Alfabeta - anno III - n. 28 - settembre 1981

l'irrazionalismo Il testo qui presentato è stato letto in occasione del Convegno sulla filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, organizzato dall'Istituto di Filosofia della Università di Napoli, e tenutosi a Capri dal 13 al 16 giugno '81. 1) Irrazionalismo, storicismo, egemonia I J etichetta «tendenze irrazionalistiche» non indica un sei/ore I. definilo e facilmente riconoscibile della filoso Jia italiana. Tuttavia sembra di poter assumere che tale etiche/la alluda a un insieme di fenomeni che si sono individuati e accentuati soprallullo nell'ultimo decennio, e che hanno da fare, anzilutto, con la discussione intorno ad autori come Heidegger e Nietzsche, da un lato, o come Derrida, Deleuze, Lacan, Foucault, fino ai più recenti Baudrillard e Lyotard, dall'altro; e ùzoltre con il dibattito ùztorno alla cultura viennese dei primi decenni del secolo e con la ripresa di tematiche non strettamente marxiste presenti nella teoria crilicafranco/ortese. Si tratta, come si vede, di una congerie di elementi assai disparati, il cui denomùzatore comune si potrebbe indicare con l'espressione «crisi della ragione», che ha fatto da titolo a una fortunata raccolta di saggi, alcuni dei quali, almeno, si collocano entro il campo che stiamo cercando di definire. Per delimilare almeno all'ingrosso tale campo, si potrebbe dire che rientrano tra le «tendenze irrazionalistiche» tutte quelle posizioni filosofiche che si costruiscono intorno al rifiuto polemico di quella che ormai si usa chiamare la ragione classica, (che, occorre appena precisarlo, è a sua volta un tipo ideale costruilo ÙI sede crilica molto più che la descrizione obietliva di un ùzsieme di dati storici determinati). Per ragione dassica si ùztende, ùzquesta terminologia, l'idea che il mondo sia un sistema di cause ed effetti ricostruibile secondo una rigorosa applicazione del Satz vom Grund, del principio di ragione sufficiente proprio nei termini ùz cui lo ha descritto Heidegger, come , la legge che organizza il dispiegarsi della metafisica nell'organizzazione scientifico-tecnologica moderna. Il corrispellivo dd mondo metafisico della oggettilà è il soggetto inteso come il soggetto dell'oggetto, nel duplice senso genitivo, come caratterizzato da una volontà di dominio che si attua, appunto, nella tecnica,ma insieme suscettibile anch'esso di divenire oggetto di manipolazione e condizionamento, dunque di cadere ùz possesso dell'oggetto. Sarebbe dunque possibile, forse, cercare di presentare un quadro delle «tendenze irrazionalistiche» della filosofia italiana recente dipanando semplicemente il contenuto della nostra immediata «precomprensione» di questo termine ambiguo e sfuggente, cominciando con il catalogare le tematiche, le terminologie cara11eristiche,gli autori e le correnti della filoso Jia europea antica e recente con cui tali tendenze dialogano di preferenza. Il rischio sarebbe però di ridursi a una ricognizione esclusivamente rapsodica di un campo che, non essendo ancora stato storiograficamente sistemato, continuerebbe ad apparire ùzdefinilo, casuale, improbabile. E, comunque, una tale esplorazione rimarrebbe inevilabilmente superficiale o ùzcompleta nei limili di una comunicazione come questa. Rilengo perciò più utile, rùzunciando a ogni pretesa di completezza narrativa e a una schedatura di autori, opere, correnti, tentare di proporre, sulla base di quella che credo di poter assumere come una precomprensione comune del tema, alcune ipotesi per una prima sistemazione, e anche delimilazione, di questo campo. Se pensiamo, anzilutto, ai fenomeni che immediatamente vengono in mente quando si parla di irrazionalismo nella recente cultura italiana, appare chiaro che, ÙI questa cultura, tale categoria è largamente improntata nel senso attribuilo/e da Luluics nel suo libro su La distruzione della ragione ( 1954, tradotto da noi nel 1959), le cui tesi erano però già ÙI buona misura presenti in saggi precedenti del filosofo ( uno dei quali, La crisi della filosofia borghese e le filosofie della cris~ tradouo nel 1947 sul Politecnico di Viltorini). Non che ci siano filosofi che si dichiarano irrazionalisti, nel senso definito da Lukacs o ùz altri sensi: irrazionalismo· è sempre un termine usato in senso polemico, descrive posizioni da rifiutare e rischi da cui il pensiero viene messo in guardia. Proprio per questo, l'unico modo di parlare di irrazionalismo con I qualche senso è cercardi vedere quale è il significato della «ragione» , contro cui esso si costruisce. Ora, l'irrazionalismo italiano corri- , sponde abbastanza bene all'immagine dell'irrazionalismo costruita i da Lukacs perchè la ragione che costituisce il suo altro, il suo : bersaglio polemico, è fondamentalmente la ragione della storia, la razionalilà storica che costituiva uno dei dogmi dell'idealismo e poi, in forma diversa, del marxismo, almeno di quello ortodosso