Alfabeta - anno II - n. 13 - maggio 1980

Mensile di informazione culturale Maggio 1980 Numero 13 - Anno 2 Lire 1.500 Particolari da Masquerade, Perugia 1979 e Le silurc d'europe, Genova I 979 Redazione. amministrazione Multhipla edizioni 20137 Milano Piazzale Martini 3 Telefono (02) 592. 684 Spedizione in abbonamento postale gruppo IIU70 Printed in ltaly CLENGRANI'. il puro\\Disky di puro maltdo'ono. e The govemment ol SingllpONI, we i-n. is ~ investigaling the ~ rock p1ao1alO'I and fears that ~- festalions al " the punk rock ~e - the whole punk drag of tom ttw-ds, safety pins and razorblades. ~ .. the liberal - of "fOlA' lett« word& .- ' might bacome popu&ar among native ~The Mnstry ol Culture is rmewin!I a whole ctutch of punk -~ ~ hwe tallen into thllir halds. incJuding g11n5 by the So Pistola, the Clash ~ the Tube&. The .,._jc of thne group5 ~ described as "lood, sptuttering and t,rutal" (in 1he case of the fim two bands that - a tair enough ..-wnt)._ . e Special att«ition. it -· 1S beìn9 paid to the lyrics to - ~ether theY would have an _._ ~-= the attitudes of South East Asian ..-:-- wHO CAf2.eS ~ !

DCNREBBE-RD ASDURE. IL.. VOTO E:, A'D01TARE. I Gt\)01-Z..I GUDA1<El: I/ BRAVI, COMfl,1M€~i1 ' linus Il piccolo Hans Rivista di analisi materialistica 25 gennaio/marzo I980 da questo numero ·il seminario di psicoanalisi L'insegnamento della clinica Virginia Finzi Ghisi: «L'uomo dei lupi e il nucleo di verità storica in Freud> Virginia Finzi Ghisi: «I quattro discorsi e la clinica> come funziona la poesia Giuliano Gramignà La poeticadel fumeur Ermanno Krumm Peripeziedi una metaforadeua ossea Giorgio Orelli Appunti su Char Antonio Prete Eros e poiesis Rubina Giorgi Unapoeticadell'ira Minute li piccoloHans, rivista trimestrale diretta da Sergio Finzi. Dedalo Libri. Bari. Casella Postale 362. Abbonamento annuo L. I0.000, e.e. postale 11639705. 70100 Bari. Un fascicolodi pp. 200 L. 3.000. rivista semestrale di psicanalisi aprile '80-n° 3 sessualità lavoro arte Sec:1e: rammenti via tellini 1O, milano Leimmagini diquestonumero Le fanzine Fanzine. Parola nuova, e forse sconosciuta ai più, nel vocabolario degli anni '80. Vediamo. La fanzine è un calco dall'inglese, sta per «fans magazine», cioè quel tipo di pubblicazione a tiratura di solito limitata, e a diffusione circoscritta, nata nei paesi anglosassoni ad uso degli appassionati di certi cantanti e gruppi musicali. Per esempio, ci sono state fanzine dei Beat/es e degli Stones anche di grosso successo, così come di gruppi e solisti solo localmente conosciuti. Se le fanzine, anche in origine, servono come organi informativi a livello quasi di club, ben presto esse assumono anche una valenza informativa precisa: sono strumento di informazione locale, supporto di comunicazione di idee non circolanti ai livelli industriali. Le fanzine hanno avuto in questi ultimi tempi un enorme successo proprio in Italia. Si può calcolare che ne esistano attualmente, fra periodiche e saltuarie, almeno 600-700. Costituiscono, insomma, un fenomeno di massa. La loro ascendenza, da noi, non è però di tipo anglosassone. Esse si rifanno piuttosto ad un tipo di pubblicazioni, alternative e politicizzate, sorte con il movimento del I 977. li primo opuscolo italiano del genere è infatti probabilmente A/traverso, rivistina bolognese di aspetto povero e di bàsso prezzo, legata alle vicende del movimento in quella ciuà, e a tutti i suoi tipi di espressione: radio Alice, la musica, ·i locali, la cultura del trasversalismo, il nuovo dissenso e così via. Sulla scia di A/traverso nacquero innumerevoli altre iniziative similari, che ebbero tuttavia una effimera duraSommario Cesare Donati Violenza come norma (Storl!t dell'intolleranza in Europa, di Italo Mereu; Corso di diritto pubblico, di Giuseppe Ugo Rescigno) Pagina 3 Maria Corti L'oralità e il parlare delle Muse pagina 4 Fernando Vianello Cos'è allora il capitale? (Produzione di merci a mezzo di merci, di Piero Sraffa; li capitale nelle teorie della distribuzione, di Pierangelo Garegnani; C'era una volta la teoria economica, di Augusto Graziani) pagina 5 Giorgio Lunghini Il posto di Sraffa (C'era una voltala teoria economica, di Augusto Graziani) pagina 7. Carlo Formenti Bit-game (De la seduction, di Jean Baudrillard; La condition postmoderne, di JeanFrançois Lyotard; Potere e complessità sociale, di Niklas Luhmann; La nuova alleanza, di Ilya Prigogine) pagina 8 Mario Binasco e Antonello Sciacchitano Acqua, fuoco. Freud, Lacan (Opere• Voi. XI, di Sigmund Freud; Il Seminario, libro Xl, diJacques Lacan) pagina 15 ta. Al loro posto (ma non c'è identificazione fra i due fenomeni) sono apparse le fanzine. Si tratta di riviste per modo di dire: talora hanno la forma del foglio volante, talora del ciclostilato, talora della comunicazione interna, talora infine del vero e proprio periodico. Sono legate solitamente ali'attività dei gruppi musicali, in particolare i produttori di musica rock, che oggi riesce ad aggregare gruppi di giovani non limitati ai soli musicisti. E la loro circolazione è spessissimo periferica, locale, decentrata. Produttori di fant;ine infatti possono essere trovati a Bologna, Genova e Milano, ma anche, fra le altre città, massicciamente a Pordenone o Vercelli. E la loro circolazione è parimenti saltuaria, manuale, locale. Oltre a qualche residuata libreria alternativa che ancora li offre ai propri frequentatori, è il concerto la sede naturale della distribuzione fanzinesca. Alfabeta pubblica in questo riumero una piccola documentazione (la nostra fonte è costituita dalle Shock Produzioni) del panorama attuale di questa produzione non ·ufficiale di cultura. Produzione di cultura: sta in queste parole la ragione del nostro interesse. Le fanzine infatti costituiscono un fenomeno che per la sua diffusione e i suoi caratteri merita qualche attenzione, dal momento che si presenta come invenzione linguistica destinata a coprire evidentemente delle carenze a livello di cultura ufficiale. Produzione di cultura, insistiamo ancora. Perché le caratteristiche delle fanzine sembrano l'occasionalità e la casualità, ma la loro fattura ci pare invece esprimere alcuni elementi seriali da prendere in considèPier Aldo Rovatti Blocchi d'infanzia (Conversazioni, di Gilles Deleuze e Claire Parnet; Il tamburo di latta, di Gunter Grass); Il tamburo di latta, di V. Schlondorff pagina 17 Paola Decina Lombardi Intervista a M. Leiris pagina 18 Ginevra Bompiani Capre, rospi. canguri, delfini ... (Il volo della mente; Flush, di Virginia Woolf; La panchina della desolazione, di Henry James) pagina 20 Testo Noam Chomsky Linguaggio e conoscenza inconscia pagina 11 Giornale dei Giornali Stati Uniti, Europa, Iran A cura di lndex-Archivio Critico dell'Informazione pagina 22 Finestre Nanni Balestrini Intellettuali senza pagina 3 Luciana Brandi e Stefania Stefanelli Verso una grammatica della conoscenza pagina 11 Paola Decina Lombardi li difficile Leiris pagina 18 Poesie Vicienzo Bonazza Rammendare pagina 14 Jean Pierre Faye Sestina 2 pagina 20 Lettere Postillesemiologiche ad un saggio di C. Ginzburg di Giovanni Palmieri pagina 21 Fanzine razione. Vediamone alcuni. In primo luogo, l'espressione linguistica. I testi