Alfabeta - anno III - n. 20 - gennaio 1981

Letteraturaclgg!lestinpaolacca K.Brandys Nietze ezywsto~ (La non realtà) Varsavia, 1977 T. Konwicki Kompleks polski (Il complesso polacco) Varsavia, 1977 Mala apokalipsa (La piccola apocalisse) Varsavia. 1979 J. Andrzejewski Miazga (Poltiglia) Varsavia, 1979 T. Nowakowski Happy-end Parigi, 1970 Di Brandys e Andrzejewski sono state tradoue alcune opere in Italia; Nierzeczywisto~ è stata pubblicata in Francia. Konwicki, anche regista ci11ematografico, fu premiato a Venezia nel 1963, per il suo L'Ùltimo giorno d'estate. A La piccola apocalisse sta lavorando il prof Marchesani, per conto di Feltrinelli. « Da anni viviamo in w1 sistema in cui, al di fuori del culto della i11compere11zad, ella paura diffusa e della mediocrità, è in vigore la sfiducia verso ogni iniziativa non imposta (.....)» T. Nowakowski, Happy-end, Parigi /970. I ntorno al protagonista di Happy. end, autore di radiodrammi, si muove una folla ambigua di pennivendoli, da11ilografe,dirigenti e direttori, parenti e galoppini; di corridoio in corridoio, d'ufficio ad ufficio si sdipana la matassa dei petlegolezzi, delle lettere anonime, delle contorsioni servili degli addetti ai lavori della RadioTelevisione polacca. Alla fine del libro il protagonista tenta il suicidio, perché travolto dal disgusto per aver dovuto scrivere un radiodramma sulla liberazione cielsantuario cliCzestochowa eia parte dell'Armata Rossa: vittima cli «una storia specialista cli falsi verdetti», povero diavolo-intellettuale, non è né migliore né peggiore degli altri: gli è rimasto solo un grammo di coscienza in più. Scritto nel 1970, Happy-end non fa parte né cronologicamente, né «geograficamente» della letteratura del «samizdat» polacco, ma ciò nonostante anticipa inaspettatamente il tono sardonico dei romanzi «clandestini» degli anni '70, le loro paradossali piroetle linguistiche e figurative intorno al rapporto tra intellettuale e potere, o meglio la estromissione dal potere, lo scoprirsi impiegato della penna del primo. D'altra parte il diabolico onnipotente diret1ore della TV, che si muove a suo agio tra congiure ed intrighi, non è una figura simbolicamente «demoniaca», come a prima vista potrebbe sembrare: modellata su J. Sokorski, ex-direttore della TV, essa potrebbe servire altrettanto bene da stampo anche a Maciej Szczepanski, penultimo direttore in carica, recentemente defenestrato tra grandi e pubbliche esclamazioni di scandalo. L'apocalittico sarcasmo di Happyend, che ad un lettore occidentale potrebbe apparire come degradazione fantastica e «letteraria» della realtà, modella invece i suoi toni sulla quotidianità di uno «scontro» minuscolo e personale tra l'individuo e l'autorità burocratica. Ingoiando il suo flacone di tranquillanti, il protagonista cerca, a modo suo, di uscire dal vicolo cieco in cui si sente cacciato: nei labirinti della comunicazione letteraria, dominati da imperscrutabili meccanismi burocratici e selettivi, diviene sempre più impossibile credere in ciò che si scrive o si legge. Finito il «giro di valzer» col potere, finita la gestione culturale centralizzata del partito: finita anche l'ebbrezza del «dopo-disgelo» e l'illusione di una collaborazione. Tra le crepe e le falle dell'edificio culturale, a volte.sono possibili deviazioni ed imprevedibili compromessi: tutto è però aleatorio, preda del caso o del capriccio, delle mode letterarie e delle improvvise illuminazioni dei censori. La sfiducia e la rassegnazione degli scrittori si traducono nel compromesso interiore riassumibile nel motto: «ciò che puoi scrivere oggi, scrivilo domani» (Happy-end, p. 44), o nell'inclinazione verso i doppi sensi, gli eufemismi, le metafore alate, in ultima analisi l'accettazione delle condizioni imposte dall'alto. Quando in Polonia si è posta l'esiI le; "CS pRE:~S ZRA PQUNb MEJ\.10RIAL POE'CRY REAbiNG bA\7E l3ROMÌ(jE·LENNAH1t3"RUCE c;Ail ChiARRELLO"C· OMClARI< ANtmE cotmESCU· nol3€n-c CHEES e l'Uomo di marmo fa pane della costellazione mitologica _degli anni '50, rimossa dalla coscienza collettiva, dopo la «caduta degli dei» del disgelo, la figura dell'intellettualecompagno di strada, cantore della rivoluzione sociale e dei piani quinquennali, torna a galla, come brandelli d'inconscio nei sogni, nella letteratura «samisdat ». «L'operaio ha continuato a comparire come eroe dei reportages televisivi e delle prime pagine dei quotidiani, ma sempre come appendice della macchina, o come un automa che ripete parole e pensieri a lui estranei» (2) ha detto recentemente A. Wajda ad un convegno di lavoratori del cinema a Danzica. Mantenendo il parallelismo delle pani, potremo dire all'intellettuale è stata demandata negli anni '50 !'