Alfabeta - anno IV - n. 37 - giugno 1982

Tempo, Walter Benjamin «Tesi di filosofia della storia>, in Angelus DOVUS Torino, Einaudi, 1962 Andrea Zanzotto «Poesie>, in Alfabeta 35, 1982 Attilio Mangano «Gli orologi», in Alfabeta 35, 1982 Gianni Scalia «Annulus aeternitatis», in m & m/media & messaggi I, 1981 (fase. intitolato Il tempo e la parola) Dino Campana «Fabbricare fabbricare fabbricare», in Sibilla Aleramo e il suo tempo a cura di B. Conti e A. Morino Milano, Feltrinelli, 1981 pp. 351, lire 18.000 Giovanni Verga ultimo capitolo dei Malavopla (qualsiasi edizione) I «Al concetto di un presente che •non è passaggio, ma in bilico nel ·tempo e immobile, il materialista storico non può rinunciare. Poiché •questo concetto definisce appunto il presente in cui egli per suo conto scrive storia. Lo storicismo postula un'immagine 'eterna' del passato, ilmaterialista storico un'esperienza unica con esso. Egli lascia che altri sprechino le proprie forze con la meretrice 'C'era una volta' nel bordello dello storicismo. Egli rimane signore delle sue fortolava la solita storia Il sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese nemmeno lui... •) che «paesaggio e personaggio sono assimilati da una comunanza di destino», aggiungen.d9: •~emm.eno lui, il mare, non ha paese, come non l'avrà più 'Ntoni (...) si pensa a tutte le leggende degli sradicati, dei senza paese», leggende derivanti «da un archetipo, che ha la stabilità di tutte le grandi immagini mitiche» (Il romanzo del Novecento, Milano, 1971, p. 701). Ma l'ultima pagina vuol probabilmente comunicare anche altro. Intanto è quasi tutta al passato remoto: caso davvero singolare per un romanzo interamente costruito sull'imperfetto, il tempo verbale del passato remoto non esclude tuttavia neppure qui l'imperfetto, che compare come il tempo del mare, sempre eguale a se stesso («brontolava la solita storia•}, dei «Tre Re che luccicavano», della «Puddara che annunziava l'alba•, e del paese, con le sue case («le case spuntavano ad una ad una nelle vie scure•) e con le sue voci («voci che si chiamavano dietro gli usci•). Il passato remoto, tempo dell'azione decisa e puntuale e dunque del distacco dall'immota durata circolare del mare, delle costellazioni e del paese (senza tempo, con le sue case, le sue vie e la sua osteria, come in Zanzotto ), riguarda solo 'Ntoni: «E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi (...) si fermò in mezzo alla strada( ...) e sedette sul muricciuolo (...). Così stette un gran pezzo ( ...) E ci stette ( ...) Egli levò il capo( ...) Tornò a chinare il capo» ecc. ze: uomo abbastanza per far saltare il N ei Malavoglia il tempo verbale continuum della storia» (Benjamin). dell'imperfetto corrisponde a 2. L'osteria paesana di Zanzotto varie funzioni: quella tipica del- («Da Ghène•) è «dolce», «cara rui- l'indiretto libero e dell'artificio di rena•: tanto più dolce e cara quanto più gressione in una comunità arcaico-ruresiduo incerto, periclitante. Nel testo, raie, quella di cui parla stupendamente l'avverbio di tempo «ancora» ritorna Proust nelle sue «Joumées de lecture» tre volte (all'inizio, nella parte centra- («J'avoue que certa in emploi de l'imle, nella fine}, sospende a un filo esile il parfait de l'indicativ - de ce temps rapporto fra passato e presente, l'«in- cruel qui nous présente la vie comme finito• sbrecciarsi dei vecchi muri. quelque chose d'éphémère à la fois et «Infinito» e «ancora», due parole in de passif, qui, au moment mème où il tensione conflittuale: tenuto in scacco, retrace nos actions, !es frappe d'illuesorcizzato sin quasi ad annullarsi nel- sion, les anéantit dans le passé sans l'immagine dell'osteria-crogiuolo, nous laisser, comme le parfait, la consede «immota» di senso e dunque d'in- solation de l'activité - est res.té pour temporalità e d'identità («Nessuna moi une source inépuisable de mystetemporalità nei/muri che ancora/ten- rieuses tristesses», in Pastiches • et gono la traccia di un comodo, profon- Mélanges, Paris 1935, p. 239, nota 1), do sé/e si adeguano e vanno incontro a e infine quella corrispondente al ritun tenerissimo intenso perché•}, il mo, meglio alla durata di un tempo tempo storico torna ad affacciarsi, ciclico, o circolare, scandito sull'eterminaccioso, ineliminabile. no ritorno delle