non sono più testi verbali, ma ormai completamente visivo-verbali. Certe avanguardie divengono dunque di massa: dadaismo, futurismo, poesia concreta e visiva perdono il caratteremetropolitano e di élite, e si spostano a Gorgonzola, a Vercelli, a Budrio, a Campi Bisenzio, e via dicendo. In secondo luogo, il loro «taglio» culturale. I riferimenti sono i più diversi: si va dal trasversalismo francesizzante all'analisi dei tratti particolari del pensiero di Adorno; si passa dalla musica e dall'espressione punk alle ascendenze della più recente e immaginifica fantascienza: c'è Moebius e «Metal Hurlant»; c'è il fumetto horrorifico e la poesia d'avanguardia. li miscuglio è impressionante, fenomeni «alti» e «bassi» si confondono e smarriscono i contorni. Eppure si ha l'id!Jl non della confusione, ma di una poetica e di un'estetica: quella del mezzo povero e della sua possibilità di essere piegato alla forza del desiderio espressivo; quella dell'ironia e della dissacrazione, che nella mancanza di rispetto per le gerarchie, e nel/'irreverenza degli accostamenti, ritrova delle possibilità liberatorie. Alfabeta, con tutto ciò, non vuole affatto giudicare. Solo, presentare e ricordare un fenomeno, non analizzarlo e ucciderlo.Pertanto ci è sembrato doveroso impaginare questi documenti, non solo incorniciandoli e ingabbiandoli, ma facendoli fluttuare nelle pagine secondo i dettami del/' estetica fanzinesca. o.e. ~ Mensilea curadelComilato RegionaleLegaCooperative de~EmiliaRomagna Cooperazione. Tanti ne parlano a sproposito. Noi no! Abbonamentpieril 1980 Il numeri Lir, 5.000 Inviar,asugnoo vagliapostalea: ComitatoRegionaleLegaCooperative ViaBoldrini18/b • 40/11 Bologna alfabeta mensiledi informazioneculturale Comitato di direzione Nanni Balestrini, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Direuoreeditoria/e Gino Di Maggio Redazione Omar Calabrese (redauorecapo) Vincenzo Bonazza. Maurizio Ferraris Bruno Trombetti (grafico) Art director Gianni Sassi Redazione,amministrazione Multhipla edizioni, 20137 Milano, Piazzale Martini, 3 Telefono (02) 592.684 Composizione GDB fotocomposizione via Commenda 41, Milano, Tel. ~44.125 Tipografia S.A.G.E. S.p.A., Via S. Acquisto 20037 Paderno Dugnano (Milano) DiWibuzione Messaggerie Periodici Abbonamento annuo L. 15.000 estero L. 20.000 (posta ordinaria) L. 25.000 (posta aerea) Inviare l'importo a: Multhipla edizioni, Piazzale Martini 3, 20137 Milano, Conto corrente postale n. 59987206 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 281 del 1975. Responsabile G. Di Maggio GIOVANNI LISTA FUT.URISMO E FOTOGRAFIA Volume di cm 24 x 34 352 pp. 326 ili. in bianco e nero L. 50.000 multhipla edizioni Imrapresa Intrapresa di promozione culturale Intrapresa è una struttura cooperativa di servizi con lo scopo di promuovere produzioni culturali sia italiane che internazionali. • Concerti, performances nei settori musica, poesia, danza, teatro, cinema. • Manifestazioni «ad hoc», da noi proposte o su commissione. • Progettazione e coordinamento di rassegne differenziate nelle singole discipline. Artisti rappresentati 1980/1981 Musica John Cage, Giancarlo Cardini, Fran€es Marie Vitti, Giancarlo Schiaffini, Philip Glass, David Behrman, David Tudor, A/vin Lucier, Juan Hidalgo, Walter Marchetti, Robert Ashley, Cristina Kubish, Fabrizio Plessi, Joan Jonas, Stuart Sherman. Danza Trisha Brown, David Gordon, Valeria Magli, Lucinda Childs, Sara Rudner, Douglas Dunn. Teatro Richard Foreman I Omological-Hysteric Theater, Mabou Mines, The Talking Band, Sch6nberg Kabaren, Joseph Chaikin/The Other Theater, Spalding Gray. Poesia Arrigo Lara Torino, Corrado Costa, Nanni Balestrini, Adriano Spatola, Vincenzo Bonau.a. Intrapresa Via Goffredo Sigieri, 6 20135 Milano telefono (02) 541254 telex 311509/SJTAM

liolenzacomenorma Italo Mereu Storia dell'intolleranza in Europa - Sospettare e punire. D sospetto e l'Inquisizione romana nell'epoca di Galilei (con 18 illustrazioni fuori testo) Milano, Mondadori, 1979 pp. 535, lire 7000 Giuseppe Ugo Rescigno Corso di diritto pubblico Bologna. Zanichelli. 1979 pp. 699, lire 15.800 '( La Fmis Austriae, il crollo di quel mondo equilibrato, saldo, efficiente e tollerante. che si raccoglieva intorno alla figura statale dell'impero asburgico, ha avuto una lunga alta decadenza, dentro la quale c'è stata produzione di cultura per il secolo avvenire. La crisi invece di questo sistema della civiltà occidentale, di questo universo 'dialettico'. inquieto, dispersivo, repressivo, che si è espresso e mascherato nella forma garantista dello Stato liberaldemocratico, questa crisi è oggi convulsa e rapida, di basso livello, vuota di qualità, produce solo, a tutti i livelli, violenza, nella società, in politica, sul lavoro, nel privato, in un unico. diffuso tragico gioco di morte>. Cito Mario Tronti, dall'ultimo musiliano paragrafo del suo più recente saggio (Il tempo della politica, Editori Riuniti. Roma, 1980). La violenza come «campo> della coazione e del giuridico. Un suggerimento per prendere a parlare di diritto, per vie tali che si prestino ad essere percorse dalla cultura delle umane esperienze. È la cultura che si è diffusa, prodotta dal femminismo (tanto lontana dal 'virile' sapere giuridico quanto fertile) che ci consegna l'evidenza della repressione fondante la normalità, e, coerentemente, delle istituzioni, luoghi normalizzanti, come vettori di violenza. Banale, ma solo per quanti alla riflessione che gli anni Settanta ci consegnano si sono alimentati. La riflessione sulla violenza - che non sia volgare propaganda di politici - può venire a buon titolo teorico (proprio per la sofferenza che il pensiero umano reca seco) dalla parte sofferente e non certo dai suoi beneficiari predestinati, sia pure «teorici>. Ingenuo dunque attendersi una esplorazione critica della violenza da parte del «sapere giurico> che teologicamente si soddisfa a transustanziarla in forza. Gli assi cartesiani del giure - ordinamento (norma) e autorità (organizzaP roprio un anno fa ero costretto a lasciare l'Italia, e, fra l'altro, una attività redazionale diretta per queste giornale. Nel corso di I 2 mesi mai nessuna, non dico prova, ma neppure indizio o accenno di indizio è stato formulalo o fatto trapelare intorno alle mie responsabilità per una serie di fatti ben precisi (non idee mi si contestano), come una ventina di omicidi (fra cui Moro), ferimenti, attentati vari. Lo stesso calderone di accuse immotivate ha privalo della libertà personale la maggior parte di quanti, come me, avevano aderito a Potere Operaio, divenendo perciò, I O anni dopo, automaticameme responsabili di tulio il terrorismo italiano. Ma oggi la montatura sta crollando, se pure dopo un anno alroce, se pure non a causa di una coraggiosa mobilitazione di forze politiche e culturali. Oggi i giudici sono obbligati dagli eventi a dichiarare l'inconsistenza del cardine de~'accusa, la tesi della genealogia del terrorismo, della sua articolazione in diverse sfaccettature, tutte riconducibili ad un unico compio/lo con al centro i cervelli di P.O. Oggi i giudici sono costretti a riconoscere che gli incriminati del 7 aprile e del 21 dicembre sono «stellarmente» altra cosa dalle Br e dal