Alfabeta - anno III - n. 23 - aprile 1981

filosofia del fascismo di Evola. Se mai, la sua filosofia è quella del sovrarazionale e dello spirituale, piuttosto che dell'irrazionale, è una filosofia dell'essere piuttosto che del nichilismo, del classicismo olimpico piuttosto che del dionisiaco romantico-tellurico. Al centro del tradizionalismo di Evola sta la «dottrina delle due nature», un dualismo fatto di sovrannaturale e naturale, ma non nel senso cristiano che «deriva essenzialmente dal dualismo proprio allo spirito semita». Per Evola, il sovrannaturale non deve essere ipostatizzato o personalizzato. Piuttosto, è il prircipio impersonale da cui procede ogni forma e realtà, un ·numen othemis cosmico, «una essenza priva di passione e di mutamento, che crea distanza rispetto a tutto ciò che è soltanto umano». Questo mal precisato regno dello spirito è la base della concezione gerarchica del tradizionalismo evoliano, secondo la quale ogni potere viene «dall'alto». Il regno del sovrannaturale impone la forma e l'ordine su tutto ciò che sta sotto e in questo modo trasforma il cosmo in «un organismo stabile ed animato, costantemente orientato verso il sovramondo, santificato in potenza e in atto, secondo i suoi gradi gerarchici, in tutti i domini». Lo spiritualismo di Evola è perciò l'origine della sua teoria organica, e, di fatto, «religiosa» dello Stato-come-Impero. «Se un Impero non è sacro Impero, esso non è nemmeno Impero, ma qualcosa come un cancro». Lo Stato, come ogni cosa che possieda qualità e forma, prende il suo potere dall'alto e non dal popolo. «La sostanza del demos è sempre demonica (nel senso antico, non cristiano-morale del termine), essa abbisogna sempre di una catarsi, di una liberazione. prima che possa valere come forza e materia-dynamis di un sistema politico tradizionale». Lo spiritualismo di Evola è anche la base della sua difesa di un sistema sociale di caste nel quale ognuno deve mantenere la propria funzione nell'ordine complessivo, poiché «Dio» assegna a ciascuno il suo stato nella gerarchia. Evola condanna la moderna società laica, proprio perché disgrega il sistema delle caste e i suoi rapporti con il divino. «Nel mondo moderno umanizzato e privato della dimensione delia trascendenza, l'uomo 'libero· moderno non è null'altro che il senzacasta, il servo emancipato, cioè il paria glorificato». Al posto di questa «libertà», Evola sostiene la «fedeltà» e la «virilità trascendente», cioè la lealtà nei confronti del potere archeologicogerarchico dello spirito e delle sue manifestazioni nella società e nella politica. e hiaramente, in questa visione, la storia non ha valore, perché è con essa che l'uomo si separa dall'età dell'oro della verità e dell'essere (Satya Yuga) e si trasforma in uomo comune, democratico e con spirito di gregge (il Kali Yuga). «Il mito dell'evoluzione», scrive, «non è null'altro che la professione di fede del parvenu». In nessun altro pensatore europeo del nostro secolo esiste un rifiuto della storia e a fortiori del mondo moderno così assoluto e violento. Possiamo trovare un'indicazione del carattere regressivo della sua teoria della storia nelle sue ripetute affermazioni, secondo le quali il vero declino dell'Occidente è cominciato fra l'ottavo e il sesto secolo a.C. (Evola va ancora più indietro di Heidegger!). In breve, la filosofia del fascismo di Evola è intenzionalmeme e consapevolmente regressiva, proprio perché il potere di ordinazione del mondo ha alle spalle una filosofia, in ciò che è storicamente passato e ontologicamente apriori. La conoscenza e l'azione vere, perciò, non sono discorsive, non sono predisposte verso il futuro, non sono oggetto -di scoperta, ma di riscoperta, quasi come la anamnesi di Platone (Evola afferma: «riconoscere o ricordare») del regno eterno, non umano dello spirito. Nella introduzione a Rivolta contro il mondo moderno Evola scrive: «Le verità che possono far comprendere il mondo della Tradizione non sono quelle che si 'imparano' e che si 'discutono'. Esse o sono,-o non sono. Ci si può solo ricordare di esse». Quello che si può trovare di nuovo nella filosofia del fascismo di de Benoist sta principalmente nel regno dei principi metafisici o ontologici e non in programmi sociali o politici (per i quali i fascisti non hanno trovato un'idea nuova in mezzo secolo). Mentre Evola, adattandosi alla tradizione del neoidealismo, ha visto il mondo immerso in uno spirito «archeologico» che dà forma e significato ad ogni cosa, de Benoist, che preferisce Nietzsche e Heidegger agli hegeliani e che si dichiara nominalista ed esistenzialista, vede ilmondo come fondamentalmente caotico e privo di significato. «Non troviamo alcun 'senso' nella organizzazione e nella configurazione del mondo», scrive in Les idées à l'endroit. «Rifiutiamo qualunque tipo di determinismo, 'spaziale' o 'temporale'». Al tempo stesso, mentre l'archeologia