Alfabeta - anno III - n. 21 - febbraio 1981

- CO °' ..... .9 l: -<:, -<:, ~ - "" Cobban.1Furet, Lucas, Taylor, Mazaurlc.1.Soboul IL MITO ul:LLA RIVOLUZIONI: FRANCl:SI: a cura di Massimo Terni L. 8.000 Il dibattito sulla rivoiuzione francese in quanto madre delle rivoluzioni contemporanee e modello ideale di ogni rivoluzione. John Stuart Mlii SAGGIO SULLA LIBl!RTA Prefazione di Giulio Giorello e Marco Mondadori L. 8.000 Il manifesto della società aperta: strategia per la crescita nel dissenso in un classico del pensiero politico. W. O. Quine LOGICA E GRAMMATICA Introduzione di Paolo Parrini L. 9.000 Roman Jakobson Premio Internazionale Feltrinelli 1980 PRl!Ml!SSI: DI STORIA Ll!TTl:RARIA SLAVA L. 7.000 LA LINGUISTICA I! LI! SCIENZE Dl:LL'UOMO L. 3.500 Giordano BrunoGuerri L'ARCITALIANO vita di Curzio Malaparte "L'arcitaliano Curzio Malaparte, nato Kurt Erich Suckert, è tornato di moda. Lo ha rilanciato Giordano Bruno Guerri con una esauriente biografia." Vittorio Gorresio LA STAMPA "Biografia puntuale ... ricca di documentazione inedita." Nicola Tranfaglia LA REPUBBLICA "Arriva nel momento giusto la puntuale, ricca e vivace biografia scritta da Giordano Bruno Guerri." Paolo Murialdi PANORAMA "Un vasto lavoro di ricerche di prima mano che con spirito critico e sicura bravura ricostruisce la vita, la carriera, l'opera, la leggenda e la soggiacente verità (anche se 'doppia verità') di Malaparte." Giancarlo Vigore/li IBompiani <:i il «basso materiale e corporeo» (Bachtin, per dire). Lo spettro delle citazioni nel Nome della rosa è abbastanza ampio per lasciare un margine di «divertimento» sia all'autore che al lettore, ma già abbastanza orientato per ricavarne qualche dato che non sia il puro gioco di trovare le fonti. Che significa «citare»? significa attribuire a un segno o a una serie di segni una connessione doppia: con il testo in praesentia e con uno o più testi in absentia: dunque valersi di una connotazione più forte e particolare di quella che operi di norma in un romanzo d'avventura o in un poliziesco -, tenendo conto tuttavia che in quest'ultimo già lo schema prevede una specie di sdoppiamento fra significato normale o convenuto d'ogni gesto e parola e il significato in vista della soluzione dell'enigma. Il libro mangiato Se ogni libro è un atto semiotico, il romanzo di Eco sembra insinuare una semiosi alla seconda potenza. «Perché vi sia specchio del mondo occorre che il mondo abbia una forma» proclama Guglielmo al suo Watson. Perché li nome della rosa abbia forma di romanzo occorre la Biblioteca, che è insieme la sua forma e il suo specchio. La biblioteca è il cuore insieme concreto e sfuggente dell'abbazia, edificio imponente, ottagonale, le cui misure, le cui caratteristiche architettoniche intrattengono rapporti col simbolico. La biblioteca è nello stesso tempo un labirinto. anzi una delle imprese di Guglielmo e di Adso sarà di ricostruirne. per pura speculazione mentale. la disposizione e i segreti, compresa la «camera chiusa» che ne rappresenta il perno. teatro del dénouement. La biblioteca è un labirinto autosufficiente e micidiale di volumi (di segni), al centro del quale si colloca il Libro. oggetto non soltanto della que.1·1 degli investigatori, ma movente dei delitti che hannç>sconvolto l'abbazia. Si tratta del secondo libro della Poe1irn di Aristotele. che uno dei monaci più vecchi e fanatici. Jorge da Burgos. ha letteralmente trasformato in un boccone velenoso: chiunque si azzardi a sfogliarlo, umettandosi le dita inghiottirà il veleno clicui le pagine sono state spalmate. Tutto ciò per impedire che la lettura dell'opera, con l'autorità del Maestro che vi tratta della commedia. della satira. del riso, induca a «redimere l'alto attraverso l'accettazione del basso» o. come dice più speditamente Guglielmo. a «far ridere la verità». Scoperto, messo alle strette, per distruggere