Alfabeta - anno III - n. 26/27 - lug.ago. 1981

dalla trasmissione in tempo reale dei dati informativi, o dei dati finanziari ecc. Quanto tempo occorre perché una lotta operaia si comunichi e si trasmetta da una fabbrica Fiat di Torino ad una fabbrica Fiat del Sudamerica? E quanto tempo occorre invece perché un'informazione finanziaria trasmetta i capitali Fiat da una parte all'altra del globo, modificando equilibri, rapporti, condizioni di vita e di movimento? Interpenetrazione del Militare e del Tecnologico. Pensiamo all'alternativa: è la tecnologia che si militarizza od il militareche·si tecnologizza? In effetti, la militarizzazione della tecnologia (il fatto che la tecnologia acquisisca e metta sotto il suo comando la telematica e l'informatica, il fatto che la ricerca venga militarizzata, e che i circuiti veloci di informazione e di trasporto vengano sottoposti a controllo militare) produce una indiretta militarizzazione delle condizioni- tecnologichedi funzionamento della società e della vita quotidiana. Per questa via il Militare si incarna nel sociale, rinuncia ad un Governo Politico sul sociale, perché non si tratta di governare militarmente il sociale. Si tratta di militarizzarlo. Di rendere militare il suo funzionamento, le sue linee di semiotizzazione, il suo linguaggio, i suoi punti di interconnessione. Di conseguenza il Militare si tecnologizza. Prove di questo processo le troviamo ormai in ogni momento. Il fatto che ogni decisione relativa alla politica dell'energia sia, ad esempio negli Usa, di competenza del Ministero della Difesa, ma ancor più il fatto che le quote di ricerca direttamente finanziata ed asservita al militare tendano a crescere in tutto il mondo, sono sotto i nostri occhi. Il ritorno della guerra fredda e la bellicizzazione delle relazioni internazionali, se non ha questa intenzione esplicitamente, comunque sortisce questo effetto in maniera quasi automatica. A bbiamo cercato di seguire alcune linee di formazione della società post-moderna partendo (esplicitamente od implicitamente) da sollecitazioni che ci provengono dal discorso di William Burroughs. Dobbiamo a questo punto porci di fronte ad una questione che il pensiero europeo si sta ponendo in questo momento. Il totalitarismo post-moderno costituisce un sistema definitivamente chiuso nel quale le condizioni materiali e culturali della Liberazione sono tolte di mezzo? L'universo chiuso del Dominio Totale tende dunque ineluttabilmente a realizzarsi? L'intelligenza europea (illuministica_o dialettica, comunque fondata sulle modalità della ragione discorsiva) sembra sconsolatamente rispondere di si. E si unisce al coro della Depressione contemporaneamente. Che il post-moderno suoni campane a morte per la ragione illuministica come per la Dialettica del superamento è assai probabile, anzi comincia ad apparire certo. Che il funzionamento della società post-politica butti nella pattumiera i politici della sinistra, riformista o rivoluzionaria, è oltre che probabile auspicabile. Cbe le linee di formazione dell'immaginario collettivo post-moderno lascino poco spazio (e comunque uno spazio del tutto ineffettuale) alla Ragione critica, mentre i vettori di formazione dell'immaginario collettivo - suono immagine, droga - tendono a costituire le premesse di un immaginario mitico e di un pensiero magico-video-elettronico è possibile. A noi interessa ripartire di qui, senza depressione e senza paura. Tanto per cominciare,mettendo in questione l'ipotesi-cara alla tradizione occidentale, critica e dialettica - secondo cui soltanto il pensiero critico costituisce la condizione della liberazione. Ed anche a questo livello ci sembra che il discorso di William Burroughs abbia molte cose da indicarci. Ecco che qui, dove il discorso di William Burroughs sembra disegnarsi come descrizione di un universo totalitario senza vie d'uscita - scopriamo invece che la condizione post-moderna si rivela disperata solo per chi non possa liberarsi dalle categorie della modernità, le categorie dell'epoca della Politica. Alla dualità dialettica Burroughs sostituisce la molteplicità e la proliferazione. I personaggi di William Burroughse lo vediamo anche in questo suo recentissimo The cities ofthe red night da poco uscito a New York - i personaggi dei suoi romanzi sono personaggi ambigui o proliferanti perché la condizione post-moderna, per quanto priva di risvolti dichiaratamente positivi contiene