Alfabeta - anno III - n. 26/27 - lug.ago. 1981

Mensile di informazione culturale Luglio/Agosto 1981 Numero 26/27 - Anno 3 Lire 2.000 Bellocchio Cainella i:,iw Ròsi Relli Cacciari Luperini 26/27 Spedizione in abbonamento postale gruppo Ill/70 Printed in Italy 41•Hflfiti•;f$ I.amusicacome scelta. J\RCHIVIOFIBI SergiuCelibidache BrunoWalter OaraHaskil RudolfSerkin BenedettiMichelangeli n Vattimo . P. BerteHo; Il cinema più bruNo del mondo * A. Bevere: 1!,ziudice cancellato R. Canosa: Le leggi del lavoro * A. Santosuosso: Dieci anni * R. Be4NICelli: La morte dell'Aida C. Monti: Suono_giallo * Cfr. *A.Tagliale.ai. li labirinto . Testo: Extralocalità (1970), di M. Bachtin * G. Franck: Rella, letture del nzliwo F. Sessi: Ritmo e ripetizione* G. Almansi: Malerba* S. =~.;.Una scrittura l'oralità R. Bugliani: Il Novecento di Luperini * F. Berarcli Bffo: • lo totale e libe1rmi_,..e S. Veca: L'etica del Modemo * T. Maldonaclo: Una ricerca relrosP.9lliw11 C. Formenti: Il fascino dell'ombra * Poesie di M. Colonna e di G. Mac iaao * LeNere Glomale dei Giomali: Telegiornali e quoti~aani * Le ia11111C19inuit:•llaalli

Leimmagindiiquestonumero I problemi dell'informazione Armand e Michèle Mattelart I mass media nella crisi Un'analisi sistematica del potere nel campo delle comunicazioni di massa, ma anche una fondata strategia di possibili trasformazioni. Lire 8.000 Armand Mattelart Multinazionali e comunicazioni di massa Lue 5.500 Robert Escarpit Teoria dell'informazione Lire 6.800 Alan Swingewood Il mito della cultura di massa Lire 4.500 Mario Lenzi Il giornale Lire 3.500 EditoriRiuniti L'autoritratto, apensarci bene, è una forma di garanzia. Garanzia sostan• zialmente plurima, anzi. In primo tuo• go io pittore garantisco a me stesso la mia esistenza, per quell'antico princi• pio secondo il quale ogni «imago», es• sendo frutto di rispecchiamento, è la prova dell'esistenza fisica di colui che è rispecchiato (tanto è vero che il diavolo o i morti o i fantasmi non si rispecchia· no). Unico e non irrilevanteproblema: l'altro me stesso può divenire una pre• senza ingombrante e pericolosa, può esistere da solo ed avere vita propria (ricordate Mr. Klein?). Il che effetti· vameme avviene quando si perde noti• zia de/l'attività produttiva del quadro, e solo il quadro rimane, e non il suo sog• getto. In secondo luogo una garanzia di autenticità, garanzia per qualcun altro. «Questo io sono io»: lo prova il fallo che io posso ritrarmi solo in mia pre• . senza, e l'occhio dello speuatore posto in luogo del mio stesso occhio ripeterà in eterno quell'unica mia esperienza. Il fatto di autoritrarmi, dunque, è una sor• Sommario Paolo Bertetto Il cinema pii) brutto del mondo pagina 3 Antonio Bevere Il giudice cancellato pagina 5 Romano Canosa Le leggi del lavoro pagina 6 1-----------------1 Riccardo Bertoncelli La morte dell'Aida Francesco Leonetti Campo di battaglia Alcuni «ulissi» d'oggi in awenture complicate dentro il vuoto dell 'ltal ia del Settanta « Supercoralli », L. IO ooo Einaudi Paolo Volponi Il lanciatore di giavellotto Un adolescente tra gli affetti e i dolori, i pregiudizi e le barriere sociali della provincia italiana. Un romanzo limpido e spietato. «Supercoralli», L. IO ooo Einaudi (Rock and Roll Marx, di Massimo Bas• soli; Stagioni del rock demenziale, di Roberto Anioni; Gli scemi e il furore, di G-E. Simonetti; Saint Mark's Piace, angolo Piazza Maggiore, di Rena/ODe Maria; The Crear Complotto Pordenone, di autori vari; Rocker '80, di au• tori vari; Monofonic Orchestra, di Maurizio Marsica) pagina 9 Claudia Monti Suono giallo (Gli strumenti del comunicare, di M. McLuhan; Il tauile e il digitale• L'iper· realismo della simulazione, di Jean Baudrillard; Il tauilismo, di F. T. Mari• neui) pagina 11 Cfr. pagina 12 Aldo Tagliaferri Il labirinto pagina 14 Testo Michail Bachtin Extra/ocalità ( 1970) pagina 16 Giorgio Franck Rella, letture del negativo (Il silenzio e le parole, di F. Rei/a; Dal· lo Steinhoff Prospettive viennesi del primo Novecento, di M. Cacciari; Le avventure della differenza, di G. Vatti· mo). pagina 18 Comunicazione ai collaboratori di «Alfa• beta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) che ogni articolo non sia più d( una pagina del giornale. cioè al massimo di 7 cartelle di 2000 battute. con un'accettabilità fino a 9-10 cartelle (dovendo altrimenti procedere a tagli e rinvii prolungati); b) che il riferimento diretto sui libri in• Ricordate Mr. Klein? ta di sanzione per qualcuno della mia identità. Infine, ma non ultima d'importanza, lagaranzia dellafama. Con l'auwritrat• to io mi rappresento come artista,e non come autore. Il mio essere autore non sta nell'effigie, sta piuuosto nella trac• eia dell'esercizio della mano, nel tocco, nel piccolo particolare. Io rappresento il mio io-artista,mi riconosco e mi dò a vedere come artista, come uomo wcca• to dalla fama: ritrallo dell'uomo illu· stre, di latina memoria, che presuppone una notorietà acquisita per frutto del• l'auività del dipingere. L'autoritrauo, dunque, è una forma di presa di co• scienza del ruolo dell'artistanella socie• tà, e contemporaneamente una sana di dichiarazione di indipendenza indivi· duale, di accesso non eterodireuo al tempio della Fama. La presupposizio• ne della notorietà già conseguita è con• fermata dal fallo che l'autoritrauo reso pubblico (cioè dato a vedere, non dipinto per esercizio e per risparmiare sul costo di un modello, come talora sue• cede, per esempio a un Rembrandt) Frediano Sessi Ritmo e ripetizione (Ritmo, di Gino Baratta;Materia esen• so, di Julia Kristeva; De la forme au rythme, di Maldinay Hanry; Rima, ritmo, ripetizione, di Mario Spinella) pagina 20 Guido Almansi Malerba (La scoperta dell'alfabeto- Il serpente• Salto mortale· Il protagonista· Le rose imperiali • Le parole abbandonate • Storiette • Il Pataffio • Dopo il pesceca• ne· Le gallinepensierose• Diario d_ui n sognatore • Storie dell'Anno Mille, di Luigi Malerba; Unspeakable Practices, Unnatura/Acts, di Donald Barthelme) pagina 21 Stefano Agosti Una scrittura dell'oralità (Lemigrante • La casa di lacca, di Vincienzo Bonazza; L'allenatore, di Salvatore Bruno; Gioco con la scimmia, di Enrico Filippini) pagina 22 Roberto Bugliani Il Novecento di Luperini (Il Novecento, di Romano Luperini) pagina 23 Salvatore Veca L'eùca del moderno pagina 25 Thomas Maldonado Una ricerca retrospettiva A cura di Omar Calabrese pagina 25 Franco Berardi Bifo Controllo totale e liberazione (The citiesof the red night • Le job • The invisible generation • Biade Runner • The Naked Lunch, di William Burroughs; La condizione post-moderna, di