Michel Serres Hermes I. La communication Parigi, Les Éditions de Minuit, 1968 Miche! Serres Lucrezio e l'origine della f"isica Palermo,Sellerio, 1980 pp. 201, lire 10.000 Miche! Serres Hermes IV. La distribution Parigi, Les Éditions de Minuit, 1977 Miche! Serres Hermes V. Le passage du Nord-Ouest Parigi, Les Éditions de Minuit, 1980 S aiutando l'opera di Foucault Deleuze auspicava la nascita di una nuova cartografia: «Un nuovo pensiero, positivo o positivista, il diagrammisrrw, la cartografia> (AA.VV., Deleuze, Lerici, Cosenza 1976, p. 45). Emerge l'immagine del cartografo borgesiano, nella sua impresa impossibile di costruire una carta topografica dalle dimensioni equivalenti a quelle dell'impero. Miche! Serres coniuga la vocazione cartografica con quella stratigrafica, nella passione di un viaggio pluridimensionale, teso a raggiungere la natura nelle sue ultime profondità. Serres indica- per usare nuovamente il linguaggio di Deleuze e Guattariuna «scienza minore o nomade», nella sua contrapposizione sotterranea con la «scienza dello Stato»: «Bisognerebbe opporre due tipi di scienza, o di pratica scientifica: una che consiste nel 'riprodurre', l'altra che consiste nel 'seguire'. La prima sarebbe di riproduzione, di iterazione e reiterazione; l'altra, di itinerazione, sarebbe l'insieme delle scienze itineranti, ambulanti.( ...) Seguire non è per niente la stessacosa di riprodurre, e non si segue mai per riprodurre> (G. Deleuze - F. Guattari, Mille Plateaux, Éditions de Minuit, Paris 1980, pp. 460-61; cfr. tutto il paragrafo, pp. 446-64). Seguire questo nomade della pratica scientifica equivale a proporre - sotto il segno di Ermes - viaggi senza fine, irripetibili. Limitiamoci a qualche itinerario, che indichi singoli vettori delle coordinate di questa enciclopedia in movimento. «Ecco Ermes, dio delle strade e degli incroci, dei messaggi e dei commercianti> (H.l., ·p. 10). La comunicazione appare traccia decisiva di ogni forma di sapere, di un sapere che si presenta come scambio, traduzione, viaggio; e la matematica ne è il dizionario, il met-odos. In questa esperienza di un lungo accidentato tragitto attraverso i saperi più diversi, Serres traccia innanzitutto le coordinate dell'apparato stesso della comunicazione, dalla genesi greca dell'astrazione alla «comunicazione sostanziale> di Leibniz. Definire un apparato equivale a tornare ricorsivamente sulla storia delle matematiche e - ad esempio - su quella, ben circoscritta, dei primi decenni del nostro secolo. Serres indica la direzione vettoriale nel passaggio da una «epistemologia esterna» (il cui ultimo, classico rappresentante francese viene rintracciato in É. Le Roy) a una «epistemologia interna>, ad un nuovo discorso sulla matematica che in essa stessa trova i suoi segni, la sua lingua rigorosa. In un tempo di ricostruzione sistematica, strutturale, quale è il nostro, ci matematici divengono gli epistemologi del loro proprio sapere> (H.l., p. 68); il loro linguaggio mantiene i caIldiodegli ncroci ratteri compresenti del sistema e del movimento, la chiusura esterna del metodo matematico corrisponde a una sua interna e incessante apertura. In tal modo la storicità si trasforma in «ricorrenza»: la ricorrenza storica diviene, in seconda approssimazione, la conseguenza del movimento interno delle matematiche. L'implicazione della storicità nel campo dei sistemi conduce a riformulare l'eterno, insoluto rapporto tra «verità» e «concetto di verità». cli vero rimane invariante attraverso le trasformazioni diacroniche; ciò che cambia è il concetto di verità. La verità matematica, index sui et falsi, l'essenza automatica di questo vero resta stabile - e stabile perché automatica-e la matematica è stabile, o meglio, Io è la matematicità; ciò che varia, osiamo il termine, è la filosofia delle matematiche, cioè il modo d'essere di questo vero: ma, siccome questa filosofia è autoctona, di nuovo la matematica si trasforma» (H.l., p. 110). Prospettato l'apparato della comunicazione, si annuncia, bachelardianamente, un «nuovo nuovo spirito scientifico», che veda nelle scienze «un corpo continuo come l'oceano>, una filosofia del trasporto e dell'intersezione che non si esprime soltanto sulle scienze, ma anche sul mondo delle cose e degli uomini, nel quale esse stesse sono immerse, fluttuano. Rispetto a questo ampio corpo di complessità è necessario stabilire una