l'abominevole apologo della risata, l'antibachtiniano Jorge non troverà di meglio che divorarselo pagina per pagina, togliendosi così anche la vita: tratto mirabile di economia romanzesca, dove irrompe debitamente anche il grottesco (il grido serio di Guglielmo: «Presto, se no quello si mangia tutto l'Aristotele!»). Sapere e sessualità Anche nell'Apocalisse un libro viene mangiato ma con intenti opposti. Solo che il libro messo al centro di tanto desiderio e di tanta repugnanza nel Nome della rosa è, per un effetto che non so se sublime o basso, un libro inesistente, un'opera non mai arrivata alla cultura medievale e moderna: è insomma, tecnicamente, un fantasma. Nella sequenza di crisi del romanzo, su di esso si appunta una pulsione orale. «Non mi stupivo che il mistero dei delitti ruotasse intorno alla biblioteca. Per questi uomini votati alla scrittura, la biblioteca era al tempo stesso la Gerusalemme celeste e un mondo sotterraneo al confine fra la terra incognita e gli inferi ...» Luogo del Sapere, la biblioteca è anche il luogo della libido. Con deviazione apparente dal suo codice, il racconto «giallo» va a cogliere questo nodo del sapere e delle pulsioni; scopre (o almeno indizia) che la trasmissione del sapere ha qualche cosa a che fare con la sessualità: che è poi quanto il racconto dice, in via metaforico-narrativa, intrecciando alla caccia al libro anche spinte erotiche, come il commercio fra alcuni monaci e la iniziazione alla carne di Adso, folgorante e irripetibile. Nel romanzo, un sogno, che è il sogno di un libro, la Cena Cypriani, viene a dare un impulso alle indagini e alla soluzione: perché «un sogno è una scrittura, e molte scritture non sono altro che sogni ... » Guglielmo qui può spingersi non a citare ma a prefigurare addirittura («il giorno che arrivasse anche qualcuno a pretendere di cavare una verità dai nostri sogni ...») L'ingenuità, il godimento Insisto un'ultima volta su paradigma «giallo». Una delle norme del genere, cui Eco contraddice, è che la serie di delitti in un romanzo poliziesco debba risultare alla fine il prodotto di un piano coerente e la scoperta del colpevole essere effetto non del caso o, peggio, di un errore ma della· pura razionalità del detective. Invece, le morti nell'abbazia sono in parte «improprie» (suicidio), in parte provocate da interventi alieni e indipendenti, rispetto al Gran Colpevole; Guglielmo arriva fino a Jorge «attraverso uno schema apocalittico che sembrava reggere tutti i delitti, eppure era casuale ...». Vogliamo dire così? i segni erano veri ma sbagliata la relazione fra i segni; o, andando un passo più in là: i segni hanno preso il sopravvento sul criminale non meno che sul decrittatore. Grandioso e insieme ambiguo trionfo semiologico, che in certo senso scava un buco, inserisce un vacillamento irrimediabile non solo dentro la compattezza del canone poliziesco, ma nel romanzo stesso di Eco. L'incendio o ekpvrosis che distrugge. con la hihlioCo111rnhha11(/o di .1igare11,· teca. l'intera abbazia, e che dà origine a una significativa sequenza medio-alta del libro, è simbolico, nel senso di congiungere il reale ossia l'impossibile (i frammenti bruciacchiati dei libri che soli residuano ad Adso) e l'immaginario: la rosa pristina è solo in virtù del nome. Giunti qui converrà tirare le somme e in certo senso rovesciare i dati raccolti. per rendere giustizia all'exploit romanzesco di Eco. C'è una serie di movimenti successivi nel Nome della rosa. li romanzo assume le forme e le intenzioni propri del poliziesco e dell'avventura in quanto esemplari di una narrazione primaria, diretta, denotativa. Essi via via vanno a costituire il «piano dell'espressione» di una narrazione primaria, diretta, denotativa. Essi via via vanno a costituire il «piano dell'espressione» di una narrazione seconda, in cui a venire avanti è la manovra, la