J-F. Lyotard; Vitesse et politique • Esthetique de la disparition, di Paul Viri/io; The Third wave, di A/vin Tof fler; New York Terminal - li pesce so• lubile, di Alain Medam) pagina 26 Carlo Formenti Il fascino dell'ombra (Moderno, post-moderno e neoconser· vatorismo, di Jurgen Habermas; Servi· re ciò che splende, di G-E. Simoneui; La nuova destra francese, di Thomas Sheehan; Camerati pagani, di Enrico dicati in apertura (con tutti idati bibliogra• fici.prezzoe paginecompresi)giungaa una sostanzialevalutazioneorientativa,insieme agli apporti teorici e criticidell'autore dell'articolo sul tema; c) che. insieme alla piena leggibilitàdi tipo espositivo piuttosto che saggistico.sia dato dove è utile e possibile un cenno di spiegazioneo di richiamoai problemie agli accertamentianteriori sull'argomentoo sul campo. La maggiore ampiezza dell'articolo o il suo carattere non recensivo sono sempre non è mail' opera prima di un pittore. È dunque piuttosto un suggello. Diverso il caso delle donne pillrici. Qui il discorso è ancor più rivoluzionario: le donne cominciano con autoritratti, e talora dipingono solo autori- /ralli. Dunque, fingono di presupporre la fama già acquisita, esi danno a vedere con la rivendicazione di una fama possibile. Disc(lrso al futuro per sconfiggere il presente. Gli sguardi, infine. Nell'autori1ra110 per lo più io mi guardo guardare, a testimonianza del/'auività produniva che mi pone davanti allo specchio. E chi mi guarderà, mi guarderà come io mi guardo. Ma talora sottolineare la Fama è più importante, e dunque io mi ritraggo come distanziato da me, un altro da me, colui che è guardato, così come altri oggetti che si danno al puro sguardo di qualcuno perché emblemi, statue, monumenti. Sguardi definitivi, in terza persona. li quadro è quadro di un quadro. Omar Calabrese Filippini; Miti e misteri, di K. Kerenyi; Storia delle credenze e delle idee religiose, di Mircea Eliade) pagina 27 Giornale dei Giornali Telegiornali e quotidiani A cura di Index-Archivio Critico del- /' Informazione pagina 30 Finestre Amedeo Santosuosso Dieci anni pagina 7 Poesie Mauro Colonna Incontri lunari pagina 19 Giancarlo Majorino Musiche da sotto Pagina 21 Immagini Autoritratti alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeto Comitato di direzione Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio,Umberto Eco, FrancescoLeonet• ti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi,Mario Spinella, Paolo Volponi Redazione Vincenzo Bonazza, Maurizio Ferraris, Carlo Formenti, Marisa Giuffra (segretariadi redazione), Bruno Trombetti (grafico) An director Gianni Sassi Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministraz.ione Via Goffredo Sigieri 6, 20135 Milano Telefoni (02) 541692/541254 Coordinmore editoriale Gigi Noia Composizione GDB fotocomposizione,via Tagliamento 4, Milano, Tel. 5392546 Tipografia S.A.G.E. 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Comune di Milano Ripartizione cultura e spettacolo Cooperativa Intra.presa Da lunedì 6 luglio a mercoledì 8 luglio alle ore 21 ,15 Teatro di Porta Romana Corso di Porta Romana, 124 20122 Milano Telefono 5483547 Ex~r iment um mundi (Opera di musica immaginistica) di Giorgio Battistelli regia di Lorenzo V-rtalone Organizzazione Mariella Zanetti Organico: Voce recitante Gislen Mauyod Voci di donne Matilde Berdini Elide Grizzi Augusta Valeri Maria Barbato Maichina Restante Maestri selciaroli Riccardo D'Aneli a Leonardo Innocenzi Maestri bottai Fernando Sannibale Alfredo Sannibale Gianni Sannibale Maestri falegnami Silvio Tamburri Alberto Casini Maestri arrotini Antonio Boffi Giuseppe D'Anella Maestri calzolai Sergio Leandri 'Guido Salustri Maestri (abbro(erraio Valentino Falloni Edoardo Borgiani Maestro scalpeUino Fernando Carpineti Maestro pasticciere Luigi Battistelli Maestri muratori Aldo BattisteUi Ciro Paudice Maestri percussionisti Nicola Raffone Giorgio Battistelli Per informazioni rivolgersi a: Intrapresa spettacoli Via Goffredo Sigieri, 6 20135 Milano Telefoni (02) 541254•541692 Telex 311509/SITAM

Ilcinemapiù~rittodelmondo 11cinema italiano oggi è il più brutto del mondo e non è mai stato in basso come nell'80 e nell'81. I classici, i maùres à penser del cinema italiano sono, tra tutti i grandi vecchi, quelli che sono invecchiati peggio; il giovane cinema italiano (quello dei Moretti - ichetti - Giordana ecc.) era già vecchio prima di essere nato; la generazione di mezzo non c'è più (ci sono i Corbucci, i Castellano e Pipolo, i Laurenti, i Lupo, i Martino, ma non quelli che una volta si consideravano autori). C'è una dialettica della banalità che domina incontrastata nel cinema italiano. Da un lato vecchi che rifanno instancabilmente se stessi sempre peggio, con una cronica incapacità a inventare percorsi nuovi. Dall'altro la generazione di giovani con la minore capacità di riflessione sull'esistente che si ricordi: una generazione di veri e finti ex 68 che ha patito un radicale impoverimento dell'immaginario e sembra diventata incapace di inventare qualcosa. Lavorare in qualche modo sulla complessità dello spettacolo, porre in atto procedimenti di superamento o al!Deno di lacerazione dell'ordine della rappresentazione? eanche per idea. Mentre il cinema americano rifonda la narratività filmica con la complessità del linguaggio pluralizzato e molteplice della rete degli intermedia innestando la spettacolarità sull'immagine: computerizzata, rinnovando generi e: tematiche, scritture ed iconologie, il cinema italiano continua a procedere: con la sua struttura artigianale ed approssimativa, puntando soprattutto sul talento in un momento in cui di talento non c'è traccia. Di fronte alla crisi degli Anni Sessanta il cinema americano ha rinnovato all'80 per cento i propri autori e abbassato a 35 anni l'età dei registi. Nel cinema italiano i registi, gli sceneggiatori sono sempre gli stessi, convinti che le coma siano il problema principale e che il mondo finisca a Fregene (e d'altra parte, i nuovi non vanno al di là della comicità autarchica, con Roma Nord al posto di Campo dei Fiori). Restano le ripetizioni di maniera, che non sanno né valorizzare il possibile manierismo, né trasformare la ripetizione in ossessione; o le incredibili rivisitazioni del cadavere nazionalpopolare, che si vorrebbe far risorgere non si sa bene in base a quale procedimento magico, l'affresco improbabile del tempo in cui i valori e le contrapposizioni erano netti e i buoni erano proprio buoni e i cattivi erano proprio cattivi (sfido, erano fascisti), o il ripensamento generazionale fatto con lo spirito dell'osteria, con la