li testo di Tagliaferriqui presentato è stato /etio al convegno «In labirinto», tenutosi a Milano il 12-14 giugno, in occasione della mostra omonima, inaugurata il 15 giugno. Al convegno sono intervenuti, tra gli altri, Stefano Agosti, Achille Bonito Oliva, Umberto Eco, Angus Fletcher, Hermann Kern, Tito Perlini, Gianni Scalia, Paolo Santarcangeli,Emanuele Severino. La mostra, composta di una parte storica («Labirinti, forme e interpretazioni. 5.000 anni di presenza di un archetipo»), e di una parte contemporanea («Luoghi del silenzio imparziale. Labirinto contemporaneo»), si chiuderà il 30 agosto. L a collocazione del Labirinto come immagine mitica ci sembra un compito infinitamente più importante di quello di una localizzazione topografica o di quello di una identificazione architettonica, e perciò loscopo della nostra indagine sarà di interpretare il senso di questa figura in quanto riflesso di una forma della psiche. Diciamo subito che l'assunto, lontano dal dispensarci dal considerare le origini determinate, storiche e geografiche, di questa costruzione, ci obbliga anzi a concentrare l'attenzione esclusivamente sul mitico labirinto di Cnosso, nel tentativo di coglierne allo stato nascente l'insorgenza dell'immagine nel mondo occidentale. La considerazione preliminare necessaria è che il protolabirinto si situa in un luogo e in un momento di incontro tra due serie di contrapposizioni, i cui termini volta per volta andremo sovrapponendo, e in un luogo e in un momento di trapasso dall'una all'altra serie. È tuttavia indispensabile prem~ttere, a modo di introduzione, alcuni contenuti di queste due serie. . Possiamo incominciare col r1cordare la posizione geografica dell'isola di Creta, tra il Medio Oriente mediterraneo pre-ellenico, anatolico-egeo, e la Grecia, e quella storico-geografica del mondo minoico tra la cultura ginecocratica in lento declino e quella androcratica subentrante ad opera dello specifico contributo ellenico. La seconda cultura si innesta sulla prima gradualmente; un elenco di importanti divinità maschili greche, con in testa Dionisio, Zeus e Apollo, sono nate a Creta, o di qui sono transitate. La divinità maschile, prima in condizione di paredralità rispetto alla Grande Madre, alla Dea Terra, alla Potnia mediterranea, si affranca da questa posizione subalterna collocandosi nel nuovo assetto che sarà quello olimpico, che relegherà sempre più i resti di questa operazione di rimozione (la Grande Madre Terra e le divinità ad essa rimaste unite) alla condizione ctonia, infernale, tenebrosa. Abbiamo parlato di una posizione storica del mondo minoico in attesa di poter essere più precisi. In verità la posizione è propriamente a cavallo tra preistoria e storia, infanzia e maturità, fetalità e nascita, silenzio e parola. Siamo arrivati con ciò a un terzo gradino nelle equazioni tra i termini delle due serie contrappositive . .__Quando Hermann Kern ci ricorda che «non abbiamo fonti minoiche ma solo greche» 1 evoca tra le righe questo grandioso scontro, questo impatto, questo squilibrio che non può essere solo casuale, ma avviene tra una civiltà fondata prevalentemente sull'oggetto, sul vivente, sul mistero, e la successiva civiltà fondata prevalentemente sul significante, sul nome, sul dicibile. Prima di poter parlare propriamente del Labirinto siamo costretti a soffermarci su questa nuova importante contrapposizione tra il silenzio cretese e la parola greca, tra il vivente e il significante, tra il diretto e l'indiretto. Il nome che in senso hegeliano «toglie» un vivente e lo sostituisce, il linguaggio che sacrifica la cosa per farla rinaséere a una nuova forma di realtà operano un trapasso che si sovrappone sia al sacrificio dell'albero e del toro, che consente a Creta la civiltà, sia al passaggio dall'albero-dio e dal torodio a forme più metaforiche di realtà divina a partire da quella del dio anlilabirinto che-albero e del