Alfabeta - anno IV - n. 32 - gennaio 1982

Commentaol testo ili LOtman I I linguaggio teatrale e la pittura riprende e sviluppa legandoli in una sintesi felice, alcuni dei temi centrali affrontati da Lotman in tutto l'arco della sua attività di s.,;ciologo: dal «meccanismo di raddoppiamento» che è alla base dell'opera artistica alla natura del testo retorico, dalla «teatralizzazione della vita quotidiana» al rapporto fra l'arte e la realtà. Al centro dell'attenzione, dopo il testo letterario e quello filmico clei quali lo studioso sovietico si è occupato in alcuni volumi e numerosi articoli. sono ora il linguaggio teatrale e quello pittorico esaminati qui nel caso in cui i loro meccanismisi rivelanocon lamassima evidenza: quando si verifica cioè un «raddoppiamento del raddoppiamento». La presenza del teatro nel teatro-la scena dei commedianti in Amleto ad esempio -, quella del film nel film - come in Tutto in vendita di Wajda o in Effe110notte di Truffaut - o ancora del qlflldro nel quadro o di uno specchio capace di «raddoppiare all'interno di un dipinto quello che di solito è raddoppiato dal pennello del pittore• richiamano tutti l'attenzione dei destinatari sulla convenzionalità del linguaggio dell'arte, che sfuggirebbe altrimenti alla «coscienza ingenua non orientata verso la percezione segnica del mondo». Come nota la francese Anne Ubersfeld, che si è occupata parallelamente a Lotman di questo meccanismo limitandosi però all'ambito teatrale, se «il sogno all'interno del sogno dice secondo Freud la verità•, il teatro nel teatro - come lo specchio raffigurato in un quadro - «dice non il reale ma il vero•, rendendo palese l'illusione nel CQqti,stoscenico (Ubersfeld, Lire le théfitre. Ed. sociales, Paris, 1978, p.52). Se in un quadro come/ coniugi Amo/fini, esaminato da Lotman, lo specchio convesso deforma le figure dei protagonisti raffigurati contemporaneamente di fronte e di schiena, richiama l'attenzione sul carattere specifico della riOessione e distrugge cosi l'illusione che l'oggetto e la sua immagine siano identici, il fenomeno del teatro che si rivela come tale, preso in esame dalla Ubersfeld, spinge lo spettatore a prendere coscienza del doppio statuto del messaggio che riceve e lo porta a riOettere. Attraverso un processo in cui immedesimazione e distanza giocano in simbiosi il loro ruolo dialettico, «vengono risvegliati non solo i fantasmi, ma anche la coscienza del pubblico, compresa - sottolinea la Ubersfeld per il teatro richiamandosi a Brecht - quella politica». La posizione espressa da Lotman nell'articolo del '79 rivela alcune affinità con le conclusioni della semiologa francese soprattutto nell'importanza attribuita a questo fenomeno e nell'individuazione del processo di approfondimento conoscitivo che esso può mettere in moto. Proprio perché mette a nudo i meccanismi che sono secondo lo studioso sovietico alla base dell'attività artistica, l'analisi del «doppio raddoppiamento• compiuta sui quadri di Metsys, Velasquez, Van Eick consente al lettore di cogliere in tutta la portata delle sue molteplici implicazioni un'idea chiave che Lotman aveva cominciato a formulare a partire dal 1967 e che è risultato poi uno dei punti cardine di tutta la sua teoria semiotica. Già nelle Tesi infatti l'attività artistica appare un modo di duplicare la realtà, di «riprodurre• cioè «l'oggetto ai fini del processo conoscitivo• ovvero di realizzare «un analogo della realtà tradotta nella lingua di un certo sistema» (Lotman-Uspenskij, Semioti• ca e cultura, Ricciardi, Milano-Napoli, 1975, pp.3-4). Come viene messo in evidenza nella Struttura del testo poetico e riassunto poi con estrema chiarezza in Semiotica del cinema, poiché «l'autore ha infinite (o meglio molto am0 