coca cola al posto della foietta di frascati della vecchia commedia all'italiana, con le lacrime di circostanza sulle bandiere rosse, un occhio alle battute per il botteghino e l'altro al dramma del reduce per far fesso il critico (che ci casca regolarmente). E, in quasi tutti, sguaiatamente, l'occhiolino all'attualità spicciola, la volontà spudorata di sfruttare il momento, l'attenzione alle 1 inchieste dell'Espresso e al conformismo chic del giornalismo culturale. È il genere «problemi d'oggi», ultima spiaggia dei registi senza idee. È un genere che piace ai produttori che leggono i giornali (gli altri leggono soltanto i dati sugli incassi). Il problema della donna e il problema dell'uomo di fronte all'emancipazione della donna, il problema della crisi dei giovani (ex-rivoluzionari e no) e l'attualità del pericolo fascista, il problema della mafia e quello del terrorismo, quello della magistratura (che non si sa più se sia inquinata o democratica) e quello del dilagare della delinquenza, la frattura tra padri e figli e il complesso di Edipo (che, quello, è sempre attuale), la crisi della coppia e la nuova gelosia: sembra di leggere un sommario di Panorama o di Grazia. Tante illustrazioni anonime, tutte subalterne alla sociologia spicciola, tutte integrate all'immaginario parassita formato dai mass media. E dire che altrove Wenders fa un film di tre ore su due che viaggiano in camion e un altro sulla morte (vera) di Nicholas Ray, e Rohmer mette in sccna il Perceval di Chrétien de Troyes, decostruendo l'impressione di realtii su cui si fonda il cinema, Bogdanovich scrive i film lavorando su materiale già simbolizzato, Chantal Akermann fa impastare un polpettone tre o quattm volte per alcuni lunghissimi minuti reali alla protagonista (Jeanne Dielman), e Ruiz studia i rapporti tra i simulacri e gli eventi con sguardo da entomologo. Visti con l'ottica del cinema italiano sembrano persone di un altro mondo e pazzi sembrano i produttori che consentono loro simili spericolatezze. In Italia dovrebbe essere lo spazio di produzione pubblica a garantire la possibilità della ricerca linguistica: ma questo spazio è totalmente lottizzato e consente soltanto la realizzazione di opere di regime, saldamente ancorate ai vecchi modelli culturali ampiamente digeriti dal pubblico ed equamente distribuiti tra Dc, Pci e Psi. Un De Gasperi vale un Gramsci, un don Minzoni vale un'Anna Kuliscioff. E Pertini dove lo mettiamo? e osi il cinema italiano è insieme il più ripetitivo, il più standardizzato e il meno inventivo del mondo. In fondo hanno ragione i Corbucci, i Festa Campanile, i Castellano e Pipolo a rifiutare l'etichetta di cinema di serie B. E quale sarebbe la serie A? Nulla delle grandi operazioni di ristrutturazione dell'immaginario cinematografico realizzate dal cinema europeo e dal cinema americano negli Anni Settanta passa nel nostro cinema (E, bisognerebbe aggiungere, appena un buon regista si trasferisce a Roma ed è investito dalla sua subcultura, smette di fare dei film rigorosi: Jancso, Rocha, Straub ne sono stati gli esempi più significativi). Non la riflessione sulla simulazione diffusa, non l'assunzione della spettacolarità come filtro e come doppio esemplare dcll'intersoggettività, non J"indaginc sull"avventura rovesciata di produzione del simbolico a partire dal vuoto, dalla mancanza, non le pratiche di deriva, di nomadismo, di dislocamento del senso, né ancora le aperture di buchi nel tessuto narrativo o i raddoppiamenti, le enfatizzazioni del linguaggio spettacolare variamente posti in atto nel cinema internazionale dopo la fine del nuovo cinema e del suo progetto di linguaggio utopico della sintesi. Nulla di tutta questa sperimentazione sul linguaggio e sulla dimensione spettacolare circola nel cinema italiano. Nessuna capacità di fornire risposte all'altezza dei tempi ai problemi della produzione simbolica e dei linguaggi audiovisivo-cinetici. Le risposte ideologiche che hanno avuto sempre tanta fortuna nel cinema italiano sono ormai cani morti, cadaveri ·òèppure più eccellenti, non perché l'ideologia sia calata a forza nel linguaggio filmico, ma perché l'immagine degli autori non sa andare oltre un'esposizione narrativa di uno schema ideologico, che spesso è precisa e proprio per questo penosamente piatta. Nella povertà dell'immaginario cinematografico italiano dominano due grandi modelli culturali (e subculturali): il realismo, nelle sue molteplici articolazioni spettacolari, e il kitsch. Da un lato il realismo come illusione presuntuosa e ovvia di rappresentare il reale, di individuarne le strutture tipiche, appoggiandosi soprattutto alle più facili caratterizzazioni d'ambiente, ai bozzetti, agli affreschi popolari, agli ovvi interieurs borghesi. Sono saldi apparati narrativi, intessuti di eventi e di solide connotazioni, e sorretti generalmente da un'opzione ideologica e mnral istica, che tende ad orientare didatticamente il messaggio emergente dal tessuto linguistico. Lavinia Fontana Sono costruzioni a tutto tondo in cui il senso si presenta univoco, monocorde, cancella· ogni ambiguità possibile, annulla ogni complessità di ricerca, in favore di una presunta comunicazione diretta del «contenuto». Dall'altro la visitazione del Kitsch in tutte le sue manifestazioni, sistematicamente collegata alla rimozione dell'operazione in atto: la visitazione del Kitsch, cioè: come operazione inconsapevole che non solo si presume produzione «colta» e realizza paccottiglia per il mercato, ma, più ancora, nasconde la propria struttura e cerca di proporre di sé un'immagine e uno statuto falso: Scandalo al sole non voleva essere A women of Paris; La luna, che magari voleva esserlo, non è neppure Scandalo al sole. «Il Kitsch - scriveva Hermann Broch - è una convenzione completamente irreale», che tende ad imprigionare il mondo in «un falso schema» che si spaccia per autentico. E il cinema, impregnato com'è «di sangue e di saccarina» rappresenta l'apoteosi del Kitsch, la sua «marcia trionfale». Ma parliamo dei film. 1980: La città delle donne, Salto nel vuoto. 