«eroica» funzione di un sostegno militante alla lotta di classe: fare letteratura non LEY·Mil<E0A\1ÌOSON-WiLLiAM.EVEHSON·LAWRENC(f:ERliNGhecr,· SUSAN c;RiFFiWt:OOMGUNN·JQANN~l,}'GER RON I.OEWiNsohN·(iERARb MAlANGA·hARoLb NORSE·MiChAELJ]AlMER·WM PARI\ÌNSON·StAN RÌCE·IACkShOEMAkER·JohN siMON·SO't:EREWRREGÌAN F Ri. t>ec. s8:30PM 't:El hi c;yM $1. 555 ChES't:NU"C. S.f. 6 ·sin Brld . g.:nza di fondare una .casa editrice clandestina («Nowa», aderente all'«lndex of Censorship» di Londra), per i dissidenti non si è trattato perciò solo di rompere le congiure del silenzio o di riempire le falle aperte dall'attività ininterrotta della censura, ma soprattutto di spezzare al tempo stesso l'invisibile circolo vizioso dell'autocensura degli autori e della diffidenza dei lettori, che si traducevano'~n u·n forzato ricorso alle allusioni e ad un faticoso «leggere tra le righe» a tutti i costi. Se perciò alla vigilia della fondazione di « owa» uno dei giovani poeti della «nouvelle vague» letteraria, in odore di eresia, S. Baranczak, si appellava al valore dirompente della verità, non affermava tanto il luogo comune del suo essere rivoluzionario, quanto denunciava «la fuga dalla realtà», i compromessi ed i garbugli supinamente accolti dall'intellighenzia, le comode scappa1oie di una «mente prigioniera» ('). La letteratura del dissenso doveva rompere con la prassi del venire a patti con le censure interiori, i tagli e le mutilazioni del testo, doveva invece essere immediata, sincera fino alla brutalità, basata su di un «hic et nunc» saldamente ancorato alla realtà, fin dalle sue implicazioni più «mi_seramente» •quotidiane. era un·occupazione piacevole, ma un duro impegno sul «fronte» della lotta alle forze della reazione e dell'oscurantismo. Il consenso dello scrittore passava attraverso il suo impegno come membro del partito, dell'Unione degli scrittori, come deputato. alla Dieta, attraverso i suoi articoli sui giornali e le pagine dei suoi libri, dove «era ridicolo e stupido tutto ciò che non fosse conforme a norme prefissate a priori, o che non realizzasse i piani alla cui attuazione era stato chiamato un determinato gruppo» (3). L'intellettuale si inseriva cosl nel gioco delle parti dei rituali e delle manifestazioni politiche. Con ildisgelo la situazione è divenuta più complessa: alla euforia editoriale e pubblicistica che ha seguito l'ascesa di Gomulka, aprendo inaspettati spazi alla pubblicazione di scrittori «eterodossi», è succeduto un atteggiamento di «indipendente» distacco della letteratura «ufficiale», vale a dire una sorta di scollamento da ciò che potesse richiamare alla vita problemi «reali» e scottanti. Questa tendenza fu definita nel 1974 da due giovani poeti della «nouvelle vague» come la fuga nel «mondo non rappresentato». La letteratura del dissenso porta alla ribalta questo mondo, lo amplifica, lo ingrandisce e vi si rispecchia: dalla pagina emerge una realtà «doppia», assurda e crudele, perché concentrata nella sua essenza, convulsa perché repressa e nascosta. La narrativa del dissenso è figliadella censura, ne reca le cicatrici, un po' come se essa, forma informante della letteratura ufficiale, facesse sentire la propria assenza nella massa pesante ed aggrovigliata delle cose da dire. Sembra quasi che gli esperimenti «al di fuori della censura» rovescino come un guanto l'abitudine dello scrittore ad una penosa simbiosi con essa. La generazione intellettuale polacca, passata attraverso gli anni '50, lo stalinismo e il «diktat» del realismo socialista non può certo dirsi intatta dalle «zampate»» del potere, anche per motivi oggettivi: la connessione politica-ideologica ha come lasciato delle profonde ferite nella coscienza intellettuale. Il crearsi di una «terra di nessuno» al di fuori della censura diviene' quindi la prni.:zionc ktteraria di queste cicatrici, dall'indubbio carattere catartico, intrecciata intorno alla storia ed alle vicende individuali del dopoguerra fino ad oggi. S crittori come J. Andrzejewski, T. Konwicki, o K. Brandys, passati ai loro tempi dalla «corvée» della stesura di mediocri romanzi socrealisti, sembrano perciò animati da un segreto sentimento di