Alfabeta - anno II - n. 9 - gennaio 1980

Mensile di informazione çulturale Gennaio 1980 Numero 9 - Anno 2 Lire 1.000 Redazione. amministrazione Spedizione Multhipla edizioni in abbonamento 20137 Milano postale Piazzale Martini 3 gruppo 111/70 Telefono (02) 592. 684 Printed in ltaly CLENGRANT il puro whisky di puro malto d'orzo. G. BllselliL: aforma Dc • Crisdi ellaragione? Eco, LeonettiR, ovaHSilpinellaV, olponi) * onati/Ferraioli/RescigPneor:un • 1 dizionaricoriticodeldiritto* A. Ponzio: La''parolaltra''diM.Bachtin • L.Cantoni: ' Larivoluziontestuale• A. Prete:R/B • CattedreF:.Alberoni, *P. MagliF: rammenti O.Capitani,G.Prodi, diundiscorso F.FornarGi, .La bellico• Le lettere GrassaB, . • P. Bertetto: Il • Marzullo, M. cinemadidopo VegeHi • A.Jaubert: •Poesiedi: G.Niccolaei F.Portinari • Foto di: G.Colomboe R.Ponsold• Chsiipasce diciboceleste •E.Ghezzi: Mal'amore sì • Giornaldeei GiornalLi:'affare Eni-Arabia Saudita• Robert Motherwe/1 (Foto di Renate Ponsold)

Leimmagini diquestonumero Ponsold/Colombo: Ritratto di artista Abbiamo unito una serie di immagini firmate da Renata Ponsold (909 North St. Greenwich, Conn. 06830) relative apittori e scultori operanti negli Stati Uniti - e ad Arnaldo Pomodoro insieme ad essi -ed una serie di Giorgio Colombo (Milano) relativa ad altri operanti in Italia e in Europa. Non c'è intento di scelta né complessiva né rappresentativa. Ci pare che l'insieme degli autori di operazioni artistiche qui presentati, attraverso d11e modi interpretativi affini e calibrati, configuri con t11ttele singole forme (dallaposa della casualità al montaggio ambientale macchinoso e alla vitalità e alla sfida facciale fisiognomica) 11n possibile ritratto unico-vario della partepiù espressiva del corpo artistico contemporaneo. Questa è un'altra delle poche soluzioni da noi proposte fin qui al problema di pubblicare articoli di cultura e interve1110s11llearti visive senza riprodurre opere né recensire mostre, pur• ottenendo l'approvazione e soddisfazione degli artisti stessi, per qua1110possibile. l'articolodi RossanRaossanda sulManifestodel 22Dicembre Alfabeto va in macchina oggi, 22 dicembre, senza che vi sia tempo di elaborare una riflessione sugli avvenimenti del 21 dicembre. È parso opportuno, per non ignorare ravvenimento e tutte le sue implicazioni, riportare l'articolo di Rossanda Rossandi pubblicato questa mattina sul Manifesto. È un testo esemplare atto a impostare un dibattito da proseguire sui prossimi numeri, e a manifestare una comune inquietudine sul futuro della democrazia italiana. Chi ha messo fuori legge l'Autonomia operaia? La Camera? Il Senato? In qualche seduta che ci è sfuggita, essendo il nostro un giornale povero e distratto? E Potere operaio, giusto, quale legge lo ha dichiarato fuori Legge? Q11ando? Una legge deve pur esserci stata, se in Italia, alla vigilia di Natale del 1979, chi è più o meno vicino, o lo è stato, o ha frequentato, o ha affittato i locali a qlleste due temibili sigle o ha partecipato ali'organizzazione di una manifestazione il 12 dicembre di otto anni fa, viene acchiappato dai carabinieri di bel mattino, perqllisita la sua abitazione, schiaffato dentro, perquisiti da cima a fondo i s11oillloghi di lavoro, uffici o llniversità che siano. Se la legge non ci fosse, vorrebbe dire che siamo tornati ai tempi dei tedeschi, siamo in stato di occupazione e di guerra. Che fossimo in stato di guerra lo avevano detto fino a ieri soltanto le Brigate rosse. Ora la pensa così anche, evidentemente, il governo, che opera per braccio del ge11eraleDalla Chiesa. Due an11fia Moro è stato ucciso a revolverate perché lo stato italiano 11011volle neppur cercare liii contatto con chi lo deleneva come oslaggio, per impedire che i detentori dell'ostaggio avessero, da ciò, u11sia pllr vago riconoscimento di esistenza politica. Adesso, si riconosce esistenza politica -e di quali dime11sio11ie temibilità da spostare addirittura l'esercito -a lln fantasma, il vago recinto i11 cui in questi anni sono passati gli spezzo11idi Potop e si è formata un'area, fra tutte la meno perimetrabile e definibile, che è quella di Auco11omia.Il giudice Calogero sostiene che fa una i11chiesta,quelli del 7 aprile sono in attesa di giudizio, ma il governo e il generale Dalla Chiesagià hanno giudicato. E come hanno ficcato i11 un solo carcere speciale Curcio, Valentino e Negri o Scalzo11ein modo che tutti appaiano brigatisti nell'opinione comune, così procedendo con chi ha avuto a che fare con queste due organizzazioni come con criminali, che prima si mettono fuori della possibilità di nuocere, prima si privano della libertà, poi si va a vedere che cosa abbiano detto, se pure hanno fatto. Il tempo per vedere c'è: quasi infinito, dopo le ultime misure del governo. Intanto dentro. Questo non è tollerabile. Non solo e non tanto per gli arrestati, che già sarebbe cosa grave, ma intollerabile per quel che resta della democrazia italiana. Come, non facendosi, né una vera istruttoria rapida e effettiva, né il processo del 7 aprile, si è aperta una paurosa crisi di credibilità della magistratura, così oggi le perquisizioni più o meno casuali, di case e uffici in tutto il nord, e gli arresti a rastrellate, agitano davanti a mezza /utlia l'immagine di uno stato vessatorio, arbitrario, oppressivo, che se ne infischia di qualsiasi sistema non dico accusatorio ma perfino inquisitorio: lo stato come ce lo dipingono le Br. Non lo sa, questo, il generale Dalla Chiesa? Non lo sanno Cossiga e Rognoni? Non lo sa Ugo Pecchioli? Su questa strada non si isola né si liquida il terrorismo. Si semina a piene mani la sfiducia verso il sistema politico. E da q11inasce non il conflitto politico, ma la persuasione che conflitto politico non sia più possibile. Su questo alligna il riflusso, il rifiuto, l'oscurità, il silenzio e domani forse il gesto disperato, la lotta armata, di chi non ci ha pensato anco: ra. Non si può lasciare che questa irresponsabile gestione delle cose italiane cònlinui. Che si provochi per esasperare un clima già guasto. Che non sapendo chi colpire, o sapendo di poter colpire solo pochi, intanto in guisa di deterrente si colpiscano umi. Che le forze politiche tacciano o acconsentano. Nessuno si salverà da questa trappola mortale, tesa dalle forze involucive dello stato e del/' antistato. Chi può fermi questa spirale subito, finché siamo -se ancora siamo - in tempo. Sommario Giuliano Buselli La forma Dc (Il teorema democristiano, di Franco Cassano; L'elefante e la balena, di Gianni Baget-Bozzo; La crisi italiana, a cura di L. Graziano e S. Tarrow) pagina 4 Luigi Ferrajoli Sanzione pagina 5 Ugo Rescigno Divisione dei poteri pagina 6 a cura di Jndex-Archivio critico del/' Informa:ione pagina 22 Le poesie Giulia iccolai La storia geografica pagina 16 Folco Portinari S'ispira si spira pagina 22 Le finestre Umberto Eco Cauto omaggio al modus po11ens pagina 3 Francesco Leonetti Fine di un periodo e "mossa del papa" (racconto e nota) pagina 9 Pier Aldo Rovatti Il pretesto e il testo pagina 11 Mario Spinella Crisi della ragione o crisi del sapere? pagina 15 Paolo Volponi La ragione immobile pagina 19 Cesare Donati Categorie vecchie e nuove pagina 5 Le foto G. Colombo e R. Ponsold Augusto Ponzio Le Lettere La "parola