costellazioni e dei racChi transiti davanti all'osteria, da- colti. vanti alla sua «quiete e certezza», a Il tempo storico e lineare è certo «questo tuorlo/d'ordini di spazi», presente nel romanzo, nel modo stesso appartiene ad altri «ordini», a diversi con cui è pensato e costruito e nella «spazi». Noi apparteniamo all'ordine collocazione cronologica della vicenda di chi transita. La contraddizione resta (la chiamata per la leva di 'Ntoni nel aperta, una lacerazione si consuma. dicembre 1863, la morte di Luca a Lis3. / Malavoglia finivano con la frase sa nel 1866, il colera del 1867 ...), ma di 'Ntoni. «Addio, ripeté 'Ntoni. Vedi esso è calato, e come 'fasciato' nell'eche avevo ragione d'andarmene! qui pos di un tempo periodico, che misura non posso starci. Addio, perdonatemi il tempo sulle feste religiose (Ognistutti». La pagina conclusiva (col bron- santi, Ascensione, San Giovanni) e sui tolio del mare, i Tre Re che luccicano e prodotti della terra e del mare (la racla Puddara che annuncia l'alba, 'Ntoni colta delle ulive, il passaggio delle acche si allontana dal paese mentre Roc- ciughe). co Spatu compare sulla porta dell'o- 'Ntoni lascia dietro le spalle l'impersteria a cominciare la sua giornata) è . fetto rassicurante delle stelle e del stata aggiunta direttamente sul testo, rumore del mare, l'imperfetto del pae- , al momento di consegnare corrette le se-famiglia che segna la vita non solo bozze. (Devo l'informazione a France- della casa-nido ma di un'intera civiltà sco Braciforti, relatore sull'autografo (e per questo, in essa e con essa, dello del romanzo al Congresso intemazio- stesso Rocco Spatu che infatti «colle riale per il centenario dei Malavoglia mani in tasca tossiva e spulacchiava» ): tenuto a Catania nel novembre 1981.) il passato remoto segna l'azione di una . Sul punto di congedare il libro, Verga rottura, di una separazione definitiva. ha avvertito ii bisogno di precisare il Il tempo puntuale dell'azione si conmessaggio, sottolineandone la valenza trappone al tempo ciclico della durata; simbolica. il divario fra i due tempi verbali divenDebenedetti aveva notato (com- ta divario di civiltà, di modi di vivere il mentando l'ultima pagina, e in partico- tempo, di tempi. "}'Bi or òssoéc~giare li D°f an ca6due tempi e nel loro rapporto Romano Luperini s'insinua lo spessore di un simbolo . L'addio di 'Ntoni è l'addio di Verga, convinto dell'ineluttabilità del «progresso» (significativamente da lui rappresentata come una «fiumana», come un corso orientato verso una foce sicura) e della sua necessaria rettilinea «evoluzione»; di Verga che scrive·da Milano, dalla cultura - e dalla nozione di tempo- che questa città ha elaborato (l'anno dei Malavoglia è anche quello dell'Esposizione Universale milanese). Le lettere di Verga non sono parche di accenni al tempo della metropoli: alla «febbre», alla «lotta», al «movimento», alle «continue emozioni>, alle «passioni turbinose e incessanti», alla folla che «si pigia», «si accalca», «si sorpassa brutalmente• (quest'ultime espressioni sono tolte dalla prefazione ai Malavoglia che fu rifiutata dall'editore); e non vi manca il tema della contrapposizione col tempo diverso della campagna (vi si parla di «contrasto» col «fre~coe sereno r;iccoglimento• del mondo rurale siciliano). Da una parte il ritmo delle Banche e delle Imprese Industriali (le maiuscole sono di Verga stesso, nella introduzione a Eva); dall'altra quello del mare, delle stelle di Aci Trezza. 'Ntoni è escluso per sempre da questo paesaggio e da questa civiltà. La colpa d'essersene andato (la stessa delle lettere giovanili alla madre, quando Giovanni si era recato a Firenze a intraprendere la carriera di scrittore ...) coincide col tradimento del tempo come ripetizione e circolarità e dunque della lezione degli antenati. La sua condanna, come quella dello scrittore moderno, è al tempo storico, lineare, evolutivo. Essere strappati dalle proprie radici e inscritti per sempre nel tempo delle Banche e delle Imprese Industriali: questo è il destino dell'artista che pure 'ricorda' un tempo diverso e a esso allude col ritmo della scrittura. Il ricordo del valore d'uso e la condanna al valore di scambio, e l'estraneità all'uno (ormai impossibile} e all'altro (accettato e, insieme, negato): questa la sua sorte di «diverso•. Anche per qµesta contraddizione Verga è il primo scrittore italiano che abbia fatto esperienza del moderno. 