terrorismo. Oggi, anche il Corriere della Sera (che zione) - la definiscono cosi. Eppure, premuti e fatti desti dal quotidiano, è sempre più difficile sfuggire a questq luogo d'incontro di legalità e illegalità, negargli collocazione teorica. cioè riflessione e non apologia. Vediamo ora come si legano a questo tema i lavori indicati all'inizio. Ma, un momento: una riflessione preliminare. Una delle magie del discorso giuridico è questa, l'escludere (o meglio - è prestidigitazione - far scomparire) dal suo universo le figure di violenza proprio mentre le fa sue attraverso un passaggio di valorizzazione, e le fa sue imponendo loro il nome di «forza». La forza del diritto. Forza «battesimale,. è all'origine quçlla che al di(itto borghese deriva -come a tutti i monopoli - dall'essere monopolista statale della violenza armata (è uno dei temi di Rescigno). Dare i nomi è potere prossimo al sacro; «battesimo> è prima violenza. É dopo di ciò (ma non è un «dopo» logico). dopo tale iniziale magia - che non viene più esplorata - che ci si può diffondere a parlare del rapporto tra diritto e «forza» invece che del nesso trasformativo del diritto e dei termini violenza e forza tra i quali si tende il diritto. Cosl allora la violenza legale appare «naturale> (e «inevitabile», quasi come il lavoro), ogni altra «contro natura», barbara; meglio, la sola che meriti il residuale nome di «violenza>. Fuori campo del diritto borghese è violenza, quando vi entra è forza. Come forza lavoro e lavoro nella dinamica del capitale. L a necessità per il diritto borghese di os~urare la violenza è stata analizzata nei suoi più minuti passaggi dalla ricerca foucaultiana, necessità che connota il diritto della nostra era e che ci autorizza a qualificarlo «borghese> non per ridondanza o per vezzo. E infatti il teorico massimo di questo diritto storico. Kelsen, poteva scrivere che diritto «è un certo ordinamento (ò una certa organizzazione) della forza>. Ancora una volta la «forza» del diritto appare altro rispetto alla violenza proprio in quanto razionalizzazione di quest'ultima. volta a un suo più sottile e raffinato uso; è dunque l'elemento ordinativo e organizzativo, come fattore unitario, a nobilitare un sistema, a trasformare - se così si può dire - violenza in forza. Che poi tale razionalità sia tutta torpida di sonno Cesare Donati dogmatico e implichi il progetto illuministico della produzione e dello sfruttamento è - ci sembra - sin troppo evidente. È la storia della trasformazione e della razionalizzazione che ci interessa. che è irrinunciabile per lo studio - cioè per la comprensione-del diritto e del suo autentico sapere. Eccoci allora ricondotti alle vicende della violenza, al suo «campo», ai lavori di Mereu e di Rescigno. E proprio perché in questi lavori si parla - anziché velarlo e reci- - tarlo, cioè tacerlo - di diritto che l'inquietante quesito sulla violenza non può essere evaso, le figure che la consacrano - quella sociale, il sospetto e quella statale, il monopolio delle armi - si manifestano nel punto alto delle riflessioni condotte. Mereu. storico del diritto. analizza la politica cattolica di repressione del dissenso nel periodo che va dalla nascita dell'Inquisizione alla morte di Galileo. e all'interno della sua ricerca pone uno studio più ristretto al .processo contro Galileo per trarre dai documenti processuali la prova che la tortura non fu- come si crede - risparmiata al vecchio scienziato. Il filone è la politica penalistica e i suoi istituti, ancor oggi ben conservati, ove si mostra l'intreccio della cultura costantiniana. ove i principi processuali del diritto romano- difesi dall'intolleranza della «fides» oltre Manica e nei sistemi anglosassoni derivati - vengono compromessi sino all'oggi. Lo sviluppo del processo inquisitorio a danno di quello accusatorio confluisce, come modello «cattolico», negli stessi ordinamenti istituzionali «liberali» che ne recepiscono la sequenza galileiana ammonizione-processodomicilio coallo per mandare al confino i nuovi eretici, quelli del dissenso politico. Tema vivo proprio oggi quando la tendenza allo stato autoritario proclama la tutela del dissenso (in casa altrui) e insieme fa uso (in casa propria) delle eredità inquisitoriali, prima fra tutte la macerazione della vittima - si pensi al diritto penale vigente che promette carcerazioni preventive di oltre dieci anni. L'istituto giuridico centrale al processo inquisitorio resta il sospetto, con le sue movenze di maturazione per reiterazione di accuse vaghe e di rafforzamento per diffusione del timore. Istituto giuridico cui poca attenzione - e il silenzio dottrinario è segnale non muto: è consiglio senza parole all'accantonamento e alla discrezione- prestano i teorici imbarazzati e un po' complici. Il suo valorizzarsi indica - potrebbe essere una prima elementare riflessione «giuridica» - la riduzione della sfera della norma giuridica a pro di una normatività sociale non sciolta da apparati, appunto, sospettanti. Il sospetto ha da essere sospetto da parte di autorità, autorità sospettante. Chi può permettersi di diffondere il proprio sospetto si è costituito come autorità, come «fama" che può diffamare; storicamente l'autorità ecclesiastica con la sua rete di controllo, polizia delle anime. Ma oggi assunta da «soggetti» definiti «sociali» che prendono corpo come burocrazie alternative e irresponsabili. Si pensi ai partiti, nuove «auctoritates» che nulla garantiscono alle libertà individuali e tutto alla propria. in primis immunità dalle leggi dello stato. E infatti collegato questo aspetto al mutare di significato di «legge», come la cultura borghese l'aveva intesa, alla «socializzazione» della norma che, attraverso i «media», si fa stigmatizzazione informale-e quindi violenza diffusa e neppure più «forza» come il diritto la intende. L'ambiguità che l'aggettivazione gesuitica induce ( «presunta brigatista» ad esempio, in luogo di «brigatista». È una ragazza bella che abbiamo visto piangere in TV) soffoca la diffamazione ma la dilata e l'impasta con il reale. «Presunta», ma presunta da chi? Tutto questo induce a riflettere sul diritto - e sul suo mito e sulla distorta valenza che il diritto assume nella società «del villaggio» e sulle torsioni che il «concetto» di diritto ha subito nei grandi momenti di mutamento dei mezzi di comunicazione: il secolo studiato da Mereu è esemplare, l'oggi è affar nostro. L a validità del sospetto è fondata dal mezzo con cui lo si comunica, così come la sua effettività risiede nell'autorità che lo produce. Il sospetto è normativo, fondato per il solo suo essere stato diffuso da «voces», per il solo suo essere sospettato, pensato, sognato come fantasma di «normalità» - proiezione di ciò che i sospettanti. per loro catene e miserie, non sono capaci di essere - che fonda presunzione di colpevolezza di quanti sembrano, agli occhi dei sospettanti, più liberi e vivi. Ogni diverso «può» - e perciò è presunto - essere colpevole, dunque: «sospettare e punire», nessun Intellettuasleinza dopo mesi e mesi di cubitali titoli accusatori in prima pagina, riduce la notizia della loro infondatezza in se/lima) scrive: «Non era stato scri110nella requisitoria sulla strage di via Fani che non c'erano dubbi sulle responsabilità di Negri? E come èpossibile, a distanza di qualche mese, cancellare con un colpo di spugna quelle che ieri erano considerate certezze assolute? È davvero così ampio il margine entro il quale può spaziare il libero convincimento di un giudice?