strategia dei segni. Niente di particolarmente nuovo, del resto, se non che il primo momento continua ad agire, in alternanza, attraverso la tessitura. Ciò che trovo peculiare del libro di Eco è l'affermarsi di un terzo movimento - la successione è meramente logica, s'intende - in cui il racconto torna in modo q11asiirresistibile alla propria primarietà, al proprio dirsi tout court, sia poi gotico, o avventuroso o poliziesco etc. Esso ricupera l'ingenuità, se al termine si faccia inerire anche un significato di « ingegnosità» seduttoria; anzi, conviene dire che ne acquista una nuova, perché questo passaggio non è avvenuto senza lasciare conseguenze. Quanto all'irresistibilità di tale attrazione, resta tutto sommato indecidibile, forse per lo stesso autore. Lo si può leggere magari in filigrana nelle stesse scelte stilistiche di Eco: dall'abbandono dell'iniziale mimetismo di una scrittura medievale (ipotetica), all'assunzione di un tono narrativo non dirò tanto neutro quanto convenzionale, una koiné che non sia deterrente per il lettore e insieme lasci uno spazio di «riserva» all'autore - salva l'insorgenza finale del pathos «in proprio» dello scribicide, come avrebbe detto Joyce. È attraverso questa parete di minore resistenza che filtra, di ritorno, il godimento della narrazione. Sarà anche vero che «ciò di cui non può teorizzare, si deve narrare»: ma in barba a ogni dovere, ciò che attira nel Nome della rosa è proprio la sua bella «non-necessità». Paterno/materno All'altro estremo del ventaglio possibile, si colloca il libriccino di Tommaso Ottonieri (nome doppiamente de piume, secondo si dice), Dalle memorie di un piccolo ipertrofico. Ma sarà poi vero? È una «stluttura apierta». per usare l'idioletto d'Ottonieri, tanto scrupolosamente aperta da indurre a rifiutare come parodico il riferimento. Esso risulta sezionato in una apertura di flusso linguistico ininterrotto; poi nelle «Memorie» vere e proprie del piccolo ipertrofico a capitoletti. paragrafi. motti. frammenti frastici; in una parte bilingue (italianofrancese. ipotetico «testo a fronte» che non si corrisponde mai) che reca il titolo lunghetto: «L'essenziale nelle sue applicazioni al mondo. nel giudizio di Paul ~adame. ovvero: rape»: con un protocollo e un'appendice in versi: « La chanson du petit hypertrophique» e «Saltatiunculae». La ricognizione topografica del libro non è scrupolo recensorio a fondo perduto: anche la discreta eccentricità compositiva significherà pure qualcosa, in qualche posto. Tanto più che l'autore (ventiduenne, al suo primo libro) deversa erraticamente minime indicazioni o sintomi: magari in forma di dediche o epigrafi: «alla mia pen- ·na», dizione forse beffarda o scrupolosamente «cosale» ma anche, chissà?, con un guizzo di hybris romantica; o estrapolando da Lautréamont («je ne laisserai pas de Mémoirs» ), da Rimbaud («Il me sera loisible de posséder la vérité dans une ame et un corps> ). Con ragione, in una nota introduttiva al testo, Edoardo Sanguineti mette all'origine di Ottonieri la triade Lautréamont, Rimbaud, Laforgue naturalmente non solo per i rinvii epigrafici o per gli imprestiti diretti o gli ipogrammi. Il giro d'eloquenza dell'ultimo foglietto delle «Memorie> vere e proprie, chiarisce una disposizione di partenza. Ma il libriccino si presenta abbastanza stimolante - dentro la media della produzione attuale - perché i riferimenti di lettura si chiud<1noin q11esto spazio relativamente ridotto. Ancora Sanguineti gioca intelligentemente sul valore « ipertrofia» o aumento anormale di volume di un tessuto o di un organo, applicato alla condizione culturale moderna e subito rovesciato nel suo opposto, non tanto direi nel silenzio ma nell'ipotrofia, regressione a un !ingaggio primario, pregrammaticale, allora materno per la sua onnicomprensività indifferenziata in opposizione a una lingua paterna resecata