Alfabeta - anno IV - n. 37 - giugno 1982

Il Paola Colaiacomo, Giovanna Covi, Vita Fortunati, Giovanna Franci, Bianca Tarozzi Come nello specchio Torino, La Rosa, 1981 pp. 139, lire 6.800 Marina Mizzau Eco e Narciso. Parole e silenzi nel conftitto uomo-donna Torino, Boringhieri, 1979 pp. 157, lire 9.500 Aldo Gargani «Potere, sapere e analisi della civiltà», comunicazione tenuta al convegno Sapere e Potere Genova, 27-30 novembre 1980 L a lingua, dice Bachtin, è tutta pe• netrata di intenzioni altrui. Non c'è discorso che non sia costruito con le parole degli altri, sul discorso degli altri. Nulla di ciò che diciamo è inedito; bisogna quindi rassegnarsi a trascinarsi dietro, nelle proprie parole, altre intenzioni, compromissioni varie, debiti non saldati, peccati e meriti altrui. Ma c'è chi non si rassegna: per alcuni prevale il principio di lealtà, il dovere di dare a ciascuno il suo, e, in fondo, anche l'illusione che permanga un residuo vergine per sè, parole non contaminate dagli altri: accade allora che si ricorra a segni grafici, o, in genere, qualificatori linguistici, atti a definire non solo la distanza, ma il grado preciso della medesima, rispetto alla parola altrui menzionata e al suo contesto. Ma, se la grafica offre qualche espediente - virgolette di vario tipo, corsivo ecc. - il macroscopico fenomeno della interdiscorsività (Compagnon, Seui!, Paris, 1979) non trova adeguata risposta nell'invenzione di segni che rispondano alla precisa esigenza di connotare il rapporto tra l'enunciazione citante e l'enunciato citato. Indefiniti, forse indefinibili, i criteri per la codifica e quindi per la decodifica. Un catalogo è impossibile, sia per difetto di significanti, sia per eccesso di significati: più interessante analizzare campioni di scrittura fortemente caratterizzati dalla segnalazione interdiscorsiva. In una pagina di un testo, scelto ovviamente non a caso (si tratta di una prefazione a un catalogo di dipinti di ricoverati in un ospedale psichiatrico) ho contato più di 50 ricorrenze di segnalatori indicanti il rapporto tra lo scrivente e la parola o enunciato evocati, sull'asse vicinanza/distanza. Indico alcune di queste modalità di segnalazione, i loro contesti d'uso e i loro presumibili significati. a) Virgolette doppie (del tipo dette sergenti): «follia•, «sano», «malato•, «patologico•, «normale• ecc. Segnalano la presa di distanza dal linguaggio tradizionale in quanto connotato ideologicamente; b) Virgolette semplici: 'dibattito', 'prospettive', 'proiezione', 'operatori', 'devianti'. 'terapeutizzazione'. Segnalano, presumibilmente, la presa di distanza dalle nuove 'ideologie' (anche questa parola virgolettata); ] c) Corsivo: parlare, modo alrro, ~ alienazione, realrà, sulla follia. Potreb- .:'.:- be stare a indicare l'OJ7POStodel di- ~ stltflziamento, ossia "3J'l)ropriazione, -adesrorre. Ma perché -allora •ma/auia ::ò mmrale, corsivo, quando altrove è tra ;-., .:! virgoletre dop-pie? E ci sono altre ap- ;: parenti incoerenze; ""' d) Distanziatori verbali espliciti, ad esempio: la demistificazione, come si S dice. Segnalano undistanziamento cri- ~ tico che viene ulteriormente rafforzato $ "' in un'altra combinazione; etto,,. e) Distanziatori verbali espliciti tra parentesi, ad esempio: della (pretesa) liberazione. Oltre alla funzione di netto distanziamento, si può pensare, in alcuni casi, alla funzione opposta, cioè di distanziamento dal distanziamento, di cui si parlerà più avanti. Esempio: all'interno dei comportamenti (cosiddetti) devianti; f) Punto interrogativo, quando accompagna una parola tra parentesi. Esempio: la (nuova?) sensibilità dell'opinione. Come è ovvio, il punto interrogativo rinforza ulteriormente la distanza critica e mette in scena una polemica nei confronti della parola altrui. In un tipo di scrittura come questa esemplificata è chiaro l'intento di non lasciare spazio all'incertezza circa il rapporto tra il soggetto dell'enunciazione e l'enunciato evocato. I sentimenti