lukacsiano. L'irrazionalismo ilalianÒ, se ce n'è uno, non è anzilutto il , rifiuto della razionalilà della scienza e della tecnica, bensl anzitutto il rifiuto della razionalilà dialettica della storia. Ciò vale almeno, sicuramente, per le tematiche irrazionalistiche dell'esistenzialismo degli anni quaranta e cùzquanta; ma vale anche, credo, per le tendenze irrazionalistiche che si sono evidenziate più di recente. In queste, è ùznegabile che l'attenzione per la razionalilà scientifica e per i processi di razionalizzazione ùzdolli con la tecnica nella vila sociale è enormemente più sviluppata; tuttavia si traila sempre di una attenzione mediata dall'ùzteresse per il significato Gianni Vattimo storico e polilico della scienza e della tecnica, mai di una messa in questione del valore conoscitivo della scienza matematica, conuapposto, poniamo, al potere di penetrazione dell'intuizione. (Anche qui un modello lukacsiano c'è, ed è quello della critica del/' ogge11iviSmo scientifico borghese condo/la in Storia e coscienza di classe). La recente popolarità, in Italia, di autori come Thomas Kuhn, Paul K. Feyerabend, Imre Lakatos mi sembra indicare bene che anche il dibattito in largo senso epistemologico è sempre mediato da una presa di consapevolezza delle relazioni tra metodi scientifici e orizzonti storico-culturali, fuori da ogni astratta impostazione gnoseologistica. Una prima ipotesi che propongo è, dunque, che le tendenze irrazionalistiche presenti nel pensiero italiano siano da intendere come espressioni di momenti di crisi dello storicismo. Ciò spiegherebbe anche perché la questione dell'irrazionalismo, e il termine stesso, abbiano una attualilà assai scarsa o nulla fuori dalla cultura italiana. Anche senza esagerare il peso del neohegelismo italiano della prima metà del secolo, sembra evidente anche da questo fallo che tale peso ha comunque agito nel senso di improntare profondamente in senso storicistico la nostra cultura filosofica; la stessa egemonia culturale del marxismo negli anni cinquanta e sessanta si spiega, almeno in buona parte, come proseguimento di questo orientamento storicistico di fondo in altre forme. .Mr:--1>1·,; 'l.!::.•·-rud uln.qur ,..,,/r.1· ,:..•r/11.11r1r.t,17Ym,1,.,/., ,-,./Ju., Orrrru« nuru· r._n·euut-. criluJ ,1di1 7w,,/?..1J - -...... : ·":-. ::;,, ,i,u",rl I~~; t",r t.1l;n1,r f,mf • un~ rnàlli,·I; Jji,rd .,JJ,~""I. Goffried Eichler il Giovane, incisione (/758-1760) li comune riferimento polemico alla razionali1àdella storia costiwisce anche, nell'ipo1esi proposta, l'elemento di continuità -l'unico possibile, probabilmente -tra gli elementi irrazionalistici presenti nel pensiero italiano degli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale e le varieforme di irrazionalismo (le virgolette sono sempre di rigore) sviluppatesi nei decenni più recenti. Se però la continuità è rappresentata dal fatto che, in entrambe queste fasi, l'irrazionalismo si presenta come momento di crisi della fede in una razionalilà della storia (con tutte le implicazioni, anche poliliche, che questo comporta), sullo sfondo di tale continuità si delinea anche una radicale differenza, che può aiutare in modo determinante ad articolare meglio ilpanorama delle nostre tendenze irrazionalistiche. Mentre la prima fase, quella degli anni immediatamente successivi alla guerra, è sopratutto negazione dello storicismo idealistico, tanto che molti degli argomenti della sua polemica sono comuni ad esistenzialismo e marxismo (conformemente alla originaria vicinanza di Kierkegaard e Feuerbach nella politica contro Hegel, vicinanza del resto chiaramente rilevata e crilicamente messa a frutto da alcuni degli esponenti più significativi della prima stagione esistenzialistica italiana, comé Luigi Pareyson, la seconda fase si costruisce anzitutto come crisi e negazione dello storicismo marxistico. Rispetto all'esistenzialismo degli anni quaranta e cinquanta, o a gran parte di esso, il marxismo italiano funziona grosso modo nel senso descritto da Sartre nella Critica della ragione dialettica; assume e riporta su un piano più sistematico, filosofico e non più solo ideologico, le esigenze di concretezza e il richiamo all'«irrazionale» falli valere dall'esistenzialismo. La seconda fase, invece, coincide quasi totalmente con l'ondata in crisi dello storicismo marxista; una crisi che non è un fatto soltanto italiano, ma che in Italia, ancora una volta, assume una colorazione peculiare proprio perché si verifica in un ambiente culturale dove lo storicismo non è solo un orientamento fra gli altri, bensì una sorta di elemento comune del pensiero, e anche della teoria e dell'azione politica. Tra la prima e la seconda fase di questo «irrazionalismo» italiano si colloca un momento in cui le tematiche irrazionaliste appaiono meno presenti nel dibattito filoso fico: negli ultimissimi anni cinquanta e sopratullo nella prima metà dei sessanta (ma qui le cronologie sono difficilmente