>. Certo, non ha limiti l'ampiezza di tali margini quando sono de/lati da volontà politiche. Al Corriere della Sera avevo dichiarato, in un'intervista di un anno fa, che l'inchiesta era una montatura politica. Con maggiori elementi e convinzione oggi lo ripeto: «è il tentativo di esorciz• zare un intero movimenco di classe carallerizzato dall'aver saputo cogliere quelle che erano le esigenze emergenti dei nuovi soggetti antagonisti: studenti, proletari, disoccupati. E questo a qualunque costo, cioè senza prove, fidando essenzialmenle su/l'appoggio che il sistema dei partiti poteva assicurare alla magistratura a11raversola mobilitazione massiccia di tutti i mass-media» (Comitato 7 ap{ile). Tempo verràper una accurata analisi e discorso sulla stampa de~annata. E per un giudizio su una categoria. SaNanni Balestrini ranno sufficienti a limitare la sua condanna I' onesrà intelle11uale il coraggio morale di una Rossanda e di un Bocca, di fronte all'impegno ardente con cui, quasi agara, i giornalisti d' /rafiasi sono batluti per rendere acce/labili e convincenti le veline del potere, in una campagna senza precedenti per i mass-media? (Subendo ora la sorte tipica dei mercenari, quando le prestazioni non sono più necessarie: vedi il segretario della Dc Piccoli intervistato su Repubblica il 25 aprile: «Dinanzi a ogni arresto bisogna aspe11arela conclusione dell'inchiesta ed attendere il giudizio conclusivo del processo penale, prima di considerare colpevole ogni qualsiasi persona. Questo valeper voi, vale molto - se me lo consente - per la stampa, che è spesso portata ad estremizzare subito il proprio giudizio di colpevolezza o innocenza». Dove non è presa in grande considerazione la funzione di informazione della stampa). Ma questo non è che la cronaca di questi giorni, e non avrebbe forse un senso ripeterlasulle pagine di un mensile di cultura. Mi sembra invece preziosa per trarne alcune riflessioni d'ordine specificamente culturale. Partiti, magistrarura, srampa. E quale l'atteggiamento; il ruolo degli intellet· tua/i italiani nei confronti di un' inchiesta che vedeva non solo incriminati degli intelleuuali, ma sopra/lui/o la possibilità di esercitare un'auivirà di pensiero non conforme al potere vigente? Un cauto e minimale appello garantista, mesi fa, non è stato usato con la minima efficacia, anzi quasi disde110successivamente. Per contro, da molte parti abbiamo visto un impegno preciso a volere ritagliare su tuuo il movimento nato e cresciuto dal 68 la responsabilità del terrorismo. • Per quesri intellettuali l'occasione del 7 aprile era troppo buona: affossare una volta per tulle quel 68 che li aveva privati dell'«aura» (consenso, legilli• mozione, ossequio) imprirriendogli un marchio infame e sanguinoso. Non molti hanno resistito all'inebriante tentazione della vende/la di casta, a/l'ambizione di riaffermare i propri privilegi, alla speranza di recuperare lo spazio dei giovani. Sia schierandosi con schiamazzo e protervia, sia dando man forte con nebbia e silenzi (secondo il personale temperamento, perché il risultato non mutava) dalla parte dello status quo, contro il movimento della trasformazione (e cioè della nuova intelligenza e della nuova cultura) ... Oggi, non l'intelligenza dominante, ma la realtàdei falli ha dimostrato che il terrorismo non nasce nel movimento del 68, ma ha le sue radici proprio nella vecchia e ciecapolitica (e cultura) dello abuso logico, ma anzi, corollari rigorosi quali, immediatamente, la doverosità («morale») di delazione «civica». Tutto tiene, possibilità vale realtà. Sospetto è modalità ammalata di dubbio: «s11spicionon est cognitio certa sed dubitatio incerta». J giuristi secenteschi erano i grandi autori di p$icologia metafisica e normativa, e qui è di nevrosi ossessiva che si tratta - nevrosi d'autorità che Buiiuel ha gettato sullo schermo. Viene da ricordare El, il film ove la follia omicida e mistica del marito-dominus si radica nel sogno della fedeltà, nell'infantile rifiuto del perdere e del perdersi. La fides, la fedeltà-fede legittima l'intolleranza, attiva il sospetto. Siamo al diritto romano-cristiano: famiglia o proprietà, ortodossia o democrazia si fanno assoluti. Sono momenti in cui le burocrazie si dilatano e rafforzano e - non a caso - codificano, tracciano confini, rinchiudono. Certo scompongono e ricompongono. Con fantasie rituali e persecutorie scompongono umane vite e con i loro brandelli ricompongono aree di unità negative. Se l'unità d'Italia - è una riflessione di Mereu - nasce come unità poliziesca, «spazio giudiziario italiano», area di competenza inquisitoriale, perché stupirsi che per le stesse vie passi l'unità europea? Nuova area ove il dissenso non potrà non essere letto - à la Parsons - come devianza. Ma se questo funzionalismo è coerente, è anche allora legittimazione del trascorrere dell'emarginazione, tempo passivo, in momento attivo che sbocca nella pratica delle armi. La cultura del silenzio si propone à son tour come ambito del sospetto e il sociale è zittito dal momento in cui vi penetra la violenza legale e illegale. La storia delle categorie del procesSil penale-- ,a lat;tanza .trasformata in prova, per esempio-getta luce su questo quadro di peste sociale e sul diritto che vi si produce e consuma. Porta all'analisi del fenomeno giuridico e della sua logica, quella dei nessi imputativi come inarrestabile ricerca di tracce, dall'odore sulfureo del Barocco sino alle concordanze linguistiche più o meoo computerizzabili. Ci si avvia così a riflessioni sugli apparati propri dello stato moderno. La gerarchia delle sovranità ricercava il Signore del male, oggi l'ordine degli uffici e delle carriere burocratiche riverbera sull'antagonismo una presunta «direzione generale» - di stile ministatus quo. Un fossato si è scavato, forse irrimediabile, tra un ceto i'ntelle11ua/e che si è negato come tale, eciò che vive e produce pensiero e idee. I pochi.che non hanno abdicato si trovano di fronte a un compito enorme, che rimane però come sempre il compito fondamentale de/l'inte/le11uale:comprendere ciò che avviene e contribuire alla sua trasformazione. Enorme perché il tessuto, i rapporti della cultura, sembrano oggi irrimediabilmente guastati. È necessario tuttavia non cedere alla rinuncia, iniziare un'azione paziente e profonda, ad ampio respiro. Ma, soprattullo, oggi, dare un segno immediato e visibile di presenza in un nodo ·culturale che non può più essere eluso con rinvii ad un garantismo senza riscontri e senza speranze, quando la prassi giuridica è l'autodafé, la deten- ;:ionepreventivan, el/'attesamoralistica che si manifesti la prova della colpa originaria. Oggi, a un anni, di distanza, la liberazione immediata degli incriminati del 7 aprile deve essere richiesta e imposta da ogni intelle11ualeitaliano che non abbia ancora rinunciato a una indipendenza critica e morale nel ruolo che gli è proprio.

