aperto solo il campo della simulazione in senso cibernetico» (ibidem). In Farmer «( ...) la macchina è stata espropriata dai suoi connotali tecnicoscientifici per divenire metafora dell'operabilità del mondo. (...) Ciò che conta per i Signori non è il sapere 'oggettivo' dei loro mitici antenati, ma le 'porte' di accesso fra gli infiniti mondi artificiali che essi hanno avuto in eredità, assieme alla consapevolezza che nessuno di questi mondi è quello 'vero'». (Carlo Formenti, « La Pelle della macchina», Alfabew n. 17, 1980) Gli universi tascabili sono un sistema di scatole cinesi di cui non ci è dato vedere la più piccola scatola generatrice. L'ultimo romanzo del ciclo, // Mondo di Lavalite, è addirittura un'autocitazione, una metafora del «colpo di scena» e dell'aleatorietà del codice della scrittura fantascientifica e della stessa opera farmeriana. L'universo tascabile di Lavalite ha un aspetto mutevole, strutture «geologiche» che cambiano incessantemente. Le montagne s'innalzano dalle pianure o sprofondano creando burroni nell'arco di una nottata. ascono oceani estesissimi in pochi giorni e ricoprono depressioni sorte dal nulla in poche ore. Giganteschi frammenti di Lavalite si staccano dalla massa principale del pianeta, dopo aver orbitato alcuni mesi, ricadono - cioè precipitano - provocando enormi sconvolgimenti nell'ecosistema. Un discorso che probabilmente -va oltre il simulacro è quello intrapreso da Farmer con il ciclo del Fiume. L'occasione di parlarne ci è data dalla recente uscita presso la Nord di una antologia abbastanza rappresentativa dello scrittore americano: Il Mondo di Philip }osé Far111er. Troviamo in essa, oltre alle solite ironiche banalità psicanalitiche e agli esperimenti/pastichcs cli riscritturacompletamento, anche un paio di racconti, abbastanza emblematici. che depongono a favore di un Farmer «post-moderno». el primo, La voce del sonar nella mia appendice vermiforme, ci troviamo di fronte al motivo borgesiano dell'Aleph, del rapporto conoscitivo particolare-universale, uno-tutto. Siamo in un futuro in cui il controllo genetico ha reso possibile il miglioramento e l'incanalamento della razza umana in ambiti evoluzionistici ben precisi. Nessun uomo nasce più con l'appendice ritenuta inutile e quindi dannosa. Appare un mutante con l'appendice. Gli viene asportata ed è un errore. In essa c'erano i segreti della Verità di tutto l'universo, un bit fisiologico che si rivela banca dei dati per l'intero «organismo» non semplicemenle umano, bensì sociale. Il secondo racconto è Riverworld e fa appunto parte del ciclo del Fiume. Riscontriamo nei personaggi che lo attraversano una stanchezza di vivere - che è stanchezza di avventure e di emozioni e quindi di «scrivere» dell'autore - unica, assolutamente originale. Essi desiderano la morte perché sono effettivamente immortali, al contrario dei Signori Fabbricami di Universi: uccisi più volte sulle rive del fiume, risorgono il giorno dopo in un punto imprecisato. Su di un immenso pianeta tutta la razza umana esistila fino a pochi decenni dopo il 2000 è risorta. Si trova sulle rive di un fiume lungo 40 milioni di chilometri, circondato da alte pareti scoscese. che impediscono di allontanarsi e obbligano alla percorrenza del corso d'acqua per gli spostamenti. Ritroviamo davvero tutti. dai primi umanoidi all'homo sapiens. 