Alfabeta - anno II - n. 18 - ottobre 1980

quilla corrispondenza di stati storici di crisi degli happenings e degli eventi, e si riconoscono alle nuove manifestazioni un ulteriore stato di crisi (attiva). Ciascuno di questi artisti (e altri con loro) agisce adesso con una carica di soggettività e di espressività diverse, la prima venendo proiettata dentro il lavor<ideterminandone lo svolgimento, la seconda venendo ridotta al massimo (non per minimalizzazione però) ed esplodendo progressivamente (per espanzione). Le influenze dell'analitico e del concettuale (come erano state la pop art e la junk art) negli anni cinquanta-sessanta, cominciano adesso ad intrecciarsi con l'iperealismo e con la tecnologia; il risultato che se ne ha è da un lato di una prima presa di posizione non negativa nei confronti dei mass-media (per invasione di elementi di sub-cultura), ed al tempo l'assunzione di una spettacolarità che partendo dalla persona arriva a coinvolgere l'ambiente. Tutto questo non avviene progressivamente, ma per sbalzi, e tuttavia è un processo irreversibile, da cui gli artisti degli anni ottanta saranno presi. Il libro di cui parliamo non è consapevole ancora di questo passaggio di fondo verso gli anni ottanta, e nondimeno è in grado di porgere sia alcune testimonianz.e artistiche muoventesi su questo obiettivo, sia altre di ordine critico aggirantisi attorno a questa tendenza. Troppe volte siamo stati abituati da conferenzieri italiani e da rencensori di arte a considerare l'arte come anticipatrice del teatro perché qui almeno non se ne sospetti la convenzionalità e la ripetizione, soprattutto all'interno di un discorso sulla performance e di un discorso parallelo sulla spettacolarità (lasciando volentieri ai cultori nazionalistici degli specifici di assegnare e difendere primati). Ma questi primati saltano allorché ci troviamo a considerare oramai soggettività e processi, combinazioni e corrispondenze, fuori da un quadro pittorico e teatrale non soltanto di tradizione del nuovo (lungo il corso delle avanguardie storiche) ma anche di esposizione di passaggi di dentro-fuori, di ordine ambientale, di spazio-tempo, di natura percettiva-informativa, di uso tecnologico o primordiale, di comunicazione per mass-media o di interiorità materializzata. In questo senso il discorso che viene dagli artisti si intreccia con quello dei teatranti e più in generale con quello degli artisti-teatranti post (moderno o di avanguardia che si voglia intendere, per diventare un punto di riferimento comune e per reagire alla moda ed al consumo). ID. La trtigressione del linguaggio artistico Cè voluta la settimana della cper!for! mance!• a Ftrenze di questa primavera (ed altre erano già avvenute a Bologna, tramite la Galleria Comunale di Arte Moderna, negli anni scorsi) per rendersi conto concretamente di quel che sta succedendo: come anzitutto ci troviamo di fronte ad un-uso del mestiere-soggettività in senso contemporaneo (Laurie Anderson, Julia Heyward etc) ossia in stato di crisi per approfondimento di scomposizione (suono-voce-immane-gesto), con una offerta di espressività la più concreta e profonda possibile (Valeria Magli, Demetrio Stratos, Nanni Balestrini), appunto sotto l'ala di un post che non permette alcuna produttività se non in termini di frantumazione ed alcuna espressività se non in termini di confronti con la soggettività, con l'esistenziale. Da questo punto di vista ciò che conta è la trasgressione del linguaggio artistico, è la capacità di traforare continuamente arte-nuovo, è la qualità di risorgere continuamente da quel che è stato detto e manifestato (si possono qui abbinare i lavori poetico-musicali di Robert Ashley, i lavori musicaliambientali di Joan la Barbara venuti a Roma all'Opening Concerts del Beat 72 senza che alcuno vi abbia fatto gran caso). Siè detto che si tratta di una estrema difesa Newyorkese, di una maniera di reagire alla dispersione vitalistica della East costa (più sul versante intellettuale e meno sulla reattività di vita). In effetti ciò che ci offre la West