1981: Tre fratelli. C'era una volta un grande regista. Piaceva a tutti. Piaceva ai raffinati perché si estasiava di fronte ai seni di Anita Ekberg, piaceva ai colti perché oltre i settimanali satirici non era mai riusciio ad arrivare, piaceva ai critici perché rimestava sempre le solite quattro balle, che si imparano facilmente e si possono ripetere senza sprecare intelligenza. Certo ha un grande senso della pubblicità (non a caso è amato in America). Si è messo un cappello da cowboy nero, in testa. Ha preso uno staffile in mano e ha cominciato a minacciare le donne. Tante donne: la moglie, l'amante, l'amante passata, l'amante futura, la prima che aveva guardata dal buco della serratura, la tabaccaia di Rimini, la Saraghina, le puttane dei bordelli del periodo fascista, quelle dei bordelli del dopoguerra, la svedese di turno, la principessa romana, eccetera eccetera. E cosi Fellini è diventato per tutti un artista, cioè uno che immagina quello che gli altri immaginano. Ma è proprio questa la funzione dell'artista? Dà semplicemente corpo a quello che immagina la gente? Nessuna differenza lo separa dall'immaginario diffuso, dalla chiacchiera del bar o del salotto? Anni Sessanta. C'era la neoavanguardia. c'erano la nouvelle l'ague e Godard. Si scopriva Resnais e si riscopriva Buiìuel. Fellini capisce che si può fare un film mescolando il reale e l'immaginario, disarticolando la narrazione lineare, trasformando le ossessioni mentali tn elementi spettacolari. E comincia a lavorare sul Kitsch. Quancuno parla di «un freudisme simplet et un surréalisme démodé» (J.L. Bory), ma i più si inchinano davanti alla illustrazione rituale del Kitsch. Invero le ossessioni mentali di Fellini hanno tutte (o quasi) la struttura di una sacra rappresentazione da bordello. La sua cultura, il suo mondo sono quelli dell'Italietta fascista degli Anni Trenta, della Roma imperiale (e di cartapesta) vista con l'occhio straniato del provinciale. Con al centro il bordello. Intendiamoci. Il bordello ha subito trattamenti letterari e drammaturgici estremamente significativi, da Joyce a Génet, diventando un microcosmo ipersemantizzato che apre un discorso su altro, uno spazio in cui si riversano altre significanze (e altre esemplarità). In Fellini no. Il bordello per Fellini è la misura di tutto il mondo, non è uno spazio di significazione concentrata, ma il luogo di tutti i significati possibili. Ma i significali possibili nei bordelli non sono tanto numerosi, e sembrano attenersi più all'ordine della prossemica che all'orizzonte dell'ermeneutica. Tant'è, a Fellini bastano. Eppure, si dirà, nell'ultimo film di Fellini (è della Città delle donne che dobbiamo parlare) ci sono le donne, ma non c'è il bordello. Si dirà: ci sono i discorsi delle donne, i problemi degli uomini di fronte ai cambiamenti delle donne, ma non c'è traccia del bordello. E tuttavia il bordello c'è. Non ci sarà come luogo fisico, come presenza reale, ma c'è ;;;; come sapore, come atmosfera, in una :2: parola, come spirito. Una prova? Da l:l dove viene quel nome cosi imbecille e ~ così poco allusivo che Fellini inventa -S! per il suo deuteragonista, da dove può ,9 venire un'idea così banalmente volga- ]' re di chiamare un personaggio non t-- solo Katzone, ma Sante Katzone, se ~ non dallo spirito del bordello, dai "' modelli comunicativi del bordello? Ve ,:: lo immaginate Buiiuel chiamare Sante ~ Katzone un suo personaggio? Già, ma ~ mentre Buiìuel leggeva La Révolution ~

-.. oc, °' surréaliste, Fellini non si perdeva un. numero del Marc'Aurelio. Dunque La ciuà delle donne. Snaporaz incontra sul treno una donna seducente e un po' volgare e subito la segue nel W.C. del treno. Lei va a una sorta di congresso femminista che, visto da Fellini, diventa il regno dei luoghi comuni. Snaporaz segue la donna al congresso e cerca di sedurre una qualsiasi delle partecipanti. Poi se ne va in una sorta di no men's land (nelle uniche sequenze di buon livello del film) e finisce nella villa di Sante Katzone. Qui tra le altre chicche visive, ci sono dialoghi in puro stile Harold Pinter, che è necessario citare ampiamente: «La sgrufona: Che animaletto sono io? Dillo alla tua ciccina, che animaletto sono, dimmelo, se no non vengo. E dimmelo!/Voce Katzone (affannata): La puledrina, sì/La sgrufona (con un grido): No, non sono la puledrina!/Voce Katzone (roca, mugugnata, spazientita): La cavallina! La cavall ...ina...sei .../La sgrufona (il grido diventa d'arrembaggio): No! No! No! Sono la tua scrofona ...scrof ...ona ...dimmi che sono la tua scrofona, senti come sgrufo? (grugnisce) Sgrufa anche tu. / Voce di Katzone che sgrufa / Una di Bergamo: Ma che barbaccia hai! Ma che dico a mio marito se mi vede le guance tutte rosse, con questi pelacci duri? Pazzo, porco! Porc...azzo» (cito dal Brogliaccio Scalettone Note Appunti Traccia di sceneggiatura de La cillà delle donne scritto da Fellini con la collaborazione di Zapponi e pubblicato da Garzanti, p. 74). La citazione potrebbe continuaJe a lungo sul medesimo registro. Ma non è tutto così. C'è anche la via del poetico. «Katzone: Amici, questa celebrazione si veste di malinconia. / E indicando con un gesto plateale la torta aggiunge in tono retorico: Questo dolce sa di amaro. / Voce di vecchie110arzillo: È perché ci hai pisciato sopra, porcaccione!/ Karzone (con un sorriso mesto scuote la testa amaramente): No, non è per questo! I Una voce stupita: E perché allora? Karzone (con grave solennità): Perché è ormai tempo di dire addio alle donne, anzi, alla 'donna', in generale, alla Donna con la D maiuscola! / Tra gli invitati di nuovo il vecchietto rubizzo dice ridacchiando: Vecchie/lo rubizzo: Parla per te, mio caro! / Katzone (senza farvi caso continua in tono ispirato): Addio Donna! Sposa, sorella e madre, creatura dei cinque sensi, tatto, gusto, olfatto, vista, udito! Noi palpavamo la tua carne. ascoltavamo i tuoi sospiri, ti assaporavamo, ti annusavamo! Non c'era parte di te che non fosse parte di noi: le tue cosce guizzanti, la dolcezza dei seni, la sicurezza dei tuoi abbracci, la ruvidità dei tuoi peli arricciolati: ansia e stanchezza, tenerezza e furore, baci e lacrime: addio! Conosco il. tuo corpo come il contadino conosce la terra. come un astronomo scruta le stelle; io so tutto dell'aureola dei tuoi capezzoli. ho esplorato la collina del ventre, ho gustato i tuoi liquidi acri, l'asprezza delle dita dei piedi succhiate ad una ad una» (p. 80/81). li Kitsch domina incontrastato. E ppure la letteratura del Novecento (e non solo del Novecento) ci offre un'interpretazione ed una scrittura dell'eros che non ha nulla a che vedere con l'ottica del bordello. Ma il linguaggio di Fellini e del suo brillante sceneggiatore in che cosa differisce dal vaniloquio del bar (come sempre per soli uomini), tra un flipper e un caffè corretto cognac? Grandi capacità mimetiche di Fellini? No, Fellini non è mai uscito dalla redazione dei giornali satirici e sboccati degli Anni Trenta, e dai" bar di Rimini, e ~ crede che le idee, Io sguardo, le osses0 sioni che dominano laggiù siano tutto. ~ (Prendete la sequenza della scuola in -9 Amarcord. Poi andate a vedere