35 miliardi di persone. resuscitate dai misteriosi Etici. una superciviltà - che resta sempre indistinta sullo sfondo-avanzatissima scientificamente e immensamente progredita tecnicamente. Insieme alle persone reali sono risorti anche i personaggi dell'immaginario. Cosi accanto a Marx, Sir Richard Burton e Goering ritroviamo Tom Mix. Gli Etici hanno realizzato il sogno di Morin che vede a fondamento della sua società dell'informazione il determinismo genetico. il Dio leibniziano duale di Monod, direbbe Baudrillard. Per far rivivere gli uomini, non potendo utilizzarne i «resti>, registrano e programmano la materia vivente, ricreandola dal nulla. Se ciò è eccezionale per le persone esistite lo è ancor di più per i personaggi dei prodotti dell'immaginario. Si «presuppone» una registrazione informatica commutabile in linguaggio genetico: identità di significazione tra codice binario e DNA. Siamo in un punto più avanzato rispetto alla simulazione presente nei Fabbricami di Universi. Li Farmer attraversava lo Specchio (le porte) di Alice più volle con i suoi corni, il numero degli universi tascabili era solo un migliaio, limitato nei suoi movimenti. Nel ciclo del Fiume Farmer mo/- tiplica lo Specchio invece di oltrepassarlo. Rilancia la simulazione in una iper-simulazione, il reale diventa iperreale: sul mondo del Fiume si trova anche il lettore e lo stesso Farmer (lo scrittore americano lo dice esplicitamente). In certi romanzi esistono II universi, dimensioni spazio temporali dov'è possibile ritrovare personaggi immaginari in carne ed ossa. Per Farmer è diverso. È nel reale che si ritrovano i personaggi immaginari come se le 11 dimensioni (dell'immaginario e non dello spazio-tempo) raggiungessero il grado O. on c'è piu bisogno di cambiare spazio e dimensione, è 11enl ostro universo che l'immaginario copre perfeuameme il reale. Farmer sta costruendo la sua personale cana dell'impero con la stessa consapevolezza borghesiana che tutto ormai è stato detto e che non resta altro da fare che trovare la giusta, godibile, combinazione nella Biblioteca di Babele; dice un Signore: « on siamo creatori piu di quanto lo siano i narratori o i pittori. Anche loro fanno mondi, ma non riescono mai a fare piu di ciò che sanno. Possono scrivere o dipingere mondi basati su elementi noti, messi insieme in un ordine diverso, in un modo che li fanno apparire come creatori.> (Il Mondo di Lavalite, p. 111). Tempesltt.l~lplaelle " .... .,, ~ e S1eve11Spielberg Raiders of lhe Lost Ark, 1981 Milcs Davis The Man With the Horn Cbs, 1981 Brian Eno Mistaken Memories of Medioeval New York, 1981 e erte costruzioni arabe, di notte. I saloni di un aeroporto, uno stadio illuminato, le forme di ceni palazzi. Il bagliore di migliaia di neon che si stagliano direttamente sul cielo, plateau immensi punteggiati di tabelloni elettronici, strutture architettoniche che sembrano coniugare le moschee con le astronavi. L'impressione è quella di un grandioso progetto lisergico, di una Los Angeles improvvisamente stravolta da un soffio di magia, di un'anteprima vivente della terza puntata cli Guerre Stellari. Ed ecco allora che i più audaci prodotti del post-moderno, dell'effimero hollywoodiano e della nuova spettacolarità appaiono d'un tratto ipotesi davvero moderate. (Per non parlare poi di quanto-rnck, terzo teatro, avanguardia artistica - già da tempo ha finito di respirare). Ecco la sensazione che o la produzione di linguaggi sperimentali sa immaginare a questa altezza e con tanta grandezza, oppure è senz'altro il caso di cominciare a recensire le nuove metropoli arabe e africane che tracciano un folgorante punto di non-ritorno sulla mappa dell'immaginario. E qualcosa c'è, amiche dopo e oltre le Music For Airports, Apocalypse 1 ow, Remain in Light, 194 l, Possible Musics, che tanto ci hanno appassionato. C'è innanzitutto Mistaken Memories of Medioeval New York, intimo estatico ed etereo video di Brian Eno. Con una camera fissa sulle vette di 1 ew York e sugli spostamenti delle nuvole e delle luci e con una musica ~ impregnata di una fisicità volatile, Eno ""> spazia sulla stessa affascinante possibilità paradossale del David Byrne che cantava «viaggiamo su una strada quieta ... il sovraccarico». Così questo video è di una serietà interiore e formale che in apparenza sembra lontanissima da qualunque spettacolarità, ma che proprio nel suo distacco e nella sua