altra" di M. Bachtin Sarò 1111 grafomane, ma ... (Dostoevskij - L'oeuvre de François Del metodo sollevato da Maria Corti Rabelais et la cul111repopulaire au pagina 21 Moyen Age et sous la Renaissance - t-----------------t Estetica e Romanzo, di Michail Bach- A • tin; Problemi di teoria del romanzo, a nnunc, cura di Vittorio Strada) • • pagina 6 econom1c1 Antonio Prete R/B (R. Barthes par R. Barthes - Frammenti di un discorso amoroso - Leçon - Sollers scrittore, di Roland Barthes) pagina 8 Lamberto Cantoni La rivoluzione testuale (Semeiotiké. Ricerche per una semanalisi - La rivoluzione del linguaggio poetico - Polylogue, di Julia Kristeva; Lingua discorso società, di autori vari; Folle verité, a cura di Julia Kristeva) pagina 10 Cattedre: «Quest'anno faccio...» Rispondono: F. Alberoni, O. Capitani, F. Fornari, G. La Grassa, B. MarI testi degli annunà ecoaomià nnno inviati a Alfabeta, Piazzale Martini 3, 20137, Milano. Tariffa: L. 500 per parola più l.V.A.14% • Pubblicista studi giuridici letterari, italiano perfetto, esperienza pluriennale presso quotidiani periodici radio locali, cerca stabile collaborazione giornalistica o lavoro culturale. Fabrizio Chiesura, telefonare (02) 722.781, via Battistotti Sassi,27 20133 Milano. pagina 12 zullo, G. Prodi, M. Vegetti ~a-1-,-a--b--et--a----~ Patrizia Magli Frammenti di un discorso bellico (La passio11de la règle, di Jea11Baudrillard; La seduction, a cura di Jean Baudrillard; Le passioni del/' anima, di Cartesio; La guerra: un gioco di società, di Paolo Fabbri; Don Giovanni. La musica di Mozart e l'eros, di Soeren Kierkegaard) pagina 15 Enrico Ghezzi Ma l'amore sl (Il Prato (film), dei fratelli Tavia11i; Innamoramento e amore, di Francesco Alberoni; Frammenti di un discorso amoroso, di Roland Barthes; Notizie di cronaca 11erasui quotidia11idegli ultimi mesi) pagina 17 Alain Jaubert Chi si pasce di cibo celeste pagina 18 Paolo Bertetto li cinema di dopo (News from home - Les re11dez-vous d'Anna, di Chantal Akerman; Die li11kshiindige Frau (film), di Peter Ha11dke;La marchesa von O. - Perceval le Galois, di E. Rohmer; Alice nella città - La letterascarlatta - Nel corso del tempo - Die Angst des Tormans beim El/meter - Falsche Beweg1111gd, i W. Wenders) pagina 19 Giornale dei Giornali L'affare Eni-Arabia Saudita mensile di informalione culturale Comi1ato di redalione Nanni Balestrini, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Coordina/ore Nanni Balestrini Ari director Gianni Sassi Grafico Bruno Trombetti Direuore edi1oriale Gino Di Maggio Redalione, amminis1ralio11e Multhipla edizioni, 20137 Milano, Piazzale Martini, 3 Telefono (02) 592.684 Composilione GDB fotocomposizione via Commenda 41, Milano. Tel. 544.125 Tipografia S.A.G.E. S.p.A., Via S. Acquisto 20037 Paderno Dugnano (Milano) Di~lribu,.ione Messaggerie Periodici Abbonamen10 annuo L. 9.000. estero L. 12.000 (posta ordinaria) L. 15.000 (posta aerea) Inviare rimporto a: Multhipla edizioni, Piazzale Martini 3, 20137 Milano, Conto corrente postale n. 59987206 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 28 I del 1975. Responsabile G. Di Maggio NOVITJ\' Noé!lBurch PRASSI NEL CINEMA Un uomo del mestiere offre risposte rigorose e pertinenti ad interrogatifli e problemi cbe circondano lo , spettatore e condizionano la sua possibilità di orientarsi nell"universo cinematografico • lvsnov Loanan Pjatigorskij Toporov Uspcnskij TESI SULLO STUDIO SEMIOTICO DELLA ·CULTURA La prima esplicita formulnione del patrimonio teorico e mLtodologico della Scuola di Mosca-Tartu • J can Roussct IL MITO DI DON GIOVANNI Uno studio delle costanti del mito dongiovannesco e delle sue metamorfosi attraverso i secoli e le forme letterarie e teatrali Distribuzione POE in tutta Italia Sigmund Freud· Opere Volume 11 Scritti 1930-1938 Con quest'ultimo volume, il lettore italiano ha ora a disposizione tutto Freud in una edizione impeccabile: uno strumento completo e rigoroso per conoscere una delle grandi rivoluzioni culturali del secolo. Cari G. Jung Opere Volume 11 Psicologia e religione Forme, caratteri, simboli e riti delle religioni d'Occidente e d'Oriente Un tema centrale della riflessione junghiana, condotta con profondo senso storico e affascinante ampiezza di riferimenti. Anna Freud Opere Volume 3 Scritti 1965-1975 Si conclude con questo terzo volume la pubblicazione degli scritti più importanti della co-fondatrice della psicoanalisi infantile. Un'esperienzcainquantennale, preziosa per quanti vivono i problemi dell'infanzia e dell'adolescenza. Boringhieri Vendita rateale OiUAs: 8°'ogna, Mìlano, Roma. Torino

Gli scritti di questo testo a più voci e in varie puntate si riferisce al libro collettivo Crisi della ragione (Torino, 1979 pp. 36_6lire 12.000) di cui diamo qui l'indice. Introduzione di Aldo Gargani; Spie. Radici di un paradigma indiziario di Carlo Ginzburg; Linguistica, scienza e razionalità di Giulio C. Lepschy; Retorica dell'illuminismo e negazione freudiana di Francesco Orlando; Il discredito della ragione di Franco Rella; Interpretare e trasformare di Vittorio Strada; Comprendere, modificàrsi. Modelli e prospettive di razionalità trasformatrice di Remo Bodei; Ragione e mutamento di Nicola Badaloni; Modi della ragione di Salvatore Veca; La ragione, l'abbondanza e la credenza di Carlo Augusto Viano Umberto Eco: Cauto omaggio al modus pooeos U no dei fini che si era proposto Alfabeta al suo nascereeraquello di «cercaredi ricollegaremembra sparse di discorsi che non si erano ascoltati o si ascoltavano troppo in chiave». Non sono sicuro che questa promessa sia stata sempre mantenuta, ma è chiaro che su un tema come la cosiddetta «crisi della ragione» bisognerebbe cercare di tenere fede al proposito. Magari in modo molto umile (o ambiziosissimo) e cioè cercando di fare piazza pulita, se possibile, di alcuni crampi linguistici In altri termini, di fronte a espressioni come «crisi della ragione» e consimili, la prima cosa da fare è chiedersi cosa mai significhino, insinuando il sospetto che siano espressioni o vuote di senso o piene di troppi sensi. Si sta sin troppo discutendo se delle espressioni verbali, pubblicate su di un libro o su di una rivista, possano essere intese come incitazione a delinquere. Andrei molto cauto nell'affermare che una efficace rappresentazione dell'incendio del Duomo di Milano possa spingere qualcuno a incendiare il Duomo: molte epacate ricerchesull'influenza dei film di violenza sui giovani hanno mostrato che, se qualcosa dipende dalla natura delle immagini, il più dipende dalla situazione psicologica, sociale e persino neurologica di chi guarda il film. Tuttavia sono assaipiù convinto che queste cattive influenze giochino invece a livello di pratica intellettuale. La pubblicazione di concetti oscuri (epresi da crampo) incoraggia un pensare focomelico. Non più di un mese fa mi è accaduto di leggeresu di un settimanale l'intervista con un celebre romanziere (non cito il nome solo perché da un lato la frase gli era attribuita, da/l'altro io ricostruisco a memoria, e quindi non voglio addebitare a qualcuno quello chepotrebbe non aver detto; ma se non l'ha detto lui, lo dicono altri) il quale affermava che la ragione ormai non riesce più a spiegare il mondo in cui viviamo e dobbiamo ricorrere ad altri strumenti. Sfortunatamente l'intervistato non specificava quali fossero gli altri strumenti, lasciando libero il lettore di pensare a: il sentimento, il delirio, la poesia, il silenzio mistico, un apriscatole per sardine, il salto in alto, il sesso, le endovenose di inchiostro simpatico. Più sfortunatamente ancora, ciascuno di questi strumenti potrebbe essere, sì, opposto alla ragione, ma ciascuna opposizione implicherebbe una diversa definizione di ragione. Per esempio, il libro che ha dato origine a questo avvio di dibattito sembra parlare di crisi di un modello detto «classico» di ragione, come con grande chiarezza spiega Aldo Gargani nell'introduzione. Ma le alternative che GarCrisdi ellaragione?