Alfabeta - anno IV - n. 35 - aprile 1982

Pensare l'antico Ilponte d1ll~ analogia 1. Ha osservato Josef Engel che l'analogia risponde ad una «Grundaporie• del pensare storico: rendere ragione dell'individuale pur sapendo di non poterlo identificare già perché non è presente. È per questo - osserva -che l'analogia si presenta come l'unica «via d'uscita•, onde - conclude - «ogni giudizio storico è in realtà un giudizio analogico• (Studium Generale, 1956). Più in generale si può dire che qualunque «predicato• può essere riferito al passato in virtù di un procedimento analogico. Giacché, evidentemente, un fatto passato non mi giunge-come invece un evento contemporaneo - immerso nelle categorie del presente, non viene pensato con i supporti della contemporaneità che si respira ogni giorno e che fa si che i fatti contemporanei giungano alla mia percezione già collocati dentro categorie a me familiari (onde mi sembra di pensarli in modo oggettivo). Rispetto all'evento passato, quella analogica è dunque una «reazione• che rende pensabile per me oggi un fatto che è ormai trascorso: «ponte• tra presente e passato in generale, nonché tra nozioni, parole, concetti, strumento della traducibilità del passato per noi. «L'Ellenismo è l'età moderna del mondo pagano•: con tale complessiva analogia Droysen esprimeva sinteticamente, nella cosiddetta «prefazione privata• alla Storia del- /' Ellenismo, la sua comprensione/valutazione di quell'età sino al tempo suo poco e male compresa, e non trovava miglior veicolo per esprimere tale comprensione se non una analogia comprensibile per noi. La comparazione che istituisce è anche un giudizio ed una spiegazione della sua «visione d'insieme• di quell'età. È un'operazione in genere irriflessa, ma non del tutto ovvia e anche foriera di fraintendimenti. Basti pensare ai rischi di stravolgimento insiti nell'impiego di concetti inerenti alle forme politiche. «Democrazia•, nella nostra morfologia politica, significa ormai tutt'altra cosa (democrazia rappresentativa e non diretta, pluralistica e non totalitaria) rispetto alla «demokratla•, alla «dittatura popolare• vigente in alcune città greche. Eppure adoperiamo, per indicare due realtà cosi diverse, la medesima parola. In questo caso il procedimento analogico è duplice: è trasposizione dell'antico verso di noi di un termine e di un concetto, ma anche riverbero di una nostra realtà/nozione sull'esperienza antica. Onde la deformazione che ne risulta è in certo senso duplice: ci riesce difficile svincolare del tutto l'idea che ci facciamo della «demokratla• attica da ciò che per noi ha finito col significare «democrazia». Non hanno perciò tutti i torti gli storici del mondo antico, che Carr prende garbatamente in giro per la loro riluttanza a «tradurre•: «non possono introdursi di soppiatto nel passato per il solo fatto di servirsi di parole estranee al linguaggio corrente• (What is History?, capitolo I). 2. L'analogia si produce a diversi livelli. Per un verso il procedimento analogico può rimpicciolirsi fino al livello di mera induzione statistica. È l'esempio caro a Paul Veyne (Commeni on écrit l'histoire): partire dal manoscritto di un curato di villaggio, attestante l'insofferenza verso il fiscalismo di Luigi XIV, per ammettere che tale testimonianza vale anche per i villaggi vicini. Per l'altro può sfumare nel generico: onde - nota Veyne col consueto tono paradossale - «se dico che la guerra del Peloponneso fu una guerra - in analogia con altri eventi che ritengo, e sono generalmente ritenuti, affini - ho già fatto un bel pezzo di strada». Ma a quel punto avrò stabilito semplicemente qualcosa di abbastanza ovvio (che si estende a rigore non soltanto alla storia): che cioè «la storia è descrizione dell'individuale attraverso universali», siano essi «concetti». come Veyne ama chiamarli, o «tipi ideali», o «astrazioni intuitive», come Otto Hintze preferiva definire gli «ideai-tipi• weberiani. Merita attenzione l'esempio da cui prende le mosse la riflessione di Veyne: è la celebre lettura prospettata da Rostovcev della crisi dell'impero romano nel III secolo. Stando a quello che Veyne ne riferisce, Rostovcev riduceva quella crisi al «conflitto cittàcampagna•, o meglio al conflitto tra élites urbane e contadini-soldati. Ma questo «tipo• - obietta Veyne - non è che un «concetto•, e questo concetto. in sé, non dice nulla, perché può riferirsi tanto alla Russia del 1917 quanto all'odierno «terzo mondo•, nel