astrazione mette a fuoco il più stupefacente dei progetti. Perché Eno guarda da un duplice punto di vista: dall'intimo di una stanza aperta sull'esterno, e dall'alto della città. E da questa visuale la metropoli gli appare sotto la luce di una possibile opera d'arte: come divincolata dalla sua rappresentazione retorica (quella dell'angoscia, della frenesia, dell'alienazione) e restituita alla purezza di un'immagine astratta e stilizzata. La metropoli non come luogo comune, ma come ambiente estetico. Poi c'è Raiders of the Lost Ark, di Steven Spielberg. Ed è davvero il più impressionante sovraccarico ritmico e spettacolare mai percepito dallo sguardo. Qui la traiettoria sembrerebbe opposta a quella di Eno: la trama e la macchina da presa non smettono un solo istante di abbandonarsi alla vertigine del movimento assoluto, e quanto ai luoghi comuni, investono lo schermo come una tempesta travolgente e forsennata. Ma dietro la spettacolarità furibonda di Spielberg e del suo Indiana Jones, ecco il lucidissimo progetto estetico: con la sua ubiquità geografica e atmosferica e la sua scienza degli effetti, Raidcrs of the Lost Ark è la metafora di un incontro senza precedenti, quello fra la condizione elettronica e la dimensione mitica e magica. Proprio ciò che consideriamo l'inizio del dopo. A desso Miles Davis. Dopo sei anni di silenzio, The Man with the Horn: e anche qui la musica prende forma a quel punto nevralgico dove la fase primitiva della cultura post-tecnologica si trova in perfetta sincronia con la fase futurista della cultura tribale. Sotto la superficie organica del ritmo, Miles Davis dà corpo alla sua intuizione originaria di uno scivolamento planetario nel quale il deserto arriva a invadere le strutture urbane e l'elettronica si estende all'emisfero tropicale. Ed è la stessa sensibilità per le com13olla ecag1 00187 o binazioni impreviste che anima il cinema di Francis Coppola. Un cinema che l'informatica, l'elettronica e la comunicazione planetaria in tempo reale stanno trasformando in arte del montaggio istantaneo. iente più sequenzialità, ma simultaneità. 1 iente più immagini, suoni, scenari, effetti, dialoghi, come parti realizzate separatamente e poi coordinate e contaminate; ma un linguaggio che si produce dopo, in uno spazio che l'elettronica ha liberato dalle identità specifiche e tramutalo in campo unificato di intensità. Si tratti allora di musica, di cinema o di performance, la grande possibilità da sperimentare è un'estetica delle congiunzioni più audaci e raffinate. L'inconscio e la pelle. L'elemonica e le culture magiche. E le metropoli e i deserti come opere d'arte; e dischi e film che connettano immagini e suoni prodotti in tempi e luoghi diversi e con diverse finalità. Un'estetica della grandezza progettuale, un'estetica degli incontri e un'estetica del montaggio. Dopo , ew York. Perché le nuove forme architettoniche arabe e africane fanno sembrare ormai i grattacieli come monumenti preistorici. Perché le astrazioni e le combinazioni planetarie non ammettono un territorio e un punto di vista unilaterale, sia pure il più avanzato. (E infatti anche il video di Eno è dall'alto che inquadra New York, e poi quella che ipotizza è evidentemente una New York deserta, ovvero abitata soltanto da chi sa viverla come possibilità sperimentale ed c<tetica). Dopo ew York. ma non ceno in direzione di altre località deputate; e con gli occhi aperti sulle metropoli tropicali, ma non certo come nuove residenze di un'intensità che non può che essere incondizionata, e non certo come segnali di un ritorno all'esotico, perché sia chiaro che non è di turismo hippy che vogliamo parlare, ma di nomadismo elettronico. Dopo I ew York e dopo l'Europa, allora. Che è come dire, con evidente schematizzazione, dopo lo spettacolo e dopo la cultura. Perché quando la tendenza sperimentale dispiega ritmi e