Eizeniteinteorico Subito in apertura il titolo costituisce ilprimo enigma del libro. La non-indifferenza della natura è una sorta di spazio linguistico ambiguo che nello stesso tempo respinge e suggestiona il lettore. Non-indifferente è in primo luogo la natura differenziata, non omogenea, non opaca, percorsa da tensioni contrastanti e da codici diversi. È la natura conflittuale del materialismo dialettico, che già Ejzenstejn aveva evocato nei suoi scritti precedenti e in particolare in uno dei suoi saggi più importanti, La dialettica della forma cinematografica, 1929 (in Forma e tecnica del film e lezioni di regia, esaurito da anni e che Einaudi si ostina a non ripubblicare). Non-indifferente vuol dire anche emozionale, quasi affettiva, partecipe delle medesime leggi che riguardano il soggetlo antropologico (secondo Ejzenstejn tutti gli organismi naturali sono accomunati da una omologa legalità interiore). Non indifferente/emozionale è, poi, essenzialmente la natura nell'arte, strutlurata secondo modelli linguistici musicali. Il «paesaggio emozionale, che agisce nel film come una componente musicale, è ciò che io chiamo natura non-indifferente». Non-indifferente è l'opera d'arte segnata dallo sconfinamento dell'immagine nella musica, dominata dal pathos e dall'estasi e capace di produrli nel fruitore. Ma il lemma, non-indiffe• rente è anche una doppia negazione, significa differente. Non-indifferente è anche la stessa natura dell'arte, in quanto essa è costituita da un materiale organizzato creativamente e dunque differente dal reale. Non c'è nulla nel pensiero di Ejzenstejn che lo possa avvici11areal realismo o a un modello di rispecchiame1110dell'oggettività. L •a~te, per Ejzenstejn, è differe11tedal mo11do, è il risultato di un complesso lavoro di rielaborazione creativa. Ejzenstej11si pone ali'opposto della teoria del realismo socialista come dei miti del 11eorealismo(sviluppatosi proprio 11eglia1111i1i 1cui Ejzenstejn scrive La natura non-indifferente), che sosteneva ad esempio «le cose so110là, perché manipolarle?» (Rossellini). L'arte è differente dal reale, perché è u11astrut/Ura caratlerizzatà dalle leggi dell'organicità, in cui 1101l1a superficie caotica e molteplice, ma la legalità interiore della 11aturasi ma11ifes1a. Il centro pulsante di tutto il libro, i concetti fondamentali attorno a cui ruolente linguistico del principio di produzione e prestazione, per inseguire invece liberamente il richiamo sensuoso, immaginoso, «estetico» delle omofonie e dei significanti, le ricerche intraverbali erano legate nel caso di Hugo Bali all'utopica negazione di una tecnica ed economia industriale, che tale produzione di significati pressantemente imporrebbero, nel caso dei futuristi invece all'intuizione anticipante di una reale dissoluzione del significato ad opera tanto dei nuovi sensuosi mass-media postgutenberghiani ottici, cinetici, acustici, quanto della nuova tecnologia simultanea e ubiquitaria che, di fatto, non consente più la lineare successione del processo di significazione e sintattico. Oppure si pensi anche a soluzioni linguistiche più specifiche, come ad esempio il famoso uso programmatico del verbo indeclinato, all'infinito - divenire ininterrotto, fluida dynamis infinita senza pause, senza soste e senza soggetto - che compare all'interno di due pratiche e poetiche d'avanguardia antitetiche, l'una «tecnologica», l'altra «antitecnologica», come il futurismo e l'espressionismo. Nell'un caso convertita prontamente in dynamis e velocità della tecnica (Marinetti: «il verbo all'infinito è il moto stesso del nuovo lirismo, avendo la scorrevolezza di una ruota di treno o di un'elica ta tutto il discorso sono il pathos e l'estasi. Al pathos è dedicata una grossa sezione del libro (di quasi 200 pagine) e l'estasi, intesa secondo l'etimologia come ék-stasis, «uscita fuori di sé», diventa per Ejzenstejn la categoria essenziale della processualità artistica, qualcosa che nell'opera d'arte autentica investe dapprima il materiale elaborato e poi il fruitore stesso. Pathos ed estasi non so110concetti nuovi nella riflessione di Ejzenstejn. Di pathos Ejzenstejn parlava già nel 1926 come de/I'«effetto positivo» che avrebbe dovuto provocare il Potemkin sugli spettatori (Costanza, in EjzenstejnFeks-Vertov, Teoria del cinema rivoluzionario, Feltri11elli).E in