epistemologia pluralista e antidogmatica. «Resta da progettare una epistemologia comparata, senza riduzione né referenza, di tutti questi !in-, guaggi che designi a gara uno stesso orizzonte di pertinenza» (H.ll., p. 12). Nessun timore ad usare il termine di enciclopedia, purché esso esprima legami, comunicazioni, interferenze di un mondo in movimento, privo di sostanze. li luogo dell'epistemologia è quello dell'intercettazione e della decifrazione di saperi multipli e regionali. «Al limite dunque l'epistemologia è morta, dappertutto, come descrizione, norma e fondamento. Le resta l'interregionalità, la meditazione sull'interferenza. li sito dell'epistemologo, se vuole rimanere tale e non specialista puro di una certa regione del sapere, è il sito mobile, la strada stessa della circolazione concettuale» (H.ll, p. 158). Al di là quindi di quella riforma, di quella moralizzazione e purificazione della scienza perseguita da Bachelard. La sua etica puritana del sapere si ferma a metà strada dinanzi a una scienza che non è soltanto responsabile dei «sette peccati capitali», ma ha affondato le proprie radici, nel nome di Marte, nella morte e nella distruzione. È urgente allora per Serres tornare a una scienza ispirata da Venere, da quella gioia e da quell'amore che devono essere penetrati in qualche modo nei saperi passati e che devono poter risorgere (come Venere) dalle acque nei saperi presenti della speranza. Bisogna far posto, a costo di rompere le vecchie connivenze di un saperepotere sempre più minaccioso, a una nuova alleanza, portavoce di un ordine lontano dall'equilibrio, immerso in perenni fluttuazioni, conciliato finalmente con la natura, a una fisica che si dimostra al contempo nuova e antichissima. «Di qui [dalla fisica-matematica di Lucrezio e Archimede] Waddington e i suoi creodi; Prigogine, lo scarto, i sistemi aperti, i turbini ripresi, le strutture dissipative, di qui Thom e la matematizzazione del moGaspare Polizzi dello. Thom, nuovo Leibniz e nuovo Archimede, rispetto a questi nuovi epicurei» (Lucrezio, p. 45). • Quella che nel lungo percorso della «scienza di Stato» è sempre stata una assurdità logica, meccanica, fisica - il clinamen - risulta alla luce di questa storia ricorrente il modello, ricco di implicazioni, di una meccanica dei fluidi. Il clinamen è un differenziale, una flussione, il residuo più consistente di una meccanica dei turbini, dimenticata e dispersa («È l'angolo minimo di formazione di un turbine, che appare aleatoriamente in un flusso laminare», Lucrezio, p. 15). Suave mari magno, turbantibus aequora ventis, Ie terramagnum alterius spectare laborem; I ... (De rerum natura, Il, 1-2); questo verso, ben presente nelle nostre memorie scolastiche, contiene - nella riscrittura di Serres- gli indizi centrali di una fisica a noi ormai sconosciuta. Questa scienza delle turbolenze (del dinos epicureo e del vortex lucreziano) si condensano intorno alla matematica di Archimede e alla fisica che da Democrito era pervenuta ad Epicuro: il primo, «geometra dell'infinitesimale», «meditò fino alla vecchiaia e alla sua morte di spada, sulla nozione di scarto e di superamento» (Lucrezio, p. 26), seguendo una linea di ricerca che fa della sua opera una vera enciclopedia matematica di un universo non aristotelico; Epicuro (e il suo interprete Lucrezio) dà forma a una fisica dell'irreversibile, nella quale il mondo nasce e muore seguendo lo scarto di una declinazione. «La modernità scientificaammonisce Serres, contro una storia delle scienze che ha infantilmente assassinato i propri padri - non entra nella storia attraverso la faglia di una frattura, ma mediante il rilancio di una filosofia della natura diffusa fin dall'antichità» (Lucrezio, p. 50). Lucrezio ci offre, nella sua sintesi, l'immagine - peraltro rigorosa - di questa natura, equilibrata tra le fluenze e fluenza attraverso l'equilibrio, di una fisica complessa dei sistemi aperti. La stessa fisica (va ribadito) proposta da Prigogine, come peraltro il fisico russo sostiene esplicitamente: «Là dove le traiettorie cessano di essere determinate, là dove si rompono i foedera fati che reggono il mondo in ordine e monotono delle evoluzioni deterministe, inizia la natura. Là inizia una nuova scienza, che descrive lanascita, la proliferazione e la morte degli esseri naturali.