4. Del 1911 sono le teorie di Taylor, del 1913 le fabbriche di Ford che le mettono in pratica. Il 13 ottobre 1916, dopo aver trascorso alcuni giorni- al mare a Marina di Pisa con Sibilla,· Campana le invia una cartolina contenente cinque versi che Falqui intitolerà, dal primo, Fabbricare, fabbricare fabbricare (l'accostamento fra le fabbriche di Ford e il fabbricare di Campana, pur cosl evidentemente arbitrario, più che a una cronologia storicista può corrispondere a una mossa del Jetztzeit benjaminiano) e che oggi compaiono (con una variante al quarto verso) in Canti Orfici e altri scritti: Fabbricare fabbricare fabbricare preferisco il rumore del mare che dice fabbricare fare e disfare fare e disfare è lu/lo un lavorare ecco quello che so fare. Il tempo della poesia - gioco inutile, non finalizzato - è avvicinato a quello del mare (al suo «rumore», che brontolava - si direbbe - la «solita storia» dei Malavoglia) e contrapposto al tempo della società e del progresso («Fabbricare fabbricare fabbricare»). _In Campana c'è Nietzsche, ovviamente. Che sono passati trentacinque anni dal romanzo di Verga, si sente. E tuttavia la contraddizione, la stessa, non viene elusa: da una parte il tempo lineare e cumulativo della costruzione sociale, dall'altra il «fabbricare, fare e disfare• della poesia, che disarticola quel tempo per congiungersi al rumore - senza storia e fuori della storia - del mare; da una parte il consumo e lo "scambio, dall'altra l'uso, non strumentalizzabile, privo di scopi. Con in più la coscienza (presente anche in Verga, d'altronde) che quello dell'artista è. pur sempre ·un lavoro, una forma d'attività sociale, che mentre allude a un uso diverso della vita, non può prescindere da questa vita (il «fabbricare» che scandisce il primo verso è ripreso dal «lavorare• del penultimo e disegna l'orizzonte ineliminabile del testo). 5. Oggi una nuova rivoluzione industriale fa precipitare la crisi della concezione del tempo maturata - non senza contraddizioni segnalate dagli artisti e dai filosofi - negli anni fra le grandi Esposizioni Universali e il taylorismo-fordismo. li tempo dell'informatica -dice Mangano - «abolisce passato e futuro, non sa che farsene esso stesso dei vecchi paradigmi del rettilineo e irreversibile». Il decentramento disarticola la produzione e il suo tempo; mentre si riduce il tempo-di-lavoro sembra allargarsi il tempo-di-vita. Sembra vacillare la verità di Marx: «Il tempo è tutto, l'uomo non è più nulla; è tutt'al più l'armatura del tempo». Non si capisce che la regolazione del tempo si sposta, semplicemente, di piano, aprendo fratture, e anche nuovi spiragli. Un varco si schiude, e dentro ci si gettano in molti, ilarmente. Credono (e già lo teorizzano) di poter giocare col tempo, e non sanno d'esser giocati. Pensano che quel varco sia uno spazio di libertà, e non s'avvedono che è il terreno di un nuovo dominio. Citano Eraclito e sono nel programma di un computer. Sognano (vedi ora Scalia, da cui cito) «la legge 'senza legge'» e cioè, ancora una volta, I' «armonia• («armonia nei contrari e dei contrari>). Vogliono saltare la contraddizione fra il tempo della società e dello scambio e il tempo dell'uso e della poesia: vogliono essere circolari come il tempo perduto della natura («Anche noi dobbiamo essere a nostro modo circolari»}, tramutare l'estetica in etica, convertirla in ricetta pratica di vita («Possiamo 'servirci' del tempo, forse in due modi possibili: imitando, nella poesia, la sua estaticità di ritmo, la sua durata; e, nella vita, la sua.estaticità di islante» ), invitare alla quiete e all'indugio («Servirci delle capacità di chi, né sottomesso né ribelle, sa indugiare»). L'ultimo autoinganno è questo: credere di poter vivere «senza sottomettersi né ribellarsi». Stringi stringi, propongono un nuovo elitarismo, un nuovo clan per letterati (anche per questo gli anni trenta sono tanto di moda}. Pensano di giocare col tempo e non si rendono conto che esso-anche grazie a loro - sta già preparando un nuovo calendario. 