Alfabeta - anno IV - n. 37 - giugno 1982

S ono mostre che, ormai, si vanno facendo un po' dappenutto. Tutto sommato, un fenomeno abbastanza provinciale di imitazione di quello che fanno altrove, per esempio a Parigi al Beaubourg. Sono mostre ad informazione disinformata: le istituzioni decidono quale schema seguire e, in base a tali schemi (che in genere non arrivano neppure a livello di tesi o slogan), si ammucchiano documenti a valanga - valanga destinata a seppellire lo spettatore. La gente va, vede, esce contenta perché, per il prezzo che ha pagato, ha visto e avuto tanta roba. Negozianti e collezionisti dell'ultima leva sono soddisfatti; retrobotteghe, sottoscale e sca111i11avtei ngono rip111itcion discreti guadagni ed og1111nodiventa collezionista con il cappellino della 110111o10un vecchio armadio. /11 genere, tranne pochi protagonisti, esperti o testimoni diretti, laproposta è accolta, direi s11bita, e non resta altro: nè uno spazio per un dibattito, nè idee in margine. Nel caso della mostra degli anni trenta farei una premessa: è, piuttosto, la mostra degli anni '80. Così comincia la presentazione di Caroti nel catalogo: «Presentando una mostra storica è consuetudine chiedersi q11alesia il suo margine di 'attualità' fino a che pumo cioè le co111i11ge1s1tzoerico-wlturali del periodo esaminato ritornino nel presente, in forma di rivalutazione critica, o preferibilmente in forma di riciclata sintonia ideale». Come se fossero possibili «ritorni» o <riciclaggi»prescindendo e non contaminandosi con l'ideologia che li ha generati. Infatti, ho sentito alla radio, subito dopo il giornale delle 13, nelle ore di maggiore ascolto, uno degli organizzatori affermare che ora, finalmente, possiamo rivedere tante cose al di fuori delle passioni dell'immediato dopoguerra. Ma il nostro giudizio, nel 1945, non erastato un giudizio a caldo, di persone con smanie uterine. Era stato un giudizio di confronto con una realtà europea, con il resto del mondo; realtà che per un ventennio era stata impedita, esclusa dalla nostra conoscenza. Nel I 945 il velo era stato tolto, abbattuto e finalmente avevamo potuto misurare la realtà italiana: un bilancio, una riflessione. Tutti i miti che ci avevano propinato, inculcato, tutte le storie che ci avevano raccontato - le enfatiche parole di 20 anni di propaganda fascista - si concludevano in un tragico disastro. «I sacri ed inviolabili confini della Patria» erano stati violati epercorsi in ogni centimetro quadrato di territorio ed in ogni direzione, prima da truppe di occ11pazione tedesche, chiamate volontariamente, poi dalle truppe alleate. L'Italia venne ridimensionata perdendo lembi di «sacro» territorio «italiano». «Un posto al sole», slogan più che mito, porta l'Italia a marciare contro la storia, lanciata in una folle avventura di politica coloniale che, logicamente, si conclude anche essa in tragedia. Nasce, cosl, un capitolo di massacri, repressione e campi di concentramento «... basti pensare che nella guerra del 1935 /36 l'Etiopia perse più di 250.000 uomini e 75.000 nella successiva guerriglia, ma che, oltre a questi, vi furono I 8.000 vittime civili dei rastrellamenti, 30.000 massacrati dopo l'attentato a Graziani del febbraio 1937, 24.000 fucilati da Tribunali militari italiani e 35.000 morti nei campi di concentramento creati dal 'viceri' durante le operazioni di polizia coloniale» ... (N. Tranfaglia, a commento di La caduta dell'impero di A. del Boca; non certo dalle 658 pagine del catalogo dove, tra una citazione dei pittori di oggi - Clemente, Cucchi, Wa/, lori, Paolini, Kounellis, Salvo, Ontani - e le dettagliate schede dei curatori, tali informazioni non trovano spazio). «I figli d'Italia» prima furono incoLa guerra degl Annilre1da raggiati, subdolamente, all'emigrazione, poi, più direttamente, spediti a morire /onta/i dalla « Patria» nei paesi più diversi e distanti, in avventure belliche, improvvisate come se si trattasse di un gioco da salotto... Le scelte economiche operate allora, pesate negativamente per decenni, in parte pesano ancora... La difesa della razza, a scimmiottamento di isterismi d'oltralpe, imbarbarisce l'Italia (i libri di fisica, scritti appositamente da Fermi per i