una foto del 1930 che ri1rae Ejze11stejnin uno stadio di Hollywood accanto a enormi libri di cartapesta, le scritte Pathos ed Exstasiscampeggiano dominanti come le categorie essenziali della produzio11e artistica. L'affermazione del carattere emozionale dell'opera è d'altronde u11acostante del pensiero di Ejze11stejn,tanto che dopo l'interpretazio11e di Ejzenstejn in chiave epico-marxista, quella più precisa e documentata di un Ejzenstejn formalista, elaborata negli anni Sessanta, è venuto forse il momento se non di una lettura di Ejzenstejn a parti• re da/l'emozionalità, cerro alme110 di un pieno rico11oscimentodella ce111ralità del discorso estatico-patetico nella sua riflesssio11e. «Il contrassegno di un'opera d'arte patetica è un'incessante estasi, un'incessante uscire fuori di sé», scrive Ejzenstejn a/l'inizio del capitolo sul pathos, operando una sorta di subordinazione del pathos ali'estasi che tutto il libro co11fermerà.Secondo Ejzenstej11 l'opera d'arte interviene attivamente sullo spettatore, lo colpisce con forza, lo inserisce in un processo psichico fuo· ri dal consueto, lo strappa alla normalità percettiva. È un'idea non nuova in Ejzenstejn, che trae origine dallo «spirito dell'avanguardia» e dai suoi modelli linguistici e di funzionamento. Lo sco11volgimento del fruitore, la coazione ad uscire dalle regole consolidate ed a proiettarsi in nuovi regimi psichici era una parola d'ordine dell'avanguardia che si manifestava nel cubofuturismo e nel/'eccentrismo, nella biomeccanica e nel Lef come poetica dello choc. Certo l'effetto di estasi è assai più complesso, modulato e fluido de/1e' ffet· d'aeroplano•), nell'altro caso assolutizzata invece in accesa polemica antitecnologica, come fluire mistico-cosmico di energia pura e indeclinata (August Stramm). O si pensi ancora ad altre tecniche linguistiche ancor più tipicamente programmatiche dell'avanguardia come l'uso di nessi analogici e metaforici sempre più veloci ed audaci accostanti parole lontanissime e apparentemente ostili. Talora, come in molta area surrealista, legati alla liberazione del desiderio, ribellione dell'immaginario, o a connessioni magico-oniriche. Talaltra invece, come in molta area futurista, alle «compenetrazioni simultanee della vita moderna•, cioè alla veloce tecnica ubiquitaria e simultaneista che audacemente accosta il lontano e l'eterogeneo, o ai nuovi mass-media elettrici «senza fili•, padri dell'Immaginazione senza fili futurista «intesa come libertà assoluta delle immagini e analogie». E c'è anche da dire che la differenza non .solo c'è ma si vede: l'analogia futurista, legata non più all'utopia cestetiGa» del libero ed «estetico• fluire senza sosta della vita, ma già all'anticipante intuizione della sua realizzazione pervertita, alla realtà tecnologica del libero (o liberistico?) fluire senza sosta degli scambi e comunicazioni. sembra tavolta proprio una caricatura 1bllotecag1noo1anco Paolo Bertetto to dello choc, ma entrambi si connetto· no a una concezione dell'arte come produzione di intensità violente, che modificano lo spettatore e gli impongono una intensificazione de/l'esperienza ed una sua ridefinizione in u11 regime forte. No11 a caso Ejzenstej11 paragona la condizio11e estatica che l'opera 11011-indifferentdeovrebbe produrre, a/l'ubriachezza, al sog110,all'uso di 11arcotici:alla semplicità del pathos (l'ardore, l'entusiasmo, il balzare i11 piedi dello spellatore), preferisce la polimorfità dell'estasi, che implica insieme rottura e nuova fluidità, disautomatizzazione dellapercezione e modularità. Scritto essenzialmente nel 1945/47 (due capitoli brevi so110del 1939/40), in una situazione di pesante controllo ideologico e di sistematica limitazione dell'orizzo111edel dicibile, La natura non-indifferente 1101s1olo non costituisce un appia11ime111d0ella riflessione di Ejze11stej1s1ulla discorsività omologata dello stanilismo, ma va apertamente controcorrente (11011a caso il testo è stato pubblicato postumo nella quasi interezza), e rappresenta un allargamento e uno sviluppo maturo di nodi teorici e di configurazioni semariche elaborate da Ejzenstejn nei fecondi Anni Ve111i. In una introduzione molto articolata al libro, curato e trado110con grande perizia, Montani ricostruisce l'avventura teorica di Ejzenstejn, individuando insieme la genesi e lo sviluppo dei