(1) gani propone vanno, in altri ambiti filosofici, sotto il nome di ragione o attività razionale o almeno ragionevole, come egli riconosce. Quanto ad altri saggi del libro (per citarne solo alcuni) quello di Ginzburg oppone alla ragione deduttiva un ragionamento ipotetico e per indizi che è stato giudicato valido da Ippocrate, da A ristotelee da Peirce; quello di Veca offre una serie molto persuasiva di regole per congetturare con ragionevolezza; quello di Viano propone una prudente definizione di razionalità come esercizio di una «voce» che elabora le giustificazioni invocate per accreditarecredenze particolari, facendo in modo che esse siano comprese da tutti. Ecco qui delle buone definizioni di atteggiamento razionale non classico, che ci permettono di muoverci nel reale senza delegare i compiti della ragione al delirio o all'atletica leggera. li problema non è ammazzare la ragione, ma mettere le cattive ragioni in condizioni di non nuocere; e dissociare la nozione di ragione da quella di verità. Ma questo onorevole lavoro non si chiama inno alla crisi. Si chiama, da Kant in poi, «critica». Individuazione di limiti. L'impressione, di fronte a un crampo linguistico come quello della crisi della ragione, è che non si debba tanto definire, a/l'inizio, la ragione, quanto il concetto di crisi. E l'uso indiscriminato del concetto di crisiè un caso di crampo editoriale. La crisi vende bene. Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla vendita (in edicola, in libreria, per abbonamento, e door-to-door) della crisi della rèligione, del marxismo, della rappresentazione, del segno, della filosofia, dell'etica, del freudismo, della presenza e del soggetto (trascuro altre crisi di cui non mi intendo professionalment~ anche se le soffro, come quelle della lira, degli alloggi, della famiglia, delle istituzioni e del petrolio). Da cui la nota battuta: «Dio è morto, il marxismo è in crisi e anch'io non mi sento troppo bene». Prendiamo una piacevolezza come la crisi della rappresentazione; anche ammettendo che chi ne parla abbia una definizione di rappresentazione (il che spesso non è), se capisco bene cosa coloro vogliano dire -e cioè che non riusciamo a costruirci e a scambiarci immagini del mondo che abbiano la sicurezza di adeguare la forma stessa, ammesso che ci sia, di questo mondo - mi risulta che la definizione di questa crisi è iniziata con Parmenide, è continuata con Gorgia, ha dato non pochi grattacapi a Cartesio,ha messo tutti nell'imbarazzo con Berkeley e Hume, e cosl via, sino alla fenomenologia. Se Lacan è interessante è perché riprende (ri-prende) Parmenide. Pare che chi scopre oggi la crisi della rappresentazione abbia idee adorabilmente imprecise sulla continuità di questo discorso (mi fa pensare ali'altra storiella, dello studente interrogato sulla morte di Cesare: «Perché? E morto? Non sapevo neppure che fosse ammalato!»). Ma anche se si ammette l'anzianità della crisi, ancora non capisco in che senso la si fa giocare. lo attraverso la strada col rosso, il vigilemi fa segno col fischietto, e poi multa me (non un altro). Come può avvenire tutto ciò se sono in crisi l'idea di soggetto, quella di segno e quella di reciproca rappresentazione? Mi viene il dubbio che non sia questo il punto. Ma allora cos'è che era in crisi? Vogliamo chiarirlo? O è in crisi la nozione di crisi? O mi state sottoponendo a una serie di atti te"oristici? Protesto. Torniamo alla ragione, voglio dire alla definizione della. A muovl!rci nella selva delle diverse e millenarie definizioni filosofiche, tento (con la rozzezza di chi deve scrivere poche cartelle) di delineare cinque accezioni di base. 1. La ragione sarebbe quel tipo di conoscenza naturale, tipica dell'uomo, dd opporre da un lato alle mere reazioni istintive, e da~'altro alla conoscenza non discorsiva (come le illuminazioni mistiche, la fede, le esperienze soggettive non comunicabili attraverso il linguaggio, eccetera). In questo caso si parla di ragione per dire che l'uomo è capace di produrre astrazioni e di discorrereper astrazioni. Questa nozione non mi pare in crisi: che l 'uomo sia fatto così è fuori di dubbio, al massimo si deve decidere quanto questo procedere per astrazioni sia buono rispetto ad altri modi di pensare, perché indubbiamente pensa anche chi ha visioni mistiche. Ma parlare di crisi della ragione significa per l'appunto formulare una astrazione, usando delle nostre capacità razionali, per mettere in dubbio la bontà di un certo 1ipodi esercizio di quesle nostre capacilà. 2. La ragione è una particolare facoltà di conoscere l'Assolu10 per visione diretta, è l'autocoscienza dell'Io idealistico, è l'intuizione di principi primi a cui obbediscono sia il cosmo che la mente umana, e persino quella divina. Che questo concetto sia in crisi è cosa pacifica. Ci ha dato sin 1roppi fastidi. Prendiamo a calci chi viene a dirci che ha la visione diretta de~'Assoluto e viene ad imporcela, ma non parliamo di crisi della ragione. È la crisi di cos~ui. 3. La ragione è un sistema di principi universali che precedono la slessa capacità astrattiva dell'uomo. L'uomo al massimo deve riconoscerli, magari a fatica e riflettendovi su a lungo. Platonismo, comunque si presenti. llluslre aueggiamento: messo abbondantemente in crisi, se non altro a cominciare da Kant (ma anche prima). È la famigerata ragione classica. La sua crisi è eviDaniel Spoe"i (Foro di Giorgio Colombo) dente ma non pacifica. La si ritrova persino nella matematica o nella logica contemporanea. Cosa significa.direche è verità necessaria che la somma degli angoli interni di un triangolo dia sempre e comunque cen1011an1garadi? Si tratta al massimo di discu1eresulla dif ferenza ira veri1àuniversale evidente e pos1ula10. Se pos1ulo una geometria euclidea, che la somma degli angoli interni dia cenlottanta gradi è verità necessaria. Di so/ilo si aspira ad aver la libertà di cambiare, in situazioni particolari, i postulati. A chi me lo concede, concedo di usare la nozione di verità necessaria. È chiaro che su decisioni del genere si combaue la battagliaper la definizione numero cinque, di cui diremo. 