vergogna collettiva, di cui le loro opere odierne sono la testimonianza. La violazione del tabù della censura, profondamente radicato, fa come saltare il tappo ed esplodere violentemente i residui del non detto e del sottinteso. Tra le mani dell'autore, depositario di una memoria collettiva di abusi quotidiani, il testo strozzato dalle limitazioni perenni della censura sembra quasi scoppiare in una cascata febbrile di episodi, avvenimenti e denunce. Il tubetto di dentifricio strizzato dalla copertina di Poltiglia ( 1979) di Andrzejewski è un po' la rappresentazione grafica di questa fuoruscita improvvisa. In uno stato di inattesa libertà lo scrittore si trova alle prese con la catena di stereotipi della politica culturale del regime, delle interpretazioni ufficiali della storia e delle rappresentazioni idilliche della società socialista. La paradossalità degli stereotipi si risolve perciò nella paradossalità della denuncia: al ritornello della canzonetta« Va già bene, ma andrà ancora meglio» si contrappone idealmente la battuta, popolare qualche anno fa in Polonia: «Quando andrà meglio? Andava meglio prima». «In nome di una tattica finalizzata al nostro stare in santa pace o alla nostra sicurezza personale, ci perdoniamo il fatto di mentire, di essere disonesti e sleali nei rapporti professionali o pubblici, riservandoci invece la libertà di parola, la sincerità e la correttezza nei rapporti familiari o con gli amici più intimi» (4). Sono ancora parole di Wajda: come abbiamo già accennato, oggi il potere non chiede più allo scrittore di collaborare, o di tesserne le lodi, ma solo la sua passività e distacco dalla dimensione più strettamente sociale. Tutto ciò produce quello specifico stato che Wajda definisce «schizofrenia morale> tra il pubblico e il privato, tenendo per fermo che il privato è la sfera dello sfogo, della barzelletta, dell'eterna lamentazione, ed il pubblico quella della rimozione e della «liberazione» dalla realtà nel fantastico. Da questo universo chiuso di implicita complicità con la realtà dei fatti, che coinvolge l'intellettuale allo stesso modo di qualsiasi privato cittadino, è possibile perciò solo lanciare messaggi celati in una bottiglia. In questo senso La 11011 realtà di K. Brandys ( I977) e Poltiglia di J. Andrzejewski (I 979) 50110 dei «gryps», come vengono chiamati nel gergo delle prigioni i messaggi clandestini verso il mondo esterno: il primo è infatti la rielaborazione delle risposte ad un'inchiesta di un sociologo americano, incisa sul nastro e trascritta dal protagonista, un regista polacco, l'altro una sorta di diariomonologo dell'autore sui fatti ed avvenimenti degli ultimi trent'anni. Da queste emblematiche s1orieconfessioni, sempre confinate in una dimensione privata ed interiore, .:merge un'autobiografia collettiva del paese, con le sue rabbie, angosce e paure. La letteratura fa così necessariamente i suoi conti con la storia ed i suoi risvolti quotidiani, con il primato della forza e con le piroette dei suoi personaggi: dal patto Molotov-Ribbentrop alla guerra e l'occupazione, dallo stalinismo ai ricambi di potere che non modificavano niente, dalla speranza di Praga agli scioperi degli anni '70. Attraverso la rievocazione del passato e la testimonianza in prima persona sull'era dei conformismi e dell'ortodossia, la figura dell'intellettuale diviene cosl il reticolo attraverso cui fanno la loro comparsa i meccanismi del condizionamento quotidiano, lo stillicidio della disinformazione, l'incubo del carrierismo. La storia filtrata dalla coscienza individuale, la storia come unità microcellulare alla base dei processi del ricordo, la storia ancora polverizzata in nomi, date, episodi, simboli. È questo un modo di stare dentro la storia, di tenerla continuamente presente, ma anche di sfuggirla,_di neutralizzarne la carica catastrofica. Il tempo reale fa la sua comparsa se incasellato nei cunicoli della memoria, gli avvenimenti del nostro tempo sembrano invece sfuggire alla logica della storia. È la sfera della «non-realtà>, perché nella realtà scrittore e lettore sono calati fin troppo dentro, perché la sua paradossalità fa parte di loro. Su questa paradossalità torna ancora una volta Wajda: «Capita spesso che, stancati dagli insuccessi delle battaglie quotidiane, ne avvertiamo soprattutto la paradossalità, il non-senso, a volte il grottesco» ( 5). Al non-

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