Alfabeta - anno IV - n. 37 - giugno 1982

::: S! .. .<:, ~ Sette stesure. Uno seri/lo provoca sempre frai111endimenti, ogni leuore può leggervi quello che più è preparato a leggere, e le risonanze corrispondono alle sue precedenti convinzioni. Tuuavia qualcosa può mutare, dopo uno scriuo, una verità aggiunta, prima taciuta. Fraintendimenti sono anche possibili per colpa di chi scrive, e mi pare uno di questi quello che riguarda la questione delle «selle stesure» di un romanzo (vedi « Il caso Moravia», su Alfabeta n. 35, Aprile 82). Non sono stato abbastanza chiaro, dunque mi preme aggiungere qualche riga nella speranza di spiegarmi meglio. Non ho mai pensato che uno scriuore sia da condannare perché ha bisogno di sette stesure per finire di scrivere un romanzo (o qualsivoglia altra opera), anche se il numero, che Alberto Moravia conferma, sembra inusuale. Ho solo dedouo che se un'opera costata sette stesure risulta di tipo macchinico (mi riferivo a 1934) l'i11siste11zdael suo autore fa da segnale non tanto della sua diligenza e scrupolo lei/erari, ma della sua auto-alienazione. Il «caso Moravia» diventa un caso nel momento in cui si può constatare che uno scrittore par suo (e citavo l'esempio di un capolavoro recente come Lettere dal Sahara) si aliena a un progeuo leggibilità da best-seller (e ha qui meno importanza rilevareche i progeui di best-sellers non sempre raggiungono il loro scopo e che spesso libri non proge11a1ilo diventano), e tanto si aliena che l'ultima stesura diventa quella definitiva quando lo scriuore si accorge, riscrivendo per la se/lima volta, ma potrebbe ·essere l'ouava o la dodicesima, di non poter scrivere che in quel modo (quello della stesura precedente}, quando cioè si rende conto di sapere il «romanzo» a memoria, di avere cioè condizionato la propria memoria a ripeterlo nello stesso identico modo. Si delinea cosi la figura dello scrittorecomputer: si dà un'opera alle stampe quando il cervello computerizzato segnala che 11111è0a posto (infaui il riassunto dell'opera in 1934 funziona proprio come un segnale di controllo). Ora io credo che in casi come questo uno scrillore farebbe meno fatica e correrebbe meno rischi usando direuamente il calcolatore. Meglio usare uno strumento che faticare moltissimo per diventarlo. Si evita così il pericolo grave della non reversibilità: uno strumento posso usarlo e abbandonar/o, come un gioco, ma nessuno può garantirmi che una volta trasformato in computer il mio cervello sia in grado di ricominciare a funzionare da umano. Il mio sapere corre il rischio di diventare definitivamente classificatorio, di non essere più inventivo-proieuivo. Le immagini, le metafore, le analogie, tulle le invenzioni della lingua e della scrillura potrebbero diventarmi indifferenti e correrei il rischio, a questo punto, di pensare perfino che Gadda non erapoi quel grande scrittore che è. Non è questo, certo, il caso di Moravia, ma è sicuramente il pericolo di una situazione generale, che richiede scritture strumenta/i, omologhe alle esigenze della produzione e della vendita. L'allarme diventa vivo quando Moravia sembra consegnarsi mani e piedi autolegati alla Macchina che si chiama Mercato. Diventa vivissimo quando Moravia mostra di non voler affrontare il problema. Non è forse questo il punto di non ritorno, quando la villima si identifica col carnefice? Nomi di 1U1a guerra. Mi sono chiesto perché Le Monde chiama le isole Fa/kland o Malvinas lles Malouines (ora anche gli italiani tendono a tradurre Malvine). Semplice, perché cosi erano chiamate quando servivano da base ai marinai francesi di Saint-Ma/o, deui Settestesure per questo «malouines» (in italiano: maluini). Dunque il termine argentino Malvinas ha origini francesi e i francesi non dimelllicano. Vendono missili del tipo« Fireand forget» (spara e dimentica). Il proieuo micidiale sa arrivare da solo alla meta mentre il pilota che lo ha sganciato sta tornando alla base e saprà dagli altri, dalla TV, che cosa è successo, come Ili/ligli altri ci/ladini del mondo. Nella guerra-speuaco/o, in diretta, come deve essere oggi, via satellite, gli auori rimangono nascosti, e i morti taciuti fin che si può, fin che sono pro111i per la rimozione. (Tempo tecnico per rimuovere con efficacia è 1111 ritardo di almeno 24 ore nelle informazioni, con il passaggio dalla trasmissione indirei/a alla differita, tulle le censure del caso). Ma temibile rimane il ritorno del rimosso. Non è il caso dei francesi? Le lslas Malvi11assono state loro· (I/es Malouines, appunto) e i marinai francesi di Saint-Malo hanno avuto per secoli come avversari irriducibili gli inglesi dirimpettai e le Falkland sono finite alla Gran Bretagna perché tolte ai Antonio Porta premesso dunque quanto mi pareva già