4. Ragione come facoltà di ben giudicare e ben discernere (bene e male, vero e falso). È il buon senso di Cartesio. Se si insiste sulla naturalità di questa facoltà, si torna a qualcosa molto simile alla definizione numero tre. Questa nozione oggi è certo in crisi,ma • in modo ambiguo. Direi che è in crisi per eccesso:questa innocente naturalità è stata spostata dalla ragione ad altre «facoltà», come il Desiderio, il Bisogno, l'Istinto. Anzichè insistere sulla crisi di questa nozione (certo abbastanza pericolosa e «ideologica») troverei più utile mettere in crisi le sicurezze dei suoi sostituti. In questo senso mi pare ben più inquietante il nuovo cartesianesimo dell'irrazionale, per così dire. Andiamo a individuare e a criticare non il razionalismo dello spirito ma il neorazionalismo del cazzo (in senso tecnico: «vengo, dunque sotÌO»). Dire che queste quattro accezioni di ragione sono in crisi è come dire che dopo Galileo e Copernico la terra gira intorno al sole. Può darsi che occorra aggiungere che forse anche il sole gira intorno a qualcosa d'altro, e cioè che il sole è fermo solo in rapporto alla terra, ma sulla prima affermazione non ci piove più ed è certamente in cris.i (ma perché ripeterlo) l'idea che il sole giri intorno alla terra. Col che si arriva alla quinta definizione. La quale è anch'essa in crisi, ma in modo diverso dalle altre. Essa più che in crisi è critica perché in un certo senso è l'unica definizione chepermetta di riconoscere un modo «razionale» o «ragionevole» di mettere continuamente in crisi e la ragione e il razionalismo classico e le nozioni antropologiche di ragionevolezza e, in definitiva, le sue stesse conclusioni. La quinta definizione è molto moderna ma è anche molto antica. A rileggere bene Aristotele si può trarlaanche dai suoi scritti, con qualche cautela. A rileggere Kant (e rileggere vuole sempre dire leggere in riferimento ai nostri problemi, esplicitamente sottoponendo a critichee cautele il quadro originario) Kant va ancora abbastanza bene. A proposito, mi annunciano dalla Francia, dopo la morte di Marx, di Hegel e alcune malattie incurabili di Freud, la rinascita kantiana; segnalo l'occasione editoriale a~'amico Vito Laterza; prepariamoci ragazzi, meno male che noi il vecchio lo studiavamo al liceo e ce lo siamo digerito tutto all'università, mentre i francesi leggevano Vietar Cousin; e diciamolo, al passeggiatore di Koenisberg siamo sempre rimasti affezionati in segreto, anche quando a nominarlo si era accusati di stare col Vietnam del sud, cazzo (in senso non tecnico), che decennio difficile abbiamo vissuto! Dicevo, allora. In questo quinto senso si esercita la razionalità per il fatto stesso che si devono esprimereproposi-· zioni intorno al mondo, eprima ancora di essere sicuri che queste proposizioni siano «vere», bisogna assicurarsi che gli altri le capiscano. Quindi bisogna elaborare delle regole per parlare in comune; regole di discorso mentale che siano anche le regole del discorso espresso. li che non significa affermare che quando parliamo dobbiamo dire sempre e soltanto una cosa, senza ambiguitàe polisensi. Anzi, è piuttosto razionale e ragionevole riconoscere che esistono anche discorsi (nel sogno, nellapoesia, ne/l'espressione dei desideri e delle passioni) che vogliono dire più cose a un tempo e contraddittorie tra loro. Ma proprio perché è fortunatamente evidente che parliamo anche in modo aperto epolisenso, occorre ogni tanto, e per certi propositi, elaborare norme di discorso condividibili, in ambiti specifici in cui si decide tutti di adottare gli stessi criteri per usare le parole e per legarle tra loro in proposizioni su cui si possa discutere. Posso ragionevolmente asserireche gli esseri umani amano il cibo? Sì, anche se ci sono dei dispeptici, degli asceti e dei disappetenti nevrotici. Basta che concordi per stabilire che, in quell'ambito di problemi, vale come ragionevole una prova statistica. La prova statistica vale per stabilire quale sia il «giusto» significato dell'Iliade, o se Laura Amone/li siapiù desiderabile di Eleonora Giorgi? No, si cambia regola. E chi non acconsente con questo criterio? Non dirò che è irragionevole, ma consentitemi di guardar/o con sospetto. Possibilmente, lo evito. Non chiedetemi cosa devo fare se quello si intrufola: sarà ragionevole decidere in qualche modo quando capiterà il caso. A questo tipo di ragionevolezza appartengono sia le leggi logiche che quelle retoriche (nel senso di una tecnica dell'argomemazione). Si tratta di stabilire dei campi in cui le une sono preferibili alle altre. Un amico logico mi diceva «rinunzio a tutte le certezze, meno che al modus ponens». Cosa c'è di razionale in questo aueggiamento? Chiarisco in poche parole, per i non addetti ai lavori: il modus ponens è la regola di ragionamento ( e quindi la regola per un discorso comprensibile e concordalo) per cui se asserisco che se p allora q, e poi riconosco che p, allora non può seguirne che q. Vale a dire che se stabilisco di definire europei tutti i cittadini francesi (e siamo d'accordo su questo postulato di significato), allora se Jean Dupont è cittadino francese tutti devono riconoscere che è europeo. Il modus ponens non vale in poesia, nel sogno, in genere nel linguaggio dell'inconscio. Basta stabilire dove deve valere, cioè iniziare un discorso stabilendo se accettiamo il modus ponens o no. E naturalmente metterci d'accordo sulla premessa, perché può darsi che qualcuno voglia definire come cittadino francese solo colui che nasce in Franciada genitori francesi con lapelle bianca. Talora sulla definizione delle premesse, sui postulati di significato che vogliamo accettare,si pòssono stabilire delle lotte a/l'infinito. Sarà ragionevole non inferire secondo il modus ponens sino a che non si è tutti d'accordo sulla premessa. Ma dopo mi pare razionale ubbidire al modus ponens, se lo si è assunto come valido. E sarà razionale non riferirsi al modus ponens in quei casi in cui si sospetta che non possa dare nessun risultato di comprensibilità reciproca (non si può analizzare secondo il modus ponens laproposizione catulliana «odi et amo», ameno di ridefinire le nozioni di odio e amore - ma per ridefinirle in modo ragionevole bisognerebbe ragionare secondo il modus ponens...). In ogni caso se qualcuno usa il modus ponens per dimostrarmi che il modus ponens è una legge razionale eterna (classica, da intuire e accettare), giudicherò ragionevole definire irrazionale la sua pretesa. Però mi pare ragionevole ragionare secondo il modus ponens in molti casi, per esempio per giocare a carte: se ho stabilito che un poker d'assi vince su un poker di dieci, allora se tu hai il poker d'assi e io ilpoker di dieci, devo ammettere che tu hai vinto. Il punto è che si deve stabilire la possibilità di cambiare gioco, previo accordo. Quello che continuo a ritenere irragionevole è che qualcuno mi sostenga, poniamo, che il Desiderio la vince sempre e comunque sul modus ponens (il che sarebbe anche possibile) ma per impormi la sua nozione di Desiderio e per confutare la mia c.onfutazione, cerca di cogliermi in contraddizione usando il modus ponens. Mi viene il Desiderio di rompergli la testa. Attribuisco la diffusione di tali comportamenti non ragionevoli alla molta pubblicistica chegioca con disinvoltura metaforica sulla crisi della ragione (e non parlo ovviamente del libro Crisi della ragione, dove si argomenta in modo ragionevole). Però sia chiaro che il problema ci investenon solo a live/lo di discussione scientifica, ma anche per quanto riguarda i comportamenti quotidiani e la vita politica. Per cui: compagni, lunga vita al Modus Ponens! Secondo i casi.