( ...) La scienza classica dei flussi, dal tempo di Archimede a quello di Clausius, si oppone alla scienza delle turbolenze, delle evolu-· zioni biforcanti, alla scienza che mostra che, lontano dai canali, il torbido può far nascere le cose, la natura, gli uomini» (I. Prigogine-1. Ste~gers, La nouvelle alliance, Gallimard, Paris 1979, p. 285; trad. it. Milano, Longanesi, 1980). La fisica torna ad essere - come per Epicuro- immersa nella na_tura;senza di questa, senza l'eccezione e lo scarto, senza lo straordinario che conduce al mondo e alla vita, non può esserci scienza né del mondo, né degli uomini (né fisica, né morale). Seppellendo i residui, ancora appariscenti, dell'aristotelismo, la nuova scienza esige il legame con la specificità, con lo straordinario, che danno forma a ciò che nasce, alla natura. «Lucrezio rende comprensibile il fatto che il mondo sia comprensibile. li mio testo, la mia parola, il mio corpo, il collettivo, i suoi accordi e le sue lotte, i corpi che cadono, scorrono fiammeggiano o tuonano come me, tutto questo è sempre e soltanto una rete di elementi primordiali in comunicazione» (Lucrezio, p. 131). La nuova alleanza si ripresenta in tal modo come il modello ricorrente di quella serena alleanza che vigeva nel Giardino degli atarattici epicurei; questa tendeva, riducendo al minimo «il reticolo delle relazioni» che accelera la corsa verso la morte, a «risalire lentamente l'irreversibile», verso quel regno primordiale di pace e d.i amore retto da Venere. Non più quindi quella violenta separazione che - come ha ben descritto Koyré - condusse al nascere della scienza classica, alla divisione in due del nostro mondo; ma una insopprimibile urgenza di riunificazione tra scienza e vita, uomini e natura. «Gli Epicurei criticano la scienza come faremmo oggi. Non tutta la scienza, non la scienza come tale, ma quella scienza o quella ragione che attira o segue, lungo le strade della totalizzazione, la forza, il dominio e l'impero. Cercano dunque un'altra scienza e un'altra ragione, finalizzate al piacere e alla felicità. Noi altri, gente del secolo totalitario, universalista e universitario, abbiamo pagato caro per imparare che gli Epicurei non avevano torto a non fidarsi» (Lucrezio, p. 200). N essuna rinunzia - è necessario ribadirlo? - al sapere positivo. $erres, «strutturalista post-comtiano» (come lo definiscono Prigogine e Stengers; cfr. La nouvelle alliance, p. 44, nota I), si è posto al centro di una lucida rivisitazione di Comte (cfr. l'introduzione al Cours de philosophie positive, Hermann, Paris 1975, pubblicata anche in H. III, pp. 159-85) che - nella storia ricorrente dell'epistemologia francese - fa il paio con quella meno appariscente, ma non meno sintomatica, del «buon lettore del positivismo» che fu Bergson (cfr. H. lii, p. 182). E Bergson - che bisognerà pure rileggere senza falsa coscienza-dominava con rara maturità la scienza positiva, a partire dalla matematica e dalla fisica. In guerra contro la scienza fossile del positivismo, Bergson coglie nel nuovo apparato delle leggi termodinamiche una irriducibilità completa alla scienza classica. Contrapponendo Bergson e Boltzmann Serres ritrova due risposte possibili all'irreversibilità: mentre la drammatica esperienza del secondo conduceva a una riproposizione dell'antico modello, la risposta del primo comportava l'uscita definitiva dalla scienza, verso il mondo della metafisica. «Cos'è il bergsonismo?-si chiede Serres (e con lui, ripetutamente, Prigogine) - L'indicatore, il segno di un mutamento di paradigma, nella scienza. Meglio, il discorso prodotto dalla vibrazione, dall'esitazione tra due modelli. Quello, diciamo, degli energetisti [del quale sarebbe portavoce Bergson], e quello di Boltzmann» (H.IV, p. 132). La collocazione peculiare e oscillante di Bergson, nella coscienza della morte di una visione del mondo, non trascende però quello spazio, non permette la formulazione di un nuovo grafico che riunisca i tempi, cosi differenti ma tutti realmente dati, della degradazione, della reversibilità, della neg-entropia. Soltanto ponendosi dal lato del disordine e delle fluttuazioni si raggiunge la consapevolezza di un nuovo paradigma, nel quale il razionale risulta•non altro che «un'isola rara emergente», nel mare dell'indifferenziato. Si tratta, in definitiva, di un paradigma formalizzante, algebrico, topologico, frutto di innovazioni che - oO °' -
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==