ontologica di Evola comporta una «virilità trascendente» regolata dalla supremazia dell'intuizione spirituale e che si rifà alla fedeltà dell'anamnesi, l'ontologia del caos di de Benoist comporta un'antropologia basata sulla supremazia della volontà, il volontarismo del «soggettivismo eroico». Se Dio è morto, afferma, non esistono norme nella realtà e non esiste a fortiori alcuna gerarchia, eccetto quelle che l'uomo crea per se stesso con la forza della propria volontà. «li mondo è caos, ma possiamo dargli una forma. Quello che facciamo non ha altro significato che quello che gli diamo noi. L'ordine che stabiliamo intorno a noi è, in effetti,. null'altro che ciò che vi mettiamo». Seguendo il pensiero di Evola, egli definisce il baratro che separa la filosofia della Nuova Destra da quella della Vecchia Destra. «O esiste un ordine nell'universo e il compito dell'uomo è di conformarsi ad esso (e perciò la restaurazione dell'ordine pubblico è la stessa cosa dellari-cerca della verità) o l'universo è caos e il compito dell'uomo è quello di dargli forma». t chiaro da quale parte del baratro stia de Benoist: «L'ordine si crea, non si riceve». L'esistenzialismo di de Benoist, bisogna notare, non è un'abdicazione all'ontologia o alla metafisica, ma un rimaneggiamento di queste ultime in forma di volontarismo. Al posto dell'«essere delle origini» di Evola, de Benoist mette l'uomo, inteso come volontà di potenza. Ma questa è una decisione sull'essenza della realtà (ousfa) e così de Benoist (come ietzsche e a differenza di Heidegger) finisce col proporre un'altra forma di metafisica. Egli afferma che «l'uomo è la quintessenza di tutto» e che la sua «aspirazione all'ordine, (cioè la sua volontà) è un'essenza». L'idea di volontà di potenza è ancora ontologia («All'inizio fu l'azione», scrive) e da quella metafisica volontaristica seguono i suoi imperativi etici. L'uomo deve diventare la «causa e il creatore di se- stesso», deve «costruire eroicamente» e «diventare quello che può essere». Per cui, «la fedeltà», non è più, come per Evola, un impegno con la natura archeologica e una funzione cosmologica di un regno spirituale a priori che determina tutto. Piuttosto fedeltà è semplicemente fedeltà a se stessi. La massima di de Benoist è: «Scegli la tua regola e seguila sempre». Non c'è altra giustificazione per un atto. se non la sua scelta individuale. Per de Benoist, perciò, lo Stato non è preordinato come un'istituzione organica e gerarchica. Deve essere costruito in quel modo. Mentre, materialmente parlando, la biologia fornisce un modello di organicità nella società e nella politica, parlando in termini di forma, non c'è una necessità ontologica per lo stato organico. De Benoist propone, in realtà, un nuovo tipo di «fallacia platonica». Se le norme sono solo convenzioni e se nessuna società può fare a meno di norme, allora in realtà l'unica possibilità è quella di presumere ed istituire una certa soggettività collettiva (leggi: lo Stato) con un potere tale da poter essere percepito a sua volta come una norma «naturale» che funzioni come «assoluta» nella struttura sociale. N onostante tutte queste importanti differenze, sussiste una continuità fondamentale tra la Vecchia Destra di Evola e la Nuova Destra di de Benoist e il legame sta nella teoria di de Benoist sul tempo e la storia. Mentre l'ontologia di Evola dell'arché comporta una teoria ciclica del tempo (il ritorno periodico al Satya Yuga), l'ontologia di de Benoist del caos e della volontà comporta un concetto sferico del tempo (ogni cosa è nel momento), che trae da Nietzsche. La storia, per de Benoist, come per Evola, non ha senso, ma non perché tutto il significato sta nell'essere delle origini. Piuttosto, «il passato e il futuro sono dimensioni presenti in ogni momemo,.. Ovviamente, questa non è una visione teleologica della storia. «Il momento presente attualizza tutti i momenti passati e crea in potenza tutti quelli futuri. Accettare il presente, assumendo con gioia l'istante, vuol dire essere capaci di godere di tutti gli istanti nello stesso tempo. Il passato, il presente e il futuro sono tre prospettive, ugualmeme reali ora, che vengono date ad ogni momento del divenire storico». Ma se questa visione del tempo e della storia permette a de Benoist di rompere con le nozioni sia lineari-che cicliche del tempo, gli dà anche la possibilità di collegarsi con la /fadizione, in senso sia culturale che etnico, e qui de Benoist rivela il suo concetto di «tradizionalismo». La tradizione, dice. non è il passato. ma è «al di là del tempo». Essa è «permanente» e «dentro di noi» e diviene la nostra tradizione, quando la riutilizziamo. Questa è una nozione che vorrebbe essere heideggeriana, ma se la esaminiamo a fondo, scopriamo che quello che de Benoist intende per «tradizione» è il proprio retaggio culturale, cioè la razza e la famiglia di ciascuno. «L'unica vera pietà (cfr. 