F. Cassano Il teorema democristiano Bari, De Donato, 1979 pp. 120 lire 2800 G. Baget-Bozzo L'elefante e la balena Bologna, Cappelli, 1979 pp. 336 lire 5500 L. Graziano e S. Tarrow (a cura di) La crisi italiana Torino, Einaudi, 1978 pp. 767 )ire 12.000 (due volumi) ' E opinione diffusa negli studiosi del partito democristiano che la Dc abbia costruito nel dopoguerra un proprio sistema di potere, abbia cioè improntato disé sistema sociale e meccanismi statuali. Inoltre è altrettanto diffuso ormai il riconoscimento di una certa modernità della presenza della Dc e c'è chi accenna ad un americanismo democristiano. Ma in che cosa consiste il carattere del partito americano «classico»? È peculiare dei grandi partiti americani non avere caratteristiche proprie. Scriveva Sombart all'inizio del secolo: «nei due grandi partiti americani non si trova alcuna traccia di una qualsiasi fondamentale differenza tra i punti di vista relativi alle questioni più importanti della politica ... le 'platforms' non dicono altro che frasi generiche sui problemi più scottanti ... si cerca soltanto di girare attorno alla questione a parole e, se riesce, si tenta di evitarla salvando fa faccia». In altri termini l'indeterminatezza e il silenzio, il «vuoto» programmatico, permettono di «aprire» a tutte le domande e gli interessi particolari suggerendo ai sqggetti sociali di dirigere la propria attenzione verso il successo immediato. La natura intrinseca del partito politico americano è infatti questa: non pretendere di uniformare i soggetti a un interesse comune, ma incorporare tutti i distinti e multiformi interessi nell'assenza di principii politici comuni. li politico non pretende di parlare per il sociale, il sociale non intende generare il «suo» politico. Gli interessi individuali necessitano che vi sia un'operatività tecnica per comporsi e soddisfarsi e dunque il sistema politico è preteso dalla società come sistema contingente [cfr. N. Luhmann, «La 'politicizzazione' dell'amministrazione» in: Le trasformazioni dello stato (a cura di G. Gozzi), in corso di stampa presso la Nuova Italia]. È un'immagine della politica che non allude a una forte progettualità. Il partito politico si professionalizza e costituisce a «macchina» quando si relativizza e rinuncia a costruire un suo sistema di potere, diviene potere reale quanto più si riduce a tecnica di potere spogliandosi di ogni attributo «privato» e tendendo all'identificazione con l'essenza astratta del potere. Il partito aperto (al sociale) è un partito vuoto (di sé). Sembra ragionevole riconoscere che la Democrazia Cristiana fra i grandi partiti italiani ha le più spiccate caratteristiche americane, che altro poi non sono che le caratteristiche del moderno operare politico. Le «formule equivalenti stirabili come la gomma» (di cui parla Cassano) non sono dunque peculiarità demo.cristiana o segno di arretratezza, né nel mondo contemporaneo il «governo per assenza» o per «opportunità» pare invenzione italiana. Sarebbe forse opportuno studiare il partito democristiano abbandonando ogni ri•gidoancoraggio alla storia italiana e alla tradizione cattolica. Ricondurre sempre origini e sviluppi della Dc alla «questione italiana» può rappresentare un ostacolo e conduce spesso a interpretare il fenomeno democristiano attraverso i «pregiudizi» della cultura italiana. Già il «pregiudizio economicista», osserva Baget-Bozzo nel suo stimolante saggio su Il partito cristiano e l'apertura a sinistra (Firenze, Vallecchi, 1977), ha prodotto l'ossessione di connettere dati economici e decisioni politiche riconducendo l'operare politico sempre alla «struttura». Baget-Bozzo, per parte sua, riconduce natura e caratteristiche della Dc esclusivamente al rapporto di questa con la Chiesa («la forma dei rapporti con la Chiesa diviene la forma politica generale del partito»). L'«ambiguità» democristiana, l'irrilevanza per la Dc di tutte le questioni che non siano politiche, viene cosi, per altra via, riportata da Baget-Bozzo _al Laforllla'Dc «territorio» italiano. Più frequentemente si analizza la Dc con l'ottica e le problematiche della tradizione socialista. Si parla cosl in molti studi sulla Dc di un partito di massa cattolico, del «consenso» alla politica e ideologia democristiana, di una cultura democristiana ecc. Ma il partito americano è mai stato «rappresentanza» di movimenti collettivi? Si è mai posto - nei termini forti in cui se lo è posto la tradizione socialista- il problema del .«consenso» (cioè l'accettazione consapevole da parte della coscienza individuale)? Ha mai avuto una sua cultura? No. Il partito americano non è «rappresentanza» di movimenti di massa perché realizza gli interessi sociali nell'unica forma che il sociale consente, cioè come interessi individuali; non pone problemi di consenso (interiorizzazione delle norme) in quanto - come «macchina» - non si rivolge alle coscienze bensì punta all'agire impersonale, non considera gli uomini ma le loro funzioni e ruoli e per questa via riesce a com•prendere anche chi «dissente» e a rendere possibili comportamenti collettivi che non presuppongono il consenso. Non ha neanche - questo partito - una propria cultura perché il pensiero è interamente operazionalizzato e si dà come tecnica A leggere molti degli attuali studi sulla «questione democristiana» sembra che la Dc abbia operato in questi ultimi trent'anni in una specie di «comunità» precapitalistica tanta è l'enfasi che si pone sulprogeuo democristiano di disarticolare, segmentare, frantumare un tessuto sociale (e una classe operaia) che, si dovrebbe presumere, sarebbero stati omogenei, indistinti, «naturali». E invece caratteristica dell'agire democristiano sembra proprio l'assenza di progetto e di unità programmatica. • Il «carattere attivo della mediazione democristiana» che Cassano individua, non porta a una visione d'ins-ieme e a una sintesi degli interessi. Lascia aperto ciò che trova. Invero, è il concetto stesso di mediazione che va rimesso in discussione. La mediazione implica sì un «progetto», un «fjne» verso cui tendere e a cui adeguare le parti, il potere no. Nella pubblicistica di sinistra l'assenza di sintesi e di programma della Dc, la sua «gestione del quotidiano», è stata spesso interpretata e ridotta a pratica della «feudalizzazione». L'assenza di progetto e di sintesi dice invece semplicemente che l'intervento democristiano è meramente operativo, più medium tecnico che Giuliano Buselli politico, ovvero il potere politico è con la Dc tecnica di formalizzazione-composizione degli interessi in auto-trasformazione. li ceto politico democristiano si dà tendenzialmente come ceto di operatori di potere. Ciò che Baget-Bozzo legge come «adesione al dato» è adesione all'immediatezza del potere, totale riduzione della politica a tecnica di potere. L'ascesa del ceto politico democristiano - alla luce del concetto di «macchina» e dei processi di burocratizzazione - appare allora come l'ascesa anche in Italia delle funzioni tecniche di potere attraverso la specializzazione del partito. Ciò che in Italia caratterizza l'operare della Dc non è altro che l'operare del politico ridotto a tecnica. Qui si coglie un limite teorico di quanti interpretano in termini «locali> la Dc. «È la cronaca politica immediata la sola che dà materia al dibattito politico: non ci sono temi né criteri finalistici, ma solo politiche immediate», scrive Baget-Bozzo. Eppure questa è la natura intrinseca del partitomacchina: essere «il partito che non può pensarsi» in quanto la tecnica non può pensarsi: Baget-Bozzo rimpiange una politica che agisce «per criteri finalistici», che elabora «disegni politici». C'è la nostalgia per la «creatività politica» di fronte al dilagare della riduzione del politico a tecnica. La «passività democristiana» verso i rapporti di forza esistenti nella società viene cosi interpretata come «mero