nei confronti dei diversi collettivi di parlanti vengono raffigurati, per lo più facendo ricorso a segni grafici particolari, sono leggibili senza essere detti, sia pure con quel margine di ambiguità che, del resto, è insito nei sentimenti stessi. Un'impresa seducente, e che invita a fantasticare su un ampliamento del progetto: moltiplicare i qualificatori di relazione e di valutazione, trovare nuovi espedienti - frecce, barre, colori - per esprimere accordo e disaccordo, fiducia o sospetto, odio o amore. Potrebbe essere, la realizzazione di questo progetto, parte di quella scienza che Barthes chiama bathmologia, la scienza degli scaglionamenti del linguaggio. Poiché il discorso è sempre sulla parola altrui, e lo è sempre di più man mano che il tempo passa e le parole sono sempre più usate e non esiste più nessun discorso non già fatto, si tratterebbe di costruire un codice che preveda, anziché nuovi segni linguistici, nuovi segni interdiscorsivi di orientamento dialogico. Un codice altamente complesso che regolamenti il rapporto altrettanto complesso con la parola altrui, che riesca a rappresentare con segni univoci l'ambiguità, con tratti decisi le sfumature più sottili: ironia, distacco, complicità, lontananza nostalgica, vicinanza sospetta, sospensione di giudizio ... A nche il parlato ha i suoi strumenti di distanziamento: mimica, paralinguaggio (rallentamenti, scansioni, accentuazioni), parole stesse. «Non gettare il bambino con l'acqua sporca•, «Bisogna andare a monte della questione•, «Compagno•: pronunciamo il noto detto, la locuzione abusata, la designazione ormai inflazionata, con un'intonazione particolare, ironica, per far sentire le virgolette, per fare sapere che non è roba nostra, che prendiamo le distanze. Magari aggiungiamo - premettiamo o facciamo seguire - per cosi dire. Inoltre, oggi si fa ampio ricorso alle virgolette parlate, ossia alla locuzione tra virgolette, detta dopo la parola o la frase da cui si vuol prendere le distanze. I matti, tra virgolette. L'amore, tra virgolette. Gli intellettuali, tra virgolette. La locuzione tra virgolette può essere accompagnata da un gesto deittico consistente nel tracciare -velocemente in aria due trattini con gli indici delle due mani. -A-volte basta questo gesto a virgolettare quello che si sta dicendo, e si danno-casi di discorsi tutti scanditi da questi ammiccamenti digitali che appaiono come scongiuri atti ad annullare gli effetti delle parole pronunciate. Molto in uso anche la sottolineatura parlata, consistente nell'accentuazione di una parola, in genere per enfatizMarina Mizzau zarla e spesso per criticarne l'enfatizzazione stessa (si usa prevalentemente per articoli: questo è i/ problema, questa non è la soluzione). Virgolettare, per scritto o oralmente, prendere distanza dalle parole altrui, è anche un modo di non correre rischi, di non farsi vedere troppo coinvolti, di anticipare la critica, di evitare ogni attribuzione di ingenuità, ogni vaga minaccia di ridicolo, ogni possibile sospetto di connivenza che si può annidare dietro un'affinità di parola. Ma c'è anche il rischio di virgolettare troppo, di incorrere nel ridicolo dell'abuso di presa di distanza. Lo dice anche Proust di Swann: «(e osservai come m'aveva spesso colpito nelle sue conversazioni con le sorelle della nonna, che, quando parlava di cose serie, quando usava un'espressione che pareva implicare un'opinione su un argomento importante, aveva cura d'isolarla in una intonazione speciale, meccanica e ironica, come l'avesse messa tra virgolette, sembrando non volersene assumere la responsabilità, e dire: 'lagerarchia, sapete, come dice la gente ridicola'. Ma allora, se era ridicolo, perché diceva la gerarchia?) (...) Per quale altra vita egli si riserbava di dire alfine seriamente il suo pensiero intorno alle cose, di formular giudizi che potesse non mettere tra virgolette ( ...)