qual- °" -:: che film della serie L'insegnante ci sta con tutta la classe ecc. ecc. Che differenza c'è?) Ma, si dice, c'è un altro livello nei filmdi Fellini. I filmdi Fellini sono sogni, avventure oniriche, in cui proliferano figure ed esseri «che portano messaggi, che nascondono nei loro rebus, nelle loro sciarade, nei loro anagrammi i soliti sottofondi dei quali da gran tempo si parla .... La città delle donne sarà più che mai coagulata secondo una sintassi onirica» (Zanzotto ). L'instaurazione del sogno, dunque. Certo il sogno può essere la via per la rivelazione di un orizzonte segreto o può essere la riproposta di codici diffu- 'si, che semplificano l'eterogeneo e Io riportano al già conosciuto. La dimensione onirica di Fellini dà proprio questa impressione: di essere la riduzione al linguaggio comune della sintassi onirica, la semplificazione «televisiva», per tutti, dei procedimenti del sogno, la trasformazione dell'allucinazione onirica in paccottiglia Kitsch. Si potrebbe dire: un'occasione perduta. In realtà è peggio. Perché il Kitsch onirico elaborato da Fellini e autenticato da tanti critici, di fatto comincia ad occupare l'immaginario diffuso, diventa una forma sterotipata che si sovrappone alla dinamica immaginativa e cerca di nasconderla o di frenarla, costruisce un'apertura sul non conosciuto, che invece di favorire l'emergenza di un altro linguaggio, gli sostituisce una versione volgarizzata e caotica del linguaggio della subcultura visiva. I sogni di Fellini non rappresentano l'irruzione del linguaggio dell'inconscio. Sono sogni in romagnolo che semplificano la sintassi onirica, la riducono ad una caricatura e rafforzano il provincialismo della nostra cultura. Ma ridurre tutto Fellini alla filosofia del bordello è inesatto. In realtà ci sono due filosofie nell'immaginario cinematografico di Fellini. Una è la filosofia del bordello, l'altra è la filosofia dell'avanspettacolo, o più esattamente delle sue quinte. Quando non ha Io sguardo «corto» del bordello, Fellini ha Io strabismo teso ed eccitato di chi segue e organizza da dietro le quinte una rivista di avanspettacolo. Le cose migliori di Fellini vengono di Il: la scoperta della vita come spettacolo collettivo ed allucinato de La dolce vira. il moralismo straniato che <lisso!- Umberto Boccio11i ve la mascherata dei Vitelloni, l'apologo risentito di Prova d'orchestra. Ma poi, com'è ovvio, la filosofia del bordello e la filosofia delle quinte si unificano nella medesima dimensione espressiva del Kitsch. Se Visconti rappresenta la faccia • ovvia e stucchevole del Kitsch (tanta accumulazione di buon gusto, di lenzuoli ricamati, di mobili d'epoca, di opaline, che assorbono e prosciugano tutta la povera intelligenza inventiva dell'autore), Fellini ne rappresenta la faccia polimorfa ed eterogenea, barocca ed inventiva. Fellini non è privo di originalità inventiva (anche se ormai ripete soltanto se stesso), ma di misura stilisica, di rigore immaginativo, di gusto, di capacità selettiva: ac- /. r 1 , .1·, , r>A, 1. / .I JI !<, r, Adolfo Wildt cumula materiali eterogenei, trasforma Io sguardo strabico delle quinte in voyeurismo divagante o in appagata contemplazione dell'avanspettacolo. Piace ai vecchi che hanno visto i bordelli e l'avanspettacolo. E il suo apparente ipersoggettivismo barocco e. visionario, esemplato sui linguaggi bassi della letteratura popolare e del fumetto, garantisce il successo dell'oggetto più Kitsch prodotto da Fellini: il personaggio Fellini, ovvero l'artista spiegato ai poveri. G li ex giovani, ora generazione di mezzo. Bellocchio, Salto nel vuoto. Ex enfant prodige, giovane turco dislocato nel cinema dalla famiglia piacentina, baciato in fronte giovànissimo dalla gloria, Bellocchio ha seguito una parabola discendente esemplare, senza incertezze e senza tentennamenti. Ogni film che ha fatto era più brutto del precedente. Per lui, come per tutti gli altri, invecchiare è difficile. Schatzmann ante Iitteram (la famiglia uccide) Bellocchio non è mai uscito dalla sua sacra famiglia: e ne è morto. I suoi film prima andavano bene alla sgangherata percezione del cosiddetto movimento, adesso piacciono al santone laico dei reduci, quello specializzato nella posta rosa, Massimo Fagioli. Su richiesta dello stesso • Bellocchio (è una richiesta che dice tutto) Fagioli scrive la prefazione a Salto nel vuoto (Feltrinelli, 1980). È un capolavoro. Vale la pena di citare ampiamente. «1975; dieci anni. Giunge invecchiato con quel solo se pur robusto bastone de / pugni in tasca. Edipo a Colono? Forse. E il bosco sacro alle Eumenidi, vietato ma riposante, è difficile da vedere nel pur numeroso gruppo di persone che si riuniscono a fare psicoanalisi. Gruppo informe, annullante, dissociato, è più di una madre cieca e un fratello scemo che una sorella con cui stabilire un'alleanza. Ma questa origine materiale fa nascere poi la realtà psichica nel momento in cui, in ogni modo, una carica sessuale di rapporto immediato si è riusciti a non farla annullare. «Nel momento in cui, in ogni modo, esistevano tre bambini che, se pur reinfetati, dati per non esistenti, con la loro esistenza materiale frustravano l'onnipotenza del'istinto di morte. Nel momento in cui in ogni modo, la crescita numerica delle persone, che rappresentava un pene andato materialmente in erezione per violentare, trovò una recettività che ebbe il potere di trasformare il masochismo in creatività nella nascita di altri seminari. Perché questa volta ha lavorato e imparato, non ha adorato la buona novella del profeta di Londra. Si è fatto prima il bambino Salto nel vuoto, poi uccide 'il padre'. Anche se, avendo subito il poi di un certo caso clinico, a tutt'oggi si rompe la testa a cercar di capire 'il padre' che è poi la madre. Eppure è semplice: il fratello scemo non ucciso, non reinfetato nell'acqua della vasca da bagno, non fatto sparire nella propria masturbazione, dopo essere rientrato nell'utero materno, diventerà un padre come il giudice» (pp. 19120). Tutto chiaro, no? È proprio quello che ci vuole per Bellocchio. Non si possono naturalmente imputare a Bellocchio le distonie discorsive di Fagioli, ma Fagioli non arriva a caso: il livello del film, più o meno, è quello lì. Invero qualche differenza c'è. Bellocchio è un po' meglio. Dopo due film veramente mediocri (Sbatti il mostro in prima pagina e Marcia trionfale) costruiti sui fumetti e sulle campagne-stampa di Lotta Cominua e dell'Unione dei marxisti-leninisti (Marcia trionfale era un film molto al di sotto di Castellano e Pipolo: eppure Einaudi ne ha pubblicato la sceneggiatura), e