sopportare>, come se la «non definizione» e l'ambiguità intrinseca della Dc non fossero inerenti l'esercizio del potere. Che cosa significa questo «sopportare» della Dc? I n una recente nota su Repubblica Baget-Bozzo osserva acutamente che il «governo per assenza> della Dc è complementare al desiderio di «non governo> da parte della società. L'indecisione democristiana recepisce insomma una tensione sociale che non tollera le imposizioni di un forte sistema di decisioni. È quanto basta per proporsi di ridiscutere in termini nuovi _ciò che comunemente si dà per scontato, cioè l'opzione da parte della Dc fin dalla nascita per lo stato di stampo liberal-democratico. L'operare democristiano punta a raccogliere il sociale tramite l'amministrazione; invece che analogie con lo stato liberal-democratico, sembra di poter cogliere i caratteri di uno stato sociale in cui l'operatività tecnicaamministrativa procede secondo i rapporti di forza e lo «stato di necessità». La Dc, indifferente alle forme del potere, esiste come potere contingente che assume concretezza giorno per giorno e anziché dar forma alla società, tende quasi a prender forma dalla società. È per questa via che il «partito cristiano> giunge a governare la «società radicale>. Il desiderio di reciproco disconoscimento, lo scarto tra società e stato, la loro «reciproca libertà>, è il motore del processo. Perché non si riesce a staccare la Dc dal potere politico? Forse perché in Italia la tecnica del potere politico è incorporata nella Dc. Qui sta forse la caratteristica peculiare del fenomeno italiano: la coincidenza del partitomacchina con lo stato, di «forma-partito» e «forma-stato>! L'assenza di gioco tra la figura del partito (la politica) e la figura dello stato (l'amministrazione, la tecnica dei rapporti di potere), quindi la reciproca incorporazione tra partito democristiano e amministrazione, hanno esaltato l'omologia tra amministrazione e politica, e reso visibile l'essenza della cooperazione tra le tecniche amministrative e il potere politico. Cosi. la spersonalizzazione del partito si è presentata in Italia come personalizzazione dell'amministrazione. Come forma-stato e forma-Dc tendono a coincidere, il potere politico democristiano tende a coincidere con l'essenza astratta del potere, ad essere «potere puro>; la Dc, per usare una bella espressione di Baget-Bozzo (riferita a Moro), «ha il senso del potere come astrazione ... più che usare il potere lo impersona>. Come condurre la lotta a una forma di potere che è puro potere? In quanto puro potere la Dc non pare sostituibile da un potere «altro>, ma solo dalla dissoluzione del potere, solo la «crisi organica> (del sistema) la minaccia. È ciò che terrorizza la sinistra. La forma-Dc tende ad esser pura forma di potere e non la si può rompere se non rompendo la forma-potere. Per questo l'alternativa al potere della Dc può apparire ed esser presentata come alternativa al potere tout-court. La Dc sembra cosi destinata a succedere a se stessa perché chi vuol sostituirla deve conservarla come macchina di potere. Le ragioni del potere legano alla Dc gli altri partiti. Cassano, seguendo altro percorso e con altra intenzione, coglie questo punto quando individua nella strategia di Moro una strategia «per trasmettere agli altri partiti la propria ottica>. Si può cioè perdere potere-Dc per generalizzare la logica del potere Dc. E una strategia di diffusione e generalizzazione della forma democristiana, dalla originaria tecnica di dispersione delle tensioni si passa alla dispersione della forma-Dc. Annullare la crisi democristiana scaricandola sulla società italiana attraverso l'in0azione della forma di potere Dc e la conseguente svalutazione generalizzata della «decisione politica>. S fugge spesso ai politologi di professione l'omologia tra i processi in atto sulla scena italiana e quelli che stanno ridefinendo l'assetto internazionale. Si continua a parlare di una ingovernabilità italiana contrapponendola talvolta a un sistema internazionale che richiederebbe la chiusura della italiana apertura a «forbice>. Eppure la logica che presiede ai meccanismi interni italiani si ritrova a livello dell'impero americano: questo si relativizza e perde posizioni politiche, ma tenta di diffondere la logica dei domini operativi (Sai!, comunicazioni, controllo dello spazio e del tempo ...), perde la veste nazionale per procedere all'omologazione internazionale di funzioni di potere senza lo stato, potere senza autorità. La situazione italiana, piuttosto che periferica e marginale, sembra al contrario sperimentare la forma più compiuta delle strategie operanti a livello internazionale, soprattutto nel tentativo (ineludibile nei sistemi complessi) di assumere il disordine nella linea dell'ordine, nell'assenza di ogni configurazione fissa del sistema (è tramontato il concetto classico secondo cui l'autorità c'è o non c'è). Il problema del «modo democristiano di governare> sembra rinviare ancora una volta al problema dell' «ordine internazionale>. Chiudendo la propria analisi nella dimensione nazionale, Cassano conclude che la strategia moro.tea è in crisi. Al contrario, a me sembra che proprio quella «caduta di progettualità della sinistra> che Cassano lamenta indica che la forma-Dc si è diffusa a tutta la sinistra. Questa caduta dice che la sinistra gestisce quote di potere (anche formale). Il contrasto formale delle posizioni è oggi la condizione della permanenza della cooperazione sia nei rapporti Dc-Pci sia nei rapporti Usa-Urss. I tentativi di far sopravvivere la forma fanfaniana della Dc (sviluppo delle tensioni invece che loro dispersione) non escludono l'ambiguità moro.tea, anzi le sono complementari. La linea della concentrazione delle tensioni è una funzione di costanza complementare alla funzione di variabilità e Oessibilità rappresentata dalla dispersione. In questo modello di costanza e variabilità, concentrazione e dispersione, lo scenario italiano offre molte analogie con quello internazionale: la Dc sembra tecnicizzarsi sempre più mentre ad altri è rinviato il compito e la funzione sub~ltema di procacciare «legittimazione>. I democristiani sono tecnici di potere per qualunque ideologia, qualunque consenso «altri> voglia costruire. L'ideologia democristiana, scrive Baget-Bozzo, «è ciò che rimane dopo la negazione di tutti icontrari politici>. La Dc sembra riservarsi ilcompito dell'amministrazione (azione specializzata nella produzione di decisioni) e lasciare agli altri partiti l'azione politica (cioè garantire la disponibilità ad accettare le decisioni). Nei termini del rapporto globale/locale: alla sinistra il governo del «locale>, alla Dc la decisione e l'operazionalismo transnazionale, governo locale della sinistra attraverso la politica, potere transnazionale della Dc attraverso la produzione e l'attuazione di decisioni vincolanti. La differenziazione funzionale, che in altri paesi capitalistici è passata storicamente tra organi di partito e organi dello stato, sembra in Italia aver attraversato internamente il sistema dei partiti. In questa situazione, la lotta al potere politico sale velocemente ai meccanismi amministrativi del potere; la reciproca incorporazione Dc-amministrazione, portando l'antagonismo sociale direttamente contro le tecniche amministrative, spinge continuamente la «crisi multiforme> (cioè la segmentazione della crisi in crisi settoriali) a sfiorare la «crisi organica> del sistema e la crisi della «forma-partito> ad estendersi alla «forma-stato>. Ogni incremento di potere ottenuto attraverso la generalizzazione della forma-Dc è accompagnato da un deficit di potere nelle funzioni amministrative; l'inflazione della forma-Dc non consente di accumulare potere, piuttosto pare riprodurre l'immediato. Cosl, alla soglia del potere più astratto (il «puro potere>), questo si mostra impianificabile.