dio anche-toro. Ma questi trapassi non sono né rapidi né definitivi. L'incontro delle due serie, l'elenco dei termini delle quali riprenderemo più tardi, si verifica abbastanza originariamente, soprattutto nel suo aspetto mitologico, in tre luoghi: a Tebe, a Delfi e a Cnosso. In questi tre luoghi si costituiscono i più vistosi emblemi della duplicità (sdoppiamento in luce e tenebra, conscio e inconscio, parola e silenzio) e della ricomposizione in uno dello sdoppiamento. In tutti e tre i luoghi questi significanti del trapasso tra fetalità e nascita, infanzia e linguaggio, tenebra e luce, assumono l'aspetto ibrido, composito, dell'umano e del teriomorfo insieme. A Delfi la Pizia partoriente il vaticinio rappresenta l'antica dea pitonessa uccisa dalla freccia-parola di Apollo. A Tebe la fanciulla-cagna, la Sfinge, ripropone il Labirinto come Enigma. A Cnosso, l'uomo-toro, il Minotauro, materializza intorno a sé l'enigma mortale. In tutti e tre i luoghi, c'è la presenza vasta, opaca, persistente, nascosta, di Dionisio. A Tebe, dove Dionisio rinasce. in forma di tavola di legno. forse Pù!ll'r 1-'au/ Rubt!ns esorcizzato dall'associazione della tavola con quelle destinate alla scrittura del linguaggio alfabetico; a Delfi dove lo stracotto del dio restituito da Apollo bolle in segreto (a quanto si è recentemente intuito )2 nel calderone del tripode della Pizia (dal quale potrebbero provenire i famosi vapori); a Cnosso, dove Kerényi e Colli lo identificano tout court con lo stesso Minotauro. In realtà Dionisio è anzitutto albero e toro, e questa sua partecipazione all'aspetto umano nel Minotauro è già risultato di quell'incontro di termini antitetici che produce anche il Labirinto. La specificità del Labirinto e l'indizio della sua probabile maggiore originarietà sta in questo, che, mentre la transizione dall'utero alla nascita, dal silenzio alla parola, a Tebe e a Delfi, è conservata anche e soprattutto nella ambiguità del linguaggio (enigma della Sfinge, parola vera contesa tra Edipo e Tiresia, obliquità oracolare di Apollo o!;ias, a Cnosso essa è resa. pre-linguisticamente, solo con l'immagine dell'edificio e del mostro ibrido, e le vicende del mito. Per accostarci al mostro e alla sua casa abbiamo molto affrettatamente percorso una strada lunga, che non sarebbe completa se non accennassimo anche alla significazione psicoanalitica di Dionisio primo come Narciso primo, come istanza primaria, come materia prima della psiche, e anche come aspra, crudele, contraddittoria, eccessiva pregenitalità. Il dio eternamente figlio e nascente, ed eternamente rientrante Aldo Tagliaferri nell'oscurità materna, pur essendo restituito, fuso con il significante, da Apollo Dionisodote, il Narciso secondo, ricomincia costantemente dal buio intrauterino. A Creta la materia prima della psiche è anche la materia prima della civiltà; in altri termini, essendo Dioniso albero e toro, essa coincide con le due principali risorse materiali dell'isola. La condizione filiale e infantile del dio si ripete nella paredralità di Minosse rispetto a Pasifae, declinazione de•-· la grande Dea Madre. La parola greca fa di Minosse un grande re legislatore e, al contempo, una forza oscura e negativa. Noi sappiamo da Lacan che la parola del padre diviene legge per il figlio se è accettata e rispettata dalla madre. La legge di Minosse diviene la grande legge perché è riconosciuta dalla Grande Madre, nel momento in cui la condizione paredrale, filiale e incestuosa, trapassa, tramite le nozze (coito+ legge), a quella materiale. Il riconoscimento dell'abilità nell'intervento divinatorio (specie se rivolto al passato dimenticato, cfr. Tiresia) e nell'intervento apotropaico nella vita della città si estende da Minosse a Epimenide, il cretese chiamato da Solone a porre rimedio ai mali politici di Atene. Si tratta sempre di recuperare la concordia prelogica della civilti1 matriarcale, l'aderenza