percorsi imprevisti, le strade già definite diventano nel migliore dei casi inservibili, e quando poi oppongono a un divenire illimitato il proprio ordine, perfino restaurative. Che è proprio quello che sta accadendo nelle schermaglie intorno all'effimero e al postmoderno: conflitti - è la spiacevole impressione - per la supremazia su un territorio d'ordine e fra contendenti omologati dall'incapacità di pensare e vivere in termini di dopo. Infinito e istantaneo, l'universo elettronico annulla ogni distanza fra spettacolo e cultura, dissolve le unità di misura dell'effimero e dell'eterno proprio perché prescinde dalla logica stessa del tempo. coniuga in perfetta sintonia moda e sperimentazione. Infinito e istantaneo. E allora basta, davvero basta, con tutto ciò che - si chiami avanguardia. new entertainment o cultura di sinistra- ha la pretesa dissuasiva di ricondurre l'immaginario del dopo nell'alveo di un prima magari riassestato con una mano di maquillage post-moderno. 1 aturalmente adoriamo la spettacolarità in quanto condumice dell'imprevisto e perturbatrice della pelle, e la adoriamo perché «il meraviglioso è sempre bello, anzi non c'è che il meraviglioso che sia bello»: ma proprio per questo ci disgusta quella dilla tura della spettacolarità che produce un appiattimento sulla dimensione del quotidiano e offusca la qualità inventiva cd estetica. E naturalmente siamo ben lontani dallo sdegnare l'intelligenza culturale: ma il suo arroccamento accademico e moralista, questo no, e no alla logica della memoria storica, e no ancora all'atteggiamento colto senza l'intensità vitale di accendere luci e suscitare eventi. Insieme, allora? No, proprio dopo. Perché se c'è qualcosa che con l'immaginario elemonico e planetario non ha davvero nulla a che fare, sono proprio le formule pacificatorie. E cultura più spettacolo è proprio il genere di operazione meccanica e prevedibile che non fa scattare alcun effeuo di intensità. Con Eno e Coppola, David Byme e Spielberg, Miles Davis e Wim Wenders, si è finalmente cominciato qualcosa che è al di là della cultura e dello spettacolo, qualcosa dove la distinzione fra cultura e speuacolo e le loro stesse identità sono ormai completamente estinte. Q ualcosa come la superficie e la profondità di un flusso, o di un corpo, o di un amore. Dove tutto passa dappertuuo, e distinguere dove finisce la superficie e comincia la profondità è perfettamente inutile e impossibile. Come la corrente e l'onda, che non smettono un solo momento di scambiarsi posto e proprietà. Ed è proprio l'aueggiamento della corrente nei confronti delle onde a rendere l'immagine più nitida del rapporto che passa fra la sperimentazione più raffinata e la moda più istantanea. C'è nella moda, come c'è anche nei media elettrici, una rapidità metamorfica che produce la stessa ricomposizione sensoriale dei nuovi progetti sperimentali. Non si tratta allora di usare la moda e i media né tantomeno di rappresentarli (come crede una speuacolarità senza qualità che ha il suo mediocre capostipite in Andy Warhol). Passare sulla moda e fare moda, invece, e proprio con gli eventi sperimentali più ricercati e inattesi. Produrre mode proprio come un volo produce la sua scia, una corrente produce la sua onda e un corpo produce la sua immagine. Ecco allora una sperimt:ntazione che a prima vista può assomigliare al superfluo. E vi assomiglia senz'altro nel senso che si muove incondizionatamente fuori dall'epicentro dell'esistente quotidiano, e dei suoi bisogni, dei suoi rapporti, delle sue compatibilità. Ma qui c'è qualcosa che traccia un'incolmabile e incommensurabile distanza di qualità dal superfluo. Qualcosa che si chiama passione, intensità /grandiosità di orizzonti. Qualcosa che si chiama estetica. Chi è dentro all'immaginario del dopo sa bene di cosa sto parlando.
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