però le premesse di un processo di liberazione, le prospettive di una proliferazione le cui possibilità si delineano nello sviluppo stesso di un Postmoderno/Moderno (11) enorme potenziale di intelligenza e di ricchezza tecnologica. Di per sé, la tecnologia non apporta nessuna salvezza. Al contrario. Le sostanze che mutano il funzionamento òel corpo e del cervello; le tecnològie che mutano le condizioni di comunicazione e dunque di interazione, sono (abbiamo detto) i due fattori determinanti del controllo totale. Ma proprio questi due fattori funzionano in modo ambiguo, non univoco, non piatto; disegnano una curva in cui il funzionamento esistente e dominante (legato all'uso sociale controllato dal potere) cela (e contiene come potenzialità) un altro funzionamento, anzi molti altri funzionamenti possibili. Ma dove stanno i germi di questa autonomizzazione, quali sono le figure sociali che sono portatrici di queste potenzialità, oggi che - almeno cosi sembra- la classe operaia rivoluzionaria è stata sconfitta da un'offensiva capitalistica planetaria il cui esito stiamo misurando giorno per giorno in termini di repressione e di licenziamenti, di arroganza borghese e di violenza imperialista sovietica ed americana? Tutto sembra disegnarsi come sconfitta, ed impotenza, ma il percorso dell'autonomizzazione forse inizia solo oggi a costituire le sue basi più solide - a dispetto dell'apparenza e a dispetto della depressione che colpisce intellettuali poco intelligenti e rivoluzionari col fiato corto ed i nervi fragili. La figura sociale dell'autonomizzazione è al lavoro- con metodo, e senza fretta - in un 'area produttiva che è già fuori dall'ambito del lavoro manuale e del lavoro di fabbrica, in un territorio che non è più limitato nazionalmente, con modalità epistemologiche e concatenazioni che sono già esterne all'ossessione razionalistica e monista (o dualista, che in fondo è lo stesso) della ragione politica europea. Questa figura sociale è il prodotto più astratto e più ricco del processo di produzione capitalistica, e contemporaneamente se ne colloca fuori, nelle sue possibilità e nella conformazione del suo Sapere: è il lavoro intellettuale, tecnico-scientifico ed artistico, iJ lavoro dell'innovazione e della sperimentazione. Il lavoro che abolisce lavoro - di cui il capitale ha bisogno e terrore al tempo stesso, costretto com 'è ad utilizzarne la capacità ed a regolamentarne l'attività in modo rigoroso, attraverso le procedure del segreto, della specializzazione, della parcellizzazione, della militarizzazione e cosi via. Un discorso sulla funzione attuale e sulla funzione possibile dei produttori di innovazione, degli artisti degli scienziati e degli sperimentatori è il problema che l'analisi di classe deve riuscire ad affrontare per misurarsi con la condizione post-moderna. Costoro rappresentano il settore sociale e produttivo essenziale per il passaggio capitalistico in corso; ma allo stesso tempo si riconoscono inmodo crescente come lo strato dell'autonomizzazione, e fanno del nomadismo.la loro caratteristica di s-definizione territoriale. Ilfascinodell'ombra J. Habermas «Moderno, postmoderno e neoconservatorismo>, in Alfabeta n° 22, marzo 81 G- E. Simonetti «Servire ciò che splende>, in Alfabeta, n° 24, aprile 81 T. Sheehan «La nuova destra francese», in AJr2heta, n° 23, aprile 81 E. Filippini «Camerati pagani>, in La Repubblica 15/4/81 K. Kerenyi Miti e misteri Torino, Boringhieri, 1980 pp. 486, lire 8.500 M. Eliade Storia delle credenze e delle idee religiose Frrenze, Sansoni, 1980 voi. 2° pp. 534, lire 22.000 I discorsi sulla nuova destra sembrano spesso rivolti a nuora perché suocera intenda: l'attenzione si concentra su quelle idee della nuova cultura di destra che echeggiano temi e suggestioni che provengono anche da tutt'altre sponde politiche, in particolare dai teorici del postmoderno, promotori di una discussione sulla crisi c sul rinnovamento della cultura di sinistra poco gradita ai custodi dell'ortodossia (categoria in continua espansione, anche perché le ortodossie da difendere non si contano più). Anche nel testo di Habermas con il quale Alfabeto ha aperto il dibattito su moderno e postmoderno («Moderno, postmoderno e neoconservatorismo,., Alfabeto n° 22, marzo 81) il «postmodernismo> viene associato ad una connotazione culturale conservatrice. Habermas fa l'apologia della modernità, che egli intende come «coscienza di