Perundizionaricoritico deldiritto Sanzione 1. La sanzione giuridica (non cmorale», né genericamente csociale» )è, in senso stretto, la conseguenza afflittiva predisposta da una norma giuridica per un atto illecito. In senso lato, è talora considerata sanzione la conseguenza spiacevole predisposta da un ordinamento giuridico per una qualunque violazione di una norma ad esso appartenente: non dunque soltanto per le violazioni che consistono in e atti invalidi». In questo secondo senso risulterebbero qualificabili come sanzioni anche le varie figure di cnullità» e di cannullabilità» che rappresentano le conseguenze giuridiche degli atti invalidi. Peraltro, secondo gli usi linguisticiprevalenti tra i teorici del diritto, per sanzione s'intende soltanto la conseguenza giuridica dell'atto illecito; le conseguenze giuridiche degli atti invalidi sono invece comunemente denominate annul- ~nti. Le sanzioni giuridiche (in senso stretto) si distinguono in penali, civili e amministraJive. Le sanzioni penali- o cpene» - hanno normalmente funzione retributiva o punitiva. Le sanzioni civili- cesecuzione in forma specifica» e crisarcimento del danno» - hanno, non diversamente dagli annullamenti, funzione riparatrice. Ma la distinzione tra i vari tipi di sanzioni è essenzialmente normativa, cioè fondata sulla natura giuridica dell'illecito e sulle modalità di applicazione della sanzione. Sono dunque sanzioni penali o pene (pena, principi teorici) le sanzioni che conseguono agli illeciti penali o reali (reato,principi teorici) e che sono inderogabilmente applicate nella forma del processo penale (processo penale, principi teorici). Sono sanzioni civili, o riparazioni, le sanzioni che conseguono agli illeciti civili, o torti (inadempimenti e illeciti extra-contrattuali), e che possono essere applicate nella forma del processo civile, ma anche per attuazione spontanea o infine, incidentalmente, nel processo penale su richiesta della parte lesa del reato costituitasi parte civile. Quanto alle sanzioni amministrative, o misure amministrative, esse hanno presupposti, contenuti e modalità di applicazione atipici; si distinguono a loro volta in misure disciplinari e di polizia, a seconda che conseguano a illeciti disciplinari o a forme di devianza che configurano pericolo per la sicurezza o per l'ordine pubblico (misure cautelari di polizia; misure di prevenzione; misure di pubblica sicurezza; misure di sicurezza). 2. Sia in senso stretto che in senso lato (comprensivo degli annullamenti), la sanzione è comunque configurabile come cconsegu~nte» di una condizione cantecedènte». Questa nozione formale di sanzione è stata simboleggiata da Hans Kelsen con la nota formula cA ._ B» (cse A, allora B»), dove A sta per catto illecito» (o se si vuole, più genericamente, per catto giuridico») e B sta per csanzione» (o se si vuole, più genericamente, per e effetto giuridico spiacevole», o se si vuole, ancor più genericamente, per ceffetto giuridico»). Si tratta di una relazione comunemente denominata nesso di imputazione o di causalitàgiuridica, e che Kelsen ha interpretato in termini, anzichè di cessere» (Sein ), di cdover essere» (Sol/en) ( e Se A, allora deve essere B»). Questa connotazione rappresenta in effetti, per Kelsen, l'elemento distintivo della causalità giuridica, ove l'effetto (per esempio la sanzione) si configura come conseguenza giuridica o normativa (che cdeve essere»), rispetto alla causalità naturale, ove l'effetto si configura come conseguenza naturale o di fatto (che cè»). E vale anche a distinguere le norme giuridiche dalle leggi naturali: le prime in quanto costituiscono (o prescrivono) il nesso di causalità giuridica, le seconde in quanto riflettono (o descrivono) la causalità naturale (Seinsollen; imputazione, principio di). Il valore teorico di questa costruzione è nel fatto che essa evidenzia il ruolo centrale rivestito dalla sanzione (io senso lato) nei sistemi giuridici positivi, che sono essenzialmente tecniche di regolamentazione e di controllo sociale che operano attraverso la minaccia e l'applicazione di sanzioni. Sotto questo aspetto le sanzioni, o per meglio dire la loro applicazione, costituiscono le condizioni d' cefficacia» delle norme giuridiche e più io generale di ceffettività» dell'intero ordinamento. Hans Kelseo ha voluto sottolineare questo ruolo primario della sanzione denominando morme primarie» le norme o i segmenti di norma che prevedono e Luigi Ferrajoli/ Ugo Rescigno dispongono le-sanzioni, e enorme secondarie» le norme o i segmenti di norma che prevedono e vietano i comportamenti illeciti (o più in generale le violazioni) configurati come presupposti delle sanzioni. Il valore pratico - e politico - della, suddetta nozione formale di «sanzione» è nella configurazione di questa: a) non come prius o antecedente o misura preventiva, ma come posterius o conseguente o misura repressiva, in quanto condizionata dalla commissione di «fatti» ovvero di specifiche violazioni giuridiche, e b) come conseguenza predeterminata da norme giuridiche, sia quanto ai contenuti, sia quanto ai presupposti. In questo duplice senso, la nozione di «sanzione» come conseguenza giuridica o normativa equivale a un principio essenziale di civiltà giuridica: il principio di legalità- codificato (artt. 1 e 2 cp) e costituzionalizzato (art. 25,2° comma Cost.) per quanto riguarda le sanzioni penali - secondo cui misure afflittive possono essere irrogate solo come effetto di atti illeciti e in quanto pre-disposte normativamente. 3. La concezione formale o normativistica della sanzione che qui si è sommariamente illustrata riflette quella che, in via di principio, è la natura della sanzione (o meglio, per cosl dire, CategoriYe!t~,hienuove U n Dizionario critico del diritto (vedi le «voci» qui anticipate, Sanzione di Luigi Fe"ajoli e Divisione dei poteri di Ugo Rescigno) vuole oggi qualche giustificazione. O meglio vuole ancora giustificazione, poiché-almeno cosl credo-presto, nei prossimi anni la cultura critica-e forse proprio quella più aperta e meno specialistica-si ritroverà a interrogarsie a riflettere su di un universo ch;eper un decennio apparve desueto e rouo, disponibile all'agonia - quasi di essa ansioso - pronto a «deperire» almeno, come voleva la citazione marxiana, usata piuttosto a mo' di slogan che come analisi. Ma oggi né diritto né Stato sembrano deperire -almeno nel senso marxiano -anche se laproduzione e l'applicazione della norma sempre più si dislocano fuori dalle istituzioni cui rimangono residue funzioni prodamatorie e araldiche. Il comando concreto prevale - non ultimo quello del denaro - e la figura stessa del diritto è mutata, con forme di «socializzazione» della norma ormai non più generale e astratta, forme destinate a sboccare - e lo avremmo visto poco dopo aver definito il progetto di questo Dizionario nei primi mesi del 1977 - in stigmatiuazione interna alla società civile. Se i giuristi ortodossi, forti di una vecchia filosofia del common sense vorranno, ora e in futuro, sentiregolosi odori di «revenche» ciò sarà proprio perché non hanno potuto riflettere spregiudicatamente sulle categorie «vecchie» del diritto cosl da non vedere poi le «nuove». Ritorno al diritto, dunque? È uno dei refraios che già suonano nell'aria e che i tam-tam del/'ordine e della legalità riecheggeranno volenterosi e monotoni. Ma l'aver poco illuminato la storicitàdei modelli attraverso i quali il diritto del nostro tempo è stato pensato e reso pensabile da un secolo di lavoro «teorico» (razionalizzante e apologetico) varrà probabilmente a mantenere nell'ombra mutamenti non irrilevanti e nuove dislocazioni. Allora, ritorno a Marx? O non piuttosto ritorno al diritto di chi erapassato attraverso Marx, per tentare una lettura disincantata di tòpoi del diritto, una lettura che gettasse qualche filo tra il vecchioe il nuovochesi andavapro/i• landa? È il caso di ricordare una riflessione di Sartre - nella Critica della ragione dialettica - che si è rivelata una buona traccia: « UnpreJeso 'superamento' del marxismo sarà, nel peggio, nient'altro che un ritorno al premarxismo, e nel migliore dei casi la riscoperta di un pensiero ùnplicito nella filosofia che si era creduto aver superata». Il tentativo è stato più specificamente altro, quello di «superare» un modo di prendere in considerazione categorie e istituti del diritto borghese, di rendersi conto - e di far apparire al lettore - come occorramettere in chiaro (in questo senso sl, superando i teorici del «socialismo realiuato») quegli