6. Prendono a modello i poeti, quasi guide per viottoli che hanno per meta l'inizio, o l'Origine. Eppure il tempo dell'informatica non è il tempo della poesia, anche se la poesia può inserirsi nc;lvarco che essa ha aperto. Il transitante della poesia di Zanzotto può «arrestarsi» davanti l'antica osteria a «gustare» quel «tuorlo d'ordini e spazi», come non era concesso né a 'Ntoni-Verga né al Campana affascinatoterrorizzato dalle grandi città industriali. Ma la coscienza dell' «ancora» e, con essa, del tempo della società e dello scambio seguita a incalzarlo. Zanzotto si guarda bene dal riproporre la vecchia dicotomia dei letterati fra tempo della natura e tempo della civiltà, né sogna la perduta circolarità. Addita, semmai, una contraddizione. Già nel Galateo in bosco i sedimenti naturali erano anche, indissolubilmente, storici. La rottura del tempo lineare, il balzo all'indietro (un altro «balzo della tigre») nell'informe e nel fossile, ·incontrava pur sempre un residuo addirittura civile. Ora, nell'ultimo testo pubblicato da Al fabeta, Collassare e Pomerio (il pomerio è il luogo sacro lungo le mura ove era proibito - la coincidenza è casuale ma notevole - fabbricare), il tempo adorato della «cinta amata» e del «pomerio» è nondimeno il tempo di una perdita, di una «perdita secca». La tra-dizione e la tras-missione sono annullate di colpo, in un rapporto ravvicinato - al di là della storia e della stessa corporalità - fra i residui organici dell'uomo e gli «ammacchi palpitanti» di cieli anch'essi «collassati» che esclude qualsiasi possibilità d'armonia e fa ripetere invece la domanda senza risposta: «Dimmi che cosa ho perduto». Anche il linguaggio, lungi dall'essere sede di verità, è il luogo di una privazione, indica uno scacco e una distanza («Dimmi perché ogni nervo di erbe verdissime su/dal collassato campo di mura e pomerii/percepisca quel che io non percepisco»). Sl, torniamo ai poeti. Essi infatti non si abbeverano facilmente alla tazza del consolo della sapienza greca, dell'indugio estatico ed estetico, o della pietas aristocraticamente contemplante le tracce del vissuto... 7. Il tempo della poesia è un balzo di tigre, ma «questo balzo ha luogo in un'arena dove comanda la classe dominante» (Benjamin). Oggi l'arena ~ quella del capitalismo informatico, della sua rivoluzione (dall'alto, come~ ovvio e «passiva», avrebbe detto Gramsci) e del suo nuovo calendario (ogni rivoluzione vittoriosa appronta un suo nuovo calendario). «I calendari non misurano il tempo come orologi», in quanto «Essi (i calendari) sono munumenti di una coscienza storica» che può contrastare col tempo sancito dagli orologi: come accadde nella Rivoluzione di Luglio, quando «avvenne che in molti luoghi di Parigi, indipendentemente e nello stesso tempo, si sparasse contro gli orologi delle torri». E eco: si possono chiudere gli occhi e gli orecchi di fronte agli orologi delle torri (ma quanti, poi, possono permettersi il lusso di farlo?) facendo finta che non esistano, oppure gli si può sparare contro; si può credere di giodlre col tempo, d'imitarne l'estaticità d'istante e la legge 'senza legge' dell'armonia e intanto lasciare che il tempo informatico determini, lui, i nuovi calendari, oppure si può lavorare a ridurre sempre di più-e per tuttilo spessore che divide il tempo della poesia e il tempo del calendario. Forse la rivoluzione informatica apre una possibilità: ma, certo, solo a chi non dimentichi che lo scenario -da essa stessa prodotto - ~ un'arena determinata dove comanda una classe determinata, che questa_ è una contraddizione e che tale contraddizione potentemente contribuisce a opporre, ancora, i due tempi; e a chi percepisca quanto il Benjamin delle Tesi di filosofia della storia non poteva percepire, e cioè che non esiste solo la discrepanza fra il tempo degli orologi e il tempo di un calendario che sia monumento di una nuova coscienza storica (la quale, fofatti, può anche essere indotta dall'alto, come avviene oggi, e non conquistata dal basso) e che la questione non ~ soltanto quella (pur dirimente) di chi (di quale classe) appronterà il nuovo calendario: la questione ~ anche -anzi, oggi lo sappiamo, soprattutto-del rapporto che deve intercorrere fra il tempo dell'uso, cui la poesia allude (benché nell'ambito insuperabile di una contraddizione storica), e il tempo della produzione, che qualsiasi calendario sancisa;._

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