delimitabili) si parla assai meno dell'esistenzialismo, e la scena è dominata dal marxismo o dal suo grande antagonista, il pensiero cattolico; e, in misura minore, da altre «risoluzioni» positive delle tematiche esistenzialistiche, come il neoilluminismo di Abbagnano e la fenomelogia di Paci, che intrattengono del resto, sopratullo quest'ultima, intensi rapporti con il marxismo. Comunque si vogliano fissare i limiti cronologici e il significato di questi orientamenti, pare innegabile che alla prima fase dell'irrazionalismo italiano, quello dell'esistenzialismo anni quaranta-cinquanta, sia succeduto un imporsi di prospettive più sistematiche, sopratutto del marxismo, che, secondo un modello chiaramente dialettico, avevano assorbito e risolto sul piano di una razionalità «superiore», cioè meno dogmatica e formalistica, le istanze « irrazionali» (perché escluse) fatte valere dall'esistenzialismo contro lo storicismo idealistico. Il sorgere di una seconda fase dell'irrazionalismo italiano si ha quando, per una serie di ragioni largamente extrateoriche -che però non determinano il mov~mento del pensiero solo dall'esterno ma lo qualificano esprimendosi in una nuova gamma di contenuti - lo storicismo marxista va in crisi. Alle esigenze in largo senso «irrazionali» falle valere dalla polemica, principalmente esistenzialistica, contro l'idealismo, il marxismo italiano aveva risposto con una teoria e una pratica che assorbivano, o intendevano assorbire, tali istanze nel quadro di una più ampia e articolata razionalità storico-materialistica. Questa razionalità viene concepita come lo sviluppo e l'inveramento, in qualche modo, della vocazione laica e mondana che già la storiografia idealistica aveva individuato nella tradizione italiana, dal Rinascimento al Risorgimento, e che si trailaora di riconoscere epromuovere non più solo nella borghesia, ma nel proletariato della città del Nord e delle campagne del Sud, in una linea di sostanziale continuità, la quale dovrebbe anche garantire che la rivoluzione socialista in Italia non si presenti come un fatto violento imposto dall'esterno, ma come uno sviluppo normale, di una logicità storico-dialellica, della più autentica tradizione della nazione. Tullo questo si può agevolmente leggere nell'insistenza di Gramsci sul nazionale-popolare e sulla nozione di egemonia, che forniscono i quadri di legillimazione alla politica toglialliana. Le discussioni sulla «nuova composizione di classe» che si sviluppano nella sinistra intorno al sessantotto annunciano però la crisi teorico-pratica di questa prospelliva dell'egemonia: il nuovo proletario industriale, che ha perso il suo radicamento culturale contadino senza acquisire un'altra vera cultura nelle grandi cillà del Nord in cui è immigrato, non fornisce più una base sociale al disegno di continuità della prospettiva gramsciana dell'egemonia. Con questa prospettiva, però, va in crisi più o meno immediatamente ed esplicitamente anche ogni idea di una razionalità della storia: là dove essasopravvive, assume la forma di un dogmatismo esasperato, che nella sua astrauezza si accompagnerà a un assoluto volontarismo e andrà a fare da supporto teorico al terrorismo armato. Proprio questo nuovo proletariato separato da ogni possibile continuità «storistica» - o almeno la sua leadership intelle11uale - comincerà a leggere, per dire un nome, Nietzsche, o alrri autori tabuizzati dall'ortodossia lukacsiano-gramsciana che ha esercitato un largo predominio tra gli anni cinquanta e sessanta (le vicende relative alla traduzione italiana di testi di Nietzsche e Heidegger, sono ricche di insegnamenti in proposito: Holzwege, per esempio, e sarà certo un caso, esce finalmente in Italia nel I 968, dopo che la traduzione, pronta da varianni, è passata in mano a diversi editori). Se vale l'ipotesi che le due fasi dell'irrazionalismo italiano di questi ultimi tre decenni siano espressione di due diversi momenti di crisi dello storicismo, idealista e marxista, e che il passaggio alla seconda fase coincida con la messa in questione teorico-pratica del/'egemonia, ci sarà da aspettarsi anche che questi momenti presentino soslanzialidifferenzesulpianodei conlenwiteorici. li primomomento, nella misura in cui, di fallo, si è concluso con la « risoluzione» delle istanze irrazionali in prospettive sistematiche più comprensive, si lascia ancora pensare secondo un modello dialettico. Detto in altri termini: l'esistenzialismo degli anni quaranta e cinquanta era in larga parte. polemica contro lo storicismo idealistico, proprio in quanto idealistico più che in quanto storicismo. Si potrebbe portare a riprova il fatto che a/Iraverso l'esperienza dell'esistenzialismo, o comunque delle sue istanze irrazionali, passarono molti pensatori poi confluiti, molto coeremente, nel marxismo (come distinguere per esempio, nonostante le intenzioni dell'autore,

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