?» Bisogna allora virgolettare il virgolettatore, distanziare il distanziatore. Accompagnamo l'uso del proverbio scontato, della locuzione abusata, con un per cosi dire. Ma, a sentir bene, anche questo è un «per cosi dire•, è una citazione di questo affettato modo di dire. È un per cosi dire «per cosi dire• (e «via dicendo•). Diciamo: tra virgolette, ma si può anche dire «tra virgolette•, con un tono ammiccante che serve a prendere la distanza dalla locuzione stessa. Ogni indicatore citazionale, sfidando il paradosso della classe che non è membro di se stessa, può essere incorniciato da un altro che lo supera o - se si preferisce - lo azzera nel suo significato di indicatore di citazione. Ogni pezzo di metalinguaggio può essere linguaggio oggetto di qualche altro pezzo di metalinguaggio. Un capitolo di un libro uscito circa due anni fa si intitola: Il «cosiddetto» garantismo (l'autore si riferisce all'uso, ricorrente nella -stampa colpevolista, di far precedere la parola garantismo dall'aggettivo cosiddetto). 11fenomeno linguistico - la situazione delle virgolette - è assai rappresentativo. Cosiddetto è termine che in genere precede, introduce un altro termine, virgolettato appunto perché cosiddetto. Invece, nel testo in questione, le virgolette introducono, anziB1bllotecag1nob1anco ché la p_arolaintrodotta, quella introduttiva: «cosiddetto». Ciò che viene menzionato, citato, è proprio quel termine-premessa che allude a menzione, citazione. Come dire: il cosiddetto cosiddetto garantismo. Il «cosiddetto• è un avvertimento, una diffida a distanziare. «Cosiddetto• si prende le virgolette su di sè, le sottrae al garantismo. Come dire: altro che per cosi dire, è proprio cosi, ciascuno si prenda la responsabilità della sua parola. Cosiddetto, dice il dizionario, significa designato in tal modo, convenzionalmente oppure in modo approssimativo e non giustificato. Ovvero, che si appropria abusivamente di nome indebito; come se esistessero nomi legittimi e nomi illegittimi: «cosiddetto» anziché cosiddetto fa giustizia di questa illusione. Il distanziatore virgolettato si annulla in un atto di autocancellazione ironica. Naturalmente non è cosi; il distanziamento ironico è un meccanismo che non consente omeostasi. Come uno che sogna e che, sognando di non sognare, si illude di arrestare il processo del sogno e continua a sognare. L'effetto citazione si può riproporre all'infinito, ma l'espansione a ritroso del processo di virgolettatura non può che avere effetti paradossali, in quanto annulla e esaspera insieme la tendenza al distanziamento. Le virgolette deresponsabilizzano dal dire, ma poi consentono di prendere le distanze da questa deresponsabilizzazione ironizzandola. Polemizzano contro il distanziamento incorniciando il soggetto che si deresponsabilizza dall'enunciazione, ma così facendo producono un ulteriore distanziamento. Ma la virgoletta onesta, puntigliosa, quella che distribuisce la responsabilità e paga i tributi, che commenta ironicamente e che addirittura si commenta autoironicamente, questa virgoletta, scritta o orale, è forse ormai prerogativa di pochi virtuosi (nei due sensi). Per altri, forse i maniaci del grado secondo di cui parla Barthes, vale il principio della trasgressione formale della proprietà: il virgolettamento è affidato alle intenzioni (o alla scop<!rta delle intenzioni anche quando, come nel caso del Giardiniere del film omonimo, non esistono). Accade cosi che dietro l'apparente identità della mia e della tua parola sta l'abisso di differenza segnato da quelle virgolette (solo mentali) che ribaltano il senso di una delle due parole rispetto all'altra. Uno crede fiduciosamente di fondersi con l'altro in un atto di simbiosi linguistica, l'altro silenziosamente lo irride. L'identico e il diverso - a volte l'opposto - coi~cidono. Gli epigoni di Pierre Menard, il personaggio di Borges che riscrive il Don Chisciotte, assolutamente uguale e assolutamente diverso, ripropongono, in versione divulgativa, quotidiana, la moda del riciclaggio. La ripetizione diventa il luogo della