chiaro ai più, sembra opportuno i11di- ,;are alcuni esempi di narrazioni che si basano invece su se stesse, che cercano i nodi del narrare dentro la scrittura, nello snodarsi necessario delle immagini, nel nascere spolllaneo e in apparenza casuale di situazioni non previste, nel delinearsi di caratteri e figure prima sconosciuti, ecc. ecc., di narrazioni, cioè, che puntano sul sapere 1101r1aggiunto piuttosto che sulla mimesi di un sapere consumato. Rendere attiva la scrittura significa narrare, se narrare significa liberare l'uomo dalla pietrificazione, come diceva Musi/, di ogni ordine prestabilito, degli automatismi della Zivilisation (sto citando da Aldo Gargani, «Musi/e la metafora»), se narrare significa porsi come «grande fabbrica di alternative». La prima delle narrazioni (questo termine mi pare preferibile a quello feticistico di «romanzo», ed è anche 1111a buona i11terpretazio11dee/l'inglese fic• tion) esemplare è quella di Giampiero Como/li, La foresta intelligente, dove il metodo si identifica con la sorpresa. ':p .---:-::-r.!lò":1111111'1"'"::,:-,,t...,....,..,.,..,..= •i,, maluini. Si può dunque sospeuare che il missile che ha affondato lo Sheffield sia stato sparato per procura da un dito argentino: la mente rimane francese. Si spara perché non si dimentica? Si spara per dimenticare? I superstiti e le future villime sono ormai certi che la guerra è anche una malauia mentale. Cinque narrazioni. Ma in positivo la narrativa dov'è? qualcuno potrebbe giustamente chiedermi, dopo avere, forse, approvato la mia analisi moraviana tendente a mostrare dove la narrativa non è (o piullosto dove è una certa forma narrativa che ho cercato di definire come computerizzata). Premetto che quando ho parlato di un ritorno allanarratività non ho mai pensato a un rinnovamento dei fasti-nefasti del racco/Ilare storie· (in questo inarrivabili, sono dei veri maestri, gli sceneggiatori americani, per es. della serie giustamente ammirata del tenente Colombo) o dello sviluppare trame secondo compatibilità interne, di un minimo di coerenza verosimili secondo il comune buon senso, e esterne, con attenzione a ciò che richiede il mercato al momento, secondo punteggi precostituiti (per esempio: assassinio di padre guardiano con rosario di ametiste in antica abbazia che ha sostituito l'antica biblioteca con un sistema di calcolatori SOIIO controllo militare... questo potrebbe valere dieci punti, il massimo); Vi è consequenzialità solo_nell'imprevisto che la scrittura segue adeguandosi a volte, a volte costituendolo (l'imprevisto può noscere dalle cose, dagli eventi o dalla scriuura che anticipa l'evento). Dietro questo metodo sta un pos111/atoessenziale, quello che definisce il sapere metaforico, o /euerario, come «forte», nel suo punto di intersezione con il sapere filosofico, nel/'i11s1abilità,fuori delle certezze precostituite. In questo senso quello di Como/li può essere definito da Franco Rei/a (nella postfazione) «11110splendido romanzo d'avve111urae di viaggio...». Il viaggio, appunto, come metafora della volontà di sapere e anche il viaggio come progello. La seconda narrazione esemplare (aggeuivo che va preso alla /euera, si tratta di exempla, al di qua del gioco di esclusioni e inclusioni tanto caro ai convitati di pietra della nostra società letteraria) è Filo da torcere, di Renzo Paris. Scopo della nuova scrittura di Parisè la liberazione dagli inganni della psicoanalisi, l'irrisione de/l'analisi, il suo svuotamento, che non impedisce di affrontare il vero nodo del problema, che continua a passare per la psicoanalisi, ripresa nel punto in cui sembrava spacciata, cioè il rapporto con il padre, attraversato nelle più taglienti pagine del • ràcconto, il colloquio tra figlio e padre ali'ospedale dove il padre riproduce esal/amente quel silenzio contro cui la scritwra si batte. Filo da torcere gioca le sue cane sul terreno della comicità controllata, a volte a de111sitretti, a volte francamente autonoma. Ne/l'autonomia del comico Paris è alla ricerca di un'identità impossibile, talllo che nell'ultima pagina il figlio-viuima si scioglie, souo gli occhi della madre e dell'analista complice, nelle acque marine, nell'informale della naturalità. Rimane tulio il filo da torcere che viene presentato all'inizio ma nel frattempo sono cresciute le dita, scrivemi, in grado di torcerlo. Magistrale nella negazione di qualsiasi possibile soluzione romanzesca (storie o trame che siano ...) è Franco Corde/li in Puri spiriti, tanto che la quarta e ultima parte del libro, «Il seminario», tratta precisamente de/l'ultima parte del libro che il narratore non sta scrivendo mentre si sta invece volgendo 1111 seminario, a Venezia, sull'opera I puri spiriti. Non è una semplice trovata da raccomo fantastico o fantascientifi• co, perché ogni decisione riguardo a/- l'opera e al suo eroicomico eroe (qui .