steriale-senza la quale nulla potrebbe essere né pensato né agito. Ancora una volta per andare alle radici del diritto - e in particolare del diritto pubblico- si mostra la necessità di prendere in esame la forma stato e gli apparati. Nella Prefazione del suo best selle, (La vicenda dello stato moderno - Profilo sociologico, Bologna, li Mulino, 1978) Gianfranco Poggi ha . scritto: «Molte opere di diritto costituzionale sono tediose quanto l'antropologia e ardue quasi quanto l'economia; spesso, inoltre, si mantengono ostinatamente estranee ad ogni esplicita problematica politica». Svalutazione dell'antropologia a parte, non si può non convenire. Allora un'importante strumento di. studio, il Corso di Rescigno risponde a questa seria critica, e dire che ha come sua caratteristica quella di essere il primo manuale di diritto pubblico pensato in termini marxisti è- mi sembra - ideologico e riproduttivo; più rilevante è vederlo incentrato - come sintesi- sul problema della materialità dei rapporti sociali, la «forza» e il monopolio degli strumenti repressivi da parte di un'unica centrale di potere, lo stato e le sue burocrazie - civili e militari-, il viso violento del diritto. Si esce finalmente fuori dalla presentazione astorica del diritto pubblico che ·è all'origine della «tediosità» denunciata da Poggi e si permette una lettura colta delle istituzioni, calate nel tempo. La storia della centralizzazione del sistema di comando e della trasformazione della violenza in legalità corre non disgiunta dalla storia dell'intolleranza e dei rimedi- più o meno illusorii - per combatterla. Questo filone di lettura del diritto pubblico vale a rovesciarne una serie di «verità» pigramente trasmesse. R. iprendiamo il tema forza-violen-- za. Quando si dice che lo stato ha il monopolio della forza ecco che -di nuovo-si utilizza la figura «forza» con le sue connotazioni positive, quando è invece il monopolio a (presumere di) elevare la violenza a forza, allora è suo il merito di spazzare via una pluralità di violenze e quindi «fare ordine». Ma il monopolio statale ha pur sempre per contenuto la violenza, violenza fisica su persone e su cose. Ribadire questo punto è importante poiché permette di andare concretamente all'incompatibilità del diritto e dello stato con la speranza di comunismo; il tema del deperimento del diritto e dello stato è ipotesi di non necessità di violenza, è progetto di materialità sociale escludente la violenza nei fatti e non vagheggiamento di normatività alternativa. Libertà dei/nei fatti contro illibertà normativa. Affrontare la conoscenza del diritto in questa ottica spinoziana è ben diverso dall'approccio burocratico-descrittivo consueto e vale da vaccinazione contro il mito occhiuto della norma. Qui si ha trattazione del diritto non nel segno di riduzione economicistica, ma come spiegazione di problemi aperti e illustrazione di istituti operate con mente di cultura marxista: l'inveramento-superamento del diritto come azione teorico pratica del proletariato è presentato come dissoluzione dell'ordinamento giuridico nella giustizia materiale. E questo è proprio uno dei grandi temi dell'originaria riflessione marxiana. Molte «verità» si annebbiano, quella della sovranità popolare, per cominciare. Sovrano è chi comanda - effettivamente - gli eserciti, è chi dispone delle armi. chi detiene il potere materiale, il resto sono parole. Il popolo subisce la violenza fisica, dunque non è affatto sovrano. Le forze armate sono comandate da Governo e apparati. Ecco allora che prende senso il tema garantistico: il «come garantire che vi siano sfere di libertà sicure di fronte allo Stato, è il problema che affatica tutte le forze sociali e politiche da quattro secoli, in teoria e in pratica. Ma questo problema nasce proprio dal fatto e dalla consapevolezza che lo Stato è cosi forte che esso, materialmente, può in ogni momento rovesciare ogni limite, ogni garanzia, ogni libertà». Cosi l'analisi dei diritti di libertà, una volta che sia incentrata sul monopolio statale della violenza legale, mostra che il problema è quello di definire diritti dello stato contro la libertà dei singoli, riflesso poi ideologicamente come rivendicazione contro lo stato. La chiave di comprensione dell'apparente paradosso passa sempre per la separatezza tra popolo e governo, tra comando del potere armato e cittadini: la rappresentanza politica la riafferma. E la fragilità dei diritti di libertà è connessa al sistema dei partiti la cui presenza nel sistema costituzionale non può essere trascurata a pena di una lettura notarile e meno che formalistica. È con i partiti che si svela l'oscura realtà della società borghese: la sua radicale divisione, fonte sorgiva della violenza. «L'ideologia dominante» - cito Rescigno- «si sforza di presentare questo fatto inquietante, e in verità drammatico, come normale e positivo (...) Essa è tutta tesa a validare il conflitto sociale, di cui la pluralità dei partiti è l'espressione sul piano politico, come fatto fisiologico e positivo (...) Implicitamente in questo modo si riafferma la ben nota tesi, cara a tutti i reazionari, per cui vi saranno sempre ricchi e poveri, padroni e servi, governanti e governati, dominatori e dominati, oppressori e oppressi, sfruttatori istituzioni statali (dal mondo del potere armato) né mero momento dello stato separato dalla società dal mondo dei bisogni e delle lotte) ma l'una e l'altro insieme e a causa della loro contraddizione. I nteressante che un giurista senta il bisogno di questa «Appendice» e che la lavori in polemica netta con Colletti sul tema della contraddizione e della storicità del conoscere (anche il diritto - ma non è fare storia del diritto) e, quindi, del nesso teoria-pratica. Buort segno che la ragione dialettica si faccia strada in un manuale istituzionale di diritto pubblico. Era tempo e proprio perché la crisi della ragione borghese si è sempre annidata nel diritto in quanto ideologicamente concepito come concrezione della giustizia quando ne era (e ne è )- per ricordare Luki!.cs- sua Zerstorung. Distruzione della giustizia proprio per volontà illuministica di oscurare la violenza che come «forza> il diritto incorpora, quell'irrazionalità che - occultata - si fa inquinante e sovversiva. Sotto tale simbolica epigrafe - distruzione della giustizia - potrebbe andare la storia del pensiero giuridico borghese. Negare la presenza di violenza nel diritto del capitale e del suo stato valeva esaltarne - sua specifica necessità - la valenza di mito, e così agghiacciare il mito stesso e privarlo di e sfruttati. Chi sostiene il contrario è dichiarato illuso». Qui l'analisi si dipana dialetticamente. Lo illustra l'autore di questo Corso che si chiude, inusitatamente, ma con coerenza metodologica, con una appendice «Sul metodo dialettico». L'essere ogni partito né mera articolazione della società separata dalle vissuto, renderlo fabulazione del diritto e di sua «forza> buona, riparatrice, ordinatrice. Favola ingannatrice per i più e metafisica della violenza per i teorici. Anche il trascorrere da «mito> a «teoria» era coerente come necessità di seppellire sotto lapide di sistema quanto di remoto e vitale e profondo il mito recava seco come protesta e speranza e lasciare vivere solo la favola minorizzante e compensatoria. Eppure una riflessione razionale sul diritto post Rivoluzione non può non focalizzarsi sulla tragedia della violenza legale e sul monopolio statuale - e sui modelli remoti utilizzati. E sulle inevitabili tentazioni «concorrenziali» che il monopolio induce al suo esterno. La critica del diritto allora ha senso come critica della violenza e perciò del diritto, come ricerca sulla violenza umana di cui l'ordinamento giuridico fa uso e sua messa in questione e sull' - humus sociale ove la violenza si radica e cui il diritto fa velo. Lo sdoppiamento del mito del