conce/li fondame111a/i,con particolare attenzione al contesto culturale e ai rapporti con il formalismo e la psico-linguistica (Vygotskij). L'immagine che emerge è effe11ivame111equella di Ejzenstejn come massima espressione della ricerca teorica ed artistica sovietica, capace di operare - come diceva Skolovskij - una sintesi generale e tendenziosa delle esperienze intellettuali degli Anni Venti in un quadro di più alta significazione. E infaui Ejzenstejn, negli scritti più significativi dell'età staliniana, non opera una «ambigua sintesi di avanguardia e realismo», co,ne è stato detto, ma, soprattullo ne La natura non-indifferente, realizza una elaborazione approfondita e articolata in modo più consapevole e mawro di alcune i111uizionifondamentali degli Anni Venti, integrate da altre dererminazioni concettuali definite da Ejzenstejn nei primi Anni Trenta (ad esempio co11ce11dii «organicità» e di «immaginità»). di quell'altra, sembra farle iperrealisticamente il verso buttandola, come butta tutto quanto, in pagliaccesco e buffonesco. L a letteratura contemporanea del resto è piena di paradigmi linguistici multifungibili, apparentemente simili eppure sottilmente diversi, che si rifrangono e rincorrono in un inquietante gioco di rifrazione anamorfiche. Come se insomma quel linguaggio-mezzo di cui si diceva all'inizio, non più vincolato al soggetto e al messaggio, a/l'interno stesso del quale si gioca oggi il processo di significazione, se quel linguaggio in cui siamo gettati, che non parliamo ma che parla in noi. mostrasse e,I esibisse esso stesso Certo a una prima leuura La natura non-indifferente sembra smentire questa continuità. Se, infaui, Ejzenstejn teorizzava nel fondamentale Montaggio delle attrazioni, del 1923, (in Teoria del cinema rivoluzionario, cit.) lo speuacolo come scriuura discontinua, provocatoria, fondata sullochoc, sulla eterogeneità dei materiali, senza alcun problema di struuura e di rappresentatività referenziale, ne La natura nonindifferente Ejzenstejn è impegnato a definire l'opera come una struttura organica in cui traleparti e il tulio esiste un rapporto di legalità interna omologa alla legalità degli organismi naturali, e apre il libro dichiarando di voler affrontare «il problema della rappresentazione e dell'aueggiamento nei confronti del rappresentato». Eppure, se si guarda più a fondo, le due posizioni non sono così antitetiche come porrebbe sembrare. Perché, per quanto riguarda il rapporto discontinuitàlstruuura, avanguardia/organicità, l'orizzonte di problemi 1101s1i configura tanto come sintesi approssimativa e impossibile del pensiero della discontinuità degli Anni Venti con l'ideologia dell'unità degli Anni Trenta, ma come dia/euica a/l'interno della ricerca teorico-pratica degli Anni Dieci e Venti tra l'opzione de/l'avanguardia cubofuturista ed eccentrica, fondata sulla rouura e il montaggio di unità contrapposte, e l'idea dei formalisti, e di Tynjanov in particolare, dell'opera come integrazione dinamica delle componenti, dunque, come struuura le cui unità interagiscono anche al/raverso le proprie differenze. E ancora più chiari sono i procedimenti di superamento de/l'ordine della rapprese111azionemessi in allo sistematicamente da Ejzestejn ne La natura non-indifferente. Esemplarmente indicativo del suo rifiuto del realismo è ad esempio il saggio sul El Greco. Ejzenstejn, dopo aver rilevato come le varie versioni de La cacciata dei mercanti dal tempio 1101p1roducono alcun effetto estatico per la banale rappresentazione narrativa del quotidiano, individua al contrario ne La resurrezione un procedimento di estatizzazione che fa esplodere il quadro, proiella ogni elemento fuori di sé, sostituendo al piallo rispecchiamento il flusso determinato de/l'emozione soggeuiva che prevale su IU/10. L'opera d'arte sipera la rappresentazione secondo Ejzenstejn, non negandol'indicazione di significazioni assai differenti, di significati ambigui e oscillanti. Equivocità, oscillazioni, rifrazioni, svariati sensi, diverse direzioni: linguaggi ambigui e perplessi dunque, fluttuanti e sospesi, o addirittura, per usare un'espressione cara a Musi!, che se ne restano «in sospeso ... a metà fra due mondi». E non è un caso naturalmente che si vada a cadere su Musi!. Perché è uno dei pochi scrittori che queste differenti possibilità di significazione