quale peraltro l'esercito gioca un ruolo politico che vana di «cento ottanta gradi da un paese all'altro». In realtà è falsa Ja· premessa: che cioè, per la comprensione di quella crisi, Rostovcev prendesse le mosse dalla generica idea del conflitto città/contadini-soldati. La sua intuizione scaturiva, semmai, dalla suggestione esercitata su di lui da un determinato confliuo di tal genere: quello che a Rostovcev pareva essere in atto nella Russia del I917, ed essere anzi il tratto fondamentale della rivoluzione bolscevica. Insomma Rostovcev non applicava un «concetto• o un «tipo• ad un «caso particolare•, ma - se cosi si può dire -accostava creativamente due «casi particolari•: la crisi dell'impero romano ed il sommovimento che travolse l'impero zarista. Non procedeva come chi dica «il regno di Federico II è un caso di dispotismo illuminato• (sia quest'ultimo-a piacimento di Veyneun «concetto• o un «tipo•), ma piuttosto come Droyscn, che diagnosticava (giusta o errata che fosse la sua diagnosi) «l'Ellenismo è l'età moderna del mondo pagano•. In questo senso l'associazione di tipo analogico funzionava, per usare la formula aristotelica, «dal particolare al particolare•. In Rostovcev tale procedimento scaturiva dall'esperienza concreta, vissuta, dello storico, che calava un grande evento del passato dentro il calco, dentro la «forma mentale•, di una sua (e non solo sua) traumatica esperienza; e dentro tale calco «pensava» fatti del passato quali la monarchia militare o la crisi dell'impero romano. Droysen esprimeva tale incontro tra il vissuto dello storico e la capacità di rivevere il passato dentro la propria esperienza, con le parole: «anche il contenuto del nostro lo è un contenuto mediato, divenuto risultato storico• (Sommario di /storica, 19). Proprio in Droysen, del resto, la forte esigenza di una riunificazione «prussiana• degli Stati tedeschi si esprime attraverso l'entusiastica sua ammirazione per Filippo, il quale aveva ricondotto ad unità la nazione greca: tutto il «primo• Alessandro è permeato dal parallelo Prussia-Macedonia, senza che esso sia mai espresso apertamente. C.ol.01.ecag.nob1anco È, questo, un caso emblematico, in cui un grande fenomeno storico viene «pensato• alla luce di una determinata esperienza, in modo appunto «analogico», senza che sia necessario banalmente pro c I amar e l'analogia che è sottesa. La quale peraltro interferisce e nella presentazione e nello stesso racconto dell'evento passato. Essa fa emergere il significato più profondo, o comunque sentito come tale, di un determinato evento. O meglio di entrambi gli eventi chiamati in causa dall'accostamento analogico: giacché, per tornare all'esempio fatto ora, cosa significasse per Droysen l'unificazione prussiana della Germania è - a sua ,J....... volta - chiarito proprio dalla sua accesa e innovativa visione dell'età di Filippo. 3. È giusto chiedersi a questo punto se la forma del pensiero (o struttura profonda?) consistente nell'associazione di tipo analogico sia appunto insita nel pensiero, sia un suo meccanismo di auto-regolazione, o discenda dall'esperienza. È la domanda che si pone - come si sa - per lo spazio/tempo, «forme a priori» dell'estetica trascendentale kantiana. Nella tradizionale separazione kantiana tra soggetto e oggetto, quest'ultimo viene ridotto a mero fenomeno. Invece nella concezione dell'analogia come «forma» - o meglio «presupposto coscienziale» - della comprensione storica non si dà tale separazione: Il soggetto si s0s1a11zia di tutti i suoi precedenti «Erlebnisse». Nella comprensione storica vi è intrinsecpezza tra soggetto e oggetto: il modo in cui viene «pensato» il fatto storico è frutto di accumulo di esperienze, non è una «forma a priori•: il pensare analogicamente è frutto della frequentazione dell'oggetto storiografico, e diventa «ex usu» una forma mentale. (Perciò l'accostamento alle «forme a priori» kantiane è in certo senso, anch'esso, analogico). Dunque il modo di «pensare» i fatti storici nasce dalla consuetudine con i fatti storici. L'osservatore sprovveduto - notava Tucidide - vede il fatto nella sua immediata puntualità, e lo stima «sul momento, grandissimo», ma poi tende ad ingigantire il passato. Il ricercatore acuminato e minuzioso ripiega sul particolare minuscolo, fino a smarrire anche lui - per una ragione opposta a quella dell'osservatore sprovveduto - la comparazione, il bisogno di comprendere (o - come dice Tucidide - di «trovare•) i fatti storici. Lo storico è in una posizione di equili- \ 1.