licei, sostituiti perché era ebreo; non si potevano nominare Einstein o Freud, altri ebrei, e di conseguenza venivano bandite intere discipline (come la psicanalisi); non si conoscevano le opere di Kafka; e noi, giovani artisti, eravamo costretti, nel migliore dei casi, apassarci clandestinamente testi e riproduzioni, persino delle opere di Picasso, 1101e1breo, ma com11nista...). Sono solo poche indicazioni di ciò che potevamo constatare a «caldo». Temi generali, «forse», ma utili a ricordare la costante e profonda incultura del fascismo. Oggi si tenta di atten11arecon un giudizio comprensivo, che i11d11cael sorriso s11glierrori, di rivalutare auraverso la scelta di questo o_quelparticolare. Si tende a dare, attraverso 11n'operazione di plastica facciale, 11naspetto del fascismo tollerante della pluralità. Ho 11dito,in questi giorni, giovani i111ellettuali,improvvisatisi «esperti» degli anni trenta, parlare addiritt11radi informazione libera: «chi11nq11peoteva leggere, acq11istandoli a Parigi o a Londra, in francese, in inglese, ciò che voi venite a raccontarci fosse vietato...» negata la wltura, quindi, ai soli ignoranti o non viaggiatori. Direi che è un'operazione che si può inquadrare perfettamente in 11ncerto clima anni '80, con tlllta una serie di personaggi· politici lanciati, in vista di eventuali elezioni anticipate, al recupero di 11nacerta zona fascista. Viene totalmente ignorata la costante offensiva, oltranzista, della wltura di regime contro una cultura attuale, moderna, per creare un'estetica celebrativa, retorica. Già dal I 923 veniva dichiarato: «... fare arte pura, italiana di idee, ispirandosi alle sue purissime fonti, sottraendola a tutti gli ismi di improvvisazione». Nasce la romanità, italianità, autarchia di idee (e dal desiderio di contenuti epici, mitici, spesso solo meccanicamente ribaltati, viene, talora, contagiata anche l'opposizione). Proprio negli anni '30 si consolida il tentativo di un'arte al servizio dello stato, arte di propaganda-che vede impegnati anche Hitler, teorizzata da Zdanov (Ministro della Cultura in Urss) e che sviluppa un metodico uso di strumenti ed istituzioni pubbliche, una capillare penetrazione in ogni disciplina a spazio disponibile. L'operazione è compiuta innanzitutto con la falsa impostazione di considerare un'Italia e /'«Altra Italia» (quella antifascista) come due realtàseparate e, quindi, diverse, (corrisponde allaposiAlik Cavaliere ,ione di quei commentatori che, parlando del terrorismo come di qualcosa di misterioso, forse catap11/tatodall'estero, lo distaccano e separano da 11na generazione composta anche da giovani stanchi, incerti, delusi da speranze vanificate, da scandali perpetui, lottizzazioni selvagge in ogni settore della vita p11bbfica,da 11nasc110/adisastrata sulle ceneri di Gentile - e mai, volutamente ristrwturata nel s110complesso - da droga dilagante, da egoismi corporativi, da privilegi immotivati, da bustarelle, da camorra, mafia, 'ndrangheta, da processi mai fatti, da asso/11zio11i miracolose, da lotte per bande per l'appropriazione di tutto ciò che è p11bblico, da carceri tragiche, da imp11nitàe P2 e, s11t111toq11estoe molto altro, stendono 11nospesso velo, falsameme pietoso). Fascismo ed a111ifascismo,dicevo, vengono considerati come d11eq11estio11iseparate, ed entrambi vengono rappresentati da avvenimenti secondari, disti/lii costantemente tra loro e portati così divisi - sterilizzati ed asettici - in primo piano, a/l'attenzione del p11bblico. Un tale tipo di mostra impedisce la comprensione di q11el/'11nicaItalia che esisteva nella realtà. L'antifascismo stesso viene solo apparentemente esaltato; in realtà, isolato da 11npiù ampio rapporto diale11icocon gli accadimenti che lo generarono, è riposto in teche, relegato nei singoli episodi di «valore», stravolti dal contesto e dal loro più globale significato. Diviene, spesso, cronaca spicciola. Ed è forse il caso di annotare come ormai ness11no si ricordi più dei 23.281.622 italiani con tessera fascista o di organizzazioni fiancheggiatrici. (Mi viene in mente q11elgiornalista, in seg11itodepwato della Rep11bblica, il quale, imputato di aver scritto articoli a favore del passato regime, si dichiarava