costa (stando ai numeri di High perfomumce, editrice Linda Burnham, Los Angeles) ed anche a ciò che ci è stato offerto a Ftrenze (da Burden a Newton, da Marta Wilson a Mc Carthy) è qualcosa di barbarico e di aspro, con un riscontro di pornografia e di violenza, della società tardo capitalista, in uno scenario metropolitano. Lasciamo stare Burden che dal tempo in cui si forò con un colpo di pistola il braccio non ha mai finito di stupire (per insanità di interventi fisici e mentali), ma quella matta Disband della Wilson è una delle tante vitali occasioni femministe (di cui Celant più volte ha scritto saggiamente), in cui la soggettività viene fatta esplodere senza esclusioni di colpi all'arte; e Richard Newton che parodizza il guru all'angolo della strada è lo stesso reale matto che voi trovate a Los Angeles invertito ed urlante; e c'è un Seemayer che si serve di una sega elettrica tra le gambe per invadere reti metalliche e che si riveste di una tuta ininfiammabile per darsi letteralmente fuoco; e c'è pure quell'altra performer che va a recitare (si fa per dire) la sera nel luogo stesso dove i giornali il mattino hanno riportato la notizia di uno stupro. Altri esempi non mancherebbero, e qui ciò che si è detto vale per una esigenza non tanto corporea (da bodyart) quanto da esposizione di un riscontro-azione clic fissi l'avvenimento tragico e lo riporti alla visione per immediatezza; e per una tendenza a non farsi tradire da alcuna missione moralistica o da alcuno strumento estetico su cui chiudere gli occhi (od elevare anche per trasgressione) di fronte alla vita (come citazione di alterità). Qui lo squilibrio è decisivo, e \ l'alterità è ordinaria; si toglie autorità all'arte e non per darla alla vita, ma si mette quest'ultima in condizione di sopravanzare l'estetica e la morale, e di farsi visionare (e conoscere) per pratiche. A questo punto non c'è possibilità di riscontro (né pop-art, né junk-art, né iperealismo, né minimalismo). Semmai questo avviene per scenario (lo spazio, il sole, la solitudine, la massa, la visionarietà dell'ambiente, etc.) Ma è più conveniente non psicologizzare né ridurre un senso cosi complesso ed aperto del lavoro. IV. Le quattro basi del postmodem Brutalmente ma con verità Richard Schechner, a proposito di teatro postmoderno, fa fuori tre quarti e qualcosa di più del nuovo teatro americano degli anni settanta-ottanta: « Una delle assunzioni di base del dopoguerra postmodern è che la casualità non esiste. Ogni cosa è connessa a tutte le altre; tutta l'esperienza è parte di uno stesso sistema. Difatti il disorganizzato viene a coincidere con il terribile, con il catastrofico. Quello che si era solito chiamare pensiero disorganizzato o anarchico o caotico viene oggi catalogato sotto il titolo 'indeterminato'. Ma Ì lavori di Cage ed altri che usano l'indeterminatezza sono solo una parte delle molte rappresentazioni postmodern, anche se questa parte rappresenta il pensiero postmodern al suo stato più puro» (Performing Arts Joumal n. 12, 1980). Altri tre importanti indirizzi del teatro postmodem secondo Schechner sono: l'organizzazione secondo la linea cose-spazio-tempo (Wilson, Foreman), l'organizzazione fondata sull'io (Le Compte-Gray, Mabou Mines), l'organizzazione fondata sul collettivo (Squat). Queste sono le quattro basi del postmodern: l'indeterminatezza, la linea cose-spazio-tempo o materiale cronologico; il narcisismo, il collettivismo. Sono queste le forme organizzate che hanno rimpiazzato la narrazione (ibid.). Schechner rimane peraltro legato alla sorte del nuovo teatro (anni cinquanta-sessanta) e dagli esempi emergenti cerca tuttavia di spostare verso il postmodern l'intiera ricerca teatrale. Le sue considerazioni ci permettono di riconsiderare l'uso dello spazio-tempo (ossia rallentazione-precipitazione) non soltanto in termini di espressività e nemmeno in termini di avvolgimento (come lo stesso Schechner aveva teorizzato al tempo dell'envirohmental theatre) e di partecipazione, ma anche in termini di flessibilità e di disarticolazione {le