aspetti del pensiero giuridico che sono inequivocabilmente legati alla borghesia e alla sua storia; il che è diverso sia da una lettura economicistica del diritto (la spiegazione perenne del diritto con il riferimento all'economia) sia da una interpretazione esaustiva in termini di interessi di classe immediatamente individuati. Si è voluto - per quanto possibile in un lavoro cosl limitato ed esplorativo, in certo senso «ingenuo» -evitare ogni forma di «positivismo di sinistra» proprio perché scarsamente scientifico (quindi premarxista, in questo senso) e ancorato necessariamente ali'idea di «giustizia». Forse disordinata (le «voci» sono più di cento e le assenze su temi significativi non mancano, e sono silenzi che denunciano difficoltà non superate, difficoltà di fondo e non solo accidentali) la ricerca riassunta in questo Dizionario ha tentato di aprire un campo d'indagine ponendo in relazione l'analisi del carattereideologico dell'apparato conoscitivo del diritto con l'analisi dei rapporti esistenti tra giuridico e sociale. Viene cosl in primo piano il problema di relazioni sociali libere e non giuridiciuate, ovvero, detto in negativo, il problema del bisogno (indotto e diffuso) di normatività oggi .esistente.Problemi non disgiuf!gibiltdal vocabolario giuridico e legati a carenze di analisi della «vecchia» norma. Problemi che dietro il velo magico di un'apparentemente continua e fluente normatività perenne, occultano l'albeggiare di una «nuova» norma, quella che si agglutina in una oppressione sistematica di «valori sociali», in una accettazionesubita di adeguamento politico, in una censura continuamente riproposta e diffusa tra -incessantemente rinnovate - tolleranze e comandi. La norma giuridica della «democrazia» guidata dall'alto. Immediatamente ciò si colloca alla base dell'illusione di una ricerca di norme che liberino dalla normatività, paradossosolubilesolo con il riconoscimento che spazi di libertàsono reperibili solo nei fatti e versus il diritto. E il tema stesso del garantismo, tanto dibattuto negli ultimi mesi, (cui una «voce» è dedicata) si presterebbe da questo punto di vista a riflessione, nel senso di vederlo vuoto - proprio perché «forma» giuridica - quando trasferito dal contesto della rivoluzione borghese disponibile al compromesso su posizioni di forza al contesto odierno. Non è isolabile dall'oggi più di un aspetto conclusivo del Dizionario e in particolare l'interesse che di fatto - e malgrado lo sforzo di non sconfinare dal giuridico al politologico, settore d'altronde cosl ben lavorato dal Feltrinelli-Fischer curato da Negri -si sono viste riservaredeterminate areegiuridiche e, viceversa, le difficoltà (i silenii) che ha suscitato il dirillo privato, chiuso, anche se regressivamente, nella sua forma. Ma questa osservazione meriterebbe più spazio, non foss'altro per non ribadire involontariamente la funzione _ ideologica ben nota della distinzione scolastica fondamentale, utile a condensare allenzione allapoliticità sufi'area del diritto pubblico quasi che non fosse proprio nel cuore del dirittoprivato il nucleo duro del carattereborghese del diritto. È stato dunque inevitabile - anche per il caratteredi lavoro iniziale: non è escluso infatti un secondo volume che integri le lacune del primo - che a dominare fossero «voci» che si collocano nellafilosofia e teoriageneraledel diritto, nel diritto pubblico e costituzionale, nel diritto del lavoro e del/'ecnnomia e - con spunti di particolare attualità - nel diritto penale. E cosi le 400 pagine del Dizionario (che l'editore Savelli pubblicherà nei primissimi mesi del/'80) attraverso anche questo «taglio» spostano la critica di non-neutralità dagli apparati statali alla «forma» diritto e alla società stessa. Era allora corretto, per questo impianto di denuncia, che i collaboratori(*) anche se non legatia scuole marxiste, fossero relativamente omogenei, e la maggioranza di essi è identificabile infatti nella redazione della rivista Critica del diritto e in alcuni giuristi francofoni del collellivo Critique du droit (**), la cui collaborazione prelude a una edizione elaborata per i lettori francesi. Mentre sembra farsi strada un principio «collettivo» di subordinazione a dare nuova « forma» al diritto -e i processi affidati ai mass-media sono solo la punta emergente dell'iceberg - ci è parso utile tenerci all'analisi, con qualche sforzo - non sempre felice forse - di coinvolgere nella riflessione sul dirilto quanti lavorano a produrre cultura,sempremeno abilitatial disinte• ress,e. (*) Laura Ammannati, Antonio Bevere, Alisa Dal Re, Bruno Dente, Luigi De Ruggiero, Cesare Donati, Luigi Ferrajoli, Riccardo Guastini, Gianni Kaufman, Antonio Negri, Antonio Malaschini, Fabio Mazziotti, Paolo Pelta, Ugo Rescigno. (.. ) Laurance Boy, Miche! Jeantin, Jaques Lenoble, Miche! Miaille, François Osi, Miche! Van De Kerchove. il suo «dover essere», in contrasto, come si dirà, con il suo «essere» reale) negli ordinamenti giuridici moderni. lo effetti il diritto borghese moderno nasce con la monopolizzazione da parte dello Stato del potere di irrogare o autorizzare sanzioni e con la connessa istituzionalizzazione e formalizzazione delle sanzioni giuridiche, sia civili sia soprattutto penali, nonché delle ·procedure necessarie alla loro applicazione. Questa istituzionalizzazione e questa formalizzazione si realizzano, grazie anche alle codificazioni (➔), attraverso la disciplina giuridica delle sanzioni in una triplice direzione: a) attraverso la predeterminazione e formalizzazione normativa dei presupposti della sanzione, ovvero delle violazioni giuridiche (atti illeciti e atti invalidi); b) attraverso la predeterminazione e formalizzazione normativa dei contenuti e della misura delle sanzioni (non più misure afflittive atipiche e di contenuto indeterminato, ma conseguenze tassativamente prestabilite); c) attraverso la predeterminazione e - formalizzazione normativa dei soggetti abilitati e delle procedure necessarie all'accertamento empirico (o prova) della violazione e all'applicazione della relativa sanzione (processo penale o civile o amministrativo). Si tratta di un fenomeno che è tutt'uno con la nascita dello Stato borghese liberale come «Stato di diritto» fondato sul principio di legalità: cioè con il processo di concentrazione della forza nello Stato e al tempo stesso di regolamentazione e limitazione giuridica (o legale) dell'uso statale della forza. Dal punto di vista del cittadino la formalizzazione della sanzione nel triplice senso sopra indicato rappresenta, almeno io via teorica e di princi_- pio, un insieme di garanzie di «certezza», e insieme anche di «immunità», contro i possibili arbitri dell'autorità. Ciò vale soprattutto nella materia penale, ove le tre forme suddette di disciplina della sanzione corrispondono rispettivamente ai principi, costituzionalizzati nel nostro ordinamento e in generale in tutti gli ordinamenti evoluti, di «stretta legalità e tassatività dei reati», di «stretta legalità e tassatività delle pene» e di «giurisdizionalità» (reato, principi teorici; pena, principi teorici;processo penale, principi teorici). 4. Naturalmente lo schema teorico sopra identificato resta io gran parte uno schema ideologico. Nella pratica si danno sanzioni non formalizzate, sia per quanto riguarda i loro presupposti, sia per quanto riguarda i loro contenuti e le loro modalità di applicazione. Tali sono soprattutto le sanzioni amministrative, siano esse disciplibari (basti pensare ai margini di arbitrio concessi alla potestà punitiva delle autorità dai regolamenti di disciplina militare) siano esse di polizia ( -t misure cautelari di polizia; misure di prevenzione; misure di pubblica sicurezza). Ma non mancano purtroppo ipotesi di sanzioni non rigidamente formalizzate neppure nel campo del •diritto penale: mi riferisco non solo alle misure di sicurezza, di cui va riconosciuta la natura amministrativa (-+ misure di sicurezza), ma anche, in molti casi e per molti aspetti, alle pene (---+ reato, profili reali; pena, profili reali; processo penale, profili reali;sospetto, reati di). In virtù di questa contraddizione tra principi teorici e sistema concreto, tutto l'insieme dei poteri sanzionatori dello Stato, ivi compresi quelli di carattere strettamente penale, appare contrassegnato da una sorta di legalità attenuata o degradata che rende scarsamente (e sempre meno) attendibile la sua qualificazione come Stato di dirillo. Luigi Ferrajoli

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