diretta al vivente-dio, la magia della onnipotenza narcisistica. Epimenide è una riedizione del :vlinotauro. La leggenda narra del suo sonno di 57 anni in una caverna nella quale si era inoltrato da bambino, e dell'enorme sapienza acquisita nel frattempo attraverso i sogni. Il letargo preistorico di Creta si trasforma in sapienza a contatto della parola. È l'intera isola, tramite la sua capitale, a tradursi nell'immagine della buia-caverna. Infatti i 57 anni di sogni sono la realtà di 57 anni di permanenza di Epimenide a Cnosso. Kvùl<Jow,verbo greco di cui esiste solo il presente, significa «dormo profondamente e, mentre dormo, sogno». Il prodigioso intervento di Epimenide ad Atene come consulente e maestro di Solone si inscrive nel registro lacaniano del reale allo stato nascente, del reale come coincidenza di sogno e di realtà. L'affrancamento dalla paredralità è positivo per la civiltà ellenica, e Minosse precorre in ciò l'eroe greco, ma resta in lui il recupero del fondo oscuro, il riflesso di un potere che è altrove, e ciò attrae la mentalità del greco e la atterrisce insieme. Ma è proprio la parola greca, l'accesso al simbolico, a produrre questa scissione, questa binarietà che abbiamo inseguito e in parte rintracciato. Antlrt'll IJ('/ Sano Ecco dunque Creta come sede naturale delle nozze tra Urano e Gea, luce e tenebra, parola e silenzio, occidente e oriente, uomo e animale, nozze in cui il talamo è il Labirinto e il cui frutto è il Minotauro. Pronto a racchiudere e a difendere, ad espellere o a reinghiottire, il Luogo impone: la sua presenza imperscrutabile. La' preminenza della Casa, che impone una sua legge, indica la predominanza femminile nell'immagine simbolica. Per noi questo luogo è, cpme abbiamo detto, un luogo ideale, un topos psicologico e storico al quale non ci interessa trovare una localizzazione topografica precisa o una sistemazione architettonica. Ci sembra, tuttavia, abbastanza eccentrico riconoscere mitologicamente il Labirinto come talamo nuziale di cielo e terra, luce e tenebra, e non porre ciò in relazione alle dichiarazioni di ammirato stupore di archeologi e architetti per la somma cura e la bravura con cui i costruttori del Palazzo di Cnosso ottennero un sapiente ed equilibratissimo alternarsi e fondersi di chiaro e scuro, una complessiva equivalenza di luce e ombra nella illuminazione naturale degli ediSujimisbu Auguissula i fici. Ripetiamo, non intendiamo con ciò spezzare una lancia in favore dell'equazione Labirinto=Palazzo di Cnosso, giacché l'impresa ci sembra futile, bensl far rilevare come il Labirinto si attui comunque anche nel Palazzo di Cnosso. U n'altra disputa riguarda il nome del Labirinto. In essa non ci inoltreremo fino in fondo perché preferiamo lasciare la soluzione del problema alla competenza dei filologi. Tuttavia in questo caso non ci sentiamo assolutamente di escludere, sulla base delle argomentazioni di Kern, qui insolitamente affrettate, la derivazione etimologica del termine della À.a- ~QUS, la doppia scure della Grande Madre. L'uso quotidiano della bipenne a Creta con il nome di wao non contraddice la possibilità della funzione sacrale di un simbolo con il nome antico, né greco né cretese ma anatolirn, di i..a~QUS. Inoltre la frattura netta 1 ra quotidiano e divino è conseguente alla frattura tra oggetto e simbolo, significato e significante, inconscio e nmscio, frattura che si sta aprendo a ( ·reta, ma che non è ancora fissa come lo sarà nella cultura nettamente pa1 riarcale. Ma soprattutto è impossibik, a nostro giudizio, specie dopo gli ,tudi di Burkert, sopravvalutare l'importanza t1el sacrificio di alberi e animali, operato con la À.a~QUS, nel mondo minoico. È la bipenne a uccidere Dioniso-albero e Dioniso-toro, a scindere Dioniso dalle sue epifanie vegetali e animali. La colonna palaziale è Dioniso sacrificato ·calla bipenne, il toro della tauromachia rituale è Dioniso sacrificato dalla bipenne. E non solo la bipenne, la À.a~QUS, «fa parte integrale della essenza divina della grande divinità femminile di Creta,., ma, come continua Pestalozza, di cui condividiamo l'opinione, «se pertanto la Potnia minoica non è separabile dalla À.