invasioni dello spazio pubblico, stadio, alberghi, stanze da parte di Griiber a Berlino, oppure le occasioni di iniziative di ii da parte del Beat 72 a Roma, per tetti, cavalcavie, appartamenti, piazze, cantine); ed infine in termini di riscontro mentale-fisico per azioni-reazioni romantico-utopiche su un fondo di crudeltà e tragicità contemporanee (la materialità ed il sentimento dello Squat, ilsuo trasparire dentro-fuori per quotidianità e per mitico, il suo tecnologizzare per immagini e per risentimento, fuori da una perdita di identità e di una ironia a fior di pelle). In un certo senso, con queste considerazioni, siamo già al di là delle citazioni proposte da Schechner, salvo il valore di spostamento percettivo compiuto da Wilson e Foreman, lo stato di resa interpretativa per soggettività del duo Le Compte-Gray, e quello di smistamento di oggetti-personaggi in uno spazio mobile da parte dei Mabou Mines. Ma probabilmente soltanto lo Squat ci fornisce nuove indicazioniallorchevivedi riflessinterni ed esterni e non si compiace di esteticità, e che considera esperienze e non parvenze le operazioni che viene compiendo, e che riversa verso il bestiario (King-Kong) della fantascienza e verso l'illuminazione aggregrativa (del rock) la propria insoddisfazione ed il ·proprio rimorso (di nomadi-esuli in una terra imperiale: Stati Uniti). Ma la sua anomalia è già il suo privilegio, pagato duramente per solitudine e per esclusione, in un paese che non concede un dito di concorrenza. V. La postavanguardia Si era comunque partiti dalla nuova performance e dalla nuova spettacolarità per assecondare un discorso italiano urgente su quella dizione di postavanguardia che nata nel lontano '75 a Salerno (in una notte di insistente euforia tra gruppi allora emergenti, Carella, Gaia Scienza, Carrozzone) e contrastata da parecchi, ha a poco a poco invaso la nuova scena italiana _(persino Mendini le ha dedicato un editoriale di Modo recentemente sotto l'angolatura architettura-design), e che è sostanzialmente stata utile per dirimere una vecchia questione di teatro-immagine e teatro-corpo, perpetuatasi oltre ogni limite dopo i sensibili apporti di Perlini e di Vasilicò, e gli stanchi residui o ripudi di Ricci e Nanni. In verità il discorso si fa stringente ed elimina o meglio sorpassa da un lato gli interventi anni sessanta-settanta (Kounellis, Paolini, Schifano, Pistoletto, Ceroli, Vettor Pisani, Ontani, De Dominicis, Pascali, etc) che pur avevano riflesso e condotto varie azioni fisiche e mentali, tecnologiche ed elementari, dalla parte di un'arte in movimento rapido e sottentrante; dall'altro lato mette allo scoperto tutte le apparenze di un far teatro per immagine appunto o per corporeità, sotto l'influsso di maestri italiani, ed all'insegna di una ridondanza illustrativa o di una esemplificazione fisica, lontane da qualsiasi giustificazione se non di residuato o di reputazione (si salva Carmelo Bene per espansione ed egotismo di innovazione e di affermazione). La postavanguardia dunque arriva (negli anni '75-'78) all'insegna di una catastrofe di fondo (su cui primeggia il duo Leo-Perla come senso di tragedia permanente e come affondamento in una primordialità bassa), e di una ricerca che si spezza per studi e per rifondazione, per analisi e per autodiffamazione (rispettivamente con ilCarrozone e il Beat 72), con passaggi antinterpretativi assunti dalla Gaia Scienza per spaesamento del gesto e per spiazzamento dell'azione. Ciòcheinunprimotemposembrava costituire soltanto una presa di posizione di codesti gruppi, a poco a poco si allarga e diventa segnale di generazione. Il simbolico e la soggettività, a livello di Magazzini Criminali (exCarrozzone) si approfondiscono in devianza ed in patologia, l'elementarietà a livello del Beat 72 si sostiene per ricerche organiche di ambientazione e di illuminazione. I luoghi (cantina) vengono usati come laboratorio di misurazione (Magazzini criminali) o come spazio vuoto da non riempire e da non interpretare (Beat 72), o come strumento attraverso cui dar un senso