'fedeltà' in Evola) è la pietà filiale, estesa anche agli antenati, alla prole e alla propria gente>. Questo nobife sentimento assume un altro aspetto (quello razzista), quando de Benoist comincia a parlare del retaggio razziale delle culture. Pur affermando che «tutti gli uomini di qualità sono fratelli, senza distinzione per la razza, la nazione o il tempo», il suo concetto della qualità è, come quello di Evola, aristocratico, in quanto pensa che le «masse» manchino di «forma» e di «significato». Preferisce i Celti ai popoli mediterranei ed afferma che gli antichi romani erano superiori ai cartaginesi, perché erano guerrieri appartenenti all'Europa continentale e non mercanti marittimi africani. Asserisce che Zoroastro (ariano) aveva le sue buone ragioni per proibire - i matrimoni misti. La «Nuova» Destra va sempre più assomigliando alla Vecchia Destra, se continuiamo a confrontare le teorie sullo Stato di de Benoist con quelle di Evola. Lo Stato dovrebbe essere organico e gerarchico, organizzato sul principio della sovranità (che viene imposta dall'uomo), non deve essere diviso in partiti e fazioni, ma modellato secondo il sistema europeo di casta tripartito. Egli condanna le democrazie di massa, in quanto rendono tutti uguali e sono indifferenti al retaggio culturale e al patrimonio nazionale (vendono persino i tesori dell'arte nazionale agli stranieri, fa notare). È anche molto chiaro su quello che riguarda la politica estera. «Io sono il cittadino di un paese e l'erede di una determinata cultura. Non faccio della politica una questione di moralità spersonificata, ma una questione di rapporti di forza. Di fronte agli avvenimenti individuali, io mi chiedo: qual è il nostro interesse come francesi ed europei?» In termini razziali, significa proteggere l'uomo bianco. «Se si denuncia giustamente «l'etnocidio dei primitivi da parte degli Europi, allora non si può proibire agli Europei di proteggere la propria giusta etnicità». Riassumendo questo confronto fra la Vecchia e la Nuova Destra: il fascismo di de Benoist differisce dalla metafisica di Evola ma concorda con la sua filosofia sociale e politica. Per quello che riguarda la metafisica, egli mantiene le distanze dall'archeologia di Evola, il suo dualismo, il determinismo e l'intuizionismo spirituale, ma non al punto da sostituirla con una teleologia della storia o con una teoria del progresso, se mai per affermare l'assurdità esistenziale della realtà e la corrispondente supremazia della volontà di potenza. Per de Benoist, il verticalismo e il determinismo delle teorie di Evola sono troppo vicine a un universalismo totalitaristico: solo un volontarismo nominalistico può garantire e difendere il diritto alla differenza e all'uguaglianza all'interno di una società organica e gerarchica, creata dalle sole forze dell'uomo. Ecco perché de Benoist preferisce i miti del politeismo al dualismo monoteistico. La filosofia di Evola è una metafisica archeologica ed aprioristica che tende a risolvere l'azione nell'anamnesi; la filosofia di de Benoist è un nominalismo esistenziale che abbandona l'intelletto riconoscitivo per lasciare libera la volontà di un'autoaffermazione creativa. Per Evola, lo stato organico viene stabilito dalla natura della realtà stessa e deve essere ricostituito; per de Benoist lo stato organico è un ideale che gli uomini devono realizzare per se stessi e stabilire anche con la forza. Evola offre la certezza di ciò che viene determinato a priori; de Benoist l'alea di ciò che deve ancora essere compiuto. Le teorie metafisiche di Evola e di de Benoist, platoniche da una parte e nietzcheane dall'altra, sono molto diverse. Ma sembra che all'atto pratico lo scopo rimanga lo stesso. Quello che il volontarismo di de Benoist e lo spiritualismo di Evola hanno in comune è ciò che Franco Ferrarotti chiama cl'interruzione del discorso», il rifiuto dell'intelletto discorsivo e l'affermazione dell'azione nell'ordine politico. Come scrive de Benoist: «Le cose grandi e belle non hannoraison d'étre. t per questo che bisogna farle ... L'azione è la cosa più importante, non colui che la fa; per cui è importante anche la missione, non colui che la effettua. Noi siamo contro l'individualismo e per un impersonalismo attivo. Quello che si deve fare non viene spiegato in termini di motivazioni. La nobiltà non parla ... Non cercate di convincere; cercate di risvegliare». De Benoist è adamantino per quello che riguarda la innaturalità della democrazia liberale. Essa è, afferma, totalitaria e «perciò, per definizione, disumana». Ma se è disumana, pare che debba essere distrutta con violenza, con un «impersonalismo attivo» e un «nobile silenzio». La protrettica di de Benoist fa paura: ccli 'nichilismo attivo' di Nietzsche non ha altro senso che questo: si può costruire solo dove

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