diritto, il giudice divino, in favola e metafisica (per residuare mera e bruta repressione) origina con l'occultazione della violenza. È nodo pensabile solo nella forma di riconoscimento di realtà irrazionale da conoscere e dominare. l'oralitàe ilpqrlardeelleMuse N el proemio alla Teogonia Esiodo, che fu un grandis!l:-:!lOartista e non il paludato autore didattico dei nostri licei classici, ha una luminosa e un po' commossa riflessione metapoetica sul parlare delle Muse: tale, oralità divina gli appare qualcosa di corposo che scorre nell'aria come un fiume (pregnante metafora cui fa da parallelo l'altra del diffuso sintagma «parole alate») e lascia nell'aria una serie di suoni. ripetuti dalle balze dell'Elicona. sotto forma di eco. Esiodo si riferisce ai tempi eroici della oralità, in cui l'aedo costruiva il testo poetico orale su un gioco combinatorio attuato con due serie di strut- . ture storicamente capitalizzate e individualmente conservate dalla sua memoria ben esercitata. la serie semantica o dei temi poetici (tenuti presenti con la tecnica formulare) e la serie fonico-timbrica. entrambe ripetitive. Allora dietro la recita di poesia non c'era il testo scritto perché si era in culture o pre-alfabetiche o alfabetiche ma ancora prevalentemente orali. Al livello della competenza del pubblico, va detto che essa era tale da disporlo all'immedesimazione col messaggio: la tecnica ripetitiva in luogo di produrre noia. diveniva liberatoria. produttrice di energia sociale all'interno di un rito collettivo di ascolto. Poi la scrittura si è affermata decisamente. ha fissato coi suoi segni grafici una piccola parte dei testi orali vaganti nell'aria. mentre i più si sono persi. Allora. il fiume poetico della oralità esiodeo può diventare per sovrappiù immagine o simbolo del fiume del tempo. del panta rèi eracliteo; di pari passo la scrittura può diventare segno sì di sopravvivenza. di vittoria sul tempo. ma anche in qualche modo segno di c_imitero. Da un punto di vista semiotico si p11òaffermare come dentro ogni epoca dotata di scrittura non solo esista un sistema a due variabili. segni della oralità e segni della scrittura. ma la diversa combinazione dei due sottosistemi abbia un profondo significato per ciascuna cultura. V ediamo un po' cosa succede oggi. Proviamoci a capire come mai si possa nuovamente parlare di importanza, sul piano sociologico, della funzione della oralità; come mai riprenda quota il destinatario collettivo e la riappropriazione del segno poetico orale da parte del pubblico. Affermare che si è in un periodo di sovrasaturazione e di groviglio della scrittura è affermare l'ovvio: a portata di tutti l'esperienza di impero. per non dire di incubo. della stampa come canale di comunicazione insieme della ricerca scientifica, parascientifica, tecnologica. delle ecolalie. dei rumori. Un brutto affare. insomma, tutto questo scrivere e stampare. In un contesto non molto dissimile. forse meno nevrotizzato. undici anni fa Northrop Frye in un saggio dal titolo Mito e Logos. composto per un numero americano di Strumenti critici (n. 9 del 1969). cosi descriveva la situazione del suo paese con occhio soprattutto alla 1Jb ·- W Oo~ •~ uBtrffn ·-~ a,11.. taen--. +•t onato ae1. J>O]IO'.lo 4efU 11<:ia lli. 111 •co,._ Ooh .. "bl,ia 4iapcn\& -.rceem:aa, •rct-1dee, aeee..-re--.-rc,- "tflllPO.. b. nessuna disponibilJ,tà alla collettivizzazione, alla prodiuziOnt èol lettiva contro la merce. Pub darlr che• questa· ai&. una condizione da accettare per una fase. la 4u1.~ OOlle~~8olt.t-ùta: -- ]1111.".. l~a • batto tw,1. 1 e),. :rluttt..., a.._... - JoJ>olb. Occorrerà da questa restar fuori,scontan California: «I cambiamenti culturali degli ultimi vent'anni all'incirca hanno reso ovvio il fatto che noi stiamo incominciando a muoverci in un'orbita culturale diversa, in un'epoca che sta recuperando molte qualità della cultura preletteraria. Il risveglio della poesia orale è il più ovvio di questi fattori; la poesia letta o recitata a gruppi, vicina all'improvvisazione. di solito con qualche tipo di accompagnamento o sfondo musicale, e spesso indirizzata a commentare l'ultimo problema sociale del momento. Quando pensiamo alla poesia contemporanea non pensiamo tanto a un gruppetto di grandi poeti quanto a un tipo di diffusa energia creativa, molta della quale assume forme abbastanza effimere». Più oltre Frye insiste sulle reazioni do 11 impossibilità di determinare alcun effetto 1 di. movimento". Ja.-U• .. 1->-lnle:liùa dell .. tocilll.itt a~ l'f'Ole-taorla•tt m11 t --..raùile. 0(;,correrà ·teeeere 11 filo della ricomp.o• aizione fuori da questa matassa, perchà. poi, da qualche parte (da determinare, nei prossimi mesÙ 11 filo sappia riatt ravereare la matassa, e rifarne 1:1:ovimen1:: to, disegno chiar0 del processo di libe• razione consapevole. X. candi-sj.one a.tbal.e 1~ iapealece ad un I operazione che aia di immediata proposta organizzativa. Nessuna continuità aerve salvare, come;.al solito. Far le cosei in grande, spostarsi, attendere ed attirare il processo reale con una macchina che ora dobbiamo mettere ·a punto. ' i1TORNIRO U.~C.C.IAIO A/traverso, Bologna /978 ,a.-a "''~ (A. Rimba\Ad) emotive del pubblico alla recitazione poetica arrivando a parlare di «spettatore ditirambico»; con aggiunto il riferimento. abbastanza carico di acume, a una sorta di rivoluzione psicologica che starebbe alla base di questi testi orali. diretta non tanto contro il potere economico sulla scia del marxismo, quanto «contro le ansietà del privilegio». Aggiornato agli anni Ottanta e riportato al contesto italiano, tale discorso richiede alcuni ritocchi, quelli che la Storia stessa ha portato nel frattempo alla vita degli uomini e quindi anche della poesia. Lascerei da parte lo stretto nesso fra testo orale poetico e problematica sociale o politica del momento perché ciò non è specifico delle recite di poesia d'oggi, scarsa- • • LL \'.plli4• D6L.L'f.C. mente pragmatiche nel loro complesso e poco dardeggiate dal politico, salvo casi particolari che costituiscono eccezione. Come pure _seJ)!lTereili(enomeno della lettura di testi poetici precedentemente - scntndalla ìmprovvisazione o quasi-improvvisazione, che oggi ha luogo in un settore ben distinto e con sue norme, quello della poesia sonora o della drammatizzazione spontanea, dove si ha una situazione enunciativa volutamente immersa nell'ibridismo delle varie codificazioni di più sistemi segnici: gesti, suoni, parole. intrecciati, il tutto come contrapposizione a un sistema semiotico che tradizionalmente separa le pertinenze e i ruoli dei vari codici comunicativi (lingua, gestualità, musica, colore, rumore ecc.). 11 fenomeno sociale della oralità su cui conto fermarmi, perché più vistoso e perché su esso la stampa quotidiana o periodica ha espresso, a parer mio, alcuni giudizi imprecisi e fuorvianti, è quello delle recite o letture pubbliche di poesia da parte dei poeti stessi. vagantes come antichi clerici. ma senza subirne i pericoli o gustarne le avventure, per grandi città e popolose periferie e teatri di quartiere e piccoli centri di provincia. In questo ambito si ha a che fare con oralità applicata a testi precedentemente scritti, per cui gli aspetti interessanti diventano due: 1) qual è lo specifico di tale oralità, o meglio: che cosa fa di un testo orale un altro testo, cioè qualcosa di diverso dal testo scritto di partenza? 2) Quale nuovo circuito comunicativo si instaura fra poeta recitante e pubblico, fra emittente orale e destinatario? Quanto al primo punto, nella lettura pubblica ha luogo una esecuzione del testopoetico,unamessainoperache è già di per sé un modo di distanziare il testo orale dallo scritto. Tale affermazione sembra tautologica, ma non lo è, perché l'esecuzione prova che non è l'intera realtà del testo poetico a precedere la performance; come dire che vi è una funzione creativa. un'inventiva supplementare che si attua solo nell'esecuzione, cioè nella resa orale delle strutture formali del testo. Il linguista Philippe Martin nel saggio Questions de dominance des faits