'e) possibilità di scelta nel come rappresentare l'oggetto», il testo artistico «non riflette il mondo con la morta automaticità dello specchio» ma, «trasformandone le immagini in segni, lo riempie di significati» e ne fa cosi «un mezzo attivo di conoscenza della realtà• (Lotman, Semiotica del cinema, Officina, Roma, 1979, pp. 31-34). Inoltre, il fatto che l'opera artistica, «limitata nello spazio, sia immagine del tutto nell'episodio•, «modello finito di un mondo infinito•, esclude che possa realizzarsi come copiatura dell'oggetto. Essa è invece «immagine di una realtà in un'altra, cioè è sempre traduzione», come è evidente del resto nel caso del pittore che deve raffigurare il mondo che lo circonda, tridimensionale e illimitato, nello spazio ristretto e bidimensionale della tela (Lolman, S1rut1uradel testo poe1ico, Mursia, Milano, 1972, p. 253). L'allivit,, dell'artista consiste dunque, secondo Lotman, in un lavoro di selezione, traduzione e riorganizzazione dei dati che la realtà gli fornisce. Nella costruzione del testo artistico. così come il semiologo sovietico ce la descrive, entrano in funzione meccanismi che presentano significativi punii di contano con quelli necessari al progresso scientifico esaminati da J orwood Hanson nei Modelli della scoper· ta sciemifica (Feltrinelli, Milano. 1978). Anche il filosofo della scienza fa del resto frequenti riferimenti a poeti inglesi e americani e le analogie fra i due studiosi, appartenenti ad aree geografiche e culturali tanto diverse, appaiono asSjlimeno occasionali se si con~idera il fatto che nell'ultimo ventennio si è rivelata in modo sempre più chian, l'unità delle varie sfere della conoscenza, compresa quella umanistica capace di amarre sempre più spes,o l'attenzione di filosofi e scienziati. da Max Black a Mary Hesse, da Thoma, Khun a Margaret Masterman. Secondo Hanson, nel superamento dei modelli scientifici dominanti e più ampiamente nella crescita della conoscenza, ha un'enorme importanz,1 J1«attodel vedere», «impresa carica di teoria», condizionata dalla nostra anteriore conoscenza dell'oggeuo e dalla nostra capacità discriminante. Raramente ad esempio «l'attenzione è rivolta allo spazio esistente fra ILfoglie di un albero, tranne quando è richiamata esplicitamente sudi essoda un Keats• (cit. p.28) e «la vita visiva sarebbe un dannalo e confuso guazzabuglio» se non operassimo continuamente una selezione, esemplificata da Hanson attraverso la citazione di un artista. li poeta- afferma infatti W.H. Auden - «è bombardato da un Ousso di sensazioni diverse che lo farebbero impazzire se le accogliesse tutte. È impossibile congetturare quanta energia dobbiamo spendere ogni giorno per non vedere, non udire, non odorare, non reagire• (Hanson, cii. p. 211). L'osservatore esemplare è cosi seconélo il filosofo americano «non l'uomo che osserva e riferisce ciò che tutti i normali osservatori vedono», ma quello che «vede in oggelli familiari che sono sotto gli occhi di tulii quello che nessunaltro vi aveva visto prima» (cit. p.43). Lo saranno dunque un Einsteino un Galileo, ma anche un Keats, uno Shakespeare, un Gogol. È esemplare in questo senso il modo in cui uno scienziato come Keplero è arrivato ad «escludere dal pensiero astronomico un modello che lo aveva dominato senza eccezioni in precedenza•, osservando i dati di Ticho - che resistevano all'interpretazione da lui proposta - da ottiche diverse fino a riorganizzarli in un modello intelleggibile che affermava l'ellitticità delSimoneua Salve troni l'orbita di Marte in nella antitesi con quello della circolarità dell'orbita dei pianeti fino ad allora indiscusso. • Keplero - scrive a questo proposito Bullerfield nelle Origini della scienza moderna - era come un bambino che