antifascista da sempre rispondendo: «Voi (dove il «voi» è cas11ale)volete scherzare, io rischiavo, chiamando Mussolini «S11a Eccellenza» e non «D11ce»). (Per assurdo sarebbe come se nel duemila facessero la mostra sulla storia e cultura della Cina di oggi ed esponessero per esempio il progetto di 11nacentrale nucleare mai realizzata; di un film presentato a New York, ma non proiettato in Cina; le vicissitudini di un piccolo gruppo di contadini dissidenti, senza porlo in rapporto con la restante situazione, limitando, viceversa, a pochi tratti episodici la restante realtà quotidiana riguardante 800.000.000 di persone). Non ritengo, deliberatamente, necessario esaminare le lacune o imprecisioni della mostra, o del catalogo, nei singoli particolari, perché mi pare che rientrino, tutte - tranne, forse, q11alche piccola svista casuale - nella volontà generale delle scelte dei programmatori. L'obiettiv/tà deca/1/ata dagli organizzatori è solo apparentemente giustificata, attraverso l'amm11cchiata dei documenti e delle opere. Ma tale obiettività è decisamente smentita da rievocazioni addomesticate, parziali, privilegiate a/Cline,cancellate o ridotte altre. Novità ricostruite ad ogni costo e realtà dimenticate; nè vale la scusa di voler dare spazio ai comprimari: viene stravolto il peso determinante di certi avvenimenti o partecipazioni. Si è privilegiato il ritrovamento curioso od erudito, la storia vista attraverso il dopo a tesi prefissate. Si sono ricercate le «perle»; si è cercato di risolvere tutto attraverso i valori di singole personalità «poetiche», isolate -personaggi spesso vissuti in quf!/ decennio ali'estero. Un quadro o progetto, rimasto per cinquant'anni nel cassetto, una sedia o bicicletta, alcune costruzioni, persino alcuni piani urbanistici, in genere privilegiando Milano. (E, per quanto riguarda l'architettura, ci si è dimenticati di rilevare-studio svolto a caldo in una delle prime triennali del dopoguerra - come l'Italia avesse, in confronto agli altri paesi europei, il minor numero di servizi igienici negli appartamellli e come il fascismo lasciasse dietro di sè distruzione e morte anche nel patrimonio edilizio, storico ed abitativo. La c11/- tura di 111p1eriodo o di un paese è anche il dover fare la coda in cortile, con i bambini ed i vecchi, per lavarsi e avere il cesso sul ballatoio! meno che non tomi di moda anche questo). La mostra evidenzia il fatto che i curatori non solo 1101h1anno vissuto loro stessi il fascismo, 1101s1olo non hanno • avuto 11epp11ruen congi1111tcooinvolto nelle repressioni, ma 1101h1anno trovato il tempo sufficiente per indagare correttamente. Probabilmente per bauere - ml tempo il Comune di Firenze impegnato nella preparazione della mostra degli anni 35 /50. Ricorda l'architetto Belgioioso «... noi allora avevamo esposto anche fotografie di gente che nella valle d'Aosta viveva in condizioni disagiate. Bene, a/l'inaugurazione venne il federale di Aosta e ci fece togliere q11ellefoto perché, disse, in Italia 11011c'erano più poveri». Racconta il pittore Veronesi: «... q11ella rara volta che Raffaello Gioi/i ha organizzato una mostra di giovani, alla vecchia galleria Pesaro di via Manzoni, sono arrivati gli squadristi coi manganelli ed hanno ,fasciato tutto». Q11estiepisodi sono scelti a caso tra decine di migliaia, ma 1101h1anno trovato spazio o credito nella mostra! Se q11alcunoli ricorda direttamente e ne riporta la testimonianza viene, con un gesto di noia, rispedito nell'altra Italia, come se si trattasse di inwili (agli effetti della mostra) particolari, insignificanti anche essi rispetto alla cultura ricostruìta. /11genere gli episodi di violenza, osc11rantismo, vengono minimizzati e . non trovano eco e credibilità. Poiché in q11estenote ho evitato sia il gi11diziodi merito s11/lesingole opere esposte, sia la contrapposizione spicciola tra 11n'operaesposta ed una assente, riferendomi sempre alle scelteglobali, agli schemi generali di scelta operati, cito, sotto questa angolazione, una testimonianza diretta di 11n «presente» (allora ed oggi, alla mostra), ancora la parola di L11igi Veronesi: «... è tutta l'impostazione che è sbagliata. Prendi me, per esempio. Io sono rappresentato piuttosto bene, ma è documentato il lavoro che facevo, non il fatto che quel lavoro lo vedevano solo i miei amici ... a parte che scrivevano di noi paragonandoci ali'arte degenerata tedesca... è una mostra irritante, soprattutto per chi, come me, in quegli anni non era un bambino e li ricorda bene ... i giovani che escono dalla mostra hanno l'impressione che quella era un'era felice: ma che belle littorine, che bei idrovolanti, che belle automobili. Ma chi l'aveva allora l'auto? E i nostri quadri? Chi li vedeva?...». Parla dei quadri esposti, molto interessanti ed in numero sufficiente per avere un'idea del suo lavoro di allora, 8 opere ben documentate anche nel catalogo. Opere che dipinte negli anni '30 circolarono, come proposta wlturale e testimonianza, dopo il I 945. Consideriamo, sempre agli effe/li di documentare un clima, che dei 45 quadri di De Chirico, esposti alla Quadriennale del I 935, dipinti tra il 33 ed il 34, rappresentanti il suo periodo «accademico», ne è esposto 11nosolo; e cosl pure per Morandi: dei 53 esposti alla Quadriennale del '39 se ne possono vedere 2. «Nat11ralmente- afferma Bari/li nel catalogo - ... i wratori di simili mostre devono saper selezionare i fatti e i valori, offrirne una campionat!lra ridotta ma nello stesso tempo conforme, in modo da riproporre, p11rs11 scala miniaturizzata, i medesimi rapporti di forza che intercorrevano nella situazione reale, q11ando essa si svolse». Il catalogo è parte de/l'operazione. Ogni curatore ha follato per avere un metro di più di spazio per la propria sezione ed ha cercato di avere 11napagina di più nel catalogo, per raggiungere il cemimetro di spessore sui 5 complessivi. (Lo sforzo è compensato dalle schede dei c11ratoristessi più acc11rate, lunghe e dettagliate di quelle degli espositori e, come logico!, le precedono). Gradevole da sfogliare, stampato perfettamente, è un catalogo che, ancora una volta, su imitazione di quelli editi dal Centre Pompido11,avvalla con la mole, con il numero delle pagine. /111imidisceil lettore, 1101è111sabi/e,nel s110insieme, da parte del vasto pubblico per integrare la visita di altre notizie o del taglio critico, assente nel complesso de~'esposizione. Ne/l'introduzione scrive Caro/i: «... Ideologia discutibile, sotto molti aspetti, ma clJepuò trovare conferme anche clamorose ... Ora, anni trenta e anni ottanta: c'è un margine di sintonia tra i' due decenni?... Non c'è dubbio che, a 11nosguardo immediato i motivi che confermano questo ennesimo ritorno siano molteplici. Motivi di gusto, anzitutto ...». Teorizza Bari/li: « Viviamo appunto 1111'epocadi riciclaggi forzati, di diacronie rapidamente trascorrenti, il che in pratica ciporta a una sincronia dove tutte le tendenze mantengono una loro att11alitàalmeno potenziale: sono appena cadwe nei/'oblio, che già possono risorgere»; e Fagone incalza: «... oggi va assolutamente rimosso l'occultamemo, praticato per decenni, del quadro generale della cultura artistica di q11esto.periotioche deve essere considerato stagione utile e fruttuosa di opere per l'arte italiana». La mostra, a mio gi11dizio, riflette anche il fallimento del '68 (fallimento al quale parteciparono molte delle persone oggi coinvolte in nostalgie passate e che in quegli anni spesso ne avevano accettato, quando non estremizzate, gli slogans più settari e s11perficiali).E negli anni 80 si stanno percorrendo itinerari a ritroso: ci si aggrappa a qualunque padre, nel bene e nel male (sviluppando una reazione opposta, ma che, penso, recheràgli stessi danni di un '68 estremizzato). Il fatto che una mostra cosi organizzata sia stata visitata da centinaia di migliaia di persone è un'aggravante, non una giustificazione. Come pure il fatto che venga imitata, a ripetizione, da chiunque possieda uno spazio espositivo. Nè possono costit11irealibi i dibattiti in corso, maliziosamente organizzati per settori, tra esperti. (Persino quelli del/' «altra Italia» vengono ten11ticon tale taglio da ristretto, elittario, seminario di alta specializzazione). No! Non sono queste le cose che una generazione come la mia vorrebbe vedere. Annitrenta Arte e cultura in Italia (mostra) Milano, primavera '82

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