaliere di avere un degno antagonista (mentre a me pare che Don Giovanni sia sufficiente come antagonista di se stesso, anche senza il commendatore o il diavolo o il povero che chiede l'elemosina). Nel frattempo in Francia si stanno seguendo dei percorsi diversi: non più legati alla struttura psicologica e al ruolo drammatico del seduttore, ma o al combattimento con la Morte (Jean Rousset), o al rapporto fra Don Giovanni e il suo linguaggio (Felman, Reichler), cioè, in ultima istanza, fra il lettore e ciò che il lettore legge. Nel magnifico libro di Jean Rousset, Le mythe de Don Juan, che tira le somme di molti anni di lavoro sul tema, la tesi fondamentale tende a fare finalmente un Hamler senza il principe, cioè una omeleue senza uova. Don Giovanni è solo il portatore di un mito: non la sua personificazione. li mito di Don Giovanni non ha bisogno di Don Giovanni. L'Ottocento aveva istituito la figura dell'eroe anche nella leggenda dongiovannesca, concentrando tutto il complesso «reseau de forces» della stnria sul superuomo Guido A/mansi protagonista. Rousset cerca invece di evitare il personaggio e concentrarsi sullo scontrò fondamentale che crea la tensione drammatica della saga: il combattimento con la Morte. Senza lo scontro tremendo fra l'uomo vivente e l'ospite di pietra, simbolo di morte, la leggenda non esisterebbe. Tutti gli altri episodi della trama sono subordinati a questo confronto epico dove un eroe, invece di sprecare la sua gloria contro i fragili oppositori appartenenti al sesso debole, trova alla fine un avversario degno di lui. Come seduttore, Don Giovanni è personaggio eccentrico rispetto alla tradizione, dal Lovelace di Richardson al Valmont di Laclos, dai libertini di Sade a Bel-Ami di Maupassant, perché tra questi ultimi nessuno deve affrontare la statua, che in fondo è il vero protagonista della leggenda. Q uesta prospettiva funerea, esposta con straordinario vigore da Jean Rousset, non è però del tutto nuova. Si tratta infatti di una modificazione del modo in cui Otto Rank leggeva le diverse versioni del Don Giovanni nella sua Théorie du Doub/e. Per questo discepolo dissidente di Freud, il tema del Don Giovanni non è la seduzione bensì la fede nell'esistenza dell'anima. Don Giovanni non sfida soltanto la modestia femminile, o la fragilità della donna, ma il concetto stesso di immortalità dell'anima: quindi, per un Cristiano credente, l'idea di salvezza e di dannazione. Rousset va ancora oltre in questa direzione e percorre tutti i principali documenti letterari della leggenda, da Tirso da Molina a Max Frisch, alla luce di questa singola intuizione che si concentra sull'aspetto ultramondano della storia. Filosoficamente, le due ipotesi suggerite dalla leggenda, sempre secondo Rousset, sarebbero la permanenza, rappresentata dalla Statua, e l'impermanenza, rappresentata dal cavaliere, paradigma dell'incostanza umana (su questo tema della permanenza e dell'impermanenza, bisogna tenere presente i saggi inclusi in un numero speciale della rivista italiana di francesistica, Micromégas, dicembre 1979, che comprende anche una interessante ipotesi su una possibile fonte dell'Aria dello Champagne nel Don Giovanni di Mozart - Da Ponte, ritrovata in una scena dell'Hisroire Comique de Francion di Sorel). La leggenda non riguarda più il tema della seduzione ma il problema dell'immortalità dell'anima. La lettura del libro di Rousset è affascinante di per sé, anche se il saggio non ha molto a che vedere con il Don Giovanni come lo leggo, o lo sento, o lo interpreto io; e con me credo centinaia di aficionados. Sull'altro versante critico troviamo Shoshana Felman, lacaniana di punta del manipolo d'assalto di Yale, che ha pubblicato su questo tema un libro abbastanza ridicolo ma