Alfabeta - anno III - n. 24 - maggio 1981

Teatro, sull'orlodellosvuotamento Teatro Potlach di Fara Sabina Prima che la festa cominci Piccolo Teatro di Pontedera Un po' per non morire Rassegna Ombre m~tropolitane Roma, Galleria d'arte moderna. Internazional School of Theatre Antropology, 1 sessione Bonn, 1-30.10.80, seconda sessione Volterra, agosto e settembre 1981 Teatr Laboratorium O teatro delle sorgenti diretto da Jerzy Grotowski 'lllanatos polacco coordinato da Riszard Cieslak Alessandro Fersen O teatro dopo Bari, Laterza, 1980 pp. 208, lire 6.000 1) La crisi deU'avanguardia L a grande espansione del pubblico, degli incassi, degli operatori, delle sale, che ha caratterizzato in questi ultimi anni il teatro (a differenza per esempio del cinema), nasconde appena una crisi profonda della forma sociale, della committenza, dei sistemi di competenze, dell'«arte• se si vuole. Senza pretese di riuscire esaurienti, elenchiamo qualche sintomo. La produzione drammaturgica, benché protetta da provvedimenti economici pubblici e dall'ideologia ufficiale che fa coincidere il teatro con la letteratura drammatica, è ormai un genere letterario estinto. Anche nei paesi in cui l'ideologia del teatro/drammaturgia regge di più, la produzione di letteratura drammatica non ha portato quasi testi notevoli da almeno due decenni. Durante tale periodo in realtà l' «autore• dello spettacolo teatrale è sempre stato il regista e il testo più o meno classico è servito solo come un ingrediente fra gli altri per il suo lavoro. ln questa generazione di registi/autori ce n'è stato più d'uno di levatura internazionale nel teatro italiano; e non importa qui discutere le rispettive (e naturalmente contrastanti) ideologie teatrali. Anche questa figu~a sembra però in crisi profonda. Senza fare considerazioni di tipo estetico o analisi della produzione, basta guardare all'età media dei registi affermati nel nostro teatro per rendersi conto che i rincalzi ai «maestri• del passato mancano. e che questo tipo di produzione rincorre ormai affannosamente il proprio passato, in alcuni casi «illustri» anche letteral111enteriproponendo allestimenti d'annata riveduti e corretti. Alla mancanza di una drammaturgia e al rifiuto politico ed estetico delle scelte del teatro d'arte o degli allestimenti di regia si opponeva in passato un'area definita un po' insensatamente «avanguardia» o ancora meno giustificatamente di «ricerca» o «sperimentazione». (Bisognerà pur prendere atto che quelle avanguardie non hanno mai fatto parte di nessun esercito, quelle ricerche non trovavano mai altro che se stesse, nella migliore delle ipotesi. quegli esperimenti non testavano nulla... insomma che tutta l'ideologia dell'essere «avanti» e del «ricercare» è una metafora radicalmente inadeguata alla realtà.) Negli ultimi anni è accaduto che questi settori del teatro in Italia e all'estero, si sono radicalmente svuotati. I nomi più illustri sono emigrati verso il ruolo di candidati alla successione dei maestri agonizzanti del comparto «classico» o «d'arte», con risultati in genere piuttosto deplorevoli. Altri hanno semplicemente cambiato lavoro. Altri ancora. che si sono solidamente insediati nelle strutture assiUgo Volli stenziali-corporative, che hanno cioè appena finito di espugnare i contributi ministeriali e l'Eti, continuano in attività che non interessano più nessuno, né il pubblico né gli intellettuali altre volte affascinati dalle loro «provocazioni», né si direbbe loro stessi, anche se fingono ancora per comprensibili motivi, insieme a qualche critico e organizzatore. La crisi dell'avanguardia è radicale e definitiva, prenderne atto è un semplice dovere di onestà intellettuale. Ma si può fare qualcosa di meglio: comprendere e cioè distinguere. Forse non è mai esistita un'attività omogenea degna di questo nome (per confuso che sia). Ci sono stati for~edei registi e degli attori che hanno lavorato sui livelli linguistici del teatro tradiziona·lmente meno valorizzati, in particolare su quello visivo. Elaborati questi livelli in maniera autonoma, costoro hanno lavorato in maniera abbastanza congrua al circuito tradizionale autore-regista-attore-pubblico, insomma non distinguendosi poi troppo, nella sostanza. dai decoratori di testi del «teatro d'arte•. Altre esperienze sono state più critiche. hanno comportato nuove aggregazioni micro-sociali nella situazione teatrale, hanno individuato nuove possibili forme di composizione, perfino nuovi protagonismi. Ma è facile riconoscere a posteriori che non c'è soluzione di continuità dalla regia «creativa» degli Strehler a quella più «arbitraria» dei Trionfo, a quella più progettuale dei Ronconi, fino ai soliti nomi della scuola romana. Beninteso se si rinuncia a ogni considerazione di valore. Il teatro è, per tutti costoro, una cerimonia sociale dove si produce dell'arte per un pubblico, magari assemblando materiale di altri artisti. tanto se si mette in scena Brecht, quanto se si «stravolge» Shakespeare o Proust. 2) La ripetizione e l'assortimento Di fronte a questa crisi, l'atteggiamento generale è quello di non tenerne conto, far finta che tutto vada bene. I teatri stabili continuano a riallestire gli stessi testi, oppure a scoprire «stimolanti» drammi minori di questo o quel «classico», con costi.di produzione tali che impongono ormai anche ai più solidi di consorziarsi per finanziare gli spettacoli. Continuano ad esistere premi letterari per le «novità italiane», continua ad esistere un'«associazione del teatro sperimentale», che serve a dividere i finanziamenti ministeriali, tutelando un esercii J di anime morte. Il tentativo più o.-ganizzato e ideologico di ripartire è venuto da un gruppo di operatori romani che hanno tentato di lanciare un «postmoderno» teatrale, prima valendosi della comica denominazione di «postavanguardia» e poi alludendo a «nuove spettacolarità», «catastrofi» e altri «buchi neri». Non ha senso in questa sede fare questione di etichette, e neanche discutere !'«ideologia francese» che soggiace a questi tentativi di organizzazione, singolarmente in contrasto col «gusto americano» dei fenomeni stessi. Si tratta sostanzialmente di performances che vogliono situarsi all'incrocio delle ex avanguardie teatrali, delle danze postmoderne, delle pitture più o meno lande body e concettuali, con un pizzico di discoteca e di gusto hollivudiano che viene detto «metropolitano» di recente anche riferendosi alla dimensione di Ravenna. È possibile, anche se io personalmente ne dubito, che questi fenomeni possano avere qualche interesse rispetto a qualcuno dei domini da cui traggono origine; è possibile che vi sia in qualcuno di questi lavori qualche spunto di interesse formale. Ma certo questo non avviene rispetto a un contesto teatrale, dove si tratta di scontate e banali anticaglie. Se si prendono in considerazione non le giustificazioni verbali, ma i metodi di lavoro e i prodotti realizzati, è evidente che in essi vi è sempre la realizzazione di una singola idea o variazione per lo più visiva o sonora, somministrata al pubblico in vista dei suoi effetti. La qualità delle immagini è quasi sempre (volutamente?) banale, il tipo di «imagerie» non si stacca da stereotipi cinematografici, la capacità di articolazione dei contenuti e degli strumenti in un arco retorico o drammatico assolutamente non sviluppata. C'è .sempre qualcuno che scopre l'America (o i media), e questo è il contributo tematico di queste tendenze; ma in questa maniera non si fanno altro che riprodurre teorie, e pratiche e gusti degli anni '60; poiché non si è in grado di definire la propria differenza rispetto a cinema e televisione e fumetti (che poi, ormai lo sappiamo da decenni, non sono davvero cosi totalizzanti e divoratori), se ne assume in pieno la strumentazione retorica, spacciandolo per inconscio collettivo e per di più «metropolitano». Un'America letterale e perciò turistica viene presa a sfondo di esercitazioni che non partono assolutamente da esperienze reali di disgregazione più o meno «metropolitane» o rurali, ma da immagini preconfezionate, maneggiate con molto meno humour e distacco di quanto sappia fare un autentico frequentatore di fumetti. Tv, discoteche. Insomma. il futuro che ci disegnano questi paesaggi nasce dal passato. è un futuro anteriore assolutamente privo di presa sulla realtà. E sul piano della qualità, la ripetizione e l'assortimento più banale sono la regola. 3) L'intertestualità Un settore del teatro che ha motiva- -, oc, °' ...., _ .. ,.._

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