avendo raccolto un po' di fiori di campo tenta di disporli a mazzo prima in un modo, poi in un altro, per osservare le varie possibilità di disporli armoniosamente insieme» (li Mulino, Bologna, 1962, p.77). A Ilo stesso modo, per tornare al campo di indagine da cui eravamo partiti, l'autore di un'opera artistica ha a di posizione tulio il campo della realtà da cui - se vogliamo mantenere la metafora - può raccogliere «alcuni fiori», che dovrà organizzare armonicamente in modo nuovo rispetto alla disposizone che avevano nel campo. Proprio grazie a questo processo di sc..·h.·zionel.r'iorganizzaziodotti della sua immaginazione e fiiialmente in oggetti concreti ovvero in «una forma alliva trasformatrice della stessa realtà» (materiale nel campo della tecnica, sociale, storica, esistenziale in quello dell'arte) (cii. pp. 37-41). li fallo che Vygotskij porti a sostegno della sua posizione il verso di PuSkin «Mi effondo in lacrime su una finzione», citato da Lotman nelle Tesi, in Strullura del te"J"ptoetico e in Semiotica del cinema come «splendida caratterizzazione della natura del testo artistico» fa ipotizzare che le coincidenze non siano casuali e che le intuizioni dello psicologo abbiano trovato, dopo più di trent'anni di silenzio, un fecondo sviluppo nei lavori del semiologo sovietico. Proprio nell'articolo del '79 del resto, «il circolo• teorizzato da Vygotskij trova una riformulazione nello schema del «triangolo», costituito dal teatro. la pittura. la rcalth. all'inc;,,,•,/111/d,. 1mq,:1mo 1/11,i:f, .111,11·111, ,. 11'41\f'Ol'I//A11ù11t/11/lu harn, alft, .,piuggù,. (Qtmdro di L. /Jt, S,•ni. G,•11m·11J. ne in un modello inlelleggibile, anallizzato da Lotman nel campo dell'arte e da Hanson in quello scientifico, le opere artisticamente valide - che non si limitano cioè a riproporre vecchi schemi codificati - cosi come le teorie elaborate da un Keplero o da un Galileo, forniscono una chiave per riorganizzare la visione della realtà, superare i modelli dominanti statici e dogmatici, favorire un approfondimento conoscitivo. Vale la pena di sollolineare che queste posizioni trovano un precedente nell'area sovietica già all'inizio degli anni trenta in una breve riflessione di Vygotskij sui meccanismi che sono alla base del progresso tecnico e della produzione artistica, riflessione che purtroppo la morie dello psicologo ha impedito di sviluppare in un lavoro organico. In Immaginazione e creatività nell'età infantile (Editori riuniti, Roma, 1973) Vygotskij ha infatti messo in evidenza che non solo i congegni tecnici ma anche i testi artistici sono il risultato di un circolo percorso dalla creatività dell'uomo che sollopome a una rielaborazione complessaelementi presi dalla realtà, li trasforma in proterno del quale si attuano scambi intensi e reciproci da Lotman ampiamente documentati. Come abbiamo già accennato, la necessità di duplicare la propria vita, di renderla più libera ricca e creativa attraverso la scena, l'arte o il semplice gioco dell'immaginazione, ha secondo il semiologo sovietico un ruolo importante non solo nell'ambito artistico e gnoseologico, ma anche sul piano della psicologia e dei comportamenti umani. « Dal primo giocallolo alla scena teatrale - scrive nel 1978 - l'uomo si crea con la bambola [marionetta] un secondo mondo nel quale giocando duplica la sua vita, la fa propria a livel0 lo emozionale, etico, conoscitivo. In questo orientamento culturale gli elementi del gioco stabili - la bambola, la maschera, la parte teatrale - hanno un'enorme ruolo sociale e psicologico» (Lotman, Testo e contesto, Laterza, Bari, 1980, p.150). Ispirandosi implicitamente al Bachtin del libro su Rabelais e al «secondo mondo» delle feste folkloristiche da lui ricostruito, Lotman