dagli infiniti momenti di castrazione del simbolico. Lo spostamento d'attenzione sull'aggettivo «piccolo» produce Io stesso risultato. «Piccolo> si completa in una catena metonimica con le figure della madre (lingua), del ventre materno, delle acque amniotiche. Difatti, sia pure fra parentesi, l'acqua è iscritta in capo alle tre pagine iniziali, in cui la liquidità dei passaggi grafici e fonici scavalca le articolazioni ortografiche, sintattiche e logiche tradizionali. L'acqua è pertanto il Significante primo e insieme il campo o réservoir della «immaginazione produttiva>, termine proprio di Ottonieri, che organizza il libretto, quantunque la parola «organizzare> si metta addirittura in contrasto con quello che è l'intento del libro stesso: donde il ricorso di voci e figure relative a un fluire organico, viscerale (e vescicale): «mestruo>, «mestruazioni>, «en el mestruo, nel Flusso Universale ...>, che hanno il vantaggio di coniugare con economia poetica l'elemento femminile, il primitivo fin quasi al preverbale, e l'interno. Qui emerge un punto capitale per la valutazione del libro, giaccht questo interno è un interno per essenza corporale, così come la lingua nella quale il piccolo ipertrofico si sforza di identificare se stesso e di esistere, è non solo la lingua parlata ma la lingua che succhia, che lecca, che sbava, che agisce insomma nel campo pulsionale. L'infans e la nuova lingua «Acqua: e, oh parola, culmine, lacerazione. GRIDO!. ..>; «son aqua, splèndito grito insussestiente ...>; «cantore della materia o del liquido ancor io potrei assolvere il mio compito gravoso ...»: per contiguità, il testo compie il passaggio acqua-parola, « parola come centro instabile di espan- ,ioni ... >. Il principio di liquidità si proietta nella dissoluzione non solo dei legami canonici fra le parole dentro la frase, ma dei collegamenti fra k,semi. morfemi, fonemi dentro il corpo stesso della parola. Divorziando dagli accoppiamenti consueti, questi .:lementi emigrano per coagularsi di nuovo ma sotto il segno della provvi- ,orietà. secondo impulsi altri, e convogliano un effetto di scorrimento (o di ,cola mento) cui concorre anche l'inopinato vagare degli accenti tonici. Tutto sembra rifluire all'indietro, giacché la «nuova lingua» rientra in un progetto di regressione globale: «fùi nell'utero, non fui>. Il racconto delle Memorie, se di racconto poi si tratta, è il tragitto dell'infans dentro il corpo- da costruire-del suo fari, del suo parlare. Ma fino a che punto il circuito acqua-lingua-corpo si attualizza ossia smette di essere puro enunciato intenzionale? Il punto critico non sta solo nel fatto che, come ha osservato Giuliani in una recensione, la caccia alla lingua «matrice> continui ad avvenire dentro i sistemi espressivi della Grande Letteratura, anche nelle sue punte più destrutturanti; ma che tale lingua, lingua assoluta non arrivi se non a tratti a farsi ciò che aspira ad essere: corpo. Così çlopo un'apertura tanto promettente, quasi Witz stralunato, (do da grandie vivrò néle groenlandie ... >), il libretto, circa da metà in poi, subisce una flessione verso una specie di affanno o turgescenza fra il lirico e il damné, che è altro s'intende dalla preannunciata ipertrofia, la quale pertiene al campo addirittura antipodo del grottesco; flessione che si evidenzia nell'emergere dei puntelli delle Alte Retoriche. Insomma, l'anormalità ·stimolante del «piccolo ipertrofico> e del suo discorso, o se si preferisce la sua anomia, si arresta prima del dovuto - o dello sperato. Il fatto è che alle spalle delle Memorie sta un progetto totale, non profilatticamente relativo come, per dire, quello di Eco. Il moto di insoddisfazione finale del lettore non è Iiquidatorio -, non cancella, voglio dire, il benfondato dell'apertura di credito iniziale a Ottonieri.

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