~QUS ( ... ) nulla vieta di di vedere nella bipenne (...) una forma aniconica della dea». 3 Riteniamo pertanto che la bipenne possa dare a buon diritto al Labirinto, casa della Potoia o della doppia scure, il nome e l'emblema di'una binarietà che continueremo a ricetcare in altri suoi aspetti. La stessa mitica casa, abitata dal Minotauro nato dall'unione di Pasifae con il toro, è, come la sua Signora, alternamente luminosa e ctonia, sotterranea (cavernosa) e scoperta, tanto che il suo costruttore, Dedalo, può sfuggire da essa per l'alto con ali artificiali. Sul senso dell'operazione di occultamento del mostro ibrido nel Labirinto giova riflettere in relazione a quanto abbiamo anticipato sulla fetalità come significante della serie cui appartengcmo il culto della Madre e il silenzio del vivente, in contrapposizione alla nascita come trauma, e alla nascita del linguaggio come sacrificio del vivente stesso. La Sfinge, l'altra figura di questa doppiezza e di questo trapasso, non ancora del tutto nata, emerge con il • capo di fanciulla dalla matrice dell'essere, e conseguentemente ha volto umano e corpo teriomorfo. All'inverso, simmetricamente, il Minotauro ha corpo umano e testa di animale, perché viene forzato a rientrare nelle tenebre della caverna-utero e la sua nascita viene cancellata e ricacciata indietro verso l'indicibile. La cosa riesce ,;olo per metà e solo il capo si reimmerge nella Grande Madre, parallelamente al fatto che il Labirinto ne risulta in parte sotterraneo, come si è detto, e in parte scoperchiato verso rallo, vero intreccio di luce e oscurità, .:sattamente come l'enigma. La binarietà culmina mitologicamente nella proprietà essenziale del Labirinto stesso, quella di conseguire reffetto per cui la via d'ingresso e quella di uscita sono rigorosamente la stessa via, ma questa identità è al tempo ,tesso fratta in due vie che sono altret1anto rigorosamente separate e non possono essere fatte coincidere. Scrive al riguardo Kerényi: «Il Labirinto non era un meandro di strade, nel senso che chi entrava non poteva trovare la strada più interna, ma nel ritorno doveva saper riprendere la stessa strada usata nell'entrare e ciò era il difficile».• Cosa significa questo se non che la molteplicità delle strade consiste essenzialmente, senza riduzione, nel numero due, in quella binarietà in cui vi è tutta la complessità immaginabile? 11problema che sembra porsi a questo punto è di sapere se l'enigma posto dal Labirinto attraverso la forma· chiastica della bipenne, nella quale l'impugnatura funge da cesura e le lame sono disposte come le due opposizioni simmetriche, riesce mortale perché le due vie non possono essere sovrapposte, oppure perché proprio coincidendo, costituiscono un percorso nel quale entrare significa anche uscire, e viceversa, implicando inesorabilmente il soggetto della prova. Nel primo caso, le due vie restano contraddistinte da due differenti direzioni, da due sensi di percorrenza; nel secondo caso, è solo la consapevolezza dell'indifferenza dei due sensi a consentire di riuscire vincitori nella prova. Il mito ci suggerisce di considerare complementari queste ipotesi. Il tema che esso propone non è infatti di natura topologica, o architettonica, bensl psicologica. Se l'enigma io sé è espresso attraverso l'inconciliabilità delle contrapposizioni, la sua soluzione è la consapevolezza della loro indifferenza. L'effetto liberatorio del chiasmo passa attraverso la prigione del molteplice, che cela l'unità delle opposizioni sotto l'apparenza della loro inconciliabilità. A dare un senso al percorso di cui parliamo, nel quale,
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