insite nei nostri stessi dispositivi linguistici ed emergenti di solito alternativamente or l'una or l'altra, tenta di ricomprenderle invece tutte quante per confrontarle e illuminarle nei loro sottili nessi reciproci: nessi di diversità nella somiglianza, di variazione nell'analogia nient'affatto appiattibili sulle nette opposizioni binarie con cui si marcia di solito. È noto infatti come Musi! nell'Uomo senza qualità tematizzi il linguaggio stesso nelle sue tecniche e nelle sue procedure, cogliendone le sottili ambiguità e ambivalenze, illuminandone prospettivisticamente tutti i possibili piani di significazione. Anche un dispositivo stilistico come quello delle moderne analogie e metafore veloci ed audaci, ad esempio, particolarmente caro abbiamo visto alla letteratura d'avanguardia, viene ripreso nell'Uola, ma so11oponendola a una radicale estatizzazione, a un'esplosione che la trasforma in una processualità dinamica e modulare, in una infinita fluidità delle forme. La «musica del paesaggio» che costituisce la manifestazione primaria della natura non-indifferente, è appunto questo superamento della rappresentazione che riffeue l'esigenza radicale di introdurre nell'opera qualcosa che 1101p1uò passare auraverso il linguaggio descrillivo e referenziale: è il progeuo di «raccontare emozionalmente quanto è inesprimibile con gli altri mezzi», la teoria di una «musica per gli occhi». L'opera d'arte supera la rappresentapiuura che trapassa in una pre-musica», .una composizione musicale in cui il supporto rappresentativo è superato anche se 1101d1issolto. Al fondo della composizione estatica della natura non-indifferente c'è la musica visiva come risoluzione emozionale di quanto è inesprimibile con altri mezzi. Ma questa fusione della pillura e della musica in una nuova arte che si dispiegava visivamente nel tempo era proprio quello che teorizzava negli Anni Dieci e Venti /'astrattismo cinematografico, da Bruno Corra a Eggeling a Rut1ma1111. Certo Ejzenstejn prende le distanze dall'avanguardia cinematografica, rivendicando la necessità - non ouemperata da/l'avanguardia - di un «orientamento concreto dell'emozione». Ma /'auenzione alla dinamica delle forme e alla ricerca di un fondamento organico essenziale e metadisciplinare di tu/la la creatività artistica resta singolarmente comune, (si pensi al discorso nel Generai Bass nell'arte di Eggeling) anche se le risposte fornite si differenziano. Certo Ejzenstejn 11011elabora un'estetica del/'irrapresentabile, pensa sempre a un superamento del rappresentare mediante un'esplosione, un'estatizzazione. Ma scorge nell'arte qualcosa che resta aldilà della rappresentazione e non può essere espresso direi• tamente neppure a11raversoun semplice movimento emozionale, ma solo mediante la musicalità della composizione, la sua pura e concreta fascinazione. S.M. Ejzenstejn La natura non-indifferente a cura di P. Montani, Marsilio Editori, Venezia, 1981, trad. di Giorgio Kraiski, Laura Pantelich, Antonella Summa mo senza qualità, ne diventa anzi uno dei temi e oggetti di osservazione principali. Dove però l'analogia o metafora - vista come il moderno impulso ad associare e dissociare, a frantumare contesti omogenei accostando l'eterogeneo, a strappare parole e uomini alla loro fissità letterale o ben certa identità, alle loro «qualità» insomma finite e definte - è sottoposta a slittamenti prospettici che ne fanno precipitare significazioni assai differenti. Per cui compare, con carattere di creatività, liberazione e accrescimento, come forma linguistica di un'esistenza moderna finalmente svincolata da norme e valori universali, disponibile quindi e nomadica, aperta all'e• sperimento e all'avventura. Ma compare anche ·come forma linguistica di quel «cervello del secolo sostituito dalla legge della domanda e dell'offerta» in cui a causa del vorticoso «aumento degli scambi» pensieri e discorsi si associano e dissociano, circolano e si scambiano senza sosta: questa volta però con connotati di sottrazione e svuotamento, automatismo e coazione, come una sorta di nomadismo coatto insomma. Perché secondo Musi!"ci sono nella civilizzazione anche processi di analogia e una sperimentazione già dati, opera degli automatismi stessi del sistema, assimilazione pura e semplice - ... _
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