un'epoca>, capacità sempre rinnovata di definire un progetto storico, capacità che trova la sua espressione paradigmatica nel «progetto dell'illuminismo>. Certo, questo progetto si è impoverito, mostra in più punti la corda; ma, pur riconoscendo tutto ciò, Habermas lo sostiene contro i «presuntuosi programmi del suo superamento». Fra questi, egli annovera l'antimodernismo dei «giovani conservatori», appellativo riservato a Foucault, Derrida, ed al precursore Bataille (quindi, implicitamente, a Lyotard, Deleuze, Baudrillard). Essi sono rei di «contrapporre in modo manicheo alla ragione strumentale un principio aperto solo all'evocazione, sia essa la volontà di potenza, la sovranità, l'essere o una forza dionisiaca del poetico». arrcn- -..,<e,f1Ì,rand1 Carlo Formenti dendosi così al fascino del «lontano» e dell'«arcaico», e quindi - per Habermas la conclusione parrebbe automatica - al pensiero neoconservatore. Più duro l'attacco portato da Simonetti nel suo lungo articolo sulla nuova destra («Servire ciò che splende», Alfabeto n° 24, maggio 81). Simonetti non va per il sottile: nuova destra e teorici del postmoderno vanno a braccetto nella misura in cui entrambi si oppongono alla dialettica hegeliana, unica custode del givenire storico; la prima evocando il ritorno a rappresentazioni cicliche del tempo, i secondi rispolverando il kantismo. Civettando con le mode culturali, i promotori delle varie crisi della ragione e del moderno aprono le porte al fascino arcaico dei miti della destra. Simonetti invita perciò a serrare le fila, contrapponendo alle nuove idee-forza della destra una idea-forza di comunismo restituita a tutto il suo splendore terzinternazionalista . JJom<'llico Va11ti11i Si tratta di capire se un rapporto fra le idee della nuova destra e quelle del «postmodernismo» esista effettivamente; ma, soprattutto, si tratta di capire se il pericolo stia in questa possibile relazione, o non, piuttosto, nello zelo controriformista con cui si perseguono gli «eretici». Alcuni spunti interessanti di riflessione possono venire da due articoli che si occupano della nuova cultura di destra senza intervenire direttamente sulle sue relazioni con altre posizioni filosofiche e politi-. che: mi riferisco all'articolo di Filippini su la Repubblica del 15/4/81 «Camerati pagani») e a quello di Sheehan suAlfabeta n°23, aprile 81 («La nuova destra francese»), che analizzano entrambi in particolare il pensiero di de Benoist. F ilippini sembra in qualche modo condividere certe preoccupazioni sulla coincidenza fra nuovi sviluppi della cultura di destra e il travaglio I i:imw Vccclliu di una cultura di sinistra che, dopo la crisi dell'illuminismo e del marxismo, ha ora prodotto la crisi dello stesso concetto di crisi. Tuttavia il suo articolo ha il merito di non lanciare generici appelli alla ricostruzione di un muro compatto a sinistra contro il rinnovato pericolo nero, ma di concentrare piuttosto l'attenzione sul nucleo centrale del fenomeno in questione: il tentativo di opporre strumentalmente mito e logos. Filippini cita l'esempio della contrapposizione, operata da de Benoist, fra il mito germanico di Odino e la religione ebraico-cristiana: mentre la seconda ha fondato il regno del Verbo, il dominio della logica discorsiva, a partire da una ontologia dualistica, dalla separazione Dio-Mondo, e da una etica dominata dalla cattiva coscienza e dal sacrificio; il primo sarebbe il prototipo di un atteggiamento magico nei confronti del mondo che mira ad una condizione di unità ed armonia fra divinità, uomo e natura. Filippini osserva giustamente che tale tesi sorvola sulle modalità di acquisizione del potere magico da parte di Odino: egli lo ottiene sacrificandosi a sé stesso, appeso all'albero del mondo. Possiamo approfondire il rilievo critico. Il tema dell'appeso, del non essere né in cielo né in terra, è ricorrente in molti miti dedicati a figure divine con caratteristiche «lunari», per lo più investite di funzioni di mediazione fra ralto e il basso, fra mondo umano e uivino. Analizzando uno di questi miti, 4uello di Prometeo, Kerenyi (cfr. Miti ,. misteri, Boringhieri) mette in luce le differenze di significato fra il sacrificio cristiano e pagano. Il sacrificio di Cri- ,to è un tentativo di risolvere, o almeno di attenuare, il dualismo, allude ad un «equilibrarsi, quasi, della differenza fra Dio e uomo»; l'atto con cui

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