di fuga e di scompiglio (Gaia Scienza); di qui il passaggio alla città (per Iniziative di ii) conduce ad occupare per apparizione tetti, stadi, cavalcavie, piscine, appartamenti, in modo da dare respiro naturale a quello che viene immaginato e sospeso, e da rendere fragile la città stessa sottoposta a cambiamenti illusori ma presenti per guerrilla interna. VI. La disseminazione La disseminazione degli ultimi due anni ('79-'80) avviene in un momento di ritorno spettacolare e di rifondazione della performance, manifestandosi con i Magazzini Criminali per punti di rottura e per crolli nervosi su una tendenza tesa ad insediare spazi e metodi di massa (rock, moda, sport), all'interno di uno squilibrio e di un'analisi ricondotte alla loro est~nsione pubblica e fatte comparire per superficie, in modo da apparire energie di se stesse e non proiezioni culturali, e da non permettere all'azione di essere in contrasto con qualcosa che non sia il proprio vivere e la propria procedura. La performance viene dal Beat '72, per Morte funesta e per lperurania fatta disperdere come accumulazione e come accrescimento di elementi e di materiali ed è privata di qualsiasi riconoscimento, salvo distendersi materialmente e utopicamente per respiro organico, a metà strada tra una proiezione fantascientifica e una imposizione del futuro (come installazione sonoravisiva-olfattiva) proiettata fuori dal presente e tuttavia straordinariamente quotidiana). La disseminazione ci parla di gruppi come Teatro Studio di Caserta e Falso Movimento di Napoli inseguenti una linea spettacolare rock-immagine per squilibri analitici, e trasversalmente su un fondo di marginalizzazione non soltanto estetica della fascia sociale napoletana; una linea analitica deviante e riflessiva al tempo stesso dei duo Dal Bosco-Varesco e Taroni-Cividin, per fissità-mobilità in alternanza tra gestoimmagine-movimento e su miti americani goduti e ripensati a vari livelli (mentale e materiale). In mezzo sta una seminagione di gruppi-personaggi sciolti come Benedetto Simonelli produttore di un'energia compatta e convergente su azioni di materiali primari (ferro vetro) e di elementi immaginari (personaggi ed ambienti); o come Andrea Ciullo invadente un territorio urbano e metropolitano per scacco di iniziazione meridionale contadina e per squilibrio poetico comportamentale al limite catastrofico; o come il The a tre, gruppo femminile in lacerazione costante e senza vera effettualità, salvo il disturbo e lo scompenso di cui è portatore ed esecutore sensibilmente e per crudità {altri nomi come Saletta, Pedrotti, Stringari, Ascari a Milano, oppure Figurelli, Giles, Giordani, Sambati a Roma sono buttati qui in extremis mentre meriterebbero una esplicazione singola e pertinente, accanto ad altri nomi ancora, da varie regioni). La disseminazione allora si estende a tanti altri gruppi-persone su quella quadruplice linea di cui Schechner parlava e che implica passaggi nuovi attraverso le arti, interventi tecnologici ed elementari, narcisismi riscattati da oggettività, ed esperienze soggettive fatte rientrare collettivamente, soste e rimandi ad un dentro-fuori che non è soltanto di spazio ma anche di tempo; senza soggezioni culturali e senza rinvii artistici. In questo senso possiamo parlare di un'invasione di nuova performance e di nuova spettacolarità che si danno la mano e che si proiettano l'una con l'altra, contro un orizzonte di depauperazione proquttiva dal punto di vista artistico e di immobilità operativa dal punto di vista politico. Le risposte della nuova generazione (quella del dopo '77) sono giustamente offensive nei confronti della pretesa di ordine e di rimozione e di conseguenzatentanodiporrearginead una invasione neutrale di tradizione del nuovo (oltre che di tradizione conservatrice) pressantemente imposta dalle istituzioni. Simile pretesa politica è ancora tutta da verificare e comunque è contrastata da quella operatività {l'unica in grado di limitarne la presenza e l'espansione). ,r

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