l'esperienza meno significativa de La macchina cinema, Bellocchio tenta con Salto nel vuoto il recupero di una scrittura filmica più personale. claoorando un discorso che,nelle intenzioni, dovrebbe dialettizzare un orizzonte tematico legato all'attualità, e all'analisi di un microcosmo sociale con il permanere di alcune ossessioni personali (sempre le stesse, è ovvio). Progetto non originale, ma, con l'aria che tira, ancora sostenibile. E il plot ha, in fondo, qualche elemento suggestivo, anche se non nuovo: la follia normale del giudice, il grado zero dell'esistenza della sorella e la sua disperazione. Ma non appena Bellocchio comincia a lavorare su quel materiale, a ordinarlo linguisticamente, a inserirlo in un sistema di connotazioni, saltano fuori le magagne. L'immaginazione di Bellocchio si incontra con un pattern ideologico che non è solo ovvio, ma sembra tratto pari pari dalla demagogia e dallo schematismo del volantino. Già all'inizio ( cl titoli di testa in caratteri bianchi scorrono in sovraimpressione su fotografie di classi maschili e femminili, di diversa età, di scuole religiose. Sono accompagnati da un commento musicale cui si intreccia un delirio indistinto del fratello pazzo») lo spettatore è percorso dal brivido di rivedere per l'ennesima volta un film di Bellocchio sui guasti dell'educazione religiosa: come se non lo avessimo ancora capito. (Ma Bellocchio ha la mentalità di un maestro elementare o di un organizzatore di cineclub: repetita iuvant.) E poi arrivano a mitraglia tutti i luoghi comuni della cultura e dell'immaginario della nuova sinistra: ce n'è per tutti igusti: la famiglia uccide, i valori e i modelli di comportamento borghesi sono antivitali, distruggono l'individuo, l'irregolare è più libero ed autentico, ma è oggetto della violenza delborghese frustrato, i personaggi popolari hanno un senso più immediato della vita, la cameriera e il figlio costituiscono un esplicito modello positivo (un po' di Solochov e di Ciaureli non guasta ami) ecc. ecc. E, com'è ovvio, nell'incontro tra la «zitella> frustrata e l'irregolare nasce una nuova possibilità di vita. Ma tutto questo l'abbiamo già visto o sentito, no? Possibile che Bellocchio non sappia pensare per conto proprio, e sia ingrado di assorbire soltanto gli sterotipi alla Lotta continua di una volta? Ma i critici amici dicono che Bellocchio ha un senso immediato del cinema. Vediamo. Bellocchio dice di aver costruito un film «fatto di niente, senza fatti (che) procede secondo dei tempi dilatati, antispettacolari al massimo. Antitelevisivi. Fuori della convenzione di un certo modo di fare cinema». Lavorare sui «piccoli segni>, sui «piccoli mutamenti>, cercare di elaborare una scrittura neutralizzata, svuotata dalle classiche attrazioni spettacolari, estremamente dilatata, è certamente un progetto interessante. Ma in che senso il film è senza fatti? Cè un suicidio, una follia strisciante che esplode, un'altra follia dispiegata, la costruzione di un inganno, la progettazione dell'assassinio della propria sorella tramite un sicario ricattato, e il ,-aggetto di questa macchinazione è un magistrato, c'è un omicidio. E questo sarebbe un film senza fatti? I fatti ci ,ono e non sono nemmeno neutraliz7..atie sdrammatizzati come facevano i registi della nouvelle vague sulla scia del nouveau roman, o Wenders sull'onda di Handke. Non sono fatti destituiti di valore e disposti uno accanto all'altro come entità omogenee, private di-pathos. Ogni evento ha il proprio ruolo e una propria riconoscibilità e una funzionalità nel racconto che non ,-ano diversi da quelli del cinema con- ,ueto. Non c'è dunque, in questo sen- "°, nessuna pratica innovativa da parte di Bellocchio. Quello che invece è diverso da «un certo modo di fare cinema> (?) è la dilatazione dei tempi all'interno della sequenza, l'apertura ai tempi morti, ai gesti, ai segni dell'irrilevanza quotidiana. È la cosa più interessante del film (unitamente all'alternanza -troppo poco sfruttata-di momenti di montaggio rapido con momenti di montaggio lento). Ma questo tipo di scrittura è aperto ovviamente ad un pericolo che, al cinema, in fondo, è mortale: la noia. Una scrittura filmica dilatata, costruita sui segni filmici, con una durata che si avvicina al tempo reale, costituisce una possibilità linguistica estremamente significativa di disgregazione della convenzione filmica. Ma dev'essere un'operazione radicale, che investe l'ordine della rappresentazione e lo dissolve dall'interno (come in Jeanne Dielman o in /m Laufder Zeit; o, in un contesto linguistico diverso, in Warhol e in Arakawa); o deve costruite una trama più segreta di fascinazione, assorbendo lo spettatore in una dinamica nascosta incui l'attrazione spettacolare funziona sui segni minimi o, proprio, sulla dilatazione estrema (come nel Cassavetes di Faces, o nelle prime opere ungheresi di Jancso, in certo

Anghelopoulos o in / falchi di Gaal}. Bellocchio invece costruisce tempi morti che non costituiscono il fulcro del film, non si caricano per se stessi di significazione, ma sono sempre subordinati, nella logica del film, ad altri momenti narrativi: e sono, quindi, poco significativi sul piano linguistico, e noiosi oltre il limite della sopportazione. P roprio come in Tre fratelli, ultimo filmdi Rosi. Anche qui stessa lentezza esasperante dell'azione, stessa intenzione di costruire un film su un tessuto narrativo estremamente dilatato. Ma con un progetto, un modello linguistico, nettamente diversi. Quello che Rosi si propone, infatti, con il consueto anacronismo, il costante, inevitabile riferimento ai modelli linguistici più obsoleti, è la formazione di un quadro filmico di epicità e di liricità, capace di riscoprire un rapporto con le strutture essenziali dei processi storico-popolari. Riscoprire la terra, il rapporto con le proprie origini (contadine, naturalmente: il cattolico Olmi insegna a tutti); l'opzione, oltre la disseminazione nel mondo, oltre la frantumazione negli eventi contemporanei, per l'unità e l'immobilità ieratica delle radici. Ridefinire un percorso in cui, vicino ai soliti «valori essenziaP rassi e nuove norme legislative hanno formalizzato e istituzionalizzato la tendenza al declino (se non addirittura al dissolvimento) della terzietà del giudice penale rispetto ai tradizionali condizionamenti provenienti dagli organi dell'esecutivo e dalle forze politiche dominanti. Assistiamo in altri termini ai seguenti fenomeni: A. Ravvicinamento e omogeneizzazione della funzione repressiva (istituzionalmente affidata alla magistratura) e della funzione di prevenzione (affidata agli organi dell'esecutivo) attraverso: l} la fine formale del monopolio giudiziario nel campo degli atti autonomamente limitativi delle libertà fondamentali; 2) il riconoscimento formale della supremazia degli organi di polizia nella gestione delle indagini sui reati politici più rilevanti. B. Ravvicinamentodella magistratura aJ sistema politico, attraverso: 1) norme che accentuano la condizionabilità dell'azione giudiziaria da parte delle forze politiche dominanti; 2) prassi che esaltano e valorizzano le opzioni ideologiche e culturali che queste forze mantengono nei confronti di ampi strati della magistratura. A-1. In questi ultimi anni si fa sempre più chiaro lo spostamento dell'asse degli interventi predisposti per combattere la criminalità (specialmente politica) dalla giurisdizione all'amministrazione, con l'incrinatura definitiva del modello costituzionale che sta alla base di distinte funzioni e distinti apparati statali. Ciò è avvenuto creando un autonomo corpo di norme - il cosiddetto diritto di polizia-che attribuiscono alle forze dell'esecutivo poteri limitativi delle libertà fondamentali dei cittadini, svincolati formalmente e sostanzialmente dall'ambito giurisdizionale: l'autorità giudiziaria è chiamata a dare una semplice copertura di legalità apparente agli atti esplicativi di questi poteri. Si tratta di misure miranti alla prevenzione e quindi hanno come presupposto non la commissione di reati, ma il sospetto che la loro consumazioli:., il cinema riafferma la propria presunta natura epica e le possibilità liriche della scrittura audiovisiva. E, insieme, introdurre nel quadto di questa epicità ritrovata, tutta l'articolazione dell'attualità colta in alcune determinazioni politico-sociali esemplari: l'immigrazione e le lotte operaie (alla Fiat naturalmente), il terrorismo e i problemi di un magistrato. C'è insomma tutta la peggiore paccottiglia del midcult indigeno. Il risultato è agghiacciante. Se Bellocchio era lento e ovvio, Rosi è sfilacciato oltre ogni limite, e più banale, più ovvio, più scontato di un ternino delle medie. Ci sono tutti i luoghi comuni degli ultimi anni, proprio tutti. E non una sola idea, non una soluzione linguistica per dire in modo indiretto o diverso o innovativo i propri messaggi grevi. I dialoghi sembrano caricature intenzionali (Tonino Guerra è un esperto di dialoghi penosi: si era fatto le ossa con i filmdi Antonioni). Al bar di un paese della provincia di Bari, un gruppo di persone discute se si debba denunciare un terrorista. Insospettabile sensibilità democratica. Vedono il magistrato di ritorno al paese e gli chiedono un parere. Nobili parole del magistrato (un Philippe Noiret che più opaco non poteva essere) del tipo: «Se i compagni di Guido Rossa fossero Rembrandt andati in trecento a fare la denuncia, forse Rossa sarebbe ancora vivo». Poi altre affermazioni nello stile «ogni parola una sentenza». Con un amico professore: «Quello che dici è tutto giusto. Ma non c'è speranza». E conclude: «E in fondo, tutto questo disprezzo per la vita umana ...» (con relativa pausa carica di significato). Altro colloquio (con un magistrato) sul terrorismo e altra conclusione concettualmente rilevante: « Bisogna trovare una soluzione» Che acume. E prima era stato anche lirico (parlando con il fratello operaio del rifiuto del lavoro): «Con quelle utopie si creano degli spostati. É un veleno che si attacca alle piante giovani». Un poeta. Lo spettatore rimpiange Leo Valiani. Ma c'è di meglio. È il sogno del fratello istitutore. Lento movimento in avanti della mdp: PP di Rocco che dorme. Stacco. PP di una pistola a terra; lì vicino alcune cartucce. Poi altre pistole con cartucce. Improvvisamente entra nel campo visivo una scopa, poi altre scope che cominciano a spazzare via tutto. Inquadrati dal.basso entrano in campo progressivamente dei ragazzi che stanno scopando. Poi il décor si modifica: scenografia di cartapesta, colori come in un disegno infantile, falso naif da rigattiere: sullo sfondo un castello che pare quasi di zucchero. Nevica. Dal cielo con la neve scendono in lente volute alcune uniformi militari molto colorate. Cambia ancora il décor. Sfondo disegnato: una specie di Napoli stilizzata. In primo piano Rocco e i ragazzi danno fuoco all'immondizia raccolta. Ma la fine del film è peggio. È un concentrato di déjà vu e di patetico da quattro soldi, di spreco di commozione e di simbolismo da Grand Hotel. Il piccolo corteo del funerale è partito. La bambina (figlia del fratello operaio) e il nonno si avviano verso casa. Ilgiudic.~..~ncellato ne possa verificarsi. Il loro contenuto fortemente limitativo di libertà fondamentali (si pensi alle intercettazioni telefoniche, al fermo di identificazione, al fermo di prevenzione, alla perquisizione personale) rende incompatibile il conferimento del loro esercizio ad organi che non siano quelli giudiziari. Tale illegittimità costituzionale viene sanata in maniera apparente grazie alla previsione di un intervento della magistratùra, successivo al momento in cui tali provvedimenti hanno già completamente esaurito la loro funzione afflittiva. La più evidente conferma di quanto detto viene offerta dal fermo di prevenzione: basti pensare che- una volta che il magistrato ha esaminato la legittimità del già avvenuto fermo - il suo provvedimento, in termini di libertà personale, ha i medesimi effetti, sia in caso di convalida del fermo che in caso di rifiuto di convalida; in quest'ultima ipotesi la liberazione del fermato è automatica, dal momento che gli atti preparatori - che legittimano il fermo - non legittimano alcun intervento coercitivo della magistratura, in quanto non costituiscono reato. Dinanzi quindi a questa autonoma manifestazione di coercizione amministrativa, il giudice è chiamato ad esercitare una funzione di controllo solo simbolica. Il carattere platonico del controllo giudiziario si riverbera anche nella mancata previsione di sanzioni di natura amministrativa, nei casi di fermi illegali, a differenza di quanto - almeno formalmente - è previsto per il fermo giudiziario dall'art. 238 bis del c.p.p .. Solo quindi in caso di eclatante illegalità sarà possibile applicare uno dei più disapplicati articoli del nostro codice (l'art. 606 previsto pl:rl'arresto illegale), sempre che la giurispruden.:a ritenga configurabile questa figura di reato nei casi di illegali fermi di prevenzione, così come ha fatto per il fermo giudiziario. Altra conferma: all'art. 9 del decreto Cossiga (d.l. 21/3/78 n. 59) è previsto che il ministro dell'interno e le autorità di polizia delegate possano essere autorizzate ad intercettare comunicazioni telefoniche di persone non indiziate di alcun reato, in base al semplice riferimento a necessità di indagini per alcuni gravi delitti, ma al di fuori di qualsiasi procedimento penale in corso. Questa norma determina una ben evidente confusione di principi e di competenze: al magistrato viene conferito il compito di autorizzare - senza poter disporre di elementi di valutazione - un'attività di prevenzione (fondata sul sospetto) degli organi dell'esecutivo, che si svolge al di fuori di un processo, ma che è pur sempre collegata a indagini per gravi reati. Poteri di prevenzione (amministrativi) e poteri di repressione (giudiziari) si confondono e si intrecciano, dando questo risultato: una attività arbitraria e illegale - qual è un'invasione della sfera privata del cittadino, al di fuori di ipotesi tassativamente previste e di elementi indizianti - ottiene il coinvolgimento e la copertura della magistratura. A-2. Il riconoscimento della prevalenza della regia poliziesca nelle indagini relative a gravi delitti, specialmente di natura politica, si ricava facilmente dalle norme che ripristinano l'interrogatorio di fermati e arrestati, senza Ippolito ( ;a/muini le garanzie della difesa, nell'ipotesi di reati indicati dall'art. 165 ter c.p.c. (delitti contro la personalità dello stato, banda armata, ecc.). In simili casi la direzione delle indagini non viene scelta dal magistrato, sulla base di una precisa imputazione, ma dagli organi di polizia, i quali possono a discrezione "dilatare l'oggetto dell'inchiesta e quindi assum{-,e dichiarazioni di imputati anche al di fuori delle già vastissime ipotesi consentite. Va anche considerato che tali dichiarazioni non sono verbalizzate, sono prive di ogni valore ai fini processuali e non possono essere oggetto di rapporto né di testimonianza. Siamo quindi dinanzi ad un'ennesima mostruosità giuridica e ad un'altra commistione di compiti e di principi: una norma processuale prevede un atto che, pur inserendosi in una fase processuale, è svincolato dal rispetto di ogni forma procedurale, non arriverà mai al processo ed è insuscettibile di qualsiasi controllo di legalità. Tali anomalie appaiono ancor più gravi, se si tien conto che tale potere della polizia viene esercitato nei confronti di cittadini privati della libertà personale. La logica che mira ad istituzionalizzare la subalternità della magistratura agli organi della polizia si è espressa anche nelle modifiche apportate al fermo giudiziario: l'art. 7 del d.l. 15/ 12/79 n. 625 prevede che sia data notizia del fermo al magistrato non più «immediatamente» ma «senza ritardo e comunque non oltre le 48 ore»; correlativamente aumenta il tempo in cui il fermato può essere trattenuto negli uffici di polizia. Inoltre, i risultati delle sommarie indagini svolte dalla polizia devono essere comunicati insieme a motivi per i quali il fermo è stato operato non più nelle prime 48 ore, ma nelle 48 ore successive alla comunicazione del fermo, e quindi sino alla 963 ora dal provvedimento. Quindi, non solo il fermato può essere trattenuto dalla polizia per 48 ore senza che il magistrato ne sia informato, ma quest'ultimo può trovarsi dinanzi all'esigenza di convalidare il fermo senza conoscere i risultati delle Coccodé. Una gallina ha fatto l'uovo. La natura prosegue il suo corso. La vita continua. La bambina corre, prende l'uovo e lo dà al nonno. PP delle due mani che passano l'uovo. Ovviamente, per sottolineare il legame tra le generazioni, la continuità nel rapporto con la terra, il passaggio dell'uovo non è rapido, ma lento, rituale e il PP si ferma a lungo sulle mani intrecciate. Poi il nonno e la bambina si allontanano per mano lungo ilmuro della casa in mezzo alla campagna, superano il cancello e rientrano nell'appartamento. Stacco. Sono nella camera mortuaria. Le candele sono ancora accese nella penombra. La bambina soffia sulla fiamma e le spegne. Si ribadisce che la vita continua. Il nonno apre la finestra. Soggettiva del funerale. Il nonno si volta, guarda la bambina. Si avvicina a un mobile. Prende la fede della moglie e se la infila al dito. PP delle mani che compiono questo gesto. Nulla ci viene risparmiato. L'immagine viene anche bloccata. Scorrono i titoli di coda. Che esemplarità. In poche inquadrature lente, dilatate, Rosi ha concentrato tutti i peggiori luoghi comuni narrativi, quelli che non si trovano più nemmeno nei fotoromanzi. Neppure Visconti avrebbe osato tanto. indagini svolte dalla polizia e quindi senza poter controllare i motivi inizialmente da questa addotti. Ulteriore conferma che la funzione di garanzia e di controllo del giudice - svuotata di ogni contenuto - acquista sempre di più l'immagine di una copertura alle operazioni condotte dalla polizia. B-1. Si istituzionalizza l'allargamento del soggetto interpretante nell'ambito del processo penale, attraverso norme che, conferendo al giudice ampi poteri discrezionali, - non ancorati cioè a criteri oggettivi - lo espongono al pericolo di adottare provvedimenti, di assumere iniziative sotto la spinta emozionale creata da condizionamenti dei mass-media e delle forze politiche che li gestiscono. La scelta del rito direttissimo, la durata della custodia preventiva, la contestazione di alcune aggravanti diventano aspetti del processo apparentemente affidati alla discrezionalità del giudice, ma in effetti possono essere gestiti da chi riesce a farsi protavoce- più o meno arbitrario - dell'allarme sociale indirizzato verso alcune manifestazioni di devianza. L'allarme sociale costituisce il timone della politica penale gestita dalle forze politiche dominanti: se si segue il rito ordinario, tale fattore peserà nella fase della sanzione anticipata (la custodia preventiva); se si segue il rito direttissimo, l'allarme sociale concentrerà la sua influenza nella fase della decisione. L'introduzione poi in circostanze aggravanti di concetti di valore indeterminati, come lo scopo di eversione dell'ordine democratico e di terrorismo - mutuati dal linguaggio politico - pone una pesante ipoteca culturale ed ideologica sui giudici, a favore delle forze politiche dominanti. L'ombra della costituzione materiale si inserisce in questo ampio potere discrezionale del giudice: oggi esiste una normativa che gli concede: 1) di scegliere il rito direttissimo in una indeterminata serie di ipotesi - e quindi tutta la carica di esemplarità pura che tale rito comporta; 2) di scegliere se la ~ libertà di un imputato sia o meno com- ~ patibile con le esigenze di tutela della ~

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