mette qui in evidenza quella che è secondo lui una profonda e ineliminabile esigenza della psiche umana: il bisogno di realizzare una dimensibne di esistenzaalternativa dove le forze creative che la quotidianità ha schiacciato e represso possano finalmente liberarsi. Ha in questo senso un ruolo importante quella «teatralizzazione della vita quotidiana» che il semiologo ha analizzato in alcuni articoli scritti fra il '75 e il '79, fra i quali // linguaggio teatrale e la pittura. Il «comportamento teatrale, cioèdestinato a un pubblico», che uomini come i decabristi o RadiStev realizzano immedesimandosi in una parte scelta fra gli esempi storicoletterari del passato, nasce ad esempio secondo Lotman dall'esigenza di individuare e fornire agli altri e a se stessi un modello esemplare (cfr. Testo e comesto, cii., pp. 223-230). Al contrario, quando il bisogno di affrancamento dalla verità dominante o da una vita troppo squallida finisce per prevalere, l'immedesimarsi in una parte può diventare un modo per fuggire (cfr. Testo e contesto, cii. pag.21 O- ~ 15). O ancora, per un personaggio come· «il piccolo furfante» costretto dalla Gestapo a recitare il ruolo del Generale della Rovere nel film omonimo di Rossellini, il «trasferimento convenzionale in una situazione altrimenti inaccessibile» e l'ottica nuova creata da questa esperienza, è il mecc~111ismcohe permette di scoprire «la \'1.;raessenzadella propria natura che non si sarebbe mai rivelata nella precedente vita di piccolo imbroglione ;dia quale lo aveva costreno la realtà» (Struttura del testo poetico, cii., pp. X 1-82). Come gli spella lori a teatro e i bambini nel gioco duplicano la propria vita attraverso un processoche consentedi 1.;vadcreprovvisoriamente dalla realtà ma anche, per un paradosso solo apear1.;nte,di approfondire la conoscenZa di se stessi e del mondo, anche nell'esistenza quotidiana nei momenti più travagliati e decisivi l'individuo tende :-.ccondoLotman a proiettarsi in un doppio e a dare cosi un senso alla sua stessavita. Questo fenomeno è evidentissimo nei personaggidei testi artistici narrativi, dalla Tatiana di PuSkin ricordata nell'articolo del '79 al Raskol'nikov di Dostoevskij che prende a modello la sua interpretazione di un Napoleone deciso a tutto e in base a questo progetta e compie l'omicidio, ai protagonisti dei films di Woody Allen (dall'immedesimazione in Bogart in chiave comica dell«eroe» Provaci ancora Sam al tentativo di adeguarsi al tragico e astratto modello materno in lnteriors. È tullavia fuori dai 11fstai rtistici che l'analisi di questo meccanismo, di cui Lotman ci offre un'utilissima chiave semiotica, può consentire di approfondire da una nuova e diversa angolazione fenomeni storici; sociali, psicologici, fra loro diversissimi. Per restare nell'ambito del nostro paese, «il comportamento teatrale» ovvero «destinalo a un pubblico• contribuisce ad esempio a spiegare le azioni dimostrative effelluate durante il fascismo dai membri di «Giustizia e Libertà», ma anche il comportamento ben più anuale messo in atto dai terroristi. Come scrive Lotman nell'articolo del '79 citando Karamzin, poiché «l'occhio non è fallo in modo tale da consentirci di vedere noi stessisenza l'aiuto di uno specchio», in certe epoche-soprallutto nei periodi di crisi o di rapida trasformazione - si «avverte il bisogno di identificare la propria personalità con un ruolo significativo» attraverso un'operazione che, condotta alle estreme conseguenze, può portare agli esiti più diversi, dalla scoperta dell'essenza vera e del significato della propria esistenza, alla distruzione di se stessi,alla chiusura in un mondo fittizio separato dalla vita reale. :::

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