prosodiques sur les marques syntaxiques ha indagato sulla messa in opera, da parte del locutore, di marche prosodiche interne a un testo letto, osservando come si creino con l'oralità dei contorni melodici attorno alle sillabe accentate. delle marche di modulazione che esercitano funzioni non solo ritmiche. ma anche sintattiche. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che quando la marcatura melodica non è ridondante rispetto alla sintassi del testo, cioè quando devia da essa e ne violenta la struttura, allora essa giunge a mettere in crisi la stessa rigida dicotomia saussuriana fra langue e parole. Questo processo si potenzia enormemente nella lettura di un testo poetico; se poi chi legge è l'autore stesso, egli darà rilievo a certi nuclei semantici, a costellazioni di parole. a particolari agganciamenti e coaguli che egli sente fondamentali nel testo e creerà dei veri blocchi tonali. Si avrà una forma di lettura che rifiuta una sola curva intonazionale del verso a favore di quella che Carlo Emilio Gadda chiamava la tensionespastica del linguaggio; in tale tensione vengono separati elementi linguistici che normalmente fanno gruppo e sono legati fra loro nella lingua di chi parla o scrive. I suoni si liberano, le parole si rinnovano, la lingua si fa corposa. Da un lato, dunque, segmentazioni, urti. strappi liberatorii. dall'altro collegamenti sovrasegmentali fonicotimbrici, autonomi essi pure rispetto alla lettura sintattica e prevalenti su di essa proprio perché il livello ritmicotimbrico è dominante in poesia, nel significato che Tynjanov dava al «livello dominante• di un testo. Stando cosl le cose, sembrerebbe che la oralità offra il massimo di espansione, di dilatazione possibile ai livelli del testo poetico. alla sua stessa realtà di oggetto poetico. Le cose invece non sono cosl semplici: l'esecuzione orale di un testo poetico ha infatti qualcosa in comune con l'esecuzione di uno spartito musicale, offre cioè una delle possibili esecuzioni, uno dei campi di applicabilità di un insieme di segni dell'espressione. In altre parole, attorno a una performance poetica gravitano i mondi possibili e alternativi delle altre performances. Ciò significa che in definitiva il testo poetico orale offre di più. ma anche di meno di quello scritto che lo precede: quest'ultimo contiene in potenza tutte le possibili esecuzioni sicché si può dire che e.sso dà al suo lettore un mandato provvisorio, una momentanea procura. Questo è un problema che va essenzialmente affrontato caso per caso: ci sono testi poetici scritti che contengono già in sé una specie di grammatica dell'esecuzione, altri invece che sono più aperti. In generale si può però dire che dobbiamo alla precedenza operativa dello scrittore alcuni segnali abbastanza precisi. da lui versati all'interno dei segni grafici: se il testo. per esempio. dà segnale di appartenere a un genere affine alla filastrocca. esso potrà giovarsi di una lieve accelerazione della lettura, che non sarà certo pertinente alle segmentazioni temporali di un testo lirico. C'è infine una bravura del lettore. non bravura di laringe. s'intende. In Russia la recitazione è appresa come una materia scolastica, fatto di fronte al quale li per li non si sa che dire. se ne nasce poi quella recitazione straripante a cui ci hanno abituato i poeti russi venuti a declamare in Occidente. D i più vasto interesse il secondo punto che sopra abbiamo citato: quale diverso circuito comunicativo si instaura nella lettura fra poeta e pubblico. che la prassi ci insegna essere costituito prevalentemente da giovani e giovanissimi? li fenomeno ha attecchito molto bene nel nostro costume, sicché sarebbe semplicistico circo.scriverlo a una programmazione di moderni autori vagames: senza dubbio i poeti in questo rito della recitazione esprimono aspirazioni del pubblico non meno che proprie. cioè le finalità di emittente e destinatari tendono a identificarsi, fenomeno che era tipico delle culture orali prealfabetiche. Sipotrebbe allora azzardare che questi riti pubblici rappresentino una almeno inconscia presa di posizione anti-scrittura, anti-civiltà. essendo sentita tale civiltà come troppo razionalistica? Può essere che queste manifestazioni collettive esprimano. prima che un'accettazione di qualcosa. il rifiuto di qualcosa d'altro? li fenomeno è ancora tutto da studiare. ma qualche riflessione già può Dirty Actions, Genova 1980 essere avanzata. È rilevante che ai giovani partecipi di queste sorti di cerimonie culturali (cittadine o provinciali o regionali. tranquille o spastiche) non interessa tanto che testi i poeti recitino. ma il fatto che essi recitino; vi è dunque qualcosa di genericamente atteso. che non è affatto il messaggio individuale con la sua forza centripeta emesso dal singolo poeta. ma è l'ascolto del fiume sonoro al di là dei contenuti (cui spetta interesse secondario) e soprattutto l'ascolto collettivo. Nelle epoche prealfabetiche l'attesa generale si collegava al fatto che la poesia era molto convenzionalizzata e codificata (si pensi alla lettura dell'aedo omerico); oggi si collega al puro fenomeno della oralità. Cioè è proprio l'interesse indiretto ai contenuti testuali e diretto all'esecuzione che dà aspettò ritualistico a tali letture, creando quella che chiamerei un'area di «comunicazione intermedia» in cui il testo orale letto si fa strumento di un processo liberatorio nel pubblico dei giovanissimi, di uno sprigionarsi dell'energia simpatetica collettiva. Si aggiunga la funzione «poeta visibile e parlante». che offre all'uditorio un'immagine iconica. un descensus carminis nella realtà. di cui parlano già le poetiche antiche. Qualcosa di analogo non casualmente succede nel mondo del rock col rifiuto della discomusica. Scrive al proposito Gianni Sassi (in L'Europeo de11'8 aprile 1980): «Questo è un fenomeno interessante. Le case discografiche hanno speso miliardi per lanciare la discomusica. Qua a Milano il Club 54 è stato un grosso investimento. Eppure, malgrado il silenzio degli operatori musicali. il tam tam sotterraneo dei giovani ha decretato: 'disco' niente, vogliamo il rock. Il fatto è che tutta l'attenzione e l'impegno che prima si buttavano in politica ora sono riservati ai fenomeni culturali». Postilleremmo ai fenomeni culturali passibili di esecuzione. di messa in opera diretta entro la collettività stessa dei giovani. Fenomeni nell'insieme di marca irrazionalistica, naturalmente, che possono però essere assimilati a una produzione di anticorpi contro l'eccesso e mal uso del razionalismo. una specie di difesa. tramezza se non proprio barriera. contro lo «scientificismo» e la mal usata tecnologia. L'attesa del giovanissimo pubblico si configura sociologicamente assai diversa da quella delle epoche prealfabetiche; non è passiva, ma attiva; l'aedo di oggi non mette in moto un meccanismo di potere, anche se può illudersi di farlo, ma è funzionalizzato dalle masse dei giovani ai loro riti liberatorii: ascolto di poesia come ascolto di rock, si tratti di hard rock o jazz rock o altre varianti sperimentali, • con l'ovvia differenza che il pubblico del rock è molto più vasto e indifferenziato. li giovane pubblico costituisce, dentro il mare della società, le proprie isole e isolette, foci deputati di una diversa comunicazione; nuota sott'acqua da un'isola all'altra; i poeti sono accolti in queste isole, ma non le creano loro. vi parlano in due o tre consecutivamente, variazioni dell'attesa oralità. Da un punto di vista semiotico, si possono avanzare due riflessioni: 1) nella nostra epoca superdotata di scrittura non solo esiste un sistema a due variabili. segni della oralità e segni della scrittura. ma la diversa combinazione dei due sottosistemi assume un profondo significato generazionale. 