significativo nella sua ridicolaggine; Le scanda/ du corps parlant. Don Jua11avec Austin ou la séduction en deux la11gues. Come è noto, la teoria degli Speech Acrs, oggi di moda non solo in America, si rifà alle tesi filosofiche di Austin, e in particolare alla sua teoria del performativo, cioè di quel verbo in cui «dire è fare». Se io, ministro della Marina, spezzo la bottiglia di champagne e dico «lo ti battezzo Petronilla•. la forma verbale 8.1 tt{o ~gc:~fg f n Ò0oia nCO «battezzo» è un performativo. lo non ho solo detto qualcosa: dicendo: ho farro (cioè battezzato). Se io ti prometto mille lire, il mio dire equivale al mio fare la promessa (non al mantenerla, al farla). Ebbene, secondo la Felman, il mito di Don Juan è il mito della promessa: la promessa (spesso di matrimonio) fatta dal seduttore; le promesse (di altri matrimoni, o di voti conventuali) che Don Juan costringe le donne a spezzare; le minaccie dei personaggi offesi (ma una minaccia è solo una promessa all'inverso: una promessa di male). Don Juan, in particolare nella pièce molieriana, diventa così il testo del performativo per cui dire è fare (anche se nella scena del corteggiamento simultaneo delle due donne Don Juan afferma: «il faut faire et non pas dire>, dimostrando così la sua malafede a proposito della sua tecnica di malafede). li teatro è quasi sempre il dominio della conoscenza (Edipo vuole sapere perché c'è la peste a Tebe; Amleto vuole sapere se la madre e lo zio sono colpevoli; Macbeth vuole sapere la sorte della sua dinastia), dove si deve decidere sul binomio vero/falso. li Don Juan di Molière e il Don Giovanni di Da Ponte/Mozart sono il dominio non della conoscenza bensì del godimento. Non ci si chiede se un fatto è vero ma si specula sul modo in cui il seduttore, esperto del performativo, riuscirà a sfruttare le possibilità di godimento (linguistico e sensuale) della trama. Il desiderio del cavaliere è il desiderio del desiderio, cioè il desiderio del linguaggio. Sedurre è produrre un linguaggio che si goda, e giù a rotta di collo per questi canaloni Jacaniani i quali, specialmente nelle mani di allievi di scarso senno, finiscono sempre in conclusioni di allucinante genericità dove tutto gode tutto, il desiderio impera sovrano e chi s'è visto s'è visto. M olto più interessante, a mio avviso, era un libro uscito due o tre anni fa, quasi sullo stesso argomento: La diabolie, di Claude Reichler, che si apriva con una bella citazione dalla Leueratura come men- :ogna di Giorgio Manganelli. Reicbler oppone l'ipocrisia di Tartufo a quella ben più radicale di Don Juan. Il primo, nel momento in cui mima la devozione, non la sospetta di finzione: lui stesso incarna il peccato della mimesi ipocrita, ma gli altri sono innocenti. Tar1ufo è come il baro secondo Roger Caillois (nel suo/ giochi e gli uomini, Bompiani, I 981, p. 63), che «resta all'interno dell'universo del gioco. Se ne stravolge le regole, lo fa, comunque, fingendo di rispettarle». In Don Juan tutto è finzione, compreso la cosa che viene finta. Il libertino sovverte i valori altrui (dei devoti, degli innamorati, dei poveri, dei commercianti. dei nobili, forse anche degli uomini d'onore), fingendoli propri. Il semplice mentitore modifica il rapporto d'adeguazione (d'equipollenza) fra l'enunciato e il referente, fra il dire e il fare, fra la promessa e il mantenimento, ma non altera il sistema di segni su cui si basa il rapporto. Don Juan invece manda in cancrena tutto il sistema di segni. Il seduttore volgare promette il matrimonio e non mantiene la promessa. li seduttore supremo promette il matrimonio e mantiene la promessa perché il contratto non ha valore per lui («c'est l'epouseur du genre humain», dice Sga-

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