- .. concordo con il giudizio pos111vodi Mora.via) viene presa da una scriuura febbrile, cardiaca, picaresca, nel senso in cui si può immaginare oggi una strut• tura anche sintallica che esca dalla mente di un picaro. E si capisce allora come si forma la sua ricchezza di umori, di variazioni, di divaganti metafore, dal progeuo di un viaggio tutto interno alla lingua, al suo divenire narrazione. Spingendo fino in fondo quella negazione del reale, che è conseguenza del suo rispecchiamento nell'arbitrio della lingua, lo scritìore Corde/li si espone giustamente come eroe del linguaggio, in una postazione opposta a quella di un uomo vuoto e perduto: recupera il tutto da dire nel momento in cui, dialeuicamente, n·ega la negazione e pronuncia il .suo si alla comunicazione. Così il suo bagaglio di viaggiatore ai bordi del silenzio si arricchisce prodigiosamente strada facendo e arricchisce quello del /euore che può essere sorpreso 11e//'a11d0i d/J!._orar/eq,ueste pagine (a me è capitato). Curioso come qualcuno lamenti la mancanza di trame in Puri spiriti mentre ce ne sono infinite possibili, tulle sapientemente interrotte, ma gli equivoci del cosiddeuo «realismo» non finiscono mai. Contro tutte le apparenze (la goffa presentazione editoriale da best-seller, le recensioni «comandate», ambigue e gaglioffe, le foto da divo dimenticato, ecc.) La felicità coniugale di Giorgio Momefoschi è opera di scrittura cosi tersa da imprimere nella memoria l'immagine splendente e nel profondo luminosa di 1111 lago irlandese. La trama vi è negata da 1111 particolare uso del tempo che proceclea balzi, di stagioni, di anni, seguendo la necessità del tempo della narrazione intesa come rete di cattura di immagini segnaletiche, afferrate come in una serie di agguati silenziosi ai confini de/l'assenza. Qualcuno ha scritto di una sorta di kitsch riscattato, nulla di più fuorviante. La scrittura di Monte/oschi ha 1111 timbro molto personale nella sua luminosa tenacia e il suo rifarsi ai grandi modelli ottocenteschi (alcuni dei quali possono essere considerati attivi e da frequentare sempre con profitto, a partire da Tolstoi, assolutamente moderno) è più una dichiarazione di poetica, o di intenti, che un'indicazione utile: Monte/oschi non pratica il post-moderno, il patch-work delle citazioni, l'assemblaggio di tulli gli stili, ha uno stile 1t111s0uo capace di misurarsi con l'indicibile. Che cosa c'è dietro la luce? Qual è il finale possibile del film di un'esistenza sempre uguale a se stessa? Quel «miste• rioso signore» che sta dietro le quinte a chiamarci 1101s1iamo forse noi stessi, il nostro doppio che tenta di risucchiarci fuori dal guscio delle sclerosi? /11 maniera più esplicita Antonio Tabucchi ci invita al Gioco del rovescio. Negata l'identità, ritrovato Pessoa con i suoi infi11i1i«rovesci» o doppi o pseudonimi, i racconti di Tabucchi trovaiio ciascuno per sé 1111 proprio progetto di scrittura e a tale progeuo obbediscono con fedeltà e questa fedeltà al progetto ripaga scrittore e /e/lori perché svela tutte le possibili implicazioni narrative. (luando qualcuno, oggi, propone alla nostra qftenzione narratori senza scrittura, disinvolti e ben sciolti nella loro vacuità, mi vengono in mente i cavalieri senza cavallo, gli alpinisti senza montagna, i cacciatori senza lepre... Ma di scriuori senza scrittura ce ne sono sempre stati e non lo sappiamo perché sono stati cancellati dal tempo, non occorre fare la fatica di occuparsene. Tabucchi è uno scrillore di sÙiuure e forse la più riuscita, eccezionale nella sua bravura nel fare «come se», è quella di tipo epistolare di Lettera da Casablanca. Ma nemmeno di un palmo inferiore è quella autobiografico-cronachistica del racconto che dà il titolo al libro, nel suo esito commovente nel prolungamento della vita della scomparsa amica Maria do Cormo in un «altro sogno» e in altri possibili infiniti sogni che intravediamo, come in un gioco di specchi, stendersi dopo la fin.edel racconto, prodotti dal desiderio ultimo, di guardare dietro la luce (e la. luce è qui incarnata dal quadro Las Meninas di Velasquez, sintesi di tutte le inquietudini e fra/Iure di ogni possibile aggregazione sociale). Renzo Paris FUo da torcere Milan<,>l,::_eltrinelli,1982 Giorgio Montefoschi La felidtil conhlgale Milano, Rizzoli, 1982 Giampiero Comolli La foresta intelligente Bologna, Cappelli, 1981 J .....,. Franco Cordelli I puri spiriti Milano, Rizzoli, 1982 Antonio Tabucchi D gioco del rovesdo Milano, Il Saggiatore, 1982 <=L----------------------------------------------------------------------1 ..., ...,..., 911o...a, nca

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