2) I segni della oralità appaiono oggi ai giovani come atti a produrre una forma più autentica di comunicazione fra C'era una volta la teoria economica . i singoli e fra i gruppi rispetto ai segni della scrittura; riprende per essi nuova validità contestuale l'affermazione di Socrate per cui i segni della scrittura, come quelli della pittura, sembrano parlare. ma se li interroghi non ti rispondono. D alla specola sociologica più redditizio, lo si è visto, tra i due poli comunicativi quello dei destinatari; ma dalla specola letteraria sarà l'emittente ad avere l'ultima parola. Molto significative le riflessioni di Andrea Zanzotto, là ove in Filò egli. collega la poesia alle origini stess·edella oralità infantile, al petel come «sperimentazione di un'oralità (zona di nutrimento, 'fase' ecc.), oracolarità, oratoria minima eppure forte di tutto il viscoso che la permea( ...) veniente di là dove non è scrittura (quella che ha solo migliaia di anni)>. E Sanguineti, in un'.intervista televisiva del 1979, parlava della poesia come scrittura per la voce e della voce come incarnazione del testo. Altrettanto cospicue alcune riflessioni di Antonio Porta, in un intervento pavese recente, sulla felicità enunciativa e sulla corposità che le immagini assumono alla lettura, ma anche sulla funzione sociale che alla fin fine la lettura esercita offrendo una terza via. un terzo modello di oralità in contrasto sia con quella discorsiva, argomentativa dell'universo scientifico-tecnico, politico ecc., sia con quella legata alla ridondanza e al rumore dei mass media. Naturalmente, concludiamo noi, è auspicabile che ci siano sempre presenti le Muse in accezione esiodiana, da cui siamo partiti; altrimenti potrebbe accadere, e qualche volta accade in questa che è ormai una moda smodata di pubbliche letture, che. gruppuscoli di minori e ultraminori cerchino di portare a spalla qualsiasi pubblico, non senza suo strazio, nel proprio cantiere dove, per dirla con Gadda, abbondano gusci senza il lumacone dentro. Allora nasce una grande confusione tra la poesia e l'energia propria dello spettatore ditirambico, due fenomeni tutto sommato entrambi importanti. ma a livelli alquanto diversi, fra i quali lo spettatore non ditirambico ha diritto e dovere di esercitare il suo distinguo. Cos'èallo~~vcja'pitale? Piero Sraffa Produzione di merci a mezzo di merci. Premesse a una critica detta teoria economica Torino. Einaudi, 1972 (1960) pp. Xlll-129, lire 2000 Pierangelo Garegnani ■ capitale nelle teorie della distribuzione Milano, Giuffrè, 1960 pp. 253, lire 6000 Augusto Graziani «C'era una volta la teoria economica•, in Al&beta n. 10, febbraio 1980. f' C'era una volta la teoria economica. divisa in due campi fieramente avversi, che erano rispettivamente quello dell'economia borghese da un lato e dell'economia marxiana dall'altro•. Dopo questo esordio, Augusto Graziani («C'era una volta la teoria economica-,Alfabeta n. 10) passa a descrivere ('«operazione pacificatrice• che ha dominato la scena negli ultimi vent'anni: quanti ne sono passati dalla pubblicazione di Produzione di merci a mezzo di merci e del libro di Pierangelo Garegnani, Il capitale nelle teorie della distribuzione, che sono ambedue del 1960. Tale operazione consiste, prima di tutto. nel passaggio da una «critica esterna• dell'economia borghese (ossia da una critica «dell'impianto• di quell'indirizzo di pensiero, «dei suoi presupposti di base». «delle sue radici ideologiche•) a una «più raffinata, ma intrinsecamente debole, critica interna», che riguarda esclusivamente la teoria marginalista (arbitrariamente identificata con l'intera «scienza economica borghese») e la respinge solo in quanto «carente nella sua costruzione analitica», riducendo tutto a una questione di «correttezza formale». Ma non basta. A essere respinto senza miglior motivo che per essere logicamente viziato è anche il procedimento attraverso cui Marx, sulla base della teoria del valore-lavoro. determina il saggio del profitto e i prezzi che dovrebbero assicurarne l'uniformità (dopo di che, la stessa teoria del valore-lavoro non può essere difesa se non riducendola a una mera definizione, ciò che essa certamente non era nella concezione di Marx). Ed ecco ('«operazione pacificatrice» totalmente dispiegata: essa vanifica l'antica contrapposizio11enegando validità all'uno non meno che all'altro dei suoi termini. Quel che resta è un che di indistinto, la notte in cui tutte le vacche sono nere. Della scellerata operazione sono responsabili non tanto i «giovani leoni dell'economia politica italiana» i cui lavori Graziani recensisce, quanto quegli «altri e più autorevoli vescovi» per averli acrirt a eewef',c.■o giulio oeeare 97',10155torinoJ ~•nto contraaeegno al ric1vimento/niente eoldi nella bu.• supplemento a L.D. Lega nonviolenta dei detenuU. AUTOIIIIUZIOIII!Jll!L TRil!UIU.U DI 'fORlllO lf,26011 DEL 10/T/1976 DIRB'f'fORI! RBSPOIIS.ll!ILB1 lorenzo gigli oorao giv.lio ccear• '3T- 10155 1ortno llSCI! QU.llll>OCAPITA, UlfA COPIA COSTA DALLB 300 ALU 350 LIRB Qtll!S!'O 1111.lIL IIUlfBRO/E)USCI'fO lll!L PRIILlIO 1978. IWf!IO COLL.t.BORA!01 IIÀlliltro EL IIJ.SIWIUII, PISTIS (COM ll!OL!A C .uaA), IIICOL.t.S IIAVBL, IIJ!:J>IAJIOVJS. Pl'f!A.COLI, CINACCHIO, PAII 011.lD I! Ttlffl QUl!LLI C1!I! ILlllllO COIIPIIA!'O IL GIORIIALB. : :1:=~;~:~ ~:!:~ro~:UU:~ =- =-=ç..: .lSIIIO lii TUTTI I SBIISI. QUESTO IIUl!l!RO li' __ ,_.,.. 'Z!'":i=J-.• Dl!DICA!O A IIOIIAD.lll ALI.Pllll!.AU JmVOIR ------•·-•• I! SB 11011 Cl VEDIA■O PIU' FELICI IIOHJIIT t 1!11011 tU,'ft.lJI Sewer, Torino 1978 aLtolle-an!SI I JOR!:deVI kB LU'OgnA PII oSSe IIORTA( I )eeH!lf(-ijalll )/& ll!Yeol! eooo!l aOAill(HAHAI) A re/SPIIWl-.que SU APPLA'fllCOSIIIClpunto SB U aTAi Dilll'fTAn/l>O A/Tee laPIIIIPOIU.UOcLallDie, ■eS'l'ai Ll aPIILATUlare o/PPure 6( S!l) aLLe pRl!SE A/ne LA tUA OIDDA(aAjAle ! ·• •• , • •moLLATou'f/Alllle/flltto/aLL( 11 ) ♦++ toD0/.1,//?1),i'IIIIA'fl iL nAoO & bU'fta'1'1(c11mpte)llel !O■BlinOl?l?(aAJaLel)(oPOU &) 11,'cYI fflB SPOROACOIOIIS are ,ot,NARI +INTt,~VIS CHRISHA I OAn & THAt NrS (0 OLORB ~ I& Il) cui lo stesso Graziani fa colpa di avere «indicato la strada». Meglio dunque, mi sembra, parlare direttamente dei vescovi. A questa regola mi atterrò in quel che segue. È dalla distinzione marxiana fra «economia politica classica» ed «economia volgare» che conviene prendere le mosse. li brano su cui voglio richiamare l'attenzione del lettore fa parte del Poscritto alla seconda edizione del primo libro del Capitale ed è di quelli che reggono assai bene la propria notorietà. Mi permetterò dunque di citarlo estesamente. «L'economia politica, in quanto borghese, cioè in quanto concepisce l'ordinamento capitalistico, invece che come grado di svolgimento storicamente transitorio, addirittura all'inverso come forma assoluta e definitiva della produzione sociale, può rimanere scienza soltanto finché la lotta delle classi rimane latente o si manifesta soltanto in fenomeni isolati. Prendiamo l'Inghilterra. La sua economia politica classica cadé nel periodo in cui la lotta fra le classi non era ancora sviluppata. li suo ultimo grande rappresentante, il Ricardo, fa infine, consapevolmente, dell'opposizione fra gli interessi delle classi, fra salario e profitto, fra il profitto e la rendita fondiaria. il punto di partenza delle sue ricerche, concependo ingenuamente questa opposizione come legge naturale della società. In tal modo la scienza borghese dell'economia era anche arrivata al suo limite insormontabile ( ...) L'età seguente, dal 1820 al 1830, è contraddistinta in Inghilterra dalla vivacità scientifica nel campo dell'economia politica (...) Si celebrarono splendidi tornei (...) Il carattere spregiudicato di quella polemica - benché

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