\/,.· ,, .il:- - ~ brio tra il senso comune e la cecità della ricerca pura. 4. Proprio perché veicolo di questa mcdietà, l'analogia non sembra spingersi oltre una certa scala di grandezza, oltre un certo «limite in basso». Si potrebbe perciò concludere, non a torto, che campi privilegiati in cui si esplica il potere conoscitivo dell'analogia siano, ad esempio, la «storia comparata», la «macrostoria», o più in generale la «storia della civilità» in senso braudeliano. Una «storia di lungo respiro» o «navigazione d'alto mare», con i suoi svantaggi e i suoi rischi, che è preferibile illustrare con le parole stesse di Braudel: «essa obbliga a pensare, a spiegarsi in termini inconsueti, a servirsi della spiegazione storica per comprendere il proprio tempo», ma il suo rischio è di «cadere nelle generalizzazioni facili di una storia più immaginata che capita e documentata» (Il mondo attuale, p. 54). E non a caso Braudel indica, tra i «viaggiatori troppo entusiasti•, Spengler e Toynbee. Ma proprio questo difficile equilibrio rischia - se frainteso- di condurre ad una sorta di antinomia tra «comprensionè» e «racconto». Giacché, «comprendere», «pensare sino in fondo• un evento, fino a che punto può non risolversi nella sua compiuta indagine approfondita (e infine nella sua narrazione)? Ma il moto del pensiero sarà sempre duplice: dall'ipotesi analogica alla verifica empirica, e da questa alla «comprensione». 5. L'analogia ha anche un'altra «faccia». Non solo meccanismo spontaneo (auto-regolamentazione del pensare), ma anche frutto di consapevole sforzo mirante a rendere comprensibile ciò che, nell'isolamento, non emergerebbe. Quando il neoplatonico Numenio si chiedeva, nel secondo secolo, «Cos'è Platone se non un Mosé atticizzante?», si sforzava di rendere comprensibile il complesso del pensiero platonico ed il suo significato ad un «modo di pensare» ebreoellenistico. Anche il tentativo di spiegare fenomeni storici recenti ricorrendo a grandi eventi del passato, in primis dell'età classica, va .visto come una forma di analogia «intenzionale», esplicativa. Il fenomeno si spiega, se si considera che analogie ricavate da fasi storiche concluse - nelle quali è chiaro «come andò a finire• - risultano più persuasive. Chi ad esempio ha paventato o diagnosticato la fine-imminente o in atto - della nostra civiltà, ha pensato, in modo ricorrente, alla fine del mondo antico, anche perché quella era ed è, nel nostro passato, una delle poche sicure «fini•. Roma tardo-imperiale, la cui attraente libertà di costumi, tolleranza, dinamica politica consistente nello scontro tra gruppi e famiglie potenti attorniate da fasce burocratiche e clientelari, fino a una pittoresca quanto impotente e non di rado disperata cornice di emarginati, evoca-e aiuta a comprendere - il ruolo e le caratteristiche dell'odierna potenza americana nel mondo: il «centro dell'impero». L'analogia si completa pensando il mondo comunista come i «barbari» dell'età nostra. Tra il loro modello statale, stile di vita ecc. e quello del «centro dell'impero» non vi è praticamente nulla, o ben poco, di comune; e l'analogia può estendersi anche all'aspetto epidermico della smagliante varietà di questo, di contro alla uniforme «tristezza» dell'altro. Analoga è la pressione senza soste che il mondo comunista esercita - come a suo tempo i Germani o i Partisui punti «molli» dell'Impero, riscuotendovi non solo simpatia ma richiesta operativa di collaborazione e di aiuto. Laddove, beninteso, non è certo nel cuore dell'impero - in nessuno degli strati sociali in cui esso si articola- che sboccia una qualche attrazione o simpatia verso quel mondo, ancora lontano. Avanzate e arretramenti, momenti di stati e successi inattesi non mutano il quadro d'insieme: che è quello della costante difensiva in cui si trova l'impero rispetto. a tale pressione ininterrotta. «I popoli selvaggi della terra - scriveva Gibbon prendendo spunto dalla caduta dell'impero romano, ma contemplando la crisi dell'Occidentesono i nemici comuni della società civile, e possiamo indagare con ansiosa curiosità se l'Europa sia ancora minacciata da un ripetersi di quelle calamità». Vero è, però, che, per parte sua, l'ambasciatore del celeste impero al tempo della guerra dell'oppio non trovava di meglio, per definire, senza ironia, la regina Vittoria, che il concetto di «capo-tribù•.

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