diversità, diversità ovviamente affidata alle intenzioni ' dei parlanti; queste però non devono essere segnalate in alcun modo. L'ammiccamento, il ricorso al non verbale, al paralinguistico, non sono più ammessi; anche perché gli stessi indici interdiscorsivi, in situazioni difficili da descrivere ma facili da immaginare, possono entrare a far parte del codice e quindi perdere la loro funzione di segnalatori di differenze. Quindi resta solo il contesto a far sì che le sequenze conversazionali, passando da gruppo di utenti ad altro gruppo, cambino di senso. I cambiamenti di senso dei discorsi seguono percorsi molteplici e differenziati. I più frequenti sono: a) mutamento per Il sostituzione degli utenti dall'alto verso il basso; b) mutamento per sostituzione degli utenti dal basso verso l'alto. Ossia: a volte i discorsi smessi dai ricchi vengono passati ai più poveri; a volte i discorsi dei poveri vengono riutilizzati con sfoggio dai ricchi (l'antitesi ricco povero sta per qualsiasi altra coppia di opposti del tipo smaliziatoingenuo, progressista-reazionario, maschio-femmina, donna (femminista)-uomo, ecc.). In genere il passaggio da ricco a povero è segnato dalla distanza temporale; cioè nel tempo le categorie inferiori si appropriano dei discorsi di quelle superiori adattandole alle loro intenzioni. Accade quindi che coesistano, le une e le altre (intenzioni) producendo una duplicazione di discorsi uguali da fonti opposte. Il riciclaggio inverso, da povero a ricco passa invece generalmente attraverso la opacizzazione del discorso, ossia si verificano recuperi in base a svariate coppie antitetiche riconducibili all'opposizione trasparente-opaco (o uso-menzione): letterale-ironico, ingenuo-paradossale, candido-provocatorio, letterale-metaforico, attualizzante-nostalgico, vero-falso, coinvolgente-distaccato. La rivista intellettuale propone giochi di società, quiz, test di personalità, che da qualche lustro percorrono irrisi le pagine dei giornali femminili. Un giovane mi chiede di leggere un suo romanzo. Mi sembra pieno di banalità, luoghi comuni, frasi fatte. Ma è scritto così apposta, mi rassicura, deve essere letto ironicamente. I ricchi però non devono mai mettere in evidenza la differenza dei loro discorsi da quelli dei poveri; qualora lo facciano, possono essere tacciati da poveri ed essere retrocessi in quella categoria. Può anche accadere che, mentre i ricchi fanno (menzione di) un discorso dei poveri, capiti in mezzo a loro un povero che ingenuamente si inserisce pensando che il discorso finto sia vero. (si immaginino le costanti apparenti e le variabili intenzionali, e quindi le confusioni possibili per soggetti quali pornografia è bello, Love Story è commo\lente, • Mike Bongiorno è un genio). Il più delle volte la cosa passa del tutto inosservata, nel senso che nessuno dei ricchi se ne accorge, tutti pensano che il discorso vero sia finto. A volte invece qualcuno di essi se ne accorge, e ciò genera gravissimo imbarazzo. Per eliminare questo imbarazzo, il ricco di buon cuore può cercare di far finta di ritenere opaco, cioè finto, il discorso del povero, col rischio però che gli altri ricchi credano che lui lo ritenga tale, quindi di passare per ingenuo. Oppure, sempre per generosità verso il povero, può far finta che il loro discorso-quello dei ricchi -sia trasparente, ossia vero, sempre però con il rischio che questi fraintendano le sue intenzioni. Oltre ai fraintendimenti, ci sono poi i casi di promozione di grado. Ciò avviene quando il povero, accorgendosi del suo errore, cambia le intenzioni del suo discorso e lo innalza al secondo livello, quello del ricco. li riciclaggio interno, ossia il mutamento delle intenzioni di parola dentro allo stesso parlante, può-avvenire-anche in senso inverso: si danno casi di discorsi finti iniziati come tali che poi col tempo diventano veri, senza che il parlante - oltre che gli interlocutori - se ne accorga.

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