Alfabeta - anno III - n. 24 - maggio 1981

discriminante orientativa per la sinistra marxista. Anche con choc. Ciò ha un valore iniziale fermo, indubbio; e spesso mantiene un valore profondo. S'imponeva allora l'inevitabilità di un «aggiornamento» sulla nuova tecnologia. Devo dire di essermi nutrito negli anni Sessanta e oltre di questo motivo dell'aggiornamento, che è proprio del «marxismo critico», e che porta sempre l'opposizione sociale al livello della ricerca in corso, come in una sfida e in una risposta più avanzata. Successivamente non ho più scelto questa componente, mi sono logorato sui principi (e sulle loro tenute). Ora, dico, nella tensione attuale della sinistra, è suonato anche a me giusto e insieme temibile il punto dell'aggiornamento indispensabile: l'ho preso con volontà di verifica, e, intanto, ho taciuto. Già col grande tema del dissenso, contro le anomalie del socialismo reale («prova storica» del manismo, dice qui Rossanda), negli anni precedenti Il Mf!r1ifesto aveva imposto una discriminante del dibattito: su cui scontrarsi internamente, far verifiche ancora, precisare, e se è possibile non assolutizzare la ragione pur giusta del dissenso ... Anche ora nella mossa del Manifesto risulta una decisività, un punto improrogabile, sul quale (nel proseguimento che occorre) si deve stabilire: se si tratta di rompere gli schemi e le fJSSità,o se si tratta di rinunciare alle categorie del marxismo (che sono sempre, se si può dir cosl, le meno e protette» di tutte). L'esposizione complessiva di Paola Manacorda, sul salto tecnologico in corso, è il risultato di un'indagine empirica che si presenta con lucidità folgorante di rilievi (sia questa una grossa o la maggiore rivoluzione nella storia del capitalismo, o sia addirittura, come si vuole da alcuni, una transizione di epoca dell'umanità). Raccogliamo i termini dell'attuale csmaterializzazione». Avevamo fin qui: il rapporto con un oggetto fisicodel lavoro; un luogo fisico di aggregazione e in qualche modo di coercizione; il fatto di riconoscersi come soggetti antagonisti (e di subire un controllo oppressivo): «Era molto chiaro il rapporto fra l'estrazione di plusvalore e tutta una serie di aspetti materiali come i tempi di lavoro, la quantità della produzione, i carichi di lavoro, la fatica» (p. 25) ... Che cosa accade oggi, tendenzialmente? Anche se oggi eia scomparsa del lavoro manuale non è dietro l'angolo», l'automazione consentirebbe di emettere tra parentesi questa materialità», riducendo tutto o quasi il processo produttivo a quello informativo (in esso integrato). È cioè possibile riprodurre quasi ogni processo di lavoro in termini automatici. Si estende il lavoro decentrato a domicilio, collegato al luogo di lavoro tramite terminale. Si modificano le tradizionali distinzioni fra operai, impiegati e dirigenti. La divisione internazionale del lavoro attraversa il prodotto stesso (come nel caso dei motori Fiat prodotti in Polonia e carrozzati in Italia, o in quello dei circuiti integrati prodotti in Usa e in Giappone e inseriti nei prodotti elettronici italiani). • A questo punto la domanda decisiva è precisa: se vi è cun contenuto non residuale di lavoro vivo all'interno del processo». Secondo Butera, citato da Manacorda, si può dare nei lavoratori un grado maggiore di «cooperazione intrinseca» ... Ma non ci si deve illudere; si pone ora il problema disperante della «alfabetizzazione informatica» e anzi quello della formazione di una cultura scientifica critica di massa, per non essere alla mercè dell'ideologia delle multinazionali, che gestiscono l'automazione ... Negli atti, si rilegge con sincero interesse il lungo intervento di P. Ingrao che vuole csottolineare piuttosto spostamenti, slittamenti, che non rovesciamenti radicali e totali»; che pone una sola clausola: csenza che l'idea di sviluppo si perda completamente» (p. 79). E indica di connettere le due sfere «scomposte perfino nella nostra mente»: quella del tempo di lavoro e quella del tempo di vita. Sicerca e si fruga nella ricostruzione critica di R. Rossanda per avere una risposta. Dopo avere osservato che negli anni scorsi cii lavoro poteva ormai essere problematizzato fino al rifiuto perché non sarebbe più mancato» (utile osservazione per chi si sorprende della caduta oggi del «rifiuto del lavoro»), Rossanda svuota drasticamente i terreni classici di cricupero»: l'idea di sviluppo, la professionalità o mestiere dell'operaio, il suo ruolo sociale (pilastri dell'etica del lavoro). Mette in luce cii riconoscimento di fatto, nei programmi e nelle politiche dei partiti comunisti e socialisti, d'uno - spessore storicamente ineliminabile e immodificabile dell'industrializzazione capitalistica» (p. 58). E dà un'indicazione solo di fondo, riferendo il proprio atteggiamento critico al cmarxismo dell'alienazione» (Lukàcs, Luxemburg, e cii cuore del maoismo») come filone marxista eretico, nella ricerca di una via della liberazione del lavoro. Il punto teorico è cosi detto: cconsapevolezza che il nodo centrale è dato da una produzione identificata storicamente e riproponentesi anche nelle più radicali società comuniste, in 'sviluppo eguale industrializzazione eguale lavoro diviso, salariato, alienato'». Vi è una tensione complessa, con l'alta resa di elaborazione che Rossanda raggiunge. Non vi è, anzitutto, il politicismo oggi prevalente. L'analisi del creale» (del processo produttivo) è marxisticamente l'accertamento primo e non prescindibile. Tale costanza non è fideistica, ma neppure probabilistica nel Manifesto. Il dubbio radicale sullo sviluppo e sullo svolgimento (e sulla stessa cnozione di lavoro», come l'ha espresso a fondo Rovatti) che è stato presente nel convegno, e talora viene assunto da Rossanda contro l'ottimismo conservatore, risulta infine come compresso. Non può esSére infatti annullato: non ci sarebbe il confronto con le nuove idee e posizioni, che è proprio del cmarxismo critico»; né assorbito: in sede politica dissolverebbe le forme di lotta fin qui note. Non va però ignorato perché (con la sua prospettiva, che sia neokantiana o altra) rappresenta o proietta la realtà recentissima, che è di degradazione del lavoro e di carenza d'alternativa ... Presso Il Manifesto ciò sta dunque oggi come un punto di confine, che mi pare insieme attrattivo e criticissimo. E per spiegarlo ancora: in una conferenza di Vegetti pubblicata con nota d'interesse dal Manifesto del 5 marzo si legge: e L'efficacia straordinaria della categoria dello sviluppo era quella di produrre non tanto una teoria quanto una giustificazione razionale del mutamento, che essa permetteva di pensare come sempre orientato o per cosi dire polarizzato verso i fini: sicché ogni momento determinato poteva venir concepito come stadio o tappa verso un traguardo». Occorre notare subito come sia di uso ora frequente (e, mi pare, provenga da S. Veca) una differenziazione accurata fra il termine ca quo» e il termine cad quem». _Ungruppo di studio: gli «interventi» Se si parte dall'analisi, come Il Manifesto ha fatto, il quadro marxista è mantenuto saldo. E tuttavia i dati analitici dovrebbero essere posti non empiricamente, ma nel reticolo categoriale marxista col suo valore di orientamento interpretativo. (Altrimenti - siamo a questo punto - non stiamo a lavorare in una transizione difficile, ma, proprio, il lavoro è senza senso, oppure è oggi in un «buco», se vogliamo rappresentare l'attualità come un· collasso.) Il lavoro è infatti nel marxismo il campo di rilevazione. È messo in priorità d'esame dal marxismo. Anche se· esso è già in Hegel il mezzo sociale, con sostanza razionale e partecipativa, i suoi problemi diventano decisivi per il fatto che il marxismo l'assume come campo: e vi decifra il plusvalore. Mi pare che tutto ciò si accentui, abbia una risalita netta, senza etica produttivistica, nella nuova sinistra. Differenziata dal «frontismo» che la precede, con un programma di liberazione assai più articolato, la nuova sinistra porta subito in sé una critica all'elemento di taylorismo in Lenin: quale figura nell'introduzione stessa del libro di Braverman; è a Cuba e in Cina, dice Braverman, che si è svolta cl'idea di una rivoluzione nell'organizzazione della produzione sociale». (In Italia si può ricordare che la critica al taylorismo di Lenin emerge già nel '67 nella rivista Classe estato diretta da F. Stame.) Lo stacco, dunque, dall'analisi anteriore e classica della realtà capitalistica consiste essenzialmente nel rilievo aggiunto del «dominio interiorizzato» nel processo di lavoro. E perciò risulta ottima la serie di punti di Maria Turchetto (pur citata da Paola Manacorda al convegno del Manifesto). Eccone alcuni. Occorre una concettualizzazione dei prohlemi di organizzazione del lavoro, che nell'uso marxista sono dati solo descrittivamente. La macchina capitalistica secondo Marx non è «antropomorfa», non meccanizza i movimenti vivi dell'artigiano e dell'operaio, ma li analizza e li scompone per connettere fra loro movimenti parcellari, e perciò «subentra soltanto a un lavoro diviso». Ogni fase di ristrutturazione capitalistica opererebbe secondo Turchetto in due tempi, con una dialettica di sottomissione «formale» (dominio coercitivo sul processo di lavoro) e sottomissione «reale» {dominio oggettivato come necessità tecnica, incorporato nel processo): e sarebbe questa la forma del movimento ciclico di «approfondimento» del rapporto di produzione capitalistico (con un settore trainante, come la chimica a cavallo del secolo e l'industria meccanica americana nel Trenta). Si formula infin·el'ipotesi importante che sia la «divisione tecnica del lavoro» a çleterminare quella sociale. , Con questo saggio si apre il voi. II della serie di «interventi leninisti teorici» a cura di L. Geymonat. Nel primo volume - a cui lo scrivente ha contribuito - si è posto un vaglio iniziale di storia della teoria, con questi punti: i caratteri della nuova sinistra; una polemica di tipo paradossale con l'Autonomia, per riequilibrare Marx, sostenendo che i Grundrisse non esistono (Macchioro ); la critica della tesi (propria del gruppo Cini, con utilizzo da parte del Manifesto) di un inglobamento della scienza nel capitale, riproponendo invece contro Kuhn il concetto marxiano di una tensione contraddittoria (Geymonat-Fiorani). Con una certa tematizzazione programmata, sembra che in questa rivista, o serie di libri collettivi, si stiano scrivendo mille pagine di approcci preliminari vari alla ricostituzione dell'uso delle categorie marxiste: poiché s'annunciano altri due libri fra un anno, di critica culturale e di teoria dell'analisi. Ora in questo voi. II il perno è critico-economico. È dunque leggendo La Grassa che cerchiàmo qui un nucleo. Come si sa, il marxismo è assai problematico oggi perché ci si scontra con un 'evoluzione sociale capitalistica da esso non prevista. Che non si è data in senso monopolistico semplice, che ha prodotto rivoluzioni nelle società non avanzate, ecc. ecc. Deriva da ciò - se posso essere cosi elementare nell'esporre il problema - la differenziazione oggi netta tra gli aggiornamenti assoluti, che escono •prima o poi dal marxismo, e una presunta «ortodossia»... Ora, la logorante diatriba sul come rendere pulsanti e non ripetitivi i principi del marxismo, nel loro rapporto con i dati empirici, domanda oggi un procedimento sofisticato che ancora non si è definito (mentre, a mio avviso, questo punto di epistemologia marxista è decisivo per un nuovo scatto). G. La Grassa tenta ciò, pur senza porre a fondo la questione epistemologica e anzi parlando di un proprio «aggiornamento» del marxismo (o meglio, dice, «rotazione», che è un termine nuovo e originale). Sta in questo un certo suo limite presente anche in Turchetto. Il tentativo è però solido e efficacissimo a caratterizzare i termini dell'attuale e nota «complessità» o «complessificazione» della dinamica del capitalismo. La parcellizzazione dei processi. e la connessione estrinseca fra loro, che La Grassa indaga, e insomma !'«anarchia» fuori di ogni piano e di ogni sintesi, oggi prevalsa ed esplosa, comportano nel suo discorso questa conseguenza: «Un potere maggiore implica una più estesa frammentazione dell'attività lavorativa sociale complessiva in tanti punti di condensazione della stessa, in luoghi differenti (e tra loro separati) di cooperazione di molti singoli lavori sotto la direzione di un agente (che non è un singolo individuo) della valorizzazione capitalistica. Il potere di ognuno entra perciò continuamente in acuta opposizione con quello di altri» (p. 143). Tale visione, condotta da La Grassa in senso classico di critica dell'economia, svela dunque un incremento enorme del conflitto interno nel dominio (nelle frazioni di potere e nei gruppi di potere): quale è effettivamente quello che abbiamo oggi sott'occhio. Il rapporto fra potere e diritto è indagato da A. Illuminati in un compendio (talora ellittico) che giunge a definire «apparenza reale» quella disseminazione del potere «che si presenta nella società capitalistica attuale e su cui si fondano tanto le illusioni giuridiche dei neo-garantisti quanto il realismo strategico e articolato di un Foucault» (p. 105). La ridefinizione della razionalità e della scientificità marxista è curata in due scritti da Eleonora Fiorani e da Ludovico Geymonat. Che, a confronto del versante panzieriano oggettivo che è proprio di La Grassa, risultano classicisti, con un loro leninismo libertario. Come definire questo lavoro in corso? Certo non c'è più l'ortodossia, dopo il «marxismo creativo» di Sta- !in... Sembra che si possa parlare di' una formulazione di neo-leninismo, ancora aldiqua della precipitazione dei suoi punti. È un teniativo recente - il solo, pare, in Italia, mentre si è estinto in Francia quello di Althusser consimile nel fine e diverso nei modi - per effettuare un nesso in sede teorica stretta fra sinistra storica e nuova sinistra. E in questo terreno, per riprendere il filo più sottile del nostro articolo, il problema di un'eventuale caduta del concetto di svolgimento è sbiadito, meno incisivo: perché esso suggestiona e corrode piuttosto gli usi storicistici. Qui la determinazione strutturale del modo di produzione è fissa; la variabilità dei fenomeni interni alle sue fasi non fa ballare processualmente le categorie interpretative (come nel supposto «neocapitalismo» anni fa, ecc. ecc.) Una voce È utile un'aggiunta alla nostra recensione. Rispetto al Veca che conosciamo, con accento lakatosiano, razionalista neo-weberiano di fondo, c'è qualche ritocco apprezzabile nella sua voce enciclopedica per «rivoluzione». Poiché, dicevamo, c'è oggi un'intrigante e acuta «messa in perdita di senso» dello sviluppo o svolgimento, ci serve qui di rimarcare questa voce. In essa, marxismo e leninismo sono assai distanziati, e tutt'insieme l'elemento dello sviluppo è debole. Si potrebbe dire: c'è qui all'opera già una mentalità di stampo kantiano, che considera la ragione come valore unico, e limitato, mentre è contraria al nominalismo. Che cosa è. sotto questo esame oggi, la «rivoluzione» (connessa certo alla processualità?) Citiamo con interesse. È «una particolare classe _dimutamenti e discontinuità in uno o più livelli differenti delle società umane». Implica un «determinato e circoscritto modo di irregimentazione e disciplinamento del tempo». E ciò è una risposta da parte delle immaginazioni collettive all'«enigma dei rapporti fra presente, passato e futuro». Ha a che vedere con «la demarcazione tra possibile e impossibile». Senza enfatizzare la condizione del tempo breve, come siamo indotti a fare nella nostra epoca accelerazionista e artificialista, puntata tutta sul nuovo, si devono scorgere: «lne.rzia, costanza e tenacia là dove ci si aspetterebbero alti tassi di variazione». L'evento rivoluzione deriva da un «accumulo di forza straordinaria, non legittima nel quadro del vecchio ordinamento; i costi sociali della nascita del nuovo ordinamento si possono mettere in bilancio con i costi sociali della stagnazione e dell'entropia del precedente». E ancora: tale evento « irrompe (...) nel buco nero del potere di ancien régime»; e in esso «convivono modelli di processo compiuto e di processo incompiuto». Con questa impostazione nutrita lucidamente di termini nuovi, la voce giunge infine a dire: «Per quanto non sia necessario, è possibile che società create dall'ordine politico (o dall'organizzazione come valore in sé, che è l'innovazione di Lenin) crescano e finiscano, per una via o per l'altra, per prendere parola. Moore ha osservato che 'gli effetti di libertà delle rivoluzioni passate hanno richiesto parecchio tempo per manifestarsi'» - anche se sono rari i punti fissi di non ritorno indietro. Poiché Veca, neo-contrattualista in una definizione recente di Vegetti sul Manifesto, si connette al marxismo ..., democratico e legalista (se cosi si può ..., dire), senza rapporto col movimento -~ di nuova sinistra, abbiamo anche da gi> questa versione «insospettabile» una nozione di processualità, vicina al dibattito violento sulla storia della scienza. Ed è nell'arco di questo dibattito epistemologico che si può affrontare forse il quesito posto da Eleonora Fiorani e da Ludovico Geymonat (voi. II citato) sul